NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 30 MAGGIO 2019

https://italianiinguerra.com/2019/05/25/le-50-ore-dei-goumiers-marocchini-e-gli-stupri-di-massa-in-ciociaria/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

30 MAGGIO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

 

http://www.dettiescritti.com/

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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EDITORIALE

CLASSI SUBALTERNE sgradite ai buonisti

 

Manlio Lo Presti – 30 maggio 2019

 

Si tratta della infelice definizione che il preclaro superpretoriano mondialista ha affibbiato al popolo bue italiano.

 

L’epiteto per gli italiani che non hanno votato nel modo giusto e che si sono fermati alla seconda media, specialmente in Sardegna, dove la Lega ha avuto una forte affermazione. Quindi binomio Destre = ignoranti, da rieducare in appositi campi di raccolta sullo stile Cina del Grande Balzo in Avanti di Mao.

 

Una affermazione razzista antiitaliana  pronunciata apertamente e senza diplomazia da Cuperlo: (https://www.facebook.com/giovanni.bernardini.75?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARCg1Gv5yVIFExqWvOLkM62LjCbgyWUlMWuq8MuKqeNLz2J6cMXUyoUhI202vztDWcaHNn9QVegPLRXL&hc_ref=ARSkR6qPFtcC7rrETf-Jqlcp1BoVaWvHOsJE45EGGNph9zjZMlZdBqS6keuB_paX9RM&fref=nf )

e da Gad Lerner …

Mio post ripetuto del 29 maggio 2019 – ORE 21,15 E “MISTERIOSAMENTE” SPARITO DAL MIO PROFILO.

P.S. – Il messaggio sottostante sarà ripetuto in Facebook varie volte nella giornata a partire da adesso

 

 

 

 

Subalterni

Poco fa sul canale TV La7, questo individuo disdicevole, dall’alto della sua sovrana superbia vaticinante, ha definito gli italiani CLASSI SUBALTERNE, come per far capire che la loro scelta elettorale contraria ai disegni Dem e delle magliette rosse con rolex non porterà a nessun cambiamento in Europa!

Gli fa spalla l’uomo del Rolex che non ha mancato di affermare che la situazione attuale è colpa dell’ignoranza e della bassa scolarizzazione degli italiani deludenti, come ha più volte detto Cuperlo del PD, registrazioni video YouTube alla mano.

 

Sta quindi partendo una campagna di insulto generalizzato contro

COLORO-CHE-NON-HANNO-VOTATO-NEL-MODO-GIUSTO!

 

Il caos va mantenuto per portare allo stremo l’Italia e comprargli tutto il resto, i risparmi da spostare in Germania con opportune fusioni bancarie …

Sarà quindi nel giusto la rieducazione di massa della popolazione fascista demmerda in apposite strutture stile Cina maoista del GRANDE BALZO IN AVANTI.

Credo che approntare una resistenza di altro e più frontale registro diventerà una necessità immediata per non essere eliminati in massa, con sostituzione di 6.000.000 di africani che farebbero peraltro incassare € 35.00 cadauno e che voterebbero Dem a gruppi politici buonisti antifa quadrisex, neomcarrartista.

QUESTA SETTA DI ODIATORI SPOCCHIOSI CI VUOLE FARE FUORI NEL SENSO PIÙ REALE.

Non dimentichiamolo …

Manlio 29 05 2019

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10219336805800478&id=1520773895

 

 

 

IN EVIDENZA

CLASSI SUBALTERNE

Prof. Giovanni Bernardini – 27 maggio 2019

Per Karl Marx le “classi subalterne”, meglio, la classe operaia, ma queste fini distinzioni sono eccessive per Gad Lerner, per Marx dicevo le classi subalterne avevano il compito storico di traghettare il genere umano dal regno della necessità a quello della libertà.
Poi le classi subalterne dimostrarono di essere interessate più alla difesa dei loro interessi immediati che alla palingenesi rivoluzionaria.
Ci fu allora chi questa palingenesi la IMPOSE loro. E le classi subalterne si ritrovarono ai lavori forzati in Siberia.
Oggi gli intellettualini da quattro soldi stabiliscono che le classi subalterne devono essere per l’immigrazione senza limiti, per la filosofia gender, per la UE senza se e senza ma.

E se le classi subalterne osano non essere d’accordo gli intellettualini si arrabbiano e strillano: “Razzisti! Fascisti! Xenofobi! Poveri ignoranti!” eccetera.

Se fossero seri e avessero le palle chiederebbero la abolizione del suffragio universale. E magari dei bei corsi di rieducazione per le “classi subalterne”.
Ma non sono seri e non hanno le palle.
Non meritano neppure di essere presi a calci in culo. Solo disprezzati ed ignorati.

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https://www.facebook.com/giovanni.bernardini.75?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARANQjB9KeXq6dV3KsQbjweulaWjRZ4cJCV7St8yK44ree7i3WjPI0N_fbY4BLwSfrbChO0BZxfFaUYt&hc_ref=ARQVmTisGz62y2EWYDs13mNlw659Mu86ynUfm6GV1PeuQIV1snj2dcCZgtyOQX0A1z0&fref=nf

 

 

 

 

Cuperlo (PD) e le classi subalterne

‘Lega primo partito in Sardegna dove il 33% non termina la scuola secondaria’

VIDEO VERGOGNOSO QUI:

http://www.la7.it/laria-che-tira/video/cuperlo-pd-lega-primo-partito-in-sardegna-dove-il-33-non-termina-la-scuola-secondaria-27-05-2019-273062

 

Gianni Cuperlo, membro della Direzione PD, lamenta l’assenza di

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http://www.la7.it/laria-che-tira/video/30-giorni-al-voto-punti-di-forza-e-debolezza-26-04-2019-269930

 

 

 

 

 

Sardi ignoranti che hanno votato lega

Eccone un altro che se la prende col popolo bue. Lui non merita neppure confutazioni teoriche, solo una semplice considerazione di buon senso. A parte il fatto che le cifre che spara questo Cuperlo sembrano leggermente eccessive, la Sardegna è stata governata dal PD dal 2004 al 2008 e poi dal 2014 al 2019.

 

In quei lassi di tempo i sardi erano tutti premi nobel e sono poi diventati analfabeti non appena hanno

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Gad Lerner che insulta le classi subalterne che non hanno votato nel modo giusto!

 

VIDEO DELIRANTE QUI: https://www.youtube.com/watch?v=uG3aY3Mx6Zg

 

 

 

Il sovranismo non è un fenomeno passeggero

MV, La Verità 29 maggio 2019

Vi siete ripresi dall’overdose di video e di commenti, di analisi, tabelle e dichiarazioni? Proviamo a cambiare prospettiva, dopo una piccola notazione preventiva. Sono vistosi i vincitori, Salvini e Meloni, ma chi sono gli sconfitti, oltre i 5stelle? Direi soprattutto tre competitori extrapolitici: i magistrati in campagna elettorale, i media compatti contro Salvini e il bergoglismo da asporto. Le vittorie simboliche della Lega a Lampedusa, Riace e Capalbio lo sanciscono.

Ma lasciamo stare i trionfanti, i crescenti, i caduti, i declinanti. Lasciamo stare gli eletti e i trombati, i nomi e i partiti, le analisi dei flussi e dei riflussi. Proviamo a salire di un piano, ponendoci sul piano degli orientamenti di fondo e chiedendoci non chi ha vinto ma cosa ha vinto.

Come è cambiato il quadro politico e culturale? Si è delineata una grande, sostanziale divaricazione: emerge, come avevamo previsto, un bipolarismo di contenuti tra gli eredi della sinistra e gli eredi della destra. Da una parte è cresciuto un fronte che supera il 40 per cento dei consensi e che si definisce sovranista: rappresenta i temi della sicurezza, lo stop ai flussi migratori, la tutela della famiglia, la rivoluzione fiscale e le opere pubbliche, la difesa dei confini, della sovranità politica, popolare e nazionale. Dall’altro versante ritorna in campo la sinistra con posizioni esattamente opposte ai sovranisti in tema di Europa e di migranti, di bioetica e di sicurezza, di economia e di sovranità. È una forza di netta minoranza, che oscilla tra il 22 e il 28 per cento, se si considera l’intero versante sinistro, inclusa la Bonino, pur con forti insediamenti in alcune città e una vasta ramificazione nei gangli vitali della società e nelle élite: nella scuola e nella cultura, nella magistratura e nella stampa.

Sul piano elettorale non è stata particolarmente significativa la rimonta elettorale del Pd. Essere all’opposizione di un governo diviso su tutto e attaccato massicciamente, agitare i mostri del passato, il nazismo e il razzismo, avere dalla propria parte i media e i poteri europei, vedere decomporsi il movimento 5stelle, e vedere crescere “la destra” a un livello che non c’è mai stato, non mi pare un gran risultato per la sinistra. La polarizzazione intorno a Salvini avrebbe dovuto farla crescere molto di più. Ma al di là della contabilità elettorale, il Pd rappresenta un area, un mondo, una posizione antagonista rispetto al fronte sovranista. Qual è il nemico ideologico del sovranismo? Sul piano negativo è l’antifascismo, sul piano “positivo” è l’ideologia dell’accoglienza. La sinistra in Italia oggi è attestata nella versione secolare del bergoglismo.

Non trovano spazio e ruolo, invece, le forze che si pongono al di fuori di questa polarizzazione, dal centrifugo Movimento 5Stelle al centrista ondivago Forza Italia. Il Movimento 5Stelle ha funzionato come collettore del dissenso e raccoglitore dei malesseri e dei rancori popolari ma non funziona come forza di governo e come catalizzatore di opinioni e programmi; non si inserisce con un suo orientamento sui temi decisivi del nostro presente. I grillini sono inconsistenti sul piano dei contenuti e perciò sono alleati con una forza che reputano di destra ma per differenziarsi si conformano al trend della sinistra. Lo schema vecchio-nuovo e sistema-antisistema funziona finché non sei al governo.

Da parte sua, Berlusconi si è battuto come un leone ma ha confermato il suo declino; del resto non si può puntare su una ristampa anastatica di se stesso, in versione plastificata, e fingere di essere ancora al centro dell’universo, strizzando l’occhio ora al versante populista ora al versante opposto. Fino a ieri si poneva come garante dei sovranisti, oggi come argine contro i medesimi e si apre alla grosse koalition con la sinistra europea. E poi si chiede perché Salvini e Meloni (e tanti elettori) non si fidano di

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https://www.marcelloveneziani.com/articoli/il-sovranismo-non-e-un-fenomeno-passeggero/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Spogliare la Grecia è stato uno scherzo.

Marco Palladino 29 05 2019

(Cit. Francesco Neri.)

 

 

Aeroporti, qualche isola, industrie zero, terre poche, risparmi privati ridicoli, demanio interessante. Comunque, la Grecia aveva un Pil inferiore alla sola provincia di Treviso. E’ bastato un sol boccone.

 

Per l’Italia è diverso.

 

Un capitale assolutamente enorme.

Secondo al mondo in quanto a risparmio privato,

primo come abitazioni di proprietà,

terre di valore assoluto e coste meravigliose.

 

Quinta potenza industriale al mondo prima dell’euro, ottava oggi. Il Made in Italy è ancora oggi il marchio numero uno al mondo, davanti a Coca Cola. Biodiversità superiore alla somma di tutti gli altri paesi europei.

 

Come capitale artistico monumentale, non ne parliamo neanche: è superiore a quello di tutto il resto del mondo.

 

Francia e Germania, più qualche fondo americano, cinese o arabo hanno fatto la spesa da noi a “paghi uno e prendi quattro”.

 

Tutto il lusso e la grande distribuzione sono passati ai francesi insieme ai pozzi libici passati da Eni a Total. Poi anche Eni è diventata a maggioranza americana.

 

Anche il sistema bancario è passato ai francesi insieme all’alimentare.

I tedeschi si sono presi la meccanica, e il cemento. Gli indiani tutto l’acciaio.

I Cinesi si son presi quote di Terna, e tutto Pirelli agricoltura.

 

Se ne sono andate Tim, Telecom, Giugiaro, Pininfarina, Pernigotti, Buitoni,

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https://www.facebook.com/1500896194/posts/10213439958662322/

 

 

 

 

Salvini nella ruota del criceto: si agita, ma non otterrà nulla

Scritto il 30/5/19

Salvini è in gabbia: si agita come un criceto nella sua ruotina, ma non può evadere dalle sbarre Ue.

 

Lo afferma “Contropiano”, in un editoriale di Sergio Cararo che analizza l’esito profondo del voto europeo. Politicamedia italiani celebrano la vittoria di Salvini, che però «si è venuto a trovare in una situazione in cui, qualsiasi cosa farà, si troverà in mezzo a rogne rilevanti». In primo luogo, l’assalto “sovranista” all’architettura europea è fallito. «In Francia la vittoria della Le Pen è stata di strettissima misura e del tutto insufficiente a un cambio dei rapporti di forza. Orban in Ungheria si è ormai allineato e coperto al Partito Popolare, e comunque il suo paese “pesa” poco». Per contro, a sinistra «c’è stato un sostanziale allineamento alla visione dominante, tanto che in Italia e Spagna gli elettori hanno preferito gli originali (dal Pd al Partito socialista spagnolo) alle alternative tiepide». E in Grecia, “Syriza” cede il primo posto ai conservatori di Nuova Democrazia. «Le forze della sinistra popolare più antagoniste al sistema, come la francese “La France Insoumise”, «non hanno capitalizzato il ciclo di conflitto sociale aperto dai Gilets Jaunes».

Al contrario, la struttura politica, ideologica ed economica europeista – pur perdendo la storica “maggioranza” popolari-socialdemocratici – si è rafforzata, «e questo mette fine ad ogni velleità di Salvini di negoziare alcunché». Bruxelles, aggiunge Cararo, starebbe infatti considerando di proporre per l’Italia una procedura di infrazione già il prossimo 5 giugno per “debito eccessivo”. «E poi c’è la manovra finanziaria “lacrime e sangue” da decine di miliardi che si tradurrà nella Legge di Stabilità da varare in autunno». Infine, i grandi gruppi multinazionali, come Fca e Renault, daranno vita al maggiore produttore dell’automotive, «materializzando uno di quei “campioni europei” evocati nel recente Trattato di Aquisgrana». Sulle eventuali “rodomontate” propagandistiche di Salvini, continua “Contropiano”, pesano da un lato la minaccia dello spread (quello che tolse di mezzo Berlusconi, e che sta già risalendo) e dall’altro gli interessi del “Partito Trasversale del Pil” che, soprattutto tra gli elettori di Salvini nel Nord, «è pronto a tirare per le orecchie il ragazzo se dovesse mettere a rischio l’economia».

Insomma, «si ha la netta impressione che Salvini sia come un criceto sulla ruota, ma dentro la gabbia». Ha e dà la sensazione di muoversi, e se avvicini un dito «può dare morsi anche dolorosi (soprattutto sul piano repressivo)», ma sostanzialmente «resta fermo nello stesso punto e chiuso dalla gabbia su ogni lato». Il capo della Lega «ha riportato a casa una parte dei consensi del blocco di destra, con una media tra il 2008 e il 2013 (ma con ben tre milioni di voti in meno rispetto a quell’anno)», includendo in questo blocco anche i voti di Berlusconi, che oggi però «appare più “intrigato” dal blocco europeista che dagli ululati di Salvini e della Meloni». Per Cararo, si tratta di

 

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http://www.libreidee.org/2019/05/salvini-nella-ruota-del-criceto-si-agita-ma-non-otterra-nulla/

 

 

 

 

 

 

Scontri a Firenze, Bologna e anche a Genova

Giovanni Bernardini – 24 maggio 2019

Dopo Firenze e Bologna anche Genova teatro di scontri.

 

Brevemente, per punti:

 

1) In una democrazia ogni forza politica che non sia stata dichiarata fuori legge ha diritto di organizzare comizi, per quanto aberranti possano essere le cose che dice.

2) Non spetta comunque ai centri sociali stabilire chi è fascista e chi non lo è, chi ha e chi non ha diritto di parola.

3) A Genova e altrove la polizia non difendeva Casa Pound ma la LEGALITA’

4) I teppisti dei centri sociali non si limitano a casa Pound. Più volte hanno cercato di impedire di parlare al ministro dell’interno di un governo che gode della fiducia di un parlamento democraticamente eletto. In passato lo stesso Renzi è stato contestato. Anche in quei casi si tratta di “protesta antifascista”?

5) per chi non lo sapesse, negli anni 70 del secolo scorso erano all’ordine del

 

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CONFLITTI GEOPOLITICI

Da Bossi in poi, i “guerrieri” li sceglie il potere. E li votiamo

Scritto il 30/5/19

La vittoria elettorale delle nuove destre è la logica conseguenza di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni anni, in primis per colpa delle sinistre che hanno lasciato un vuoto abissale, abdicando a quello che sarebbe dovuto essere il loro scopo primario, e per logica conseguenza di uno schema del potere, pensato ed attuato perché cambiasse la società in termini reazionari, sia culturalmente che socialmente. Il progetto procede per gradi, dopo aver attraversato diverse stagioni dagli anni ‘70 ad oggi, passando per la strategia della tensione, attraverso il progetto atlantista piduista di spostamento a destra dell’asse politico-culturale ed economico-sociale, attraverso il Patto Stato-Mafia, dopo il divorzio tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro, con tutte le nefaste conseguenze politico-economiche che hanno costituito l’attuale stato delle cose, siamo arrivati a percepire ed intravedere le nudità del Re. Così abbiamo abbaiato, ci siamo incazzati e abbiamo desiderato nuovi condottieri che ci portassero via da questo inferno in terra. Non potevamo sapere che i nuovi salvatori della patria e i loro contenitori del dissenso erano stati pensati e progettati proprio dagli stessi poteri forti che pensavamo ingenuamente di combattere.

In cosa consiste il progetto della sovragestione? Partiamo dall’89, anche se la storiainizia molto, molto prima. Dopo il crollo del Muro di Berlino lo scenario geopolitico internazionale è mutato e il network dei poteri forti ha favorito ufficialmente, e non più sottotraccia, il vento delle nuove destre, ora tecnofinanziarie, ora populiste, ora di centrodestra, ora di centrosinistra, trasversali e apolidi. In Italia Tangentopoli è stato lo spartiacque tra il vecchio sistema oramai in putrefazione e la nuova classe dirigente, è stata l’occasione di aggiornare il sistema in termini dispotici, seguendo un paradigma liberista neocon, neo-aristocratico, di austerity, di svuotamento dell’apparato statale, di destrutturazione dello Stato Sociale, di impoverimento progressivo delle classi sociali; modello perseguito da tutto l’arco politico costituzionale, trasversalmente e senza distinzioni degne di nota. La Sovragestione del progetto di quella che sarebbe diventata la cosiddetta 2° Repubblica nasce molto prima, già prevista alcuni decenni fa; ed era facile previsione, perché dopo 20 anni di future austerity e di politiche economiche antistatali, antisovraniste, di impoverimento del ceto medio, gli elettori si sarebbero naturalmente spostati negli anni verso contenitori populisti.

E infatti, e per tempo, è corsa ai ripari, plasmando fin da subito negli anni ‘80 una forza che sarebbe cresciuta negli anni a venire: la Lega Nord, “pensata” dall’ideologo Miglio in contrapposizione proprio a quello statalismo italico, nata come formazione secessionista, anticipando su scala nazionale quell’Europa su due livelli, oggi cruda realtà, quindi cresciuta in un’ottica ed in una visione anti-sovranista, anti-statale e filogermanica. Quello fu il primo baluardo, il primo virus introdotto nel corpo morente italico. Contemporaneamente, fu la volta di Berlusconi che è stato il primo vero populista vincente e aggiornatore del palinsesto culturale, mentre il Pd si occupò della svendita del Belpaese e di inseguire anch’esso politiche liberiste neocon; fino alla creazione dei 5 Stelle, nati come contenitore moderno e di passaggio del dissenso popolare, oggi in crisi e forse al termine di un percorso che li ha visti utili idioti di una Sovragestione che li ha strumentalizzati, utilizzati e poi scaricati.

Trent’anni di malapolitica imposta dalla Sovragestione hanno quindi favorito

 

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http://www.libreidee.org/2019/05/da-bossi-in-poi-i-guerrieri-li-sceglie-il-potere-e-li-votiamo/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Perché il risultato delle elezioni europee preoccupa la Cina

Federico Giuliani  – 30 MAGGIO 2019

È tempo di bilanci anche in Cina. Il voto delle Europee è stato analizzato con attenzione dal governo cinese, alla luce delle nuove prospettive che potrebbero crearsi fra il Dragone e l’Unione Europea. La vittoria di molti partiti euroscettici e populisti contribuirà a modificare il rapporto tra Bruxelles e Pechino? Cambierà qualcosa per quanto riguarda la Nuova Via della Seta?

Le preoccupazioni di Pechino

La Cina è preoccupata dai risultati dell’ultima tornata elettorale europea. I media di Stato sottolineano come Pechino consideri gli ultimi risultati qualcosa di estremamente rischioso. La polarizzazione politica dell’Unione Europea costringe Bruxelles a camminare su una fune, come sottolinea il China Daily. Questo perché un’Europa divisa non consentirà ai Paesi membri di trovare una soluzione a problemi come l’immigrazione e la deprimente crescita economica dell’area.

Ma quello che allarma di più il governo cinese è la piega che prenderà la politica estera dei singoli Stati europei. In ballo c’è una decisione fondamentale: allearsi con la Cina e sposarne il progetto della Nuova Via della Seta, oppure finire sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti di Donald Trump. Molti Paesi potrebbero cambiare le carte in tavola e scombussolare i piani di Pechino.

L’Italia e la Nuova Via della Seta: cosa cambia?

Prendiamo il caso dell’Italia. Roma ha firmato un memorandum d’intesa con la Cina per entrare a far parte della Belt and Road Initative. La pista cinese è stata portata avanti soprattutto da esponenti del Movimento 5 Stelle,

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https://it.insideover.com/politica/perche-il-risultato-delle-elezioni-europee-preoccupa-la-cina.html

 

 

 

 

“Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?” di Graham Allison

Posted by Alberto Prina Cerai on mercoledì, 29 maggio 2019 ·

Recensione del libro:

Graham Allison, Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide? Fazi Editore, Roma 2018. pp. 571, 25 euro (scheda libro).

Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da un’intensificazione della trade war tra Stati Uniti e Cina, che si protrae ormai da più di un anno e occupa, a buon diritto, uno spazio privilegiato nel dibattito internazionale. L’ultima mossa statunitense ha previsto restrizioni verso il colosso tecnologico cinese Huawei, salvo poi ripiegare su di un congelamento temporaneo in seguito alla velata ritorsione, da parte di Xi Jimping, di bandire l’esportazione verso gli USA di materiali strategici (Rare Earth Co.) per l’industria hi-tech, di cui la produzione cinese copre una fetta considerevole e, a dir poco, essenziale per la sicurezza economica americana.

Si tratta di un significativo salto di qualità nell’escalation tra i due colossi mondiali, entrati ora in un vortice pericoloso. La competizione per il dominio tecnologico e informatico rappresenta a tutti gli effetti la più grande sfida del XXI secolo. Tuttavia, fini e mezzi tendono a coincidere. La rete è, in senso lato, la cifra dei nostri tempi. L’interdipendenza globale la variabile di cui tutti gli attori in gioco devono tenere conto. Alcuni studiosi l’hanno definita una ‘interdipendenza armata’[1], laddove reti digitali, infrastrutture e punti nevralgici dell’economia mondiale diventano, mutualmente, strumenti per infliggere danni irreparabili alla controparte e nervi scoperti su cui infierire.

In tale scenario sempre più intricato, quale potrà essere lo step successivo in questa battaglia epocale? Dove risiedono le radici della rivalità sino-americana? Esistono precedenti nel passato che possano, nelle élite cinesi e statunitensi, instillare tanto un maggior senso di responsabilità quanto spargere i semi della discordia e dunque condurle verso uno scontro apocalittico? Quale potrà essere la miglior ricetta per una gestione pacifica o quanto meno contenuta dei rapporti tra Pechino e Washington? Ma soprattutto, la guerra è inevitabile?

Graham Allison – Professore emerito all’Università di Harvard e direttore del Belfer Center for Science and International Affairs – nel suo vibrante e dibattuto volume riattualizza la lezione della ‘trappola di Tucidide’ per cercare di rispondere a questi ed altri importanti quesiti in uno sforzo intellettuale e civico. Il fine è quello di stimolare una riflessione sul futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, auspicando che si possa deviare dalla «traiettoria corrente», nella quale «la guerra […] nei decenni avvenire non è soltanto possibile, ma più probabile di quanto non si sia disposti a credere».

Un ritorno della storia? Il pattern tucidideo e l’ascesa della Cina

Per decenni gli studiosi si sono divisi sul significato che lo storico greco assegnò alla guerra intercorsa fra Atene e Sparta. Ciò nonostante, le sue parole tuonano ancora oggi lapidarie: «Fu l’ascesa di Atene e la paura che quest’ultima instillò in Sparta che rese la guerra inevitabile». Una frase che ricorre più volte tra le pagine del libro, ed è a tutti gli effetti il manifesto metodologico dell’Autore. Sintetizzando i risultati più salienti di un progetto imponente[2], Allison dimostra i fondamenti teorici della ‘trappola di Tucidide’ come fenomeno storico, applicandolo poi come modello al caso studio sino-americano: «[…] riguarda il naturale quanto inevitabile scombussolamento che si genera quando una potenza in ascesa minaccia di spodestare il potere dominante» [p. 24]. Una serie di dinamiche – influenzate da quelli che l’Autore ricorda siano i ‘fattori tucididei’ quali «interessi, paura e onore» – che si sono ripresentate, seppur con attori, contesti e risultati cangianti, più volte nel corso dei secoli e con implicazioni davvero decisive nel plasmare gli affari internazionali.

A partire dall’analisi della guerra del Peloponneso, l’Autore raccoglie queste evidenze passando in rassegna alcuni dei sedici casi studio individuati in un arco temporale che si estende dalla fine del XV secolo sino alla Guerra Fredda. Dodici di questi si risolsero in un conflitto armato. In questo excursus vengono innanzitutto evidenziate le condizioni economiche e geopolitiche e infine discusse strategie e scelte che indussero potenze in ascesa come le Province Unite a sfidare l’egemonia commerciale britannica, o come il potere crescente degli Asburgo di Carlo V pose una minaccia al primato francese in Europa. A cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, l’embargo petrolifero degli Stati Uniti, imposto ad un ambizioso Impero giapponese che sfidò apertamente il dominio americano sul Pacifico, obbligò Tokyo a escogitare un attacco preventivo a Pearl Harbor. Un denso capitolo è infine dedicato ai prodomi della Grande Guerra, in particolare al riarmo navale e alle ambizioni imperiali della Germania di Guglielmo II che spinsero la Gran Bretagna a «vedere in Berlino il suo nemico principale» [p. 145]. Un giudizio che finì per «condizionare» (in termini militari e diplomatici) le azioni britanniche per preservare la sicurezza della madrepatria: l’equilibrio di potenza europeo.

Oggi, è la Cina di Xi Jimping a vestire i panni dello sfidante, ma in che misura? Il titolo del capitolo è inequivocabile: Il più grande attore nella storia del mondo. È curioso notare come negli eventi spartiacque nella storia contemporanea cinese gli Stati Uniti abbiano giocato un ruolo decisivo. Dal mancato intervento nella guerra civile, passando al riavvicinamento negli anni Settanta sino all’ingresso della Cina nel WTO. «Forse abbiamo creato un Frankenstein», affermò Richard Nixon, quasi a confermare il ‘paradosso dell’onnipotenza’[3]. Allison, aldilà dei sensazionalismi, ci fornisce una fotografia nitida e schietta dell’ascesa cinese. Cogliendo le brillanti analisi di Lee Kuan Yew, a suo dire l’osservatore della Cina più importante al mondo[4], ci guida in un’esaustiva disamina sui dati, i fatti e le correnti di pensiero per pesare l’impatto dell’impressionante crescita economica del Dragone. «Nel corso di una sola generazione», scrive, «una nazione che non compariva in nessuna delle classifiche internazionali è balzata al primo posto» [p. 37] al punto da spostare l’orizzonte strategico dell’establishment americano verso l’Asia-Pacifico. Una risposta che risulta già tardiva: stando alla maggior parte degli indicatori, la Cina ha già superato gli Stati Uniti. Si possono discutere i criteri d’analisi o cambiare la prospettiva di giudizio della crescita cinese – ‘relativa’ o ‘assoluta’ – ciò nonostante, dalla crisi finanziaria del 2008 «il 40% dell’intera crescita mondiale si è realizzato in un solo paese: la Cina» [p. 46]. Impugnare i numeri è, tuttavia, uno sguardo incompleto. Non rendono giustizia a tre successi strepitosi ottenuti a partire dal 1980: la guerra, vittoriosa, alla povertà (oltre mezzo miliardo di persone sollevate dalla povertà assoluta); il balzo in avanti in R&S (specialmente nei settori STEM), istruzione e tecnologia; l’imponente modernizzazione delle forze armate. Questi sono i tre pilastri su cui Pechino punta per riscrivere gli equilibri di potere nella regione, e non solo. Facendo della geo-economia lo strumento prediletto della sua politica estera, la rete d’influenza cinese diverrà così attrattiva «da indurre persino gli alleati storici dell’America in Asia a cambiare assetto, orientandosi dagli Stati Uniti verso la Cina» [p. 62]. Di fronte a questi smottamenti tettonici negli equilibri globali, per gli americani l’idea di essere spodestati dopo oltre un secolo di supremazia risulta ancora «inconcepibile».

Cultura, storia e guerra. Il futuro (incerto) delle relazioni tra Stati Uniti e Cina

Nella terza sezione, Allison descrive accuratamente le culture – politiche e strategiche – dei due paesi, facendo emergere differenze e affinità, con un riguardo speciale alle attitudini di governo nel confrontarsi con il mondo una volta palesatasi una ‘finestra d’opportunità’ per la leadership globale. Il flashback ci riporta all’inizio del XX secolo, quando il Presidente Theodore Roosevelt si accingeva a consolidare il controllo sull’emisfero occidentale e a proiettare gli Stati Uniti nelle prime avventure oltreoceano. «Prima e dopo di lui», scrive Allison, «nessun presidente è mai riuscito a influenzare così profondamente la consapevolezza del paese circa il proprio ruolo nel mondo» [p. 157]. Eccezionalismo e supremazia militare furono i suoi imperativi, il ‘corollario Roosevelt’ come implementazione della Dottrina Monroe su scala planetaria il suo retaggio più robusto in seguito alle vittorie su Spagna, Germania e Gran Bretagna. Quest’ultima, perdendo di fatto l’egemonia marittima sull’Atlantico, accettò suo malgrado il suo lento e inevitabile ridimensionamento internazionale. Forti di un rinnovato spirito nazionalistico e galvanizzati da una nuova ‘frontiera’ oceanica, gli Stati Uniti si affacciavano fiduciosi sul Novecento per dominarlo. Con le dovute differenze, qual è l’orizzonte della Cina?

La disamina dell’Autore prosegue analizzando la sua figura di maggior spicco. La parabola ascendente di Xi Jimping rispecchia, a grandi linee, quella del suo Paese. Orgoglio patriottico, dedizione, visione. Tre componenti per realizzare il «sogno cinese», che si sostanzia principalmente lungo quattro direttrici: predominio in Asia; ricostruire la ‘grande Cina’ annettendo i territori ancora fuori controllo; recuperare la storica sfera d’influenza, regionale e marittima; esigere rispetto dalle altre nazioni nei consessi mondiali. Come la stessa storia americana suggerisce, spesso sono le credenze e le convinzioni culturali, alimentate dal decorso favorevole o non della storia, a stabilire i confini e le ambizioni di una classe dirigente, così come i modelli attraverso cui vedere e/o concepire la realtà internazionale. Per Allison, vi sono tre grandi questioni che definiscono il comportamento cinese e, di conseguenza, la percezione americana. La prima è che la Cina ha conosciuto il cosiddetto ‘periodo delle umiliazioni’ da parte dell’Occidente e, dunque, i costi dell’assoggettamento, lasciando un segno indelebile. Ora che Pechino possiede sufficiente leva economica e militare il suo peso politico è destinato a crescere consequenzialmente, così come a compiersi «la promessa fatta da Xi Jinping ai suoi concittadini: non sarà più così» [p. 184]. La seconda concerne l’evidente faglia di civilizzazione con il mondo occidentale, la quale rischia di produrre uno scontro sulle orme di quanto previsto da Samuel Huntington negli anni Novanta. Infine, non solo confidenza e potere spingono la Cina a reclamare il meritato riconoscimento internazionale: anche non fosse un obiettivo predeterminato, sono le dinamiche attuali che agiscono a favore della Cina e alzano la posta in palio, specialmente per quanto gli Stati Uniti potrebbero perdere in termini di egemonia globale così come l’abbiamo conosciuta dal 1945.

È su questo solco che incominciano a intravedersi i moniti di Tucidide, specialmente nelle acute differenze in termini identitari, politici e di governo. Cina e Stati Uniti, sottolinea Allison, «hanno un enorme complesso di superiorità» rispetto alle altre nazioni, mentre il divario maggiore emerge «dalle loro visioni opposte circa l’ordine mondiale» [pp. 229, 238]. Da una parte l’universalismo democratico americano, dall’altra la fiducia cinese nell’armonia attraverso la gerarchia, sia in patria che all’estero. Anche rispetto all’uso della forza, specialmente quella militare, lo scontro culturale strategico si fa evidente. Dominati da uno spirito Realpolitik, gli strateghi cinesi ragionano in termini olistici, considerando la guerra «una questione essenzialmente psicologica e politica» [p. 241]. Da qui ne derivano tattiche attendiste, pragmatiche, in attesa di un vento favorevole. È questa la cornice che spiega la progressiva strategia di dominio dei mari adiacenti, dove la presenza americana è particolarmente detestata. A partire dal dominio dello spazio aereo, la Cina punta a diventare come un’immensa portaerei attraccata al continente asiatico, e così allontanare gli Stati Uniti dal Mar Cinese Meridionale. Uno specchio d’acqua che, di fatto, è considerato da entrambe le parti «il maggior elemento di tensione».

Le dispute sulle acque contigue alla Cina sono soltanto una tessera del mosaico che compone l’arco di crisi nella regione. Un quadrante geografico che ha già visto l’Esercito Popolare di Liberazione in azione nel passato, dalla guerra di Corea sino alla crisi di Taiwan alla fine degli anni Novanta, passando per la disputa territoriale con i sovietici nel 1969 i conflitti con India (1962) e Vietnam (1979). C’è, tuttavia, un comune denominatore in queste vicende: all’epoca, la Cina era un paese relativamente debole. Oggi, con un’economia che primeggia e forze armate in grado di rivaleggiare con gli Stati Uniti, Pechino può permettersi di prendersi molti rischi, ma allo stesso tempo ha anche molto da perdere. Per l’Autore, le trappole per eventuali escalation militari sono disseminate ovunque, in ogni fronte che vede USA e Cina coinvolte specularmente – Corea del Nord, Mar Cinese Meridionale, Taiwan, cyberspazio e nella strisciante disputa commerciale. In questi scenari, «la guerra tra Stati Uniti e Cina non è inevitabile, però è possibile», poiché «lo stress di fondo generato dall’ascesa travolgente della Cina crea delle condizioni in cui eventi accidentali, altrimenti privi di conseguenze, potrebbero innescare un conflitto su larga scala» [p. 295].

Il pessimismo di Allison è però mitigato nella parte conclusiva del libro, dove vengono presentati «dodici indizi per la pace» – tratti dai casi studi presentati in precedenza, in cui dalla dinamica tucididea non si fece ricorso alla guerra: dall’importanza di un arbitrato internazionale e di organismi di sicurezza regionali per la gestione e bilanciamento delle crisi, al buon senso e all’abilità diplomatica degli statisti. Lo spettro dell’olocausto nucleare e una forte interdipendenza economica fanno «alzare il costo della guerra e [ne riducono] le probabilità» [p. 332]. Di converso, sono le alleanze che destano maggiori preoccupazioni, in quanto rischiano di trascinare ambo le parti in dispute localizzate che, aumentando la risonanza delle tensioni intrinseche a USA e Cina, possono innescare una spirale incontrollabile. Dunque, in che direzione andare? L’Autore, in conclusione, cerca di offrire un set di soluzioni per le élite americane, consapevole che la strategia americana sulla Cina sia stata, complessivamente, contraddittoria. Nella mente di Allison le lezioni della storia continuano ad essere la stella polare per gli statisti americani e cinesi, i quali dovranno – specialmente rivolgendosi ai suoi compatrioti – gerarchizzare gli interessi vitali, abbandonare progetti geopolitici «scollati dalle priorità nazionali», capire gli obiettivi della controparte e ridare spazio alla pianificazione strategica purché sia coerente e sostenibile. In breve, salvaguardare la propria raison d’être ed investire sul proprio capitale politico senza sacrificare l’american way of lifesull’altare della competizione internazionale.

Conclusioni: l’applicabilità del concetto di ‘trappola di Tucidide’

Il lavoro di Graham Allison è destinato a suscitare un lungo dibattito. Seppur rappresenti uno dei più imponenti libri di recente pubblicati, alcuni osservatori hanno avanzato critiche, perlopiù sull’aspetto metodologico. È, infatti, l’applicabilità e la sostenibilità teorica del concetto di ‘trappola di Tucidide’ a venir messo più in discussione come miglior pattern per definire lo stato attuale delle relazioni tra Stati Uniti e Cina. «Se la trappola di Tucidide non fosse stata menzionata», scrive Lawrence Freedman

 

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https://www.pandorarivista.it/articoli/trappola-di-tucidide-graham-allison/

 

 

 

CULTURA

DIOTIMA

Federica Francesconi 29 05 2019

 

Di tutte le figure femminili di alta levatura spirituale che hanno attratto la mia anima quella che mi affascina di più, e che sento spiritualmente più vicina, è Diotima di Mantinea, la sacerdotessa greca che insegnò a Socrate che cos’è l’amore (Eros).

 

Diotima fu l’antesignana dei Fedeli d’Amore. Insegnò che l’amore non è bene in sé ma desiderio di Bene e di Bello insieme, che un’anima che prova un amore svincolato dal possesso terreno aspira a raggiungere il Bene, che è profonda e mistica intuizione di sentirsi parte di un qualcosa (l’Assoluto) che sempre sfugge. Insegnò che chi prova quel tipo di Amore feconda l’anima, che poi partorisce un figlio, che non è una creatura carnale ma spirituale, destinata a ricongiungersi con tutte le forme di Bellezza (le idee platoniche). L’amore carnale può fecondare solo il corpo, quello intellegibile feconda l’anima.

 

Dall’unione di anima (psyché) e Amore (Eros) nasce la Bellezza, che secondo Platone è la massima manifestazione dell’Uno che è al di là del mondo delle Idee. Solo provando questo tipo di amore ci si può dire iniziati. I Rosacroce

 

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Drieu, il “Giovane europeo” disilluso

Il grande francese fa i conti con un Continente troppo vecchio per durare

Alessandro Gnocchi –  30/05/2019

C’è un libro che potrebbe creare sgomento negli europeisti di oggi. Negli anni Venti e Trenta, prima del para-sovietico Manifesto di Ventotene, l’Europa, anzi: gli Stati Uniti d’Europa, era una idea di destra, specie quella estrema.

Pierre Drieu la Rochelle

Etichettare Pierre Drieu la Rochelle è difficile oltre che inutile. Il più socialista dei fascisti o il più fascista dei socialisti? Senz’altro fu sempre un europeista, come si apprende anche da Il giovane europeo (Aspis, pagg. 134, euro 20, a cura di Marco Settimini). Si tratta di un saggio che attinge alla autobiografia di Drieu. Scritto dopo la Prima guerra mondiale, pubblicato nel 1927, rivisto nel 1941 in vista di una nuova edizione nel volume Écrits de jeunesse. L’edizione curata da Settimini per la giovane e combattiva casa editrice Aspis offre in appendice anche un breve frammento stralciato da Drieu nel 1941. Drieu aveva combattuto con onore nella Grande guerra. Era tornato convinto che il conflitto fosse l’inizio di un suicidio collettivo, «l’ultima passione degli europei». Come molti giovani reduci avrebbe visto con favore una rivoluzione. Quasi

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CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

STANNO FACENDO MORIRE JULIAN ASSANGE?

Maurizio Blondet  29 Maggio 2019

Julian Assange, prigioniero nel carcere di Belmarsh, è gravemente malato. Il suo avvocato svedese, Per Samuelson, che lo ha visitato venerdì, ha dichiarato alla stampa che “la situazione sanitaria di Assange venerdì era tale che non è stato possibile condurre una normale conversazione con lui”.

Secondo rapporti non confermati, nella stampa svedese e in lingua danese, Assange è stato trasferito nel reparto ospedaliero della prigione.

Stefania Maurizi, una giornalista italiana che ha collaborato da vicino con Assange e WikiLeaks negli ultimi dieci anni, ha twittato questa mattina: “A seguito delle notizie riportate dalla stampa sulla salute di Julian Assange, ho appena sentito che non sta bene e sono seriamente preoccupato. È un vero scandalo sapere come la sua salute sia stata indebolita dalla detenzione arbitraria di Svezia e Regno Unito. ”

Renata Avila, un importante avvocato per i diritti umani che ha collaborato anche con WikiLeaks, ha scritto: “Aveva bisogno di assistenza urgente dopo la sua espulsione dall’ambasciata. Invece, non gli è stato concesso di ricevere cure mediche adeguate “.

Avila ha osservato che  Emin Huseynov, un giornalista azero che aveva trascorso circa un anno nell’ambasciata di Baku in Svizzera per sfuggire alla persecuzione politica,  tornato libero   aveva avuto bisogno di  “almeno un mese di trattamento per tornare alla normalità”. Indicando la protratta detenzione di Assange nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, Avila ha commentato “Immaginate dopo 7 anni!”

Durante il periodo trascorso all’ambasciata,  sette anni, Assange fu privato della luce solare diretta e non fu in grado di ricevere cure mediche adeguate, incluso il trattamento per una grave infezione dentale. I medici che lo hanno visitato ripetutamente hanno avvertito che la detenzione di Assange stava causando danni  irreversibili alla sua salute.  Al momento del suo arresti tutti hanno potuto vedere un uomo indebolito e  tragicamente invecchiato, forte solo nello spirito.  Adesso dopo  l’arresto, avvenuto l’11 aprile, Assange  nella prigione di Belmarsh  è detenuto in condizioni durissime. Ha le visite  limitate a due al mese.  Subisce severe  restrizioni al  comunicare con l’esterno.  Le sue condizioni  rivelano  le  menzogne di molti  giornalisti , che hanno dichiarato per anni che Assange  poteva uscire dall’ambasciata e godeva di un trattamento umano da parte delle autorità britanniche.

Nel 2016, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria ha stabilito che Assange era stato arbitrariamente detenuto nell’ambasciata ecuadoriana, a causa delle minacce della polizia britannica di arrestarlo per falsi reati di cauzione e la prospettiva che sarebbe stato estradato negli Stati Uniti. .

Al  Upsala Nya Tidning   l’avvocato Samuelson ha dichiarato di essere in grado di comunicare con Assange solo attraverso visite personali a Belmarsh prenotate con largo anticipo, o tramite conferenze da uno studio legale a Londra. Non è in grado di contattare Assange dalla Svezia.

Si tratta delle note accuse di violenza carnale contro il giornalista, la cui natura fabbricata è stata  documentata.

Gli avvocati di WikiLeaks hanno precedentemente pubblicato un’ampia documentazione per dimostrare che le accuse contro Assange sono state inventate.  Fra cui messaggi di testo di una delle presunte “vittime” nel 2010, ad esempio, che  hanno dichiarato “Non volevo accusare Julian Assange” e “è stata la polizia a formulare  le accuse”. Nel 2017, i pubblici ministeri svedesi  hanno lasciato cadere  l’inchiesta. Non avevano mai emesso alcuna accusa formale. La  scusa  di non poter procedere con il caso perché Assange era nell’ambasciata di Londra dell’Ecuador era  una falsità . Dal 2010, le autorità svedesi hanno  elevato  accuse in contumacia contro

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https://www.maurizioblondet.it/stanno-facendo-morire-julian-assange/

 

 

 

 

Ecco come l’ONG di Soros sta facendo chiudere le pagine della Lega e dei 5 Stelle

23 maggio 2019

Ancora una volta l’ombra dello speculatore ungherese George Soros si staglia dietro un importante appuntamento elettorale italiano.

Su queste pagine abbiamo già denunciato le ripetute intromissioni del finanziere negli affari politici italiani, incominciate in quel lontano 1992 con la spaventosa ed immotivata operazione di speculazione finanziaria sulla lira, fino ad arrivare all’inchiesta giornalistica di qualche mese fa che smascherò il sollecito di Soros per far commissariare l’Italia dalla Troika.

Tutto questo spregiudicato attivismo

può essere tranquillamente spiegato senza dover fare affidamento a stravaganti teorie complottarde. George Soros è uno squallido speculatore senza scrupoli, il cui unico fine è l’arricchimento personale. Diventa quindi chiaro e lampante come un simile personaggio, per perseguire al meglio i suoi profitti, necessiti di governi tendenzialmente benevoli per la libera circolazione di merci, persone e prodotti finanziari. Ecco dunque spiegato l’astio di Soros verso i governi cosiddetti sovranisti.

Preso atto di quanto detto diventa difficile spiegare gli squittii di giubilo fatti da diversi giornalisti, politici ed esperti italiani nell’apprendere la notizia dell’oscuramento di alcune pagine Facebook, presunte colpevoli di aver diffuso “fake news”. La difficoltà di comprensione viene a galla scoprendo l’identità di chi ha spinto il colosso di Zuckerberg alla chiusura di queste pagine: si tratta dell’ONG Avaaz.

Lungi dall’essere un’organizzazione apolitica e super partes

Avaaz può invece essere ragionevolmente definita come una delle tante armi leggere in dotazione di George Soros. Riportava il Giornale come

avaaz.org, infatti è stata co-fondata da Res Publica e dal gruppo progressista MoveOn.org. Quest’ultimo, vicino al partito democratico americano, ha ricevuto nel 2004, secondo il Washington Post, “1,6 milioni di dollari da “George Sorose sua moglie”. Come conferma anche Asra Q. Nomani sul Wall Street Journal, parlando delle proteste progressiste contro il giudice conservatore Kavanaugh “MoveOn.org l’organizzazione vicina ai democratici e fondata grazie al denaro di Soros, ha inviato al suo esercito di seguaci un modulo dove poter richiedere i biglietti del treno per arrivare a Capitol Hill

Insomma, diventa facile comprendere come l’ideologia dell’ONG Avaaz sia ascrivibile ad una precisa parte politica e che da essa ne tragga oltretutto i finanziamenti necessari per la sopravvivenza. Per confermare la natura partigiana dell’organizzazione è sufficiente pescare tra le sue più o meno recenti “campagne di sensibilizzazione”. Nel marzo 2018, per esempio, Avaaz incitava le persone a boicottare i mondiali in Russia

 

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http://www.elzeviro.eu/affari-di-palazzo/ecco-come-long-di-soros-sta-facendo-chiudere-le-pagine-della-lega-e-dei-5-stelle.html

 

 

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Immigrazione di massa e perdita di identità culturale

 4 novembre 2017                         RILETTURA

 

Quando si parla di immigrati e Islam, l’Italia non è il primo paese che viene in mente.

Al contrario dei suoi vicini del nord, l’Italia non ha un miracolo economico che richieda una imponente importazione di manodopera. Il paese non ha profondi collegamenti con grandi fonti di immigrazione, come l’Asia Orientale per la Gran Bretagna, né ha subito attentati di matrice jihadista come la Francia.

Al contrario della Svezia e del Belgio non ci sono grandi no-go zones, e al contrario dell’Olanda non ci sono politici dichiaratamente antiislamici paragonabili a Geert Wilders. Nessun partito anti-immigrazione attualmente si rappresenta come grande forza politica, come in Germania.

Ma, non meno dei paesi elencati, l’Italia merita la nostra attenzione per i massicci cambiamenti che sta subendo. Cambiamenti più sottili e spesso non riconosciuti.

Cominciamo dalla geografia. Non solo il famoso stivale è al centro del Mediterraneo, rendendo l’Italia un obiettivo dell’immigrazione clandestina via mare, ma il territorio italiano non è lontano dal Nord Africa: la piccola isola di Lampedusa, 6.000 abitanti, è a sole 70 miglia dalla costa della Tunisia e 184 miglia dalla Libia. Nel 2016 181.000 immigrati sono entrati in Italia, quasi tutti via mare, quasi tutti clandestinamente.

L’immigrazione era una enorme sfida già ai tempi di Gheddafi, il quale apriva e chiudeva i canali di migranti in base a quali concessioni intendeva ottenere dall’Italia, anticipando le mosse che avrebbe compiuto Erdogan con la Germania. Ma da quando Gheddafi è stato rovesciato nel 2011, l’anarchia libica rappresenta un problema ancora peggiore. Almeno Gheddafi poteva essere pagato per i suoi risultati, invece oggi è molto più difficile fare i conti con la miriade di capibanda e trafficanti di esseri umani che comandano in Libia.

Si potrebbe dare credito a quella teoria che l’intellettuale francese Renaud Camus ha definito della “grande sostituzione”, considerando che ben 285.000 italiani hanno lasciato il loro paese nel 2016.

E poi c’è la storia. La presenza islamica in Sicilia è durata quasi cinque secoli, dall’827 al 1300, e anche se è meno celebrata di quella in Andalusia, gli islamisti ricordano quell’era e vogliono riprendersi l’isola. Roma, sede della Chiesa Cattolica, rappresenta il simbolo delle ambizioni islamiste, rendendo la capitale un obiettivo sensibile della violenza jihadista.

I trend demografici sono peggiori di quelli dell’Europa del Nord, con un Total Fertility

 

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http://ictumzone.altervista.org/?p=42211

 

 

 

 

 

 

 

Israele: due rabbini accusati razzismo

‘Hitler razionale, ma sbagliò parte’. Opposizione insorge

30 aprile 2019

     In Israele due rabbini che insegnano in un’accademia religiosa di preparazione al servizio militare (‘Mechinà’) sono stati accusati di razzismo e hanno suscitato indignazione.


La scorsa notte la televisione commerciale Canale 13 ha pubblicato spezzoni di loro lezioni

 

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http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2019/04/30/israele-due-rabbini-accusati-razzismo_179ef0a1-cfae-4702-bf35-1c6308ba49a4.html

 

 

 

 

 

ACCOGLIENZA

Gianfranco La Grassa 28 05 anni 2019

 

Finalmente un po’ di verità e smascheramento dei “vermi” dell’accoglimento.

I risultati elettorali a Lampedusa e Riace dovrebbero essere propagandati a dovere; la Lega ha stravinto e il Pd è andato al secondo posto nell’isola e addirittura al terzo nel paese il cui ex sindaco era stato proposto per il “premio Nobel” per la pace. I “vermi” hanno tentato di consolarsi con la bassa affluenza alle urne a Lampedusa. Ma a Riace invece l’affluenza (61%) è stata superiore alla media nazionale. E ricordo pure che è stato considerato un successo l’affluenza per l’intera UE (50%, solo metà dell’elettorato), superiore ad ogni altra precedente elezione europea.

 

Altra consolazione per i “vermi”: il medico di Lampedusa (candidato sindaco nell’isola) avrebbe avuto un boom di preferenze come candidato nella circoscrizione Sicilia-Sardegna. Appunto: questo dimostra come la schifosa stampa e TV, ancora in mano ai “vermi”, diffonda solo menzogne a piene mani. Laddove questo ometto era ben conosciuto (e come medico, non un posto da niente) quasi tutti lo hanno “cagato”: o non sono andati a votare oppure i votanti lo hanno lasciato a metà dei suffragi presi dal leghista. E a Riace, il sindaco “eroe” ha visto i suoi laidi fan completamente sepolti (ripeto: il Pd al terzo posto e con alta affluenza alle urne).

 

Ma soprattutto UDITE UDITE!!! Lucano non è nemmeno stato eletto consigliere comunale, ha avuto 21 voti. Proposto dai “vermi” come Premio Nobel; e invece il 61% dei votanti nel suo Comune, conoscendo bene che tipo è, lo hanno mandato a quel paese. Purtroppo, quanto accaduto a Lampedusa e Riace – così significativo per capire chi sono questi “accoglienti” e come vengono considerati dai loro più diretti conoscitori – verrà presto nascosto e fatto dimenticare.

 

Siamo in mano ad un giornalismo e a un ceto intellettuale ancora dominato dai “batteri patogeni” della “sinistra” e di questa Chiesa che sta diventando l’affossatrice della vera religiosità. E ancora non si scopre l’“antibiotico” capace

 

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PANORAMA INTERNAZIONALE

Renzi al Bilderberg con Gruber, ma il vero potere è altrove

Scritto il 29/5/19

La 67ma riunione del gruppo Bilderberg si terrà a Montreux, in Svizzera, dal 30 maggio al 2 giugno. Politicaeconomia, industria, finanzae media: tra i circa 130 partecipanti, nella “delegazione” italiana ci saranno Matteo Renzi, Stefano Feltri del “Fatto Quotidiano” e Lilli Gruber. Lo conferma, in una nota, l’“Huffington Post”. Saranno trattati 11 grandi temi globali in quattro giorni, tra questi anche ambiente e futuro: “Un ordine strategico stabile”, “Quale futuro per l’Europa?”, “Cambiamenti climatici e sostenibilità”. E poi “Cina”, “Russia”, “Il futuro del capitalismo”, “Brexit”. E ancora: “L’etica dell’intelligenza artificiale”, “I social media come arma”, “L’importanza dello spazio”, “Le minacce cyber”. «A iniziare le conferenze del gruppo – scrive l’“Huffington” – fu un’idea del magnate statunitense David Rockefeller. La prima riunione si tenne il 29 maggio del 1954 all’Hotel Bilderberg nei Paesi Bassi e il punto focale dell’incontro fu la crescita dell’antiamericanismo che si respirava in Europa occidentale». Lo stesso Bilderberg oggi spiega che a Montreux è invitato «un gruppo eterogeneo di leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del mondo accademico, del lavoro e dei media».

Fondato nel 1954, il Bilderberg Meeting è una conferenza annuale «progettata per favorire il dialogo tra Europa e Nord America», spiega lo stesso club sul proprio sito. Ogni anno, tra 120-140 leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del lavoro, del mondo accademico e dei media sono invitati a prendere parte al Meeting. Circa due terzi dei partecipanti provengono dall’Europa e il resto dal Nord America; circa un quarto dalla politica e dal governo e il resto da altri campi. Il Bilderberg si definisce «un forum per discussioni informali su questioni importanti». Gli incontri «si svolgono secondo la Chatham House Rule, che stabilisce che i partecipanti sono liberi di utilizzare le informazioni ricevute, ma né l’identità né l’affiliazione degli oratori o di altri partecipanti possono essere rivelate». Grazie alla natura privata del Meeting, i partecipanti «prendono parte come individui piuttosto che in qualsiasi veste ufficiale, e quindi non sono vincolati dalle convenzioni del proprio ufficio o da posizioni prestabilite». In quanto tali, «possono prendere tempo per ascoltare, riflettere e raccogliere idee». Non vi è alcun ordine del giorno dettagliato, non vengono proposte risoluzioni, non vengono votate né emesse dichiarazioni politiche.

Da anni, il Bilderberg fa parlare di sé lasciando trapelare (o addirittura presentando apertamente) la lista degli invitati. «Tanta sovraesposizione – sostiene il saggista Gianfranco Carpeoro, acuto analista delle dinamiche del potere– sembra fatta apposta per lasciare al riparo, nell’ombra, i veri centri di potere». Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni”, spiega che il Bilderberg (come la Trilaterale e la Chatham House inglese, il Council on Foreign Relations statunitense, il Gruppo dei Trenta, la stessa Bce) sono in realtà istituzioni “paramassoniche”, cioè progettate da massoni ma aperte a “profani”. In pratica, cinghie di trasmissione del vero potere, che per Magaldi è esercitato – in modo occulto – dalle 36 superlogge sovranazionali che hanno in mano governi, finanza e geopolitica. Fanno parte di questa categoria i think-tanks come l’Aspen Institute, il Forum di Davos, il Club di Roma. Sono gli incubatori dell’attuale mondialismo, che le Ur-Lodges di segno neo-conservatore hanno sostanzialmente imposto al pianeta dopo il crollo dell’Urss, al termine di una lunga preparazione avviata nel 1971 con il Memorandum neoliberista di Lewis Powell (Wall Street) e completata nel 1975 con il manifesto “La crisi della democrazia”, saggio firmato da Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki su commissione della Trilaterale.

Attraverso l’analisi della massoneria di potere, nel suo lavoro editoriale Magaldi sintetizza la traiettoria dell’Occidente nell’ultimo mezzo secolo: l’espansione del progressismo varato da Roosevelt in base alla dottrina economica di Keynes (benessere diffuso) proseguì fino alla presidenza di Lyndon Johnson, ma – dopo l’omicidio di Jfk – fu brutalmente fermata da altri due delitti politici, l’assassinio di Bob Kennedy e Martin Luther King. In Europa, l’Italia fu il campo di battaglia che vide opporsi le due anime della supermassoneria: un funzionario kennediano come Arthur Schlesinger jr. fu determinante nel neutralizzare i tre tentativi di golpe condotti nella penisola. E al colpo di Stato dei colonnelli in Grecia, i progressisti risposero nel ‘74 con la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo, fatta scattare non a caso il 25 aprile, per ricordare la liberazione antifascista dell’Italia. Quattro anni dopo fu rapito e ucciso Aldo Moro, politico che intendeva preservare la sovranità italiana di fronte al nuovo globalismo che stava già progettando l’Ue. Poco prima del sequestro, Moro fu minacciato e intimidito a Washington da Kissinger: fu lo stratega del golpe cileno ad “avvertire” il leader democristiano che avrebbe rischiato la vita, insistendo con l’alleanza con il Pci di Berlinguer.

Nel suo libro, Magaldi rivela che Kissinger è stato l’eminenza grigia della “Three Eyes”, la superloggia che più di ogni altra, prima dell’11 Settembre, si è impegnata per fermare l’avanzata dei diritti sociali in Occidente. Sempre Magaldi sostiene che la P2 di Gelli non era che il braccio operativo italiano della “Three Eyes”. In un recente convegno a Milano, il Movimento Roosevelt – di cui Magaldi è presidente – ha ricordato le figure di Olof Palme e Thomas Sankara. Due massoni progressisti, assassinati nella seconda metà

 

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http://www.libreidee.org/2019/05/renzi-al-bilderberg-con-gruber-ma-il-vero-potere-e-altrove/

 

 

 

 

“Partecipo al Bilderberg e me ne vanto!”, l’arrogante outing del Vicedirettore del Fatto

29 maggio 2019

Come ogni anno la riunione del Club Bilderberg sta alimentando polemiche sulla legittimità della partecipazione di alcuni esponenti della politica e della carta stampata italiana.

Tale riunione annuale, che quest’anno si terrà nella svizzera città di Montreux dal 30 maggio al 2 giugno, ha avuto nel tempo il potere di stimolare le più svariate teorie su un non meglio specificato potere politico occulto. Alcune decisamente molto stravaganti, altre ragionevolmente condivisibili.

Perché per quanto coraggioso sia stato il lavoro del giornalista lituano David Estulin, massimo esperto sul Club Bilderberg, questo ha, purtroppo, alimentato intorno alla riunione, una narrazione complottarda, spesso ai limiti della fantascienza, screditando di conseguenza quelle critiche invece più che legittime. Per esempio, sarebbe potuto emergere con più chiarezza come tale riunione, organizzata annualmente dal 1947, non faccia altro che raccogliere una cricca di multimiliardari annoiati il cui obiettivo è, tra gli altri, quello di mettere in secondo piano la “res politica” rispetto all’economia.

La segretezza dell’incontro

le misure di sicurezza decisamente eccessive e l’invito ai partecipanti a non divulgarne i contenuti non sono indizi di un presunto complotto per dominare il mondo. Si tratta, invero, della rappresentazione plastica del sentimento di disprezzo che certe élites, dall’alba dei tempi, provano per l’esercizio democratico della politica. Tant’è che le idee espresse all’interno del Club (libero mercato, apertura delle frontiere, eliminazione degli Stati nazionali) stanno venendo sonoramente bastonate ad ogni nuova tornata elettorale.

Proprio per questo motivo risulta davvero difficile considerare legittima la partecipazione di giornalisti all’interno di questa riunione, a meno che non lo facciano per divulgarne i contenuti.

Non è questo il caso del Vicedirettore del Fatto Quotidiano

Stefano Feltri che, non solo parteciperà al meeting, ma ne rivendica la scelta con un articolo di autodifesa.

Faccio il giornalista, quindi sono curioso, mi interessa partecipare a un evento di cui tanto si discute e che riunisce personalità che qualunque giornalista vorrebbe avvicinare. Una delle cose interessanti del Bilderberg, che mi pare leggermente diversa rispetto alle regole di ingaggio della Trilateral, è che tutti partecipano a titolo personale, non come rappresentanti delle rispettive istituzioni.

Cosi tenta di salvarsi Feltri, finendo in un evidente vicolo cieco logico.

Non capiamo infatti se Feltri partecipi al Bilderberg perché interessato in quanto giornalista oppure vi prenderà parte a titolo personale?

La differenza non è solo semantica, ma sostanziale. Perché ciò che emerge dal codice deontologico professionale è la natura del giornalismo come “servizio pubblico”, il cui scopo diventa quindi quello di informare la cittadinanza su qualsiasi tema che possa essere rilevante per la sua esistenza. L’omissione dell’informazione equivarrebbe, deontologicamente, alla diffusione di fake news

 

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http://www.elzeviro.eu/affari-di-palazzo/partecipo-al-bilderberg-e-ne-vanto-larrogante-outing-del-giornalista-del-fatto.html

 

 

 

 

Greta Thunberg, una montagna di soldi: la famiglia sgrida il mondo e fa business

24/04/2019 – Chiara Feleppa

Si chiama Malena Ernman ed è la mamma di Greta Thunberg. La donna, in concomitanza con il lancio della manifestazione ambientalista della figlia, ha lanciato il suo primo libro. Coincidenze? Non proprio. La famiglia Thunberg sgrida il mondo e fa business. 

Ci si chiede chi è che stia dietro Greta Thunberg ma ci sarebbe anche da guardare chi le sta intorno, chi è che contribuisce ad alimentare e definire i contorni di una ragazzina evergreen, che vive di lotta agli sprechi e in difesa dell’ambiente, puntando il dito sugli adulti cattivi che uccidono il mondo. E nel mentre, si veste da saccente quando, nel rispondere ad un professore francese che le ha domandato di parlare di clima, ha subito chiamato la sua guardia del corpo e il suo addetto stampa che l’hanno allontanata.

Un trattamento da Regina Elisabetta; la sedicenne, oltre ad essere sponsorizzata dai deputati socialdemocratici svedesi e dai radical chic italiani, viene anche protetta come fosse una risorsa per l’umanità.

Treccine perfette, occhioni grandi e solo sedici anni. Gli elementi perfetti che fanno di Greta Thunberg una merce perfetta da poter vendere a basso prezzo e presentare sul mercato come un prodotto d’eccellenza e raro. Specie se poi si guarda a chi la circonda. A soli quattro giorni dalla prima protesta della figlia, il 24 agosto 2018, sua mamma – cantante famosa, Malena Ernman – ha pubblicato un libro ultra-ecologista intitolato “Scenes from the Heart”, che forse aveva nascosto nel cassetto in attesa che sua figlia diventasse paladina dell’ambiente. E a meno che mamma e figlia non fossero a conoscenza l’una del lancio ambientalista, l’altra di quello editoriale, pare strano che i due momenti abbiano conciso per puro caso. C’è chi grida al marketing, così come al marketing è legato il nome della ragazzina ed anche il suo libro, 

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https://www.leggilo.org/2019/04/24/greta-thunberg-madre-sfrutta-libro/

 

 

 

 

 

Ha vinto l’astensionismo: manca la verità che serve all’Italia

Scritto il 29/5/19

Qualcuno può credere davvero che Matteo Salvini, con alle spalle il 17% degli italiani, possa sfidare il “mostro tecnocratico” di Bruxelles trovando finalmente il coraggio di rivendicare più deficit, rinunciando al devastante aumento dell’Iva atteso per l’autunno? Al di là dei clamori mediatici e del trionfalismo fuori luogo del capo della Lega, va ricordato che l’ex Carroccio ha rimediato sì un largo successo, ma il peso del suo 34% va dimezzato se si tiene conto dell’astensionismo record: quasi un italiano su due ha disertato le urne. Al netto, Salvini ha raccolto 8 milioni di voti, mentre nel 2014 l’allora lanciatissimo Renzi ne ottenne oltre 11 milioni (più del 40% dei suffragi, e con un’affluenza superiore al 70%). Cos’è mancato, oggi? Una narrazione veritiera dell’eterna crisi italiana, in relazione al potere abusivo dell’Unione Europea. Cinque anni fa, Renzi stravinse sull’onda – non esattamente virtuosa – dell’elemosina degli 80 euro. Ma ancora non era nato il “governo del cambiamento”, che avrebbe avuto il merito, se non altro, di inserire finalmente il problema-Europa nell’agenda politica ufficiale del paese. Fino a sei mesi fa, tutti i sondaggi accreditavano il neonato esecutivo Conte di un consenso di almeno il 60%. Oggi, un italiano su due è rimasto a casa. E i gialloverdi sono ridiventati minoranza, nel paese.

Quella di Luigi Di Maio è la maschera che meglio racconta il tracollo del 26 maggio, figlio di una delusione che ha assunto proporzioni catastrofiche. Troppe rinunce, fino ai veri propri tradimenti. Per esempio, il silenzio del governo – dopo gli iniziali proclami – sulle responsabilità dei Benetton nella tragedia di Genova.

Per non parlare del voltafaccia in Puglia sul gasdotto Tap, o dell’ipocrisia della ministra grillina della sanità, Giulia Grillo, che ha beffato gli elettori free-vax convalidando l’obbligo vaccinale varato da Beatrice Lorenzin. Ma il capolavoro dei pentastellati è il reddito di cittadinanza, ridotto a tragica farsa: un’esigua “card” per lo shopping di pochissimi, anziché il vantato reddito universale (fruttato il plebiscito elettorale del 2018 al Sud, isole comprese). In più, temendo la concorrenza leghista, Di Maio ha imbracciato l’arma sleale del giustizialismo per azzoppare Armando Siri, l’inventore della Flax Tax, cioè l’unica misura che avrebbe permesso al governo di sventolare ancora la bandiera anti-rigore grazie a cui Lega e 5 Stelle avevano fatto il pieno, alle ultime politiche.

Dove si sarebbe andati a parare, comunque, lo si poteva vedere da subito:

 

Lega e 5 Stelle si sono piegati, già alla nascita dell’esecutivo, al diktat di Mattarella

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http://www.libreidee.org/2019/05/ha-vinto-lastensionismo-manca-la-verita-che-serve-allitalia/

 

 

 

 

 

EFFETTO TSIPRAS

Andrea Zhok 28 05 2019

 

 

Talvolta alcuni amici mi rimproverano di prendermela troppo con la ‘sinistra’, anche se ci sarebbero forze politiche nella realtà italiana assai più problematiche e impresentabili.

 

C’è del vero in questo giudizio. Prendersela con chi in qualche modo è, o è stato, più vicino può venire istintivo nella speranza di cambiare il modo di pensare di ‘potenziali compagni di strada’ (mentre magari criticare i berluscones, per dire, sembra tempo perso).

 

Tuttavia, credo ci siano altre e più importanti ragioni per queste critiche, ragioni che sono insieme di principio e operative.

 

Per comprendere questo punto è opportuno gettare uno sguardo alla parabola politica di Alexis Tsipras in Grecia.

Domenica Syryza ha subito una drammatica sconfitta da parte di Nea Demokrateia (ND) e si andrà ad elezioni anticipate. E’ importante capire cosa rappresentano queste due forze nella storia greca degli ultimi decenni.

ND è il partito che ha truccato i conti e che ha aperto la strada alla crisi e alla macellazione sulla pubblica piazza dell’intero paese; nell’immediatezza della crisi era un partito pressoché finito.

 

Syryza invece era emerso tumultuosamente da partito dell’estrema sinistra minoritaria a prima forza nazionale proprio perché rappresentava una forza radicale, percepita come ‘pulita’ e capace di difendere i lavoratori in un momento di grave crisi. Va subito notato come Syryza si distinguesse dall’altra forza dell’estrema sinistra greca (il KKE, comunisti old style, un po’ come l’odierno partito di Rizzo) per il loro dinamismo culturale (partito dell’intellighentsia) e per il loro europeismo.

 

L’elettorato greco riteneva che alla pessima prova data dalla loro vecchia classe dirigente si sarebbe potuto porre rimedio con l’intervento di forze nuove, di sinistra, e alleate dei ‘fratelli europei’ (come in Italia, l’elettorato greco era massicciamente europeista e, come in Italia, vedeva nell’Europa la possibilità di correggere le storture delle proprie classi dirigenti con il supporto delle istituzioni europee).

 

Questa breve favola si schiantò nei mesi immediatamente successivi allo scoppio della crisi, in cui si cominciò a capire che, lungi dal voler aiutare la Grecia, il sistema europeo si fosse attivato con l’unica priorità di salvare i sistemi bancari francese e tedesco, a scapito della popolazione greca.

 

Ma dopo la delusione rappresentata dalla Commissione Europea, la cui natura di guardia pretoriana dell’impero franco-tedesco era oramai evidente, c’era ancora la speranza che Syryza e il suo giovane gruppo dirigente (Tsipras, Varoufakis) fossero in grado di opporsi al degrado sociale e ai diktat della Trojka. E questa credenza ha continuato a diffondersi, rafforzando la posizione di Syryza, fino al referendum del 2015, quando la netta maggioranza per il NO (Oxi) alle richieste della Trojka venne vigliaccamente tradita da Tsipras (portando all’allontanamento di Varoufakis).

 

Oggi, 4 anni dopo quel referendum, la Grecia è un paese rassegnato e svuotato, con la quasi totalità dei suoi giovani in fuga all’estero, e le sue risorse lasciate in concessione ad aziende straniere, che lasciano sul territorio le briciole (il PIL greco in crescita, ricordiamolo per i meno avvertiti, non rappresenta naturalmente un aumento della ricchezza greca, ma solo l’aumento della ricchezza prodotta sul territorio. Il fatto che i profitti possano essere tassati all’estero, in paesi fiscalmente accoglienti dell’UE, rende la crescita del PIL greco un valore buono solo per la propaganda).

 

In questo contesto l’elettorato greco rappresenta in maniera esemplare l’intero elettorato popolare europeo, quell’elettorato di gente che campa del proprio lavoro e che si era aspettato protezione da parte della sinistra, mentre si è trovata lo spazio della protezione dei lavoratori occupato da forze che gli hanno insegnato semplicemente a rassegnarsi.

 

La contemporanea ‘tragedia greca’ è in questo senso l’epitome della ‘nuova sinistra’, quella sinistra post-comunista che dagli anni ’70 aveva occupato l’area delle ‘istanze sociali più avanzate’, con la serenità di non essere chiamata a dimostrare nulla stando all’opposizione, salvo poi dimostrare la propria deriva ideologica liberale alla prova dei fatti.

Quella sinistra che aveva sostituito l’Europeismo all’Internazionalismo Comunista, dopo lo scacco dell’URSS, senza la minima comprensione di ciò che stava accadendo, e che una volta chiamata a prendere posizione aveva

 

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POLITICA

Per Gad Lerner le classi subalterne dovrebbero votare… come vogliono le classi dominanti!

28 maggio 2019

Quindi, per Gad Lerner, le “classi subalterne” non dovrebbero votare sovranista, ma europeista: in nome di quella Ue che, a partire dai suoi trattati, si fonda programmaticamente sul massacro delle classi subalterne.

Insomma, dovrebbero votare come vuole la classe dominante.

“Noi potremmo chiamarci la Congregazione degli Apoti, di ‘coloro che

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I grandi perdenti delle elezioni europee: i Cinquestelle.

Sisto Ceci 27 05 2019

 

Hanno preteso di dare reddito ai poveri e disoccupati con lo strumento assistenzialista del reddito di cittadinanza o con i vincoli al rapporto di lavoro come salario minimo o altri vincoli contenuti nel decreto dignità. Provvedimenti che funzionano nel brevissimo termine ma che, se le imprese continuano a chiudere o a trasferirsi all’estero dove conviene, non faranno che generare la malattia che pretendono di curare: infatti, man mano che le imprese spariscono, non si possono più finanziare sussidi e stato sociale e neppure il debito pubblico, che vengono finanziati proprio grazie agli F24 che le imprese versano mensilmente allo Stato

L’unico modo per combattere efficacemente ed in modo duraturo la povertà è la creazione di nuova ricchezza, creando nuovi posti di lavoro

Ed il principale motore per la creazione di nuovi posti di lavoro è l’impresa che per

 

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STORIA

75 anni fa fine maggio 1944, l’inferno in Ciociaria. Le 50 ore dei Goumiers e gli stupri di massa

L’11 maggio 1944, dopo quasi due mesi di pausa nelle operazioni militari, gli Alleati lanciavano l’operazione “diadem” dando inizio alla quarta battaglia di Cassino. Si trattava dell’attacco finale alla Gustav, la possente linea fortificata costruita dai tedeschi a partire dai primi giorni di ottobre del 1943 e che tagliava in due l’Italia. La linea approntata dall’organizzazione Todt, si estendeva dalla foce del fiume Garigliano, al confine tra Lazio e Campania, fino a Ortona, comune costiero a sud di Pescara, passando per Cassino, nel frusinate, le Mainarde, gli Altopiani Maggiori d’Abruzzo e la Majella.

La dura battaglia che si sviluppò intorno ad essa, cominciò nel novembre del 1943, quando la stessa venne raggiunta dalle armate Alleate, che erano organizzate in un gruppo di armate agli ordini del generale inglese Alexander forte di due armate, la 5ª americana del generale Clark schierata sul fianco tirrenico della penisola e la famosa 8ª britannica, del vincitore della campagna d’Africa il maresciallo Montgomery schierata sul fronte adriatico della stessa.

Le prime tre battaglie si erano concluse senza che gli Alleati riuscissero a sfondare la linea e a ricacciare indietro i tedeschi. Nell’arco di questi tragici mesi per tutta la zona intorno alla linea si inserisce anche uno dei più tristi episodi della Seconda guerra mondiale. Nel tragico 15 febbraio 1944 stormi di bombardieri alleati rasero al suolo la millenaria abbazia di Montecassino, portando a termine il più grande sfregio alla cristianità perpetrato nel corso del secondo conflitto mondiale.

Chi volesse approfondire l’argomento può farlo leggendo il nostro post dedicato alla triste vicenda. che potete trovare al seguente link:

La distruzione dell’abbazia di Montecassino

Nella notte fra il 17 e il 18 maggio, i superstiti reparti della valorosa 1ª divisione paracadutisti germanici si ritirarono dalle loro posizioni su monte Cassino, in direzione di Piedimonte San Germano. Alle 10.20 del 18 maggio il 12° reggimento polacco Lancieri Podolskich raggiunse la sommità della collina e innalzò la bandiera polacca sulle rovine dell’abbazia. Nel solo corso della settimana di dura lotta per il controllo della collina, i polacchi lasciarono sul terreno quattromila uomini.

Il 19 maggio gli americani occuparono il mondo Grande, i francesi raggiunsero la periferica di Pico e le loro truppe coloniali conquistarono Campodimele. La Gusta era definitivamente sfondata e la lotta e sanguinosa lotta per Cassino era finita. Dopo una settimana, le truppe che avevano combattuto nella zona di Cassino si ricongiungevano con quelle della testa di ponte di Anzio. La via per Roma era definitivamente aperta.

Le popolazioni civili che avevano sofferto durante tutto l’inverno, pensarono che finalmente fosse tutto finito. I tedeschi se ne andavano, arrivavano i “liberatori” e con loro tutto poteva ricominciare. Purtroppo. il peggio doveva ancora arrivare. A combattere duramente quella battaglia vi erano anche le truppe coloniali francesi del “Corps Expeditionnaire Français” (C.E.F.) agli ordini del generale Alphonse Juin.

I Goums Maroucains, detti “Goumiers”, erano guerrieri berberi delle montagne dell’Atlante, capaci di muoversi con agilità nelle battaglie montane. Organizzati in goums, dall’arabo “qum” (banda, squadrone), reparti di circa 200-300 uomini spesso legati fra loro da vincoli di parentela.

Alla vigilia della battaglia decisiva, per stimolare lo spirito combattivo di queste truppe, Juin fece un discorso ad esse e venne distribuito un volantino, su cui sono stati mossi alcuni dubbi, che cosi diceva:

“Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete” 

Nei tristi e terribili giorni che seguirono, vennero perpetrate da parte dei goumiers marocchini e non solo ogni sorta di violenze. Furti, saccheggi ma soprattutto stupri e sodomizzazioni di massa. Ancora oggi non è dato di sapere quante esattamente furono le vittime di tali violenze, l’Associazione vittime civili di guerra parla di un numero vicino alle venticinquemila unità.

Vennero sodomizzati circa 800 uomini, tra cui anche Don Alberto Terrilli, Parroco di Santa Maria di Esperia. Quale era la colpa del povero prete? Aver nascosto alcune donne in sacrestia nel vano tentativo di sottrarle alle violenze dei goumiers marocchini. Scoperto, venne sodomizzato e dopo due giorni morì a causa delle sevizie riportate.

Molti uomini che tentarono di proteggere le loro mogli, madri, figlie, fidanzate vennero impalati.

Centinaia i morti. Secondo una relazione degli anni ’50, tra le donne oltraggiate, il 20 per cento furono affette da sifilide, il 90 per cento da blenorragia. L’81 per cento dei fabbricati fu distrutto, il 90 per cento del bestiame sottratto; gioielli, abiti e denaro totalmente rubati.

Prima di concludere una precisazione di non poco conto. Non furono solo le truppe di colore a compiere queste barbarie.

Continua qui:

https://italianiinguerra.com/2019/05/25/le-50-ore-dei-goumiers-marocchini-e-gli-stupri-di-massa-in-ciociaria/

 

 

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