NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 28 DICEMBRE 2018

https://www.controinformazione.info/la-condizione-dei-bambini-in-un-mondo-neoliberista/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

28 DICEMBRE 2018

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

È impossibile portare la fiaccola della Verità tra la folla

senza bruciare qua e la una barba o una parrucca.

GEORG Ch. LICHTENBERG, Osservazioni e pensieri, Einaudi, 1966, pag. 91

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

SOMMARIO

Un altro tassello dell’ordine sociale italiano viene distrutto                                

Secessione e federalismo in Italia

L’Italia rischia la secessione e i 5 Stelle stanno a guardare 1                                 

Immigrazioni incontrollate e simboli che cadono, la resa dell’Occidente

Manovra, professioni sanitarie senza titolo: ecco le nuove regole. 1

Noera (Bocconi): “Lo spread calerà se e quando il sovranismo perderà”. 1

LA CONDIZIONE DEI BAMBINI IN UN MONDO NEOLIBERISTA.. 1

Cinema: “Old Man & the Gun”, l’ultima recita di Redford. 1

DESIRÉE ERA VERGINE QUANDO È STATA VIOLENTATA.. 1

Parma regala il cimitero agli islamici: le salme saranno rivolte alla Mecca. 1

Perché gli Stati Uniti all’improvviso sloggiano dalla Siria?. 1

Gli Stati Uniti preparano una guerra tra latino-americani 1

Perché il Pentagono pensa di fare fuori la Turchia dal programma F-35. 1

Roger Scruton, il filosofo conservatore. 1

Spread, la grande menzogna

Banche, il trucco del “bail in”: così truffano allo sportello i correntisti 1

Banche, alla ricerca del modello operativo del futuro. 1

Processo alla giustizia civile: norme inadeguate e tempi infiniti 1

Gli Stati Uniti si rifiutano di combattere per finanzieri transnazionali 1

Il Pentagono post Mattis e il nodo del Mar Cinese Meridionale 1

Vi svelo chi ha logorato Benedetto XVI. Parla il vaticanista Valli 1

Geopolitica applicata al 2019. 1

Un medico indaga sulla fine di JFK E punta il dito contro Johnson. 1

 

 

EDITORIALE

Un altro tassello dell’ordine sociale italiano viene distrutto

Manlio Lo Presti – 28 dicembre 2018

Poiché io non credo in nessun modo alla casualità e sono congenitamente sospettoso, voglio condividere con i lettori una mia riflessione che riguarda la progressiva demolizione di ogni regola sociale o economica che costituisce il tessuto socioeconomico del nostro Pese.

Mi riferisco alla deregolamentazione dei conducenti NCC per ricondurli a regole minime, come attualmente avviene per la categoria dei taxisti e alla introduzione in manovra finanziaria di un emendamento che consente di esercitare alcune professioni senza possedere il titolo professionale che, finora, è stato duramente conseguito da coloro che queste professioni esercitano da sempre.

Il neoliberismo continua a fare terra bruciata per la creazione di una società piatta NWO turbocapitalista iperfinanziarizzata robotica:

Senza ruoli sociali

Senza regole di qualsiasi natura

Senza legami familiari

Senza identità sessuale, in favore del sistema LGBT quadrisex

Senza confini

Senza radicamento

Senza lingue nazionali ma solo GLOBISH

Senza cultura nazionale

Senza istruzione: da tempo le scuole non devono insegnare nulla (grazie anche al contributo dell’opzione Togliatti)

Senza sicurezze

Senza protezione statale

Senza moneta nazionale

Senza diritti, con relativi doveri.

Il neoliberismo vuole

  1. non-persone nomadi,
  2. individui “trattati” con il sistema modello Erasmus che non insegna nulla, né tantomeno a pensare con la propria testa,
  3. consumatori di prodotti standardizzati dalle catene robotizzate che funzionano con prodotti non artigianali, che sarebbero uno diverso dall’altro,
  4. utenti connessi 46 ore al giorno ad una rete con regole stabilite da gruppi di potere opachi e senza una localizzazione
  5. salari bassissimi, allineati il più possibile ai livelli ultraminimi accettati dagli immigrati, quindi consumatori indebitati con credito al consumo mediante carte di credito e ad interessi tre volte superiori ai crediti bancari,
  6. uso del tempo libero nei centri commerciali (i non-luoghi descritti dall’antropologo Jean-Luc Nancy),
  7. uso enorme del lavoro gratuito riveniente dall’uso del proprio tempo per cercare in internet, invece di utilizzare la consulenza: per risparmiare qualche soldo, si buttano migliaia di ore della propria esistenza per cercare di capire cosa può servirci veramente e spesso sbagliando colpiti da truffe

TUTTO CIÒ PREMESSO

Avanzo più di un sospetto sul motivo che ha indotto l’attuale governo ad inserire nella manovra “l’esercizio di alcune professioni senza titolo”.

Sembra una operazione (la famosa pezza a colori) attuata immediatamente dopo la morte dei un gemellino per una circoncisione attuata da un personaggio privo di qualsiasi qualifica in Italia per fare chirurgia. Quindi, si tratta di una marchetta da regalare alle minoranze (prossime maggioranze) che trasformerebbero il reato di omicidio in qualcosa di meno penalizzante e placherebbe la collera delle ridette minoranze che non hanno alcuna intenzione di accettare regole europee ed italiane. Un atteggiamento che ricalca la presenza emigranti italiani all’estero. Ivi, i migranti italici, ma anche i cinesi, gli irlandesi, i polacchi, ecc. ecc. ecc. hanno tradizioni che in Italia sono state perfino dimenticate, come un segno di resistenza per non perdere la propria identità culturale, linguistica, alimentare, religiosa.

Se gli emigranti italiani, a distanza di oltre un secolo, continuano a parlare BROCCOLINO (le altre minoranze fanno lo stesso), possiamo credere che i nordafricani intendano integrarsi nella società italiana in breve tempo?

Si tratta di un falso diffuso ad arte dalle catene informative buoniste antifa neomaccartiste che promuovono l’accoglienza senza condizioni, mentre Australia, Malta, Israele, Gran Bretagna possono applicare regole di contingentamento. Queste nazioni non sono criticate e bersagliate come sarebbe la ex-italia se lo praticasse ricevendo a martello accuse di razzismo, ricevere cavallette, con popolazione sterminata e sostituita da 20.000.000 di nordafricani islamici che no ci pensano nemmeno un po’ di integrarsi perché convinti di avere sempre ragione!

Per il nostro Paese vale la regola gesuitica della doppia verità, del doppiopesismo: italiani merde e i sopra citati Paesi invece possono fare impunemente, sfacciatamente e con arroganza carne da macello senza avere rimproveri dall’Onu che vorrebbe inviare propri ispettori in Italia mai in quei Paesi no!

P.Q.M

Se il nostro Paese non resiste a tutto questa violenza ingiustificata mondiale contro gli italiani, il territorio italiano sarà spezzettato in varie con il ricorso alla secessione territoriale e dato in pasto ad una selvaggia deregolamentazione dove tutti possono fare tutto senza rischiare di essere accusati di omicidio, ma di una pena ben minore, aprendo così le porte a pratiche quasi stregonesche che sono state combattute da cinque secoli di progresso culturale, materiale e sociale.

Ne riparleremo, sperando che non sia troppo tardi!!!!!!!!!!

 

 

 

IN EVIDENZA

Secessione e federalismo in Italia

Lisa Stanton – 27 dicembre 2018

Le redazioni di quotidiani e TG non ne parlano ma lo sanno, mentre vi distraggono con la nutella e l’arancino. Il countdown del federalismo è partito, ne parlano in termini allarmanti i costituzionalisti. Non solo il Veneto e la Lombardia (con l’Emilia Romagna), ma anche Toscana, Marche ed Umbria chiedono “autonomia”.

E’ una situazione complessa con molti attori, tra cui il PD in prima fila, quando all’indomani del referendum del 2016 la parte contraria a Renzi si interrogò se appoggiare le istanze autonomiste del nord.

L’accordo sostanziale di tutti i partiti non tiene però conto che in tempi di crisi economica, di calo delle nascite, di forti pressioni migratorie, il rischio di una secessione nel medio periodo è una minaccia reale per l’Italia.

Di fatto, il progetto è semplice L’europeismo: mentre lo Stato centrale si attenua, le diocesi si concentrano. Le regioni del Nord lo considerano lo strumento per salvare l’area valutaria espellendo i pesi morti cui la Germania non vuole redistribuire. Avvenne così durante l’insurrezione in Catalogna, che non a caso fu contemporanea ai referendum lombardo-veneto ed emiliano.

Al grido di “l’Italia è terra dei comuni, delle tradizioni locali, delle specificità”, avanza un modello secondo il quale ci si deve basare sulle singole capacità produttive delle Regioni.

Ma così uccidiamo il sud.

Di autonomia si potrà parlare dopo il varo di un piano straordinario per dotare il centro-sud delle stesse condizioni di infrastrutture (gli stessi servizi e gli stessi diritti) del nord, altrimenti il divario si amplia e lo Stato, già debole, muore.

Il tema è conosciuto da chi si occupa di geopolitica:

 

il Nord è inserito nella chain value tedesca,

il Sud ha un destino di fornitore di derrate alimentari in concorrenza col Sud del mediterraneo.

È vero che l’effetto collaterale geopolitico e geoeconomico della permanenza nell’€uro comporta per il Sud o l’accettazione del sottosviluppo o lottare per la secessione. Ma il punto è il progetto in sé, che scardina l’unità della Repubblica. Applicando la sciagurata riforma costituzionale del 2001, il modello dell’Europa delle Regioni, si liquida definitivamente la funzione redistributiva dello Stato nazionale.
Servirebbe un dibattito sulle diseguaglianze e sulla povertà anche nelle regioni del Nord, nonostante 150 anni di spoliazione, emigrazione forzata e, di fatto, colonizzazione delle regioni meridionali.

Perché se chiedi più autonomia e competenze, avrai meno perequazione, che è insufficiente già oggi (ma non secondo la propaganda a supporto) e di carattere esclusivamente assistenziale, con un esercito industriale di riserva a disposizione.

L’autonomia regionale della Costituzione ha carattere eminentemente amministrativo mentre il federalismo è un decentramento politico. La nuova Costituzione sancirebbe che le Regioni gestiscono tutte le tasse raccolte nel territorio e diverrebbe il prodromo della futura divisione in due aree o Macroregioni: Nord e Sud, con due economie e due monete, dove al nord resta l’euro. Con la doppia moneta la Repubblica Italiana non esisterebbe più.

Il 30% del voto alla Lega non è secessionista, e la dirigenza leghista sarebbe incolpata anche dal 48% di percettori del RdC che si trovano nelle regioni del Nord.


Fuori dalla gabbia, oggi non ci sarebbe una simile evenienza: l’Italia in piena occupazione negli ultimi 20 anni oggi avrebbe un PIL di almeno 1.000mld superiore e competerebbe (come sempre) con la Germania

https://www.facebook.com/lisa.stanton111/posts/2217859111565686

 

 

 

L’Italia rischia la secessione e i 5 Stelle stanno a guardare

Il commento del costituzionalista Massimo Villone

di MASSIMO VILLONE – 25 DICEMBRE 2018

In Consiglio dei ministri si è alzato il sipario sulla maggiore autonomia per alcune regioni. Un dramma storico in quattro atti: fin qui protagonisti la ministra (leghista) Stefani e Salvini, figuranti e comparse Conte e i ministri M5S. Di seguito, la trama.

Atto I, scena I. In Lombardia e Veneto si tengono nel 2017 referendum regionali sulla richiesta, ai sensi dell’art. 116 della Costituzione, di una più ampia autonomia e maggiori risorse. La Corte costituzionale aveva in passato (470/1992) censurato l’ipotesi di referendum regionali volti a condizionare le decisioni degli organi costituzionali statali. Ma questa volta dà un parziale disco verde (118/ 2015) a una legge del Veneto. Sono censurati – perché lesivi dell’unità della Repubblica e di essenziali principi di eguaglianza dei diritti – quesiti volti a trattenere in regione almeno l’80% dei proventi tributari riferibili al territorio. Pur espunto dai quesiti, questo obiettivo rimane come leitmotiv della campagna referendaria.

Atto I, scena II. Nell’imminenza del voto del 4 marzo 2018 le due regioni, cui si aggiunge l’Emilia-Romagna, stipulano con il governo Gentiloni un preaccordo, mai reso pubblico. Un governo privo di fiducia, a camere già sciolte, non avrebbe dovuto stipularlo. Firma il preaccordo il sottosegretario onorevole Bressa, Pd, eletto in Trentino, poi ricandidato e rieletto il 4 marzo in Trentino, ora non più Pd. A quanto si sa, il Veneto chiede autonomia e risorse per tutte le 23 materie oggi di competenza legislativa concorrente Stato- Regione (art. 117). Ad esempio, si chiede una regionalizzazione integrale della scuola pubblica, incluso il personale. Le altre regioni sono escluse dalla trattativa.

Atto II, scena I. Il preaccordo stipulato entra nel contratto di governo gialloverde come priorità. Nessuna valutazione di costi e benefici, a carico di chi, come e quando. Nessuna proiezione dell’impatto sulla divaricazione strutturale del paese. Qualcuno avrebbe dovuto guardar meglio a quel che si faceva.

Atto II, scena II. Nel governo non c’è un solo ministro per le riforme, ma uno per la democrazia diretta (Fraccaro, M5S, deputato eletto in Trentino-Alto Adige) e uno per le autonomie (Stefani, Lega, senatrice eletta in Veneto), competente per materia. La ministra subito si dichiara a favore delle richieste venete, sostenute con forza dal governatore Zaia. Salvini non vede l’ora di recepire l’accordo con il Veneto in Consiglio dei ministri. Ancora nulla sui contenuti e sui costi.

Atto III, scena I. La Stefani lamenta resistenze M5S, e porta in Consiglio dei ministri l’accordo. Secondo i rumors, copre per il Veneto tutte le materie di competenza concorrente, e soprattutto dopo un transitorio lega le funzioni non al costo delle stesse ma ai proventi tributari riferibili al territorio regionale. Se fosse così, si sancirebbe il diritto delle regioni più ricche a servizi

 

Continua qui: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2018/12/25/news/l_italia_rischia_la_secessione_e_i_5_stelle_stannoa_guardare-215127073/

 

 

Immigrazioni incontrollate e simboli che cadono, la resa dell’Occidente

www.nicolaporro.it

Il campo dei santi di Jean Raspail è un libro eccezionale. Scritto nel 1973, sembra che ripercorra esattamente, anche se in modo romanzato, le tensioni migratorie di questi anni.

La trama è attualissima. Un gruppo di paria si impossessa di un centinaio di navi scalcagnate nel porto di Calcutta. Nella totale indifferenza dell’opinione pubblica occidentale, e nella sottovalutazione se non compiacenza delle rappresentanze diplomatiche locali. La migrazione (telefonata si direbbe in termini calcistici) si conclude sulle coste meridionali della Francia. «Di fronte ad un milione di invasori l’opinione pubblica e le autorità occidentali cedono ad una ottusa disperazione; si lasciano occupare». Il buon senso resta nei comportamenti e negli occhi di quell’unico vecchio abitante della montagna che guarda dall’alto le navi dei disperati, senza aver alcuna intenzione di lasciare libera la sua casa all’occupazione. Anzi uccidendo l’invasore. È il disperato grido dell’eroe di Raspail, che non ci sta. «L’uomo di colore scruta l’uomo bianco mentre questi discorre di umanità e di pace perpetua. Ne fiuta l’incapacità e l’assenza di volontà di difendersi».

È una resa dell’Occidente, raccontato da uno scrittore che all’epoca fu tacciato dall’intellighenzia di sinistra come razzista. Nelle parole di un console belga che aveva intuito tutto per primo, il racconto di ciò che avviene anche oggi: «Avete creato dal nulla, nel cuore del nostro mondo bianco, un problema razziale che lo distruggerà, ed è proprio questo il vostro obiettivo, dato che nessuno di voi è fiero della sua pelle bianca e di ciò che esso significa».

I simboli dell’occidente uno alla volta cadono, e il racconto dell’invasione va di pari passo all’abdicazione rispetto ai nostri valori. Il Papa si spoglia delle sue apparenze, delle sue ricchezze, dei suoi palazzi e anche del suo prestigio. Muore in un

Continua qui: https://www.nicolaporro.it/immigrazioni-incontrollate-e-simboli-che-cadono-la-resa-delloccidente/

 

 

Manovra, professioni sanitarie senza titolo: ecco le nuove regole

24 dicembre 2018 (PER TUTELARE GLI IMMIGRATI SENZA TITOLI???)

Ecco cosa prevede l’emendamento alla manovra voluto dai Cinque Stelle sulle professioni sanitarie – Polemiche e accuse, ma il ministero della Salute si difende.

 

La manovra porta con sé novità importanti per chi esercita professioni sanitarie. Il comma 283 bis della legge di Bilancio spazza via la legge approvata dal precedente esecutivo e stabilisce una deroga per l’iscrizione all’ordine per chi lavora “senza titoli”. La decisione, voluta dal Movimento 5 Stelle, ha scatenato numerose polemiche da parte delle associazioni di categoria che parlano di “assurdità totale”.

PROFESSIONI SANITARIE: COSA PREVEDE L’EMENDAMENTO

Sono in molti a parlare, dopo l’emendamento alla Manovra approvata sabato dal Senato, di un vero e proprio condono a favore di chi esercita abusivamente la professione.

L’emendamento stabilisce che, coloro che hanno svolto una professione sanitaria per almeno 36 mesi negli ultimi 10 anni, anche se non in via continuativa, possano continuare a esercitare iscrivendosi entro il  31 dicembre 2019 ad un apposito elenco ad esaurimento, che il ministero della Salute costituirà entro 60 giorni tramite un apposito decreto, istituito presso gli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.

La norma stabilisce inoltre che l’iscrizione all’albo speciale “non comporterà un automatico diritto a un diverso inquadramento contrattuale o retributivo, a una progressione verticale o al riconoscimento di mansioni superiori”.

Il comma 283 recita infatti:

“ferma restando la possibilità di avvalersi delle procedure per il riconoscimento dell’equivalenza dei titoli del pregresso ordinamento alle lauree delle professioni sanitarie di cui alla legge 1 febbraio 2006 numero 43, coloro che svolgono o abbiano svolto un attività professionale in regime di lavoro dipendente o autonomo, per un periodo minimo di 36 mesi, anche non continuativi, negli ultimi 10 anni possono continuare a svolgere le attività professionali previste dal profilo della professione sanitaria di riferimento, purché si iscrivano, entro il 31 dicembre 2019, negli elenchi speciali ad esaurimento istituiti presso gli ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche della riabilitazione e della prevenzione”.

PROFESSIONI SANITARIE: LE REGOLE PRECEDENTI

Lo scopo di questo emendamento è quello di correggere quanto previsto dalla

 

Continua qui: https://www.firstonline.info/manovra-professioni-sanitarie-senza-titolo-ecco-le-nuove-regole/

 

Noera (Bocconi): “Lo spread calerà se e quando il sovranismo perderà”

24 novembre 2018 di Ugo Bertone

INTERVISTA a MARIO NOERA, docente di Finanza ed Economia degli Intermediari alla Bocconi – “Servirebbe un nuovo patto di fiducia tra Italia ed Europa ma per il momento è importante evitare di andare a sbattere contro il muro” – “Il nostro debito pubblico è soprattutto una questione di tassi di interesse” – “Il piano Merkel-Macron è l’ennesima occasione perduta”

 

Fin dove può arrivare lo spread? “Provo a dare una risposta sulla base della mia passata esperienza a contatto con i mercati.

 

Lo spread calerà, perciò, se e quando gli operatori si convinceranno della sconfitta delle forze sovraniste.

 

Si tratta di un dato politico, non di una valutazione tecnica. Ed è per questo che il quadro generale non mi lascia tranquillo.

 

Anzi, sono molto preoccupato”. Parla così Mario Noera, docente di Finanza e di Economia degli Intermediari in Bocconi, un ricco curriculum di esperienze bancarie, oggi componente del comitato esecutivo di Bper. Da sempre scettico sulle terapie della crisi basate sull’austerità. “Ma sono in ottima compagnia – commenta – da Lawrence Summers ad Olivier Blanchard”.

Perché tanta preoccupazione? 

“Il quadro generale mi ricorda I sonnambuli, il libro di Christopher Clarke che racconta la crisi che ha portato alla Prima Guerra Mondiale. Per carità, non siamo a questo punto. Ma, così come allora le varie nazioni persero anni dietro manovre diplomatiche spicciole, oggi si sprecano tempi ed energie per dibattere dietro pochi decimali di crescita o questioni di dettaglio invece di affrontare il cuore del problema”.

Ovvero? 

“L’Unione Europea, in sostanza, non ha ancora risolti i nodi emersi con la crisi greca. Allora, quasi all’improvviso, la Comunità si rese conto della propria fragilità. L’edificio stava in piedi, in condizioni ordinarie, ma era destinato a vacillare in situazioni di crisi per l’assenza di politica fiscale, rimasta nelle mani degli Stati nazionali. I mercati ne hanno preso atto e da allora la situazione non è sostanzialmente cambiata sotto questo profilo. La Banca Centrale Europea, utilizzando gli strumenti a sua disposizione, è intervenuta sul piano della politica monetaria. Ma, nel frattempo, sotto la pressione del disagio sociale emergente, i problemi sono diventati più evidenti e sono cresciute le spinte sovraniste che hanno approfittato del vuoto politico che si è generato. In Portogallo, dove i socialisti sotto la guida di Mario Centeno hanno saputo occupare lo spazio con una politica di crescita, il populismo non ha attecchito”.

La lezione sta provocando una risposta europea. La riforma fiscale franco-tedesca va nella direzione di una seppur cauta mutualizzazione delle risorse. O no? 

“Mi sembra l’ennesima occasione mancata. Il piano Merkel-Macron è dominato dalle clausole sospensive: la prima preoccupazione è quella di immunizzare il corpo della Comunità da eventuali infezioni, ma non si dice quasi nulla su come prevenire o debellare le malattie.  Da quel punto di vista sarebbe stata utile una riflessione su quanto sostenuto da Paolo Savona. Ma l’occasione, per ora, è andata sprecata”.

Proviamo a uscire dal vicolo cieco… 

“Mi rifaccio ad un recente lavoro del professor Sergio Cesarano e di Antonino Iero che hanno esaminato il peso che ha avuto la spesa per interessi rispetto ad altri fattori all’origine del debito pubblico italiano. Dai dati emerge che

 

Continua qui: https://www.firstonline.info/noera-bocconi-lo-spread-calera-se-e-quando-il-sovranismo-perdera/

 

 

LA CONDIZIONE DEI BAMBINI IN UN MONDO NEOLIBERISTA

di Peter Koenig – 27 dicembre 2018

Bambini internati alla frontiera USA- Messico  

Il NYT ha scritto ieri, giorno di Natale, che un ragazzo guatemalteco di 8 anni è morto nella custodia del controllo di frontiera degli Stati Uniti. Le circostanze non sono chiare o semplicemente non sono riportate. Un mese prima, una bambina di 7 anni, anch’essa proveniente dal Guatemala, è morta anche nella custodia del controllo di frontiera degli Stati Uniti. Anche qui, le circostanze non sono rivelate. Quanti altri bambini, non menzionati da nessun media, o da nessuna statistica sono già morti, cercando di farsi strada verso un futuro migliore? 

 

Un futuro migliore, perché il loro vero e amato futuro nei loro paesi è stato miseramente distrutto dagli abusi corporativi imposti dagli Stati Uniti e da dittature create da Washington.. Ma a chi importa, sono solo figli di immigrati clandestini; bambini separati dai loro genitori – per dissuadere i genitori a migrare negli Stati Uniti di A. – Benvenuti nel paradiso dell’inferno!

Attualmente gran parte del governo degli Stati Uniti viene chiusa, a causa di una disputa sul bilancio tra il presidente Trump – e l’estrema destra del partito repubblicano che gli soffia sul collo – e dei democratici. In palio ci sono 5 miliardi di dollari USA per le richieste di Trump del muro di confine come parte del bilancio generale, ei democratici si rifiutano di firmare. Il muro di confine avrebbe avuto innumerevoli effetti nefandi e più seri. Altri bambini in custodia di confine, alcuni disidratati, alcuni semplicemente esausti dal lungo viaggio, alcuni malati – tutti separati dai loro genitori, forse per sempre, e trascurati dalle autorità statunitensi – e la maggior parte di loro semplicemente lasciati alla loro situazione – che in molti i casi potrebbero essere la morte.

Benvenuti nella Terra dei Liberi, la terra della democrazia esemplare!

Trump e i suoi complici come assassini? – Sì. Non c’è assolutamente alcun dubbio. Non solo per abusi abusivi e inumani di migranti e bambini migranti, ma per uccidere bambini e adulti nel numero sempre crescente di guerre e conflitti in tutto il mondo, intrapresi e avviati dagli Stati Uniti, dalla NATO e dagli eserciti dei fantocci europei. Lui – Trump, potrebbe fermarli in una volta.Potrebbe rischiare la vita, ma qualcuno che aspira a un ufficio così alto deve correre dei rischi. Inoltre, la sua vita potrebbe essere in gioco per molte altre ragioni. I nemici abbondano. Una vita è solo una vita – molto preziosa, però, per essere salvata con ogni mezzo – ma uccidere sfrenatamente milioni di bambini – il futuro della civiltà – che cos’è, se non un crimine di altissimo livello, un crimine di dimensioni insondabili, un crimine che dovrebbe essere punito da – un “Processo di Norimberga 2”.

Se qualcuno dicesse a Trump che è un assassino, lui lo capirebbe? La sua coscienza potrebbe entrare in azione e si avrebbe reso conto di quello che stava facendo – lui l’onnipotente, chialtro poteva fermare tutto? – O chiamerebbe semplicemente i suoi servizi segreti per arrestarti e metterti dietro le sbarre per averlo insultato – anche se, dicendogli la verità? – Potremmo non saperlo mai. Ho fatto una domanda simile su Obama. Come possono dormire la notte? Prendono una pillola che sradica la loro coscienza, il loro potere del cervello umano? – Mi chiedo davvero. È noto da sempre che il potere intossica. Ma fino a questo punto? Nessun pentimento, nemmeno dopo il tour di quattro o otto anni di servizio? – No. Piuttosto raccoglire gli onorari di cifre astronomiche, incassare il potere di uccidere indiscriminatamente.

I predecessori di Trump per più di cento anni, appartengono allo stesso clan di criminali. I loro crimini sono diventati la nuova normalità. L’Occidente veglia sui loro omicidi in TV – con resoconti dei media che banalizzano la guerra e la morte di guerra normalmente, perché la guerra è guerra – a cui appartiene. Ed è così redditizio. È l’industria dell’uccidere – uccidere i bambini e le loro madri, adolescenti, affamarli a morte, distruggere i loro sistemi di igiene minima – lo Yemen – un esempio calzante.

La Siria è nella stessa lega, Afghanistan, Iraq – la lista è infinita. Centinaia di migliaia di bambini sono stati uccisi e continuano a essere uccisi nella guerra più lunga del mondo, diciassette anni e conteggi – in Afghanistan. A nessuno sembra importare. L’Afghanistan, uno dei paesi più ricchi di risorse sulla terra, non ha futuro; non finché è dominato da avide, micidiali potenze occidentali, prima di tutto – gli USA corporativi e militari di A.

Uccidere è il nome del gioco. E badate bene, questa follia omicida è guidata da un’élite assetata di sangue di banchieri, re farmaceutici, industriali di armi, imprese agricole OGM, kingpins di idrocarburi – un’élite scura dello stato profondo che si nutre dell’idea che il mondo sia finito -popolato e deve essere ridotto di persone in termini di migliaia, in modo che questa piccola élite possa sopravvivere molto più a lungo sulle risorse in costante diminuzione di Madre Terra.

Questo non è uno scherzo. L’infame top criminale di guerra, Henry Kissinger, diffuse questa idea già negli anni ’60 come membro di spicco del clan dei Rockefeller, chiamato “Bilderberg Society”. L’obiettivo dei Bilderbergers Numero Uno è proprio questo: ridurre la popolazione mondiale con ogni mezzo. La guerra è una di queste. E a chi rivolgersi meglio? – Bambini, ovviamente. Sono i portatori del gene delle generazioni future. Se non ci sono, non ci sono le molle, nessuno a guidare il mondo verso un futuro migliore, un futuro di pace – sì, un futuro di pace, perché questi bambini hanno conosciuto la guerra e

 

Continua qui: https://www.controinformazione.info/la-condizione-dei-bambini-in-un-mondo-neoliberista/ 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Cinema: “Old Man & the Gun”, l’ultima recita di Redford

22 dicembre 2018 di Patrizio Rossano

Il film è tratto da una storia vera: Robert Redford chiude la sua lunga e onorata carriera vestendo i panni di un rapinatore “gentiluomo”, elegante e raffinato, che ha dedicato la sua vita a depredare banche e, una volta arrestato, ad evadere ben 16 volte

 

Il film di questa settimana è un doveroso omaggio ad una icona del cinema internazionale: Robert Redford. Un omaggio perché, nelle sue intenzioni, dovrebbe essere la sua ultima prova di recitazione e, in un certo senso, la sintesi della sua lunga e onoratissima carriera. Old Man & the Gun è tratto da una storia vera, seppure molto romanzata, e riguarda la vita di un rapinatore “gentiluomo”, elegante e raffinato, che ha dedicato la sua vita a depredare banche e, una volta arrestato, ad evadere ben 16 volte. La trama è semplice e ricostruisce la sua carriera criminale fino al suo termine. Il film scorre a volte alquanto lento e monotono, cupo e triste, ma proprio in questi sentimenti, con questo sguardo, si riflette benissimo tutto l’autunno professionale di questa figura leggendaria del grande schermo.

Lui (1936), e il suo quasi coetaneo Harrison Ford (1942), sono state le immagini maschili, molto apprezzate dal pubblico femminile, che meglio hanno rappresentato e sintetizzato filoni del cinema americano di grande successo a partire dagli anni ’70. Forse, non è un caso che proprio per chiudere la sua carriera di attore Redford (ha comunque deciso di proseguire nella regia dove ha realizzato film interessanti come il noto L’uomo che sussurrava ai cavalli) ha scelto un soggetto che inevitabilmente riporta alla memoria titoli memorabili: da Butch Cassidy e La Stangata di George Roi Hill al Grande Gatsby, come pure Corvo rosso non avrai il mio scalpo o I tre giorni del condor di Sidney Pollack.  Ci sono dentro tutti i suoi personaggi, accumunati dal suo sguardo che pure quando vuole essere duro e cattivo, non riesce a nascondere un forte senso di umanità.

È un film che apprezziamo e proponiamo proprio come riconoscimento e segno di un mondo cinematografico ormai declinato verso altri modelli, altri soggetti. Non proponiamo paragoni: ogni epoca, ogni periodo storico, trova le immagini che meglio lo rappresentano. Old Man & the Gun ci lascia l’eredità di un volto, di una maschera cinematografica alla quale siamo molto grati.

 

In questi giorni è uscito nelle sale anche The Cold War, del quale abbiamo scritto in anteprima su FIRSTonline nel giugno scorso, firmato alla regia da Pawel Pawlikowski, con due superbi attori come Tomasz Kot e Agata Kulesza. È stato scritto, da più parti, che si tratta di un capolavoro, uno dei quei rari casi di racconto cinematografico dove il sentimento puro, assoluto, dell’amore tra un uomo e una donna vengono rappresentati nella sua forma più nitida ed essenziale e, proprio per questo, il film è proposto in bianco e nero. Riproponiamo quanto abbiamo scritto con maggiore convinzione rispetto ad allora:

Per tornare ai giorni nostri e cercare di capire cosa succede in Europa, quali sono le sensibilità e gli interessi cinematografici prevalenti, vi proponiamo un film anomalo quanto importante, vincitore del premio alla regia di Cannes: Zimna Wojna (Cold War). Una vicenda tragica, grigia e drammatica: è la storia di Viktor e Zula nella Polonia del secondo dopoguerra. Due anime,

 

Continua qui: https://www.firstonline.info/cinema-old-man-the-gun-lultima-recita-di-redford/

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

DESIRÉE ERA VERGINE QUANDO È STATA VIOLENTATA

“GIALLO” RIVELA NUOVI DETTAGLI CHOC SULLA TRAGEDIA DELLA 16ENNE MORTA A SAN LORENZO DOPO DUE GIORNI DI SEVIZIE E VIOLENZE –DESIRÉE È STATA PRIMA DROGATA E SEDATA CON POTENTI PSICOFARMACI, POI VIOLENTATA RIPETUTAMENTE E LASCIATA MORIRE – MA NON SI ERA MAI CONCESSA IN CAMBIO DI DOSI DI DROGA. NELL’AUTOPSIA È STATA RISCONTRATA UNA…

Anteprima stampa da “Giallo”27 dic 2018 (CONSEGUENZE DEL BUONISMO ANTIFA NEOMACCARTISTA)

 

 

Desirée Mariottini è deceduta a seguito di una crisi cardiocircolatoria. Inoltre, nel corso dell’esame autoptico, si è riscontrata una recentissima rottura imeneale”. Desirée era vergine prima di essere violentata! È lo scioccante dettaglio emerso dall’autopsia eseguita dal medico legale sul cadavere della 16enne di Cisterna di Latina morta due mesi fa a Roma. La tragedia è avvenuta nel quartiere San Lorenzo, in uno stabile abbandonato: la ragazzina vi è arrivata la sera del 17 ottobre, ma è morta dopo due giorni di atroci sevizie. Desirée è stata prima drogata e sedata con potenti psicofarmaci, poi violentata ripetutamente. Infine, è stata lasciata morire nell’indifferenza generale.

 

Nessuno in quel maledetto edificio fatiscente, che si trova in via dei Lucani, cioè in pieno centro a Roma, ha mosso un dito per aiutarla. Anzi, la minore sarebbe stata violata perfino da morta. Violenza su violenza, orrore su orrore. Chi era presente la tragica notte del 17 ottobre non ha avuto un briciolo di umana pietà nei confronti di questa sfortunata ragazzina, per il cui decesso sono accusati quattro immigrati clandestini, abituali frequentatori di quel palazzo abbandonato nonché noti spacciatori di sostanze stupefacenti.

 

DUE AFRICANI SONO GIÀ STATI SCARCERATI!

Sono Mamadou Gara detto “Paco”, 27 anni, del Senegal, Brian Minteh detto “Ibrahim”, 43 anni, anche lui del Senegal, Chima Alinno detto “Sisco”, 46 anni, della Nigeria, e Yusif Salia detto “Youssef”, 32 anni, del Gambia. Due di loro, Paco e Youssef, sono in carcere con l’accusa di omicidio volontario.

 

l’esclusiva di ‘giallo’ su desiree

 

Per gli altri due, Ibrahim e Sisco, è decaduta l’accusa di violenza di gruppo. Tuttavia, entrambi restano indagati per la morte della 16enne di Cisterna di Latina e sono ancora in carcere con l’accusa di spaccio di droga. Ma torniamo all’autopsia, i cui risultati, clamorosi, sono finiti in una dettagliata relazione consegnata in questi giorni alla Procura di Roma, titolare delle indagini. Da quanto ha potuto constatare il medico legale incaricato dal pubblico ministero di eseguire l’esame sul cadavere di Desirée, quest’ultima, fino a poco prima di morire, non aveva mai avuto rapporti sessuali. Insomma, Desirée era ancora vergine.

 

Molti si chiederanno perché vi riferiamo un particolare così intimo della vittima. Ve lo riferiamo perché ha una grandissima rilevanza nell’inchiesta sulla morte della ragazzina. Dopo il decesso, infatti, era stato detto che la vittima si concedeva sessualmente in cambio di droga. Un oltraggio alla memoria di questa ragazzina morta nel fiore degli anni. Accuse che si sono rivelate completamente false.

YUSIF SALIA

 

Non è vero che Desirée concedeva il suo corpo per la droga. Lo ha stabilito, come avete letto, un esame scientifico “infallibile”. Nel clamore iniziale che aveva suscitato questo crimine così efferato, qualcuno aveva creduto alle voci circolate sul conto della ragazza e della sua famiglia: «Desirée Mariottini non era seguita dai genitori. Era una drogata. Faceva sesso in cambio di stupefacenti», dicevano. Tutto falso! Da quanto è stato possibile ricostruire durante le indagini, la ragazza apparteneva a una buona famiglia. I genitori sono persone perbene, stimate da tutti. Non è vera nemmeno la circostanza secondo cui la 16enne viveva con la nonna. Le era molto affezionata, questo sì, e qualche volta andava a dormire a casa sua, ma la maggior parte delle notti le trascorreva a casa della mamma, a cui era stata affidata dal giudice dopo la separazione dei genitori.

 

È STATA ACCERCHIATA DAI QUATTRO MOSTRI

Ora che sono trascorsi più di due mesi dalla tragedia, è doveroso stabilire un minimo di verità sul conto di questa ragazzina, che, complice la tenera età, ha commesso l’errore di entrare in un luogo degradato, senza alcun controllo da parte delle autorità. Ma niente giustifica ciò che le è stato fatto. All’interno del “palazzo della droga”, come viene ribattezzato lo stabile di via dei Lucani, è stata accerchiata da un manipolo di orchi, che l’hanno violentata ripetutamente. E sono andati avanti ad abusare di lei anche quando la ragazza non aveva più le forze per opporsi alle barbarie. Desirée era incosciente, ma loro andavano avanti.

 

I risultati dell’autopsia hanno fatto emergere tutta la verità sulla tragica fine della povera ragazzina. E allora lo ripetiamo ancora una volta: Desirée non si è affatto concessa ai suoi aguzzini in cambio di dosi di droga. Non lo ha fatto in quei tragici giorni di ottobre e non lo aveva mai fatto prima di allora. È stata vittima della crudeltà di un branco di quattro uomini senza scrupoli. Dei veri e propri mostri, la cui spietatezza emerge dalle testimonianze raccolte durante la prima fase dell’inchiesta.

 

Si legge nelle carte in mano al giudice per le indagini preliminari: «La condizione di incoscienza in cui si trovava la ragazza e che diventa con il trascorrere delle ore sempre più grave e intensa è riconosciuta da tutti coloro che sono presenti nel palazzo. Essa è chiara a coloro che l’hanno procurata, a coloro che ne approfittano, ai soggetti intervenuti per prestare ausilio, nonché a coloro che tale soccorso impediscono».

 

Fa venire i brividi quanto si legge a un certo punto nel provvedimento di fermo, emesso nei confronti degli indagati: «La persona offesa (Desirée Mariottini, ndr) manifesta, invero, sin dal pomeriggio del 18 ottobre, lo stato di stordimento strumentalizzando il quale gli indagati abusano di lei. Ma esso si aggrava, così da tramutarsi in una condizione di dormiveglia prima e

 

Continua qui: http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/desiree-era-vergine-quando-stata-violentata-ndash-191426.htm

 

BELPAESE DA SALVARE

Parma regala il cimitero agli islamici: le salme saranno rivolte alla Mecca

Concessa gratuitamente un’area del cimitero di Valera alla comunità musulmana. L’islam impedisce sepolture in aree con chi non appartiene alla stessa fede

Sergio Rame – 27/12/2018

Un’intera area del cimitero di Valera verrà concessa gratuitamente alla comunità musulmana di Parma e provincia.

Il regalo arriva dalla Giunta guidata dall’ex grillino Federico Pizzarotti che, con questo accordo, mira ad andare incontro al diktat della religione islamica che impedisce ai propri fedeli sepolture in aree con chi non appartiene allo stesso credo.

Oggi, come riferisce la Repubblica di Parma, il Comune guidato da Pizzarotti

 

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/politica/parma-regala-cimitero-agli-islamici-salme-saranno-rivolte-1621830.html

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Perché gli Stati Uniti all’improvviso sloggiano dalla Siria?

di Valentin Vasilescu

In caso di scontro con le forze armate siriane – che ora dispongono della strumentazione antiaerea russa, la migliore al mondo – l’US Air Force è condannata alla sconfitta. Gli Stati Uniti non hanno scelta: possono solo andarsene prima di essere umiliati.
La storia si ripete. In Iraq, prima di lasciarli massacrare da Saddam Hussein, gli Stati Uniti si servirono di combattenti kurdi, promettendogli che avrebbero avuto un proprio Stato. Oggi, lasciano soli a fronteggiare la Turchia altri kurdi, cui ancora una volta hanno promesso uno Stato. Dopo otto anni di battaglie e il sacrificio di decine di migliaia di mercenari islamici, il sogno della NATO di distruggere le strutture statali siriane va in fumo.

Rete Voltaire | Bucarest (Romania) | 21 dicembre 2018

 

Una settimana fa sono state dispiegate a Deir Ez-zor, nella Siria orientale, due batterie di missili S-300. Subito dopo, nel nord-est della Siria l’intensità dei voli della Coalizione guidata dagli Stati Uniti è diminuita dell’80%. Dal 18 settembre nello spazio aereo siriano non ci sono stati raid dell’aeronautica militare israeliana.

Una delegazione delle forze armate israeliane, guidata dal maggiore generale Ahron Haliva (capo dello operazioni) ha incontrato a Mosca il maggiore generale Vasily Trushin (vicecapo delle operazioni dell’esercito russo). Le relazioni tra i due eserciti si sono deteriorate dopo l’abbattimento dell’aereo russo Il-20, durante l’attacco di F-16 israeliani a obiettivi siriani nei pressi della base aerea russa di Hmeymim.

La delegazione israeliana è andata a Mosca perché non è riuscita a trovare il modo di penetrare nella zona di esclusione aerea, imposta dai nuovi sistemi di difesa che la Russia ha fornito alla Siria. Gli israeliani s’illudevano di ammansire i russi e farsi dare i codici di sicurezza dei missili siriani. Ovviamente la Russia si è rifiutata di farlo.

Quali componenti della gestione automatizzata dello spazio aereo siriano impediscono le azioni israeliane e americane? La Siria ha ricevuto da 6 a 8 batterie S-300/PMU2, con raggio d’azione di 250 chilometri. I missili garantiscono la sicurezza degli aerei e degli obiettivi militari siriani. Queste batterie non sono però gli elementi più importanti.

La gestione è assicurata dal sistema di gestione automatizzato Polyana D4M1, imperniato su un’interfaccia che consente il funzionamento simultaneo di unità aeree e di difesa antiaerea siriane. Polyana D4M1 può coprire una zona di 800 cilometriquadri, seguire 500 obiettivi aerei e missili balistici e placcarne 250. Grazie a Polyana D4M1 i centri di comando dell’aereonautica militare ricevono anche informazioni esterne dall’aereo russo A-500 (AWACS) e dai satelliti di sorveglianza russi.

La memoria dei server di Polyana D4M1 immagazzina l’impronta radar di tutti gli obiettivi aerei, compresi i missili di crociera e l’aereo sedicente “invisibile” F-35. Quando un obiettivo aereo è intercettato da un radar in Siria, il sistema automatizzato Polyana mostra l’informazione su tutti i radar di rilevamento e i sistemi di guida degli aerei e dell’artiglieria antiaerea siriani e russi. Questo sistema automatizzato fa in modo che anche i missili siriani più vecchi, risalenti all’epoca sovietica (S-200, S-75, S-125, ecc.), diventino quasi altrettanto precisi degli S-300.

La rete Polyana D4M1 comprende anche il sistema Krasukha-4 per il disturbo degli apparecchi di navigazione

 

Continua qui: http://www.voltairenet.org/article204434.html

 

 

 

Gli Stati Uniti preparano una guerra tra latino-americani

di Thierry Meyssan

Mossa dopo mossa i fautori della dottrina Cebrowski mandano avanti le loro pedine. Costretti a smettere di istigare guerre nel Medio Oriente Allargato, si volgono al Bacino dei Caraibi. Innanzitutto, il Pentagono pianifica l’assassinio di un capo di Stato democraticamente eletto, nonché la rovina del suo Paese, poi scalza l’unità dell’America Latina.

Rete Voltaire | Damasco (Siria) | 18 dicembre 2018

In un discorso alla comunità anticastrista al Miami Dade College, John Bolton così si è espresso: «Questa troika della tirannia, che si estende dall’Avana a Caracas, passando per Managua, è causa d’immense sofferenze umane, fomento di una gigantesca instabilità regionale, nonché genesi nell’emisfero occidentale d’una sordida culla del comunismo».

John Bolton, nuovo consigliere per la Sicurezza Nazionale statunitense, ha rilanciato il progetto del Pentagono di distruzione delle strutture statali del Bacino dei Caraibi.

È opportuno ricordare che, sull’onda degli attentati dell’11 Settembre, il segretario alla Difesa dell’epoca, Donald Rumsfeld, creò un Ufficio per la Trasformazione della Forza (Office of Force Transformation), affidandone la direzione all’ammiraglio Arthur Cebrowski. Lo scopo era formare le forze armate statunitensi per la nuova missione nell’èra della globalizzazione finanziaria: cambiare la cultura militare al fine di distruggere le strutture statali delle regioni non connesse all’economia globale. La prima parte del piano è consistita nello smembramento del Medio Oriente Allargato; la seconda fase prevedeva di fare altrettanto nel Bacino dei Caraibi. Si trattava di distruggere una ventina di Stati costieri e insulari, con l’eccezione di Colombia, Messico e, per quanto possibile, dei territori britannici, statunitensi, francesi e olandesi.

Appena arrivato alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump si è contrapposto al Piano Cebrowski. Dopo due anni di presidenza è però riuscito solo a impedire a Pentagono e NATO di assegnare ai gruppi terroristici di cui si servono uno Stato, il “Califfato”; non è però riuscito a imporgli di rinunciare a manipolare il terrorismo. Trump è stato in grado di ridurre la tensione nel Medio Oriente Allargato, benché le guerre continuino, pur con minore intensità. Nel Bacino dei Caraibi Trump ha invece messo in briglia il Pentagono, vietandogli di compiere operazioni militari dirette.

A maggio scorso Stella Calloni ha rivelato una nota in cui l’ammiraglio Kurt Tidd, comandante in capo del SouthCom, esponeva il piano di destabilizzazione del Venezuela [1]. Una seconda infiltrazione è contemporaneamente in corso in Nicaragua; una terza è in atto ormai da mezzo secolo contro Cuba.

Da numerose analisi precedenti abbiamo concluso che la destabilizzazione del Venezuela, iniziata con il movimento dei guarimbas, proseguita con il tentativo di colpo di Stato del 12 febbraio 2015 (operazione Gerico) [2], con gli attacchi alla moneta nazionale, nonché con l’organizzazione dell’emigrazione, finirà per sfociare in operazioni militari [3], condotte da Brasile, Colombia e Guyana. Ad agosto 2017 gli Stati Uniti e i loro alleati hanno organizzato operazioni di trasporto truppe che hanno coinvolto più nazioni [4]. Dal 1° gennaio 2019, con l’insediamento a Brasilia del neopresidente filoisraeliano Jair Bolsonaro, tutto sarà più facile.

Il futuro vicepresidente del Brasile sarà infatti il generale Hamilton Mourão, il cui padre ebbe un ruolo di spicco nel colpo di Stato militare pro-USA del 1964. Lo stesso Mourão è salito alla ribalta con dichiarazioni contro i presidenti Lula e Roussef. Nel 2017, a nome del Grande Oriente del Brasile, ha dichiarato che i tempi sono maturi per un nuovo colpo di Stato. Mourão è stato alla fine eletto insieme al presidente Bolsonaro. In un’intervista alla rivista Piaui, il futuro vicepresidente ha annunciato il prossimo rovesciamento del presidente venezuelano, Nicolas Maduro, e l’impiego di una forza di «pace» brasiliana (sic!). La gravità di questi propositi, che esplicitamente violano la Carta delle Nazioni Unite, ha indotto il presidente Bolsonaro a intervenire per assicurare che nessuno vuole fare la guerra ad alcuno e che il vicepresidente è troppo loquace.

Comunque sia, nella conferenza stampa del 12 dicembre 2018 il presidente Maduro ha rivelato che il consigliere nazionale per la Sicurezza USA, John Bolton, provvede al coordinamento tra l’équipe del presidente colombiano, Ivan Duque, e quella del vicepresidente brasiliano. Un gruppo di 734 mercenari è in questo momento addestrato a Tona (Colombia) per perpetrare un attacco sotto falsa bandiera del Venezuela contro la Colombia, così da giustificare una guerra della Colombia contro il Venezuela. I mercenari sarebbero comandati dall’ex colonnello Oswaldo Valentin Garcia Palomo, latitante dopo il tentativo di assassinio con un drone del presidente Maduro del 4 agosto scorso, durante la celebrazione dell’anniversario della Guardia Nazionale. Questi mercenari sono appoggiati dalle Forze Speciali stanziate nelle basi militari Usa di Tolemaida (Colombia) e di Eglin (Florida). Il piano statunitense prevede di prendere possesso, sin dall’inizio del conflitto, di tre basi militari venezuelane

Continua qui: http://www.voltairenet.org/article204399.html

 

 

 

 

Perché il Pentagono pensa di fare fuori la Turchia dal programma F-35

 Stefano Pioppi  – 16/11/2018

 

Il caccia di quinta generazione è le chiave di volta scelta dagli Stati Uniti per cercare di fermare l’acquisizione turca del sistema russo S-400. Lo scivolamento di Erdogan verso Putin non piace al Pentagono, che ha presentato al Congresso un report per capire come estromettere Ankara dal programma F-35

 

L’acquisizione del sistema russo S-400 per la difesa missilistica da parte di Ankara non va giù agli Stati Uniti. Dopo i numerosi avvertimenti, il Pentagono ha presentato al Congresso un report per valutare se e come bloccare le future consegne di F-35 alla Turchia.

L’F-35 NELLA “QUESTIONE TURCA”

Il caccia di quinta generazione, che secondo gli attuali programmi i turchi dovrebbero acquistare in 100 esemplari, è già stato al centro del dibattito sull’S-400 negli Usa. A giugno, il Senato americano aveva discusso l’ipotesi di stoppare l’imminente consegna dei primi esemplari del Joint Strike Fighter, al fine di mandare un segnale deciso a Erdogan, impegnato ormai da anni in un progressivo avvicinamento aVladimir Putin. La questione è duplice, strategica e operativa. Dal primo punto di vista, gli Stati Uniti non possono accettare che un partner fondamentale della Nato acquisisca sistemi militari dal loro principale avversario, anche perché ciò certificherebbe la perdita della capacità americana di influenzare le scelte di Ankara. Dal secondo punto di vista, invece, Washington denuncia l’impossibilità di integrare l’S-400 nel sistema di difesa transatlantico, nonché l’eventualità che tale consegna permetta ai russi di carpire preziosi segreti sul caccia americano, il più avanzato al mondo.

LE RICHIESTE DEL CONGRESSO

Da qui, l’ipotesi di sospendere le consegne del velivolo al sovversivo alleato. Il problema, si affermava in linea di massima al Congresso in estate, è che le consegne di sistemi militari a clienti stranieri sono una cosa complicata, soggetta a numerose valutazioni che comprendono anche il ruolo di alcune industrie turche nel programma. Per questo, spiegava il senatore repubblicano Thom Tillis, si invitava il dipartimento della Difesa a elaborare “un piano per rimuovere il governo della Repubblica di Turchia dalla partecipazione al programma F-35”, oltre ad indicare con precisione “i costi associati alla sostituzione di strumenti e altri materiali manifatturieri detenuti dall’industria turca”.

LO SCIVOLAMENTO A EST DI ANKARA

Il report del Pentagono è ora arrivato. Mancano i dettagli specifici, ma si certifica che se l’acquisto dell’S-400 venisse concluso a tutti gli effetti, i rapporti con la Turchia potrebbe cambiare radicalmente, facendo uscire definitivamente il Paese dal sistema euro-atlantico. L’ufficializzazione dell’accordo con la Russia sul sistema di difesa aerea (che Mosca utilizza abilmente come arma diplomatica) era arrivata a dicembre 2017. Era solo la formalizzazione di una distanza ormai incolmabile tra Ankara e Washington, apertasi a luglio del 2016 con il tentativo di golpe in Turchia e con il repulisti che ne è seguito. E mentre questa distanza cresceva tra incomunicabilità e incomprensioni, si riduceva quella tra Ankara e Mosca, con Vladimir Putin pronto a tendere la mano a Erdogan e a dimenticare in fretta l’abbattimento del Sukhoi russo sul confine siriano, a fine 2015, da parte di due F-16 decollati dalla base aerea Nato di Incirlik, in Turchia. Per il presidente russo,

Continua qui: https://formiche.net/2018/11/turchia-pentagono-f35-russia/

 

 

 

CULTURA

Roger Scruton, il filosofo conservatore

Luigi Iannone – 27 dicembre 2018

Chi è Roger Scruton? Quali idee cerca di diffondere? Come può essere definita la sua filosofia politica?

Cerco di spiegarlo nel mio nuovo libro (pp.116, euro 10), uscito qualche giorno fa, per le edizioni Fergen, dal quale ho tratto questo piccolo brano iniziale che in questa sede ripropongo.

*     *     *     *     *

Sono tanti e diversi i campi di indagine di Roger Scruton e una esegesi sana, e non tendenziosa, dovrebbe per forza tener conto di tutto, anche del fatto che si tratti di un vivente. E quindi, nel tracciare un quadro della globalità dell’opera, e non di un aspetto particolare di essa, si possa correre il rischio di preconfezionare un ampio e documentato «coccodrillo»; vale a dire uno di quegli articoli che i redattori tengono in serbo, per poi pubblicarlo non appena giunga notizia del decesso del personaggio in questione. Dunque,

Continua qui: http://blog.ilgiornale.it/iannone/2018/12/27/roger-scruton-il-filosofo-conservatore/

 

ECONOMIA

Spread, la grande menzogna: Paolo Becchi rivela come vogliono farci fuori, c’è lo zampino di Berlino

4 DICEMBRE 2018

Perché, a differenza della crisi dello spread del 2011 con Berlusconi e Monti, lo spread oggi è un bluff? È quello che cercheremo ora di spiegare. Lo spread è una differenza tra Italia e Germania nel rendimento dei titoli di Stato, ma l’anomalia è più sul lato dei tedeschi che sul nostro. Mettiamola in termini semplici: se in Germania i tassi sono al 3% e in Italia al 6% oppure se in Germania sono a 0% e in Italia al 3% lo “spread” è sempre del 3%, cioè “300 punti”, ma è la stessa cosa? Ovviamente no. Nel primo caso l’Italia paga troppo, nel secondo caso la Germania paga troppo poco.

Questo è più o meno quello che succede ora con Di Maio e Salvini. Ma la colpa non è nostra bensì della Germania che paga troppo poco. In Germania oggi chi compra titoli a breve scadenza riceve meno di zero, cioè deve lui pagare lo Stato per averli, e chi vuole titoli a dieci anni riceve al massimo lo 0,3%. L’ inflazione in Germania è però più alta che in Italia, al momento è il 2,2%, per cui il “povero” tedesco perde un 2,5% l’anno in termini reali se compra titoli a breve scadenza e un 2% se compra quelli più rischiosi a dieci anni.

In Italia chi compra titoli di stato riceve intorno all’ 1% (per i Bot e CCT ad esempio tra uno e due anni) e il 3,3% per i Btp a dieci anni. Questi sono tassi abbastanza bassi, specie se si considera l’inflazione. L’ inflazione in Italia è risalita da meno di 1% un anno fa all’ 1,7% (ultimo dato) per cui chi compra titoli a breve scadenza o tasso variabile come CCT e Bot non la recupera ancora e chi cerca titoli a dieci anni (che possono oscillare però di prezzo) ottiene un 1,5% circa di rendimento reale. Questi sono rendimenti più normali, non c’ è niente di eccessivo, non sono tassi che indicano default. Nel 2011 la famosa crisi dello spread di Berlusconi che era andata oltre “400 punti” era dovuta invece a tassi al 6-7% in Italia e al 2% in Germania.

Facciamo un po’ di storia. Prima della crisi finanziaria globale del 2008 non si sapeva cosa fosse lo spread, nel senso che i tassi di interesse in tutta Europa erano uguali. Niente spread! Si trattava di un’anomalia indotta dall’ euro: una costruzione artificiale che distorce sia i tassi di cambio che i tassi di interesse forzandoli a essere uguali tra economie diverse. Peccato che questa forzatura artificiale ogni tanto esploda di colpo! Nel 2007 quasi tutta l’Europa aveva tassi di interesse sul debito pubblico dal 3% in su, come quelli dell’ Italia di oggi che sembrano un gran disastro (e l’ inflazione era appena più alta di oggi). Prima della crisi del 2008 era normale anche in Italia pagare tra il 4 e il 5% sui titoli di Stato (e aggiungiamo, anche sui mutui per la casa). Oggi un mutuo a tasso fisso a venti anni costa intorno 2% e un Btp a 10 anni costa sul 3,3%. Rendimenti bassi, sia rispetto alla storia precedente che a quello che succede nel resto del mondo, dove, ad esempio in America, i tassi sui titoli a dieci anni sono sul 3,3% e i mutui per la casa tra il 4 e il 4,5%.

COMPRARE CASA A ROMA, PARIGI, MADRID

Torniamo alI’ attualità. I giornaloni oggi non si stancano di ripetere che lo “spread a 300” è un problema perché i mutui salgono. Bene, lo spread è schizzato su a 300 punti (perché i Btp sono franati) a giugno scorso. Dopo ha oscillato intorno a 300 per cui sono passati quasi sei mesi e si dovrebbe quindi vedere un rincaro dei mutui in Italia. Peccato che invece restino in media (per un tasso fisso) intorno al 2% (massimo 2,2%), che è uno dei livelli più bassi della storia. Si dirà che nel resto d’ Europa, dove lo spread è rimasto basso, pagano meno di noi. Anche questo non è vero: ad esempio in Spagna con spread di 120 punti solamente, i mutui costano come da noi, tra 1,9% e 2,1%, e in Francia con spread ancora più basso costano tra 1,8 e 1,9%. Persino in Germania i mutui a tasso fisso costano sull’ 1,7% per cui a dispetto dei 300 punti di spread la differenza tra mutui italiani e tedeschi è di circa 30 punti (cioè 2% da noi e 1,7% da loro).

In Germania lo Stato però è così virtuoso che ogni volta che vende titoli di Stato guadagna in termini reali un 2% l’anno. Il Pil e quindi le tasse che incassa, aumentano del 2% l’anno solo grazie all’ inflazione e lo Stato però può pagare zero di interessi (zero!) per cui guadagna a indebitarsi! Lo Stato italiano invece paga circa 1% per titoli a breve come Bot e CCt, cioè appena sotto l’inflazione (ora 1,7%). Qui gli va ancora bene. Deve però pagare, “causa Salvini e Di Maio”, un rendimento reale del 1,5% su quelli a lunga scadenza

Continua qui:

https://www.liberoquotidiano.it/news/economia/13407329/spread-menzogna-titoli-di-stato-italiani-debito-sostenibile-germania-sotto-zero-paolo-becchi.html

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Banche, il trucco del “bail in”: così truffano allo sportello i correntisti

24 Dicembre 2018

 

La sòla la svela ilrisparmiotradito.it in un articolo ripreso da Il Fatto Quotidiano.

 

E’ il trucchetto usato dalle banche per indurre i propri correntisti più “ricchi” ad acquistare fondi, polizze o altre forme di risparmio gestito.

 

Come fanno? Facendo presente a questi clienti il rischio bail-in e giocando sulle tante notizie negative che negli ultimi anni hanno riguardato molte banche del nostro Paese. Ovvero il meccanismo in base al quale, in

 

Continua qui:

https://www.liberoquotidiano.it/news/economia/13413718/banche-trucco-bail-in-stiamo-fallendo-cosi-derubano-correntisti.html

 

 

 

 

Banche, alla ricerca del modello operativo del futuro

Giuseppe De Lucia Lumeno*

2 Nov 2018

In un recente articolo della rivista mensile “The Banker” è stato fatto il punto, ormai trascorsi oltre dieci anni, sulle cause della crisi economica e finanziaria che ha progressivamente colpito le principali economie mondiali a partire dall’estate del 2007. Nell’articolo viene sottolineato come la causa principale non sia stata l’esposizione degli istituti bancari verso attività rischiose quali i cosiddetti sub-prime, ma piuttosto al cambiamento culturale che ha condizionato l’azione delle banche riducendo sempre di più il peso della tradizionale attività di intermediazione connessa all’andamento dell’economia reale in favore della ricerca di rendimenti sempre più elevati per i propri azionisti.

Oggi però nelle principali banche internazionali sembra essere tornata la prudenza, sia per uno scenario economico che si manifesta fragile a causa dell’incertezza politica e della tendenza di introdurre nel commercio mondiale dei dazi doganali che potrebbero ostacolare la crescita del prodotto interno lordo mondiale e sia per una regolamentazione più stringente sui requisiti di capitale (oggi il livello di capitale detenuto è circa tre o quattro volte superiore a quanto riscontrabile prima del 2007) che ha portato gli istituti ad avere un approccio più cauto.

Se da un lato quest’ultimo aspetto può definirsi apprezzabile in quanto risponde ad una minore rischiosità della banca stessa, dall’altro pone il problema, tuttavia, di trovare gli strumenti più adatti per migliorare la propria redditività, un obiettivo che si cerca attualmente di conseguire attraverso un taglio dei costi ed una diminuzione delle multe che in precedenza erano pagate dai grandi gruppi bancari proprio per le trasgressioni derivanti da un comportamento troppo disinvolto e rischioso. E non potrebbe essere diversamente visti i vincoli normativi e legislativi ed una situazione in cui i tassi di riferimento si collocano su valori estremamente contenuti o nulli pregiudicando il conseguimento di accettabili risultati di conto economico per quanto riguarda il margine d’interesse.

Questo spiega la riduzione degli sportelli attuata dai principali gruppi bancari, supportati in questa scelta anche dal progresso tecnologico e dal ricorso sempre più ampio da parte della clientela al digital banking. Nei paesi dell’unione europea, ad esempio, tra il 2007 ed il 2017 il numero delle filiali si è ridotto del 21% passando da 233.333 a 183.418, così come la diminuzione del numero di istituti di credito nello stesso periodo, da 8.525 a 6.250.Il cost-income (il rapporto tra costi operativi e margine d’intermediazione) è

Continua qui: https://www.loccidentale.it/articoli/146799/banche-alla-ricerca-del-modello-operativo-del-futuro

 

GIUSTIZIA E NORME

Processo alla giustizia civile: norme inadeguate e tempi infiniti

22 dicembre 2018 di Gustavo Visentini

Il recente libro di Edmondo Bruti Liberati “Magistratura e società nell’Italia repubblicana” è improntato a un sostanziale ottimismo sullo stato della giustizia penale ma è quella civile che in Italia grida vendetta – Due casi emblematici a Padova e Milano e le parole, sempre attuali, di Calamandrei

 

La recente pubblicazione di Edmondo Bruti Liberati, Magistratura e società nell’Italia repubblicana (Laterza), mi fa riflettere.

La lettura è scorrevole, non è affatto noiosa come avrebbe potuto esserlo per la materia. Fa emergere il compiacimento per l’attivismo progressista nel rimediare alle istanze conservative dei magistrati, in un’atmosfera di ottimismo che trovo del tutto ingiustificato. Condivido i valori dell’Autore, ma li vedo traditi nella corruzione tutt’ora endemica: se non ce ne accorgessimo, ce lo segnalano classifiche internazionali.

Per altro verso nella mia professione di avvocato e accademico, civile commerciale e tributario, riscontro l’esperienza del processo giurisdizionale lontano dall’idea di come dovrebbe essere; di come a ragione lo pretendiamo. Mi trovo nelle nebbie di interminabili processi, dove il dominio delle carte fa perdere la realtà degli accadimenti, non raramente deviati e fraintesi da espedienti processuali (perizie, proroghe inutili, variare della persona chiamata a giudicare). Se da accademico suggerisco agli studenti di ricercare nella giurisprudenza della Cassazione la più valida lettura del diritto, da assumere prima di discutere le spiegazioni della dottrina, purtroppo ti riprende la sfiducia quando ti accorgi che la sentenza, di solito ben argomentata, porta una data che rispetto alla citazione del primo grado dista oltre il decennio.

Il titolo del libro di Bruti Liberati, che richiama la Magistratura in generale, non deve ingannare. È concentrato sull’attivismo della giurisdizione penale; riferisce di vicende dell’Associazione magistrati e del Consiglio superiore della magistratura, sostanzialmente focalizzate sul penale; non si occupa della Magistratura civile e amministrativa.

Mentre il perno dei problemi, della magistratura come servizio, è il processo civile per responsabilità contrattuali e da illecito. Non soltanto i rimedi civili sono debolmente regolati sul piano del diritto sostanziale: le recenti riforme, come accennato anche da Bruti Liberati, hanno ulteriormente indebolito le responsabilità degli amministratori, dei revisori dei conti, degli intermediari; nello slogan della deregolamentazione hanno creato ostacoli all’impugnazione delle deliberazioni delle assemblee, sino ad impedire di farne valere le nullità in seguito all’eseguita pubblicità. Ma è poi sul piano processuale che l’azione giurisdizionale è stemperata al punto da riuscire inutile: l’interminabile processo scoraggia ogni intrapresa che non odori di ricatto.

Di riflesso esplodono le regolamentazioni amministrative, i provvedimenti cautelari che hanno più sapore di atti amministrativi che di decisioni giudiziarie: strumenti impropri. La difesa della legalità del mercato, del mercato finanziario, va affidata innanzitutto agli stessi interessati lesi con azioni sul piano civile: il rischio di risarcire i danni può essere più deterrente del penale,che poi spesso si disperde. L’efficace procedere delle difese civili aiuta le vigilanze amministrative; prepara l’intervento penale al caso estremo, sottraendolo al casuale. Lo vede chi segue le vicende processuali generate in altri Paesi dalla recente crisi finanziaria.

Voglio raccontare due casi emblematici tra i tanti. A Padova a fronte della cessione di un immobile viene costituita una rendita vitalizia, che il cedente impugna con argomenti respinti perché sbagliati; ma subito dopo la causa è correttamente impostata, sicché ottiene ragione dal Tribunale, confermata in appello a Venezia con sentenza cassata per insufficienza di motivazione con rinvio a Brescia, che conferma ampiamente motivando; tornata in Cassazione va alle ss.uu. per ragioni di rito, alla fine superate. Ma sono trascorsi oltre venti anni (dal 1992 al 2014) per un valore di lire 135 milioni (ne ho parlato in Rass. avv. Stato 2017).

Altro caso: il Tribunale di Milano riconosce la responsabilità dei sindaci per non avere impedito che la società esercitasse un ramo assicurativo per il quale non era autorizzata. La questione e facile, la sentenza è confermata in appello e poi dalla Cassazione, con motivazione così secca da giustificare l’impressione di trovarsi dinanzi a lite temeraria: l’ammontare del danno non giustificava le impugnazioni; ma lo giustificava il rinvio del riconoscimento definitivo della responsabilità: erano trascorsi dieci anni durante i quali il commercialista non ha trovato ostacolo all’esercizio della professione.

La crisi del processo civile è pervasiva. Vediamo la logica che ne dovrebbe sostenere l’idea. Il processo dovrebbe essere sostanzialmente definito nel primo grado; l’appello dovrebbe essere revisione; la cassazione riservata per i casi estremi: violazione di legge, per dare unità all’interpretazione del diritto; vizi di procedura.

La controversia di primo grado va concentrata secondo il rito di ispirazione orale: numerose cause non rivelano difficoltà nell’accertamento del fatto. Secondo il codice etico l’assistenza dell’avvocato alle parti comprende il tentativo di risolvere la controversia senza il ricorso giurisdizionale. Sarebbe opportuno che gli avvocati in sede di citazione e di comparsa di risposta diano conto del loro tentativo di comporre la lite, indicando i capitoli di fatto e di diritto sui quali hanno raggiunto l’accordo e di quelli sui quali è richiesta la decisione giudiziaria. È evidente che l’udienza può consumare più ore di approfondimento. Mi diceva un avvocato inglese “devo essere preparato

 

 

Continua qui: https://www.firstonline.info/processo-alla-giustizia-civile-norme-inadeguate-e-tempi-infiniti/

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Gli Stati Uniti si rifiutano di combattere per finanzieri transnazionali

di Thierry Meyssan

Il ritiro USA da Siria e Afghanistan e le dimissioni del generale Mattis testimoniano come mondiale stia vacillando. Gli Stati Uniti non detengono più il primato, né sul piano economico, né sul piano militare. Si rifiutano di continuare a combattere a esclusivo servizio degli interessi della finanza transnazionale. Le alleanze di cui sono l’epicentro cominciano a disgregarsi, senza che però gli alleati ammettano la potenza ascendente di Russia e Cina.

Rete Voltaire | Damasco (Siria) | 25 dicembre 2018

Il 19 dicembre l’annuncio del ritiro parziale dei soldati americani dall’Afghanistan e del ritiro totale dalla Siria è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Il segretario alla Difesa, James Mattis, si è dimesso l’indomani. Diversamente da quanto sostengono gli oppositori del presidente, Trump e Mattis si stimano reciprocamente e le loro divergenze non vertono sul ritiro delle truppe, bensì sulla gestione delle conseguenze. Gli Stati Uniti sono di fronte a una scelta che segnerà una cesura e farà vacillare il mondo.

Innanzitutto, per rimuovere possibili fraintendimenti è opportuno ricordare condizioni e scopo della collaborazione fra Trump e Mattis.

Quando è entrato alla Casa Bianca, Trump ha scelto di avvalersi di tre alti militari che godevano di autorità sufficiente a imprimere una nuova direzione alle Forze Armate. Ma i tre — Michael Flynn, John Kelly e James Mattis — si sono dimessi o sono sul punto di farlo. Sono grandi soldati che insieme, durante l’èra Obama, si opposero alla gerarchia militare [1]. Non condividevano la strategia dell’ambasciatore John Negroponte volta a creare gruppi terroristi col compito di fomentare una guerra civile in Iraq [2]. Tutti e tre si sono impegnati con il presidente Trump a revocare il sostegno americano agli jihadisti. Ciononostante, ciascuno dei tre ha una propria visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo, sicché alla fine si sono scontrati con il presidente.

La bufera, rinviata dalle elezioni di metà mandato, è arrivata [3]. È il momento di riconsiderare le relazioni internazionali.

La Siria

Quando, ad aprile scorso, il presidente Trump, in conformità agli impegni elettorali, ha annunciato il ritiro dalla Siria, il Pentagono l’ha convinto a non farlo; non perché qualche migliaio di uomini possa invertire il corso della guerra, ma perché la presenza di truppe americane fa da contrappeso all’influenza russa ed è un sostegno a Israele.

Sennonché la fornitura all’Esercito Arabo Siriano di armi di difesa russe, in particolare missili S-300 e radar ultrasofisticati, coordinati dal sistema di gestione automatizzato Polyana D4M1, ha sconvolto l’equilibrio delle forze [4]. Esattamente da tre mesi, lo spazio aereo siriano è diventato inviolabile. La presenza militare USA diventa perciò controproducente: ogni attacco a terra dei mercenari filo-USA non potrà più essere appoggiato dall’aeronautica militare statunitense se non a rischio di perdere aeromobili.

Ritirandosi adesso, il Pentagono evita la prova di forza e l’umiliazione di un’inevitabile disfatta. La Russia si è infatti rifiutata di dare, dapprima agli Stati Uniti poi a Israele, i codici di sicurezza dei missili forniti alla Siria. In altre parole, dopo anni di arroganza occidentale, Mosca non ha acconsentito alla condivisione del controllo della Siria, che invece aveva accettato nel 2012, con la prima conferenza di Ginevra, e che Washington aveva violato dopo qualche mese.

Inoltre, ormai da parecchio tempo Mosca ha riconosciuto che la presenza USA in Siria è contraria al diritto internazionale e quindi Damasco è legittimato a difendersi.

Le conseguenze

La decisione del ritiro dalla Siria è gravida di conseguente

1 – Lo pseudo-Kurdistan

Il progetto occidentale di uno Stato coloniale a nordest della Siria, da assegnare ai kurdi, non vedrà la luce. Del resto, un numero sempre minore di kurdi lo sostengono, ritenendo che si tratterebbe di una conquista paragonabile alla proclamazione unilaterale da parte delle milizie ebree di uno Stato, Israele, nel 1948.

Come abbiamo più volte spiegato, il Kurdistan potrebbe essere legittimo solo all’interno dei confini riconosciuti dalla Conferenza di Sèvres del 1930, ossia nell’attuale Turchia. Non altrove [5]. Solo poche settimane fa Stati Uniti e Francia pensavano di creare uno pseudo-Kurdistan in terra araba e di farlo amministrare, con mandato dell’ONU, dall’ex ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner [6].

2 – La strategia Cebrowski

Il progetto perseguito dal Pentagono da diciassette anni in Medio Oriente Allargato non vedrà il compimento. Concepito dall’ammiraglio Arthur Cebrowski, esso mirava alla distruzione di tutte le strutture statali della regione, con l’eccezione di Israele, Giordania e Libano [7]. Il piano, iniziato in Afghanistan e in Libia e ancora operativo, avrà la sua fine sul suolo siriano.

Non è più il caso che le forze armate USA si battano, a spese dei contribuenti, per i soli interessi dei finanzieri della globalizzazione, fossero anche statunitensi.

3 – La supremazia militare statunitense

L’ordine mondiale post-sovietico, fondato sulla superiorità militare degli Stati Uniti, è defunto. Non importa che si sia restii ad ammetterlo: rimane un fatto. La Federazione di Russia è ora più potente sia in termini convenzionali (dal 2015) sia nucleari (dal 2018 [8]). Il fatto che le forze armate russe abbiano un terzo meno di soldati rispetto a quelle degli Stati Uniti e non dispongano che di poche truppe all’estero scarta l’ipotesi di ambizioni imperialistiche di Mosca.

Vincitori e vinti

La guerra contro la Siria si esaurirà nei prossimi mesi per mancanza di mercenari. Il rifornimento di armi da parte di alcuni Stati, coordinati dal fondo KKR, può protrarre il crimine, ma non offre speranza che il corso degli avvenimenti possa cambiare.

Senza alcun dubbio i vincitori di questa guerra sono Siria, Russia e Iran; i vinti sono i 114 Stati che hanno aderito agli «Amici della Siria». Alcuni di essi non hanno atteso la disfatta per correggere la propria politica estera. Gli Emirati Arabi Uniti, per esempio, hanno annunciato la prossima riapertura dell’ambasciata a Damasco.

Il caso degli Stati Uniti è invece più complesso. L’intera responsabilità di questa guerra ricade sulle amministrazioni Bush Jr. e Obama, che l’hanno pianificata e realizzata all’interno di un mondo unipolare. L’allora candidato Donald Trump accusava invece queste amministrazioni di non difendere i cittadini statunitensi, bensì di servire la finanzia transnazionale. Diventato presidente, Trump ha continuato a tagliare l’appoggio agli jihadisti e a ritirare i soldati dal Medio Oriente Allargato. Sicché Trump deve essere annoverato tra i vincitori di questa guerra e potrà coerentemente scaricare l’obbligo degli Stati Uniti di risarcimento dei danni di guerra sulle società transnazionali coinvolte [9]. Per Trump si tratta ora di reimpostare le forze armate, indirizzandole alla difesa del territorio, di mettere fine all’apparato del sistema imperiale e di sviluppare l’economia USA.

L’Afghanistan

Da diversi mesi gli Stati Uniti stanno negoziando con discrezione con i Talebani le condizioni del ritiro dall’Afghanistan. Una prima sessione di contatti si è avuta in Qatar, guidata dall’ambasciatore Zalmay Khalizad. Un secondo round è appena iniziato negli Emirati Arabi Uniti. Vi partecipano, oltre alle delegazioni statunitense e talebana, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Pakistan. Sul posto è arrivata anche una delegazione del governo afghano, che spera di parteciparvi.

Sono passati diciassette anni da quando Stati Uniti e Regno Unito hanno invaso l’Afghanistan, ufficialmente per ritorsione agli attentati dell’11 Settembre. In realtà questa guerra è il seguito dei negoziati del 2001 di Berlino e Ginevra: non mira a stabilizzare il Paese per poterne sfruttare le risorse economiche, bensì a distruggere ogni apparato statale per poterne controllare lo sfruttamento. La situazione peggiora infatti di giorno in giorno.

Ricordiamo che le sventure dell’Afghanistan sono iniziate con la presidenza Carter. Il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Zbigniew Brzeziński, ricorse ai Fratelli Mussulmani e a Israele per lanciare una campagna di terrorismo contro il governo comunista [10] che, spaventato, si rivolse ai sovietici per garantire l’ordine. Ne scaturì una guerra di 14 anni, seguita da una guerra civile e poi dall’invasione anglo-americana.

Dopo quarant’anni di distruzioni ininterrotte, il presidente Trump ha preso atto che

Continua qui: http://www.voltairenet.org/article204452.html

 

 

 

Il Pentagono post Mattis e il nodo del Mar Cinese Meridionale

 Francesco Bechis – 27 dicembre 2018

Il ministero della Difesa cinese ha espresso apprezzamento per la capacità di mediazione di Mattis. Le tensioni con gli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale sono un dossier prioritario per il Pentagono di Shanahan. Silvestri (Iai): i cinesi hanno lanciato un chiaro avvertimento

 

Non solo Siria. Fra i tanti dossier che si ammasseranno sulla scrivania del futuro Segretario alla Difesa Usa Patrick Shanahan, designato come successore del generale James Mattis a capo del Pentagono e pronto a prestare giuramento il prossimo 2 gennaio, non va sottovalutato il precario equilibrio militare fra Washington e Pechino nel Mar Cinese Meridionale. L’addio anticipato di “Mad dog” Mattis, epilogo inevitabile dei dissapori venutisi a creare con il presidente Donald Trump, apre a una nuova fase dei rapporti fra Stati Uniti e Cina dai risvolti imprevedibili. Con Mattis il Pentagono perde un generale a quattro stelle considerato un’icona della guerra in Iraq e una leggenda nell’esercito, un interlocutore della Cina severo, impassibile, ma anche autorevole e ritenuto dalle controparti cinesi abbastanza saggio da voler evitare uno scontro diretto a largo delle coste che bagnano il Dragone.

Sono eloquenti a proposito le parole scelte oggi dal portavoce del ministero della Difesa cinese Wu Qianper commentare l’addio di Mattis al Pentagono. Pur stigmatizzando come “accuse false” alcuni passaggi della lettera di dimissioni consegnata da Mattis a Trump, dove il generale descrive Russia e Cina come due Paesi che “vogliono costruire un mondo sulla base del loro modello autoritario”, il portavoce ha riservato parole di apprezzamento al generale, che in questi anni avrebbe “fatto sforzi positivi per rendere più stabili i rapporti bilaterali militari fra Cina e Stati Uniti”. Il funzionario non ha mancato di auspicare relazioni “stabili e sane” fra i due Paesi sotto la leadership di Shanahan. Rimane ora il dubbio se e come il nuovo segretario, già alto manager di Boeing, intenda imboccare una linea di continuità nella gestione delle tensioni nel Pacifico.

Le premesse non sono rassicuranti. A fare la differenza c’è anzitutto il diverso peso reputazionale, che i cinesi sono soliti tenere in conto. “Mattis cercava di moderare le istanze di Trump nei confronti della Cina, di evitare lo scontro – spiega a Formiche.net Stefano Silvestri, già presidente dello Iai, membro della Commissione trilaterale – Shanahan potrà avere le stesse inclinazioni ma non gode della stessa autorevolezza. È un ministro di transizione, darà a Trump e al Congresso il tempo di scegliere il vero successore di Mattis”. Le parole del ministero della Difesa cinese, continua l’ex sottosegretario alla Difesa, non vanno sottovalutate. “È un avvertimento diretto agli Stati Uniti: attenzione, non fatevi prendere da iniziative sconsiderate nel Mar Cinese Meridionale. I cinesi non vogliono uno scontro diretto nella regione, non hanno una marina e un’aeronautica sufficientemente attrezzate per contrastare la presenza americana”.

Il segretario designato dovrà fare i conti con una Cina risoluta a rivendicare la sua sovranità sugli arcipelaghi a Sud delle sue coste e ad allentare la presa di Washington su Taiwan (“Neppure un pollice di territorio può essere separato dalla madrepatria” aveva ammonito Xi Jinping in occasione delle celebrazioni per i 40 anni delle riforme di Deng). Shahanan condivide l’entusiasmo di Trump (e dei suoi strateghi per la politica estera, dall’ex Steve Bannon a John Bolton), per la “great power competition”, la competizione fra grandi potenze incastonata nella strategia per la Sicurezza Nazionale Usa non a caso definita “storica” dall’ex Boeing. Da vicesegretario alla Difesa è stato

 

Continua qui: https://formiche.net/2018/12/mattis-mar-cinese-meridionale/

 

 

 

 

Vi svelo chi ha logorato Benedetto XVI. Parla il vaticanista Valli

 Rossana Miranda – 13/02/2013 RILETTURA

 

Dalla vicenda di Vatileaks fino al mancato aiuto dei suoi collaboratori (compresso Bertone) il professore Ratzinger era stanco e ha compiuto uno storico “gesto di libertà” che rafforzerà la Chiesa. Intervista a Aldo Maria Valli, vaticanista del Tg1

Siamo davanti alla prima volta che, nella storia moderna, un Papa rinuncia. La giustificazione “non ce la faceva più” sembra banale, superflua. Le dimissioni di Benedetto XVI nascondono qualcosa? Sono l’acme degli scandali che hanno sconvolto negli ultimi tempi il Vaticano? La rinuncia del Santo Padre è un altro segnale della crisi e della decadenza della contemporaneità?

Appena arrivata la notizia, qualcuno su Twitter ha scritto: “Caffè doppio per Aldo Maria Valli”. In effetti non sono state ore semplici neanche per il vaticanista del Tg1 e autore di “La verità del Papa. Perché lo attaccano, perché va ascoltato” (Lindau, 2010). Troppo presto per capire la profondità della scelta di Benedetto XVI. Sia per i non credenti ma ancora di più per i fedeli. Valli però ci ha provato lo stesso. In un’intervista con Formiche.net, il vaticanista sostiene che siamo davanti certamente a una prima volta, ma la Chiesa ne ha vissute tante, e da questa uscirà rafforzata.

Perché si è dimesso il Papa? È davvero stanco o dietro c’è stato un complotto?

Nessun complotto. Lui si è accorto di non avere più le risorse ed è consapevole dell’importanza che in questo ruolo ci sia una persona forte ed energica. Non bisogna fare nessuna dietrologia.

Quanto hanno influito gli scandali come, ad esempio, quello Vatileaks e quello dello Ior?

Non hanno influito direttamente. Benedetto XVI non si dimette perché c’è stato “il corvo” o per lo Ior. Si dimette perché si sente stanco e inadeguato e considera che il capo della Chiesa deve essere può forte. Ma anche se non sono cause dirette possiamo considerarli motivi indiretti. Questi scandali hanno logorato il papa. E in più non ha avuto una squadra all’altezza del compito.

Si può dire che è rimasto solo?

Benedetto XVI ha sempre detto che non si sentiva solo, che sentiva con lui la compagnia della famiglia pontificia. Ma penso che non c’è stata la squadra di governo. Non hanno saputo gestire i tanti problemi che hanno costellato il papato di Joseph Ratzinger. Invece di aiutarlo hanno reso spesso le cose più difficili.

Dopo il ritiro di Benedetto XVI, come esce il cardinale Tarcisio Bertone? Più rafforzato o colpito?


Senza dubbi colpito. Con le dimissioni di un Papa vengono alla luce tutti i problemi che ci sono stati e che la segreteria di Stato non ha saputo gestire.

L’Osservatore romano ha detto che la decisione è stata presa dal Papa

 

Continua qui: https://formiche.net/2013/02/scandali-squadra-inefficiente-hanno-stancato-benedetto/

 

 

 

 

Geopolitica applicata al 2019

6 dicembre 2018 da Federico Dezzani

Twitter: @FedericoDezzani

Nell’ultimo scorcio del 2018 si assiste ad una molteplicità di crisi apparentemente inestricabile ed indecifrabile: la probabile uscita “caotica” di Londra dall’Unione Europea, il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles, le proteste dei “gilet gialli” in Francia, il riaccendersi delle tensioni attorno alla Crimea, l’uscita degli USA dall’accordo sui missili nucleari a medio raggio, le pressioni americane sul Nord Stream 2, l’escalation politica-economica tra Cina e USA culminata con l’arresto della figlia del fondatore di Huawei. Nessuna di questa crisi si estinguerà in fretta, gettando le basi di un 2019 “esplosivo”. È quindi opportuno fare un po’ di ordine, riconducendo questi diversi eventi ad un unico discorso: la lotta delle potenze marittime contro l’Eurasia.

Dal golfo di Biscaglia al Mar cinese

Avremmo voluto dedicare le nostre energie alla preparazione del secondo volume di “Terra contro Mare”: l’incalzare degli eventi ci costringe però ad affrontare tramite articoli ciò avrebbe dovuto essere raccontato tramite libro. Amen, ci portiamo avanti col lavoro.

Chi osservi oggi il panorama internazionale non può che rimanere stupito ed intimorito dalla molteplicità di crisi che si accavallano senza sosta: il Regno Unito è quasi certamente destinato ad un rovinoso divorzio con la UE, la Quinta Repubblica sembra scricchiolare sotto l’onda d’urto dei “gilet gialli”, il barometro finanziario dell’Italia segna tempesta, la Crimea è nuovamente motivo di preoccupazione per il braccio di ferro tra Russia e Ucraina attorno allo stretto di Kerch, gli USA minacciano di schierare nuovamente in Europa i missili nucleari a medio raggio, riportando così le lancette dell’orologio indietro agli anni più bui della Guerra Fredda, la tensioni politiche-commerciali tra USA e Cina hanno raggiunto una nuova vetta con il clamoroso arresto della figlia del fondatore di Huawei, colosso cinese delle telecomunicazioni finito nel mirino economico-militare degli USA. Il sommarsi di queste crisi potrebbero facilmente stordire l’osservatore, spingendolo a parlare genericamente di “caos” o “anarchia” internazionale. In realtà, questi fenomeni apparentemente scollegati sono riconducibili alla lotta delle potenze marittime a quelle continentali: nella fattispecie alla secolare guerra degli angloamericani all’Eurasia.

È quindi giunto il momento di fare un po’ di ordine.

Partiamo con una prima carta, per mettere bene in evidenza la dialettica Terra-Mare. Nell’immagine sono ben visibili le tre grandi entità politiche continentali (Unione Europea, Russia e Cina), che occupano buona parte dell’Eurasia e, situate ai margini, le potenze marittime (USA e GB). Quella delle potenze marittime non è solo una marginalità geografica, ma sempre più una marginalità economica e politica. Un crescente numero di attori, dalla Turchia al Pakistan, passando per l’Iran e l’Iraq, guardano ormai alla Russia o alla Cina per sicurezza/investimenti; l’Unione Europea e la Cina rappresentano poi rispettivamente la prima e la terza (aspirante seconda, prima cioè degli USA) economia mondiale. Ora, sic rebus stantibus, l’integrazione tra queste tre grandi entità politiche non farebbe che aumentare col tempo, anche perché, a differenza del Novecento, non esiste più nessuna barriera ideologica a dividerle: Pechino costruirebbe la propria via della seta marittima/terrestre verso l’Europa e Mosca poserebbe volentieri i gasdotti, aprendo il proprio mercato agli investimenti europei. Nel volgere di un decennio scarso, l’influenza mondiale delle potenze marittime crollerebbe.

Occorre quindi agire. Cosa progettano gli strateghi angloamericani? La solida destabilizzazione continentale, già cara a Lord Palmerston, che incendi Europa ed Asia. Nessuna delle tre grandi entità politiche deve quindi essere risparmiata: Unione Europea, Russia e Cina. Ora, apriamo una piccola parentesi sull’Unione Europea: come abbiamo sempre sottolineato nelle nostre analisi, la UE è nata come il corrispettivo politico della NATO, tanto che entrambi le organizzazioni hanno la sede a Bruxelles. La UE, quindi, come “prodotto” angloamericano: nello specifico, come “testa di ponte” angloamericana in Eurasia (Zbigniew Brzezinski dixit). Qualsiasi organizzazione dotata di una propria struttura e di centri decisionali può però, ad un certo punto, emanciparsi, specie se esiste uno o più attori regionali (Germania e Francia), in grado di amministrare autonomamente l’unione. Per usare una similitudine, l’Unione Europea potrebbe ad un certo punto emanciparsi dagli angloamericani come i figli si emancipano dai genitori, andando per la propria strada. Possono USA e GB permettersi l’indipendenza dell’Unione Europea? Assolutamente no. Finché gli angloamericani conservavano l’indiscusso primato economico e militare (1945-2008), era loro interesse difendere ed estendere la CECA-CEE-UE: l’interesse scompare e si trasforma in volontà di distruzione quando questo primato viene meno.

La svolta “sovranista” di Londra (referendum per la Brexit) e Washington (elezioni di Donald Trump) coincide col mutato sentimento dell’establishement atlantico verso l’Unione Europea. Abbiamo già dedicato gli ultimi due nostri articoli a spiegare come l’Unione Europea ed il nocciolo dell’eurozona sarà destabilizzato. Sebbene molte banche d’affari diano ancora l’ipotesi come sfavorita1, è probabile che Londra abbandoni l’Unione Europea nel modo più rovinoso possibile, ossia con l’opzione “no deal”, bocciando l’11 dicembre l’accordo stipulato da Theresa May e lasciando che l’Inghilterra esca dalla UE senza alcuna intesa, entro il 31 marzo 2019. Il burrascoso divorzio di Londra, con importanti ricadute finanziarie ed economiche, sarà l’innesco della “bomba” collocata nel lato meridionale dell’Europa, ossia l’Italia. Il rallentamento economico a livello globale e la nascita di un governo populista (benedetto da Goldman Sachs) rendono infatti la terza economia d’Europa più fragile che mai: è sufficiente uno choc esterno perché il nostro debito pubblico vada incontro a seri problemi di solvibilità. Possono l’eurozona e la UE sopravvivere ad un default italiano/Italexit?

Spostiamoci così al nord delle Alpi. Con il lento eclissarsi di Angela Merkel, la guida dell’Unione Europea è stata formalmente assunta da Emmanuel Macron, che si è fatto portatore del (inconcludente) progetto di riforma dell’eurozona. L’ex-banchiere Rothschild non è certamente popolare, resta il fatto che le possibilità dell’Europa di resistere all’assalto atlantico sono appese alla sua persona. La sua proposta, ai primi di novembre, di creare un esercito europeo per “nous protéger à l’égard de la Chine, de la Russie et même des États-Unis d’Amérique”2, ha scatenato l’immediata ira di Donald Trump, che non si è certamente limitato a rispondere per le rime su Twitter. Se, infatti, il progetto di emancipazione militare europeo andasse in porto, per gli USA diverrebbe molto più difficile “incunearsi” militarmente tra Europa e Russia. Washington ha infatti in serbo per l’Europa un ritorno in grande stile alla Guerra Fredda, così da recidere qualsiasi legame politico-economico tra le capitali europee occidentali e Mosca: verso la fine di ottobre (prima quindi della clamorosa asserzione di Macron) gli USA hanno annunciato la loro uscita dal trattato INF del 1987 che, ritirando i missili nucleari tattici dal suolo europeo, aveva aperto al disgelo tra URSS e USA. Il 4 dicembre, il segretario di Stato Mike Pompeo ha lanciato un ultimatum di 60 giorni alla Russia perché smantelli i propri (presunti) euromissili, lasciando intendere che Washington sarebbe pronta a schierare nuovamente i propri. In questo modo, dalla Romania alla Polonia, si alzerebbe una nuova cortina di ferro, col dispiegamento di armi nucleari tattiche da un lato e dall’altro.

L’intenzione di Emmanuel Macron di emancipare la Francia e l’Europa dalla tutela americana è certamente all’origine della rivoluzione colorata nota come “gilet jaunes”: anziché “la corruzione”, si è scelta questa volta come pretesto per le manifestazioni, sempre più violente, il rialzo delle accise sui carburanti. Donald Trump ha rivendicato, piuttosto sfacciatamente, le

 

Continua qui: http://federicodezzani.altervista.org/geopolitica-applicata-al-2019/ 

 

STORIA

Un medico indaga sulla fine di JFK E punta il dito contro Johnson

www.ilgiornale.it

Fausto Biloslavo – Gio, 27/12/2018

Un medico, la passione per un mito, dieci anni di ricerche e documenti esclusivi sono la chiave di un libro sulla tragica fine di John Kennedy completamente diverso dagli altri 40mila volumi sull’omicidio del presidente americano.

L’originalità salta agli occhi fin dal titolo in inglese, The day before Dallas (Pendragon Editore, pagg. 303, euro 16), che spiega come l’autore, Aldo Mariotto, focalizzi la sua dettagliata ricostruzione sui preparativi del fatidico viaggio. Non solo il giorno prima, ma anche i mesi precedenti, che forse nascondono il mandante dell’assassinio eccellente.

Mariotto di mestiere fa il direttore sanitario a Trieste e grazie alla sua formazione scientifica ha passato ai raggi X un’enorme mole di documenti comprese le ventottomila pagine delle audizioni della commissione Warren sull’omicidio del presidente degli Stati Uniti. E 55 anni dopo Dallas scova carte cruciali finite nel dimenticatoio su uno dei grandi gialli della storia contemporanea. Il medico con il pallino di Kennedy scopre così che il viaggio a Dallas era stato fortemente voluto e organizzato dal vicepresidente Lyndon Baynes Johnson, che da tempo aleggia come il possibile mandante del complotto che ha eliminato Kennedy. Questa volta però, The day before Dallas evidenza le bugie di Johnson, che trascorre quasi un mese in Texas per pianificare il viaggio presidenziale per poi sostenere ufficialmente che non ne sapeva nulla fino all’ultimo momento.

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/medico-indaga-sulla-fine-jfk-e-punta-dito-contro-johnson-1621521.html

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°