NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 25 LUGLIO 2019

Vignetta di Altan

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

25 LUGLIO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

L’esibizione più riuscita è quella che non da il tempo allo spettatore di soffermare lo sguardo.

Perché è risaputo che le cose più belle sono quelle che se ne vanno.

DIEGO DE SILVA, Sono contrario alle emozioni, Einaudi, 2011, pag. 11

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 e 2019 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

25 LUGLIO 1943: LA CADUTA DEL FASCISMO E I SUOI PROTAGONISTI

Integrazione: la chimera che ipoteca il nostro futuro

MAFIA DEI RUBA BAMBINI GIUDIZIARI MAGISTRATI CORREI 1

Anarchici bloccano le ferrovie del Paese: ma il problema non erano i neofascisti? 1

NON POSSIAMO SOSTITUIRE GLI ITALIANI CON IMMIGRATI: VANNO FERMATI 1

Salvini marcia su Bibbiano: «I pm si occupino dei rom». 1

La crisi nello stretto di Hormuz: debolezza iraniana e muro americano. 1

Sapelli: Salvini è la pedina di un attacco all’Eni 1

L’ACCUSA DEL MAGISTRATO: POTENZE STRANIERE USANO ONG CONTRO L’ITALIA. 1 

Nuccio Ordine: la buona scuola è quella dove ci sono buoni professori 

Distrazioni letali 

De Crescenzo e Camilleri. IL CORDOGLIO INVERTITO

DALLA RUSSIA COI SERVIZI (DEVIATI) 1

LA RETE NON È LIBERA. 1

OGGI, 4 ANNI FA, RENZI FIRMAVA ACCORDO PER SCARICARE TUTTI I CLANDESTINI IN ITALIA 

EUNAVFOR MED operazione SOPHIA: mandato prorogato fino al 31 dicembre 2018 1

La frenata della Germania porta anche una buona notizia (per l’Italia) 1

Von Der Leyen monitorerà i conti italiani, ma quelli tedeschi?. 1  

Le società di cartone

Le leggi che cancellano i costumi: è l’ideale totalitario. 1

DI MATTEO VOTATELO, CAMBIERA’ LA STORIA DELLE STRAGI 1

Quelle navi ONG al servizio del capitale: il disegno per abbassare il costo del lavoro 1

Crepuscolo. 1

SHHH… IL NEMICO TI SORVEGLIA. 1

Rivoluzione digitale e letteratura: un’introduzione al problema, senza farsi prendere dal panico 1

ESSERE UNA MACCHINA. 1

Addio allo spirito europeo senza memoria né figli e in piena crisi identitaria. 1 

Tangentopoli si fermò davanti al PCI

 

 

IN EVIDENZA

25 luglio 1943: la caduta del fascismo e i suoi protagonisti

Il Gran Consiglio vota l’Ordine del giorno di Dino Grandi, che destituisce Mussolini. L’illusione della pace e le conseguenze per i 19 membri favorevoli

Edoardo Frittoli – 25 luglio 2017

 

L’ultima drammatica seduta del Gran Consiglio del Fascismo si tenne alle ore 17:00 del 24 luglio 1943, mentre gli Alleati procedevano speditamente verso Messina dopo lo sbarco avvenuto due settimane prima sulle coste meridionali della Sicilia.

Palazzo Venezia l’atmosfera che prelude il più drammatico dei consessi dei vertici del regime è tesissima. Gi ingressi, le scale e le stanze sono presidiate dalla Milizia in armi. Mussolini arriva dopo gli altri, andandosi a sedere sul trono adornato dai fasci littori al centro del tavolo a ferro di cavallo.

È furioso per le cocenti sconfitte militari, e se la prende con i generali italiani lodando invece i vertici militari tedeschi.

Il duce era tornato infatti da poco dall’incontro con Hitler che si era tenuto a San Fermo nei pressi di Feltre (Belluno) appena 5 giorni prima, il 19 luglio. Inizialmente il capo del fascismo aveva rifiutato la richiesta di convocazione straordinaria del Gran Consiglio.

Tuttavia al suo ritorno dall’incontro con il führer si era trovato di fronte al bombardamento di Roma, avvenuto proprio quel giorno, ed alla presa di Palermo da parte degli angloamericani. A malincuore Mussolini accettava la convocazione, avendo notato le crescenti manifestazioni di ostilità al regime in seguito al raid angloamericano sulla Capitale.

A fare l’appello una volta aperta la seduta è il segretario del partito fascista Carlo Scorza, mentre la prima parola spetta al duce che ribadisce immediatamente la sua volontà di onorare il patto con il Terzo Reich.

L’ordine del giorno è presentato da Dino Grandi e riguarda l’articolo 5 dello Statuto Albertino, che prevedeva la facoltà del Re di avocare a sè i poteri di Capo del Governo e delle Forze Armate, da anni saldamente in mano a Mussolini e di ripristinare la funzione del Parlamento e libere elezioni che mancavano da un ventennio.

La spaccatura tra i consiglieri è inevitabile e profonda. Tuona Farinacci il filonazista, minacciando apertamente i promotori dell’ordine. Si oppone il segretario Scorza mentre Mussolini osserva e ascolta scuro e impassibile.

Dall’altra parte il vecchio quadrunviro Emilio De Bono dichiara di non credere ai tedeschi e alle loro offerte di aiuto.

Mussolini cerca di prendere tempo, di rimandare al giorno successivo la votazione. Ma Grandi alle 2 del mattino dichiara che la risoluzione avverrà in un’unica seduta, dopo una breve pausa. Galeazzo Ciano, il genero del duce, è dalla parte di Grandi.

Sostiene che il tradimento tedesco si sia già consumato, avendo Hitler tenuto all’oscuro la diplomazia italiana dei suoi propositi di guerra dopo aver siglato un patto con l’Italia fascista che avrebbe dovuto invece preservare la pace in Europa.

Nel cuore della notte romana i rappresentanti del regime rientrano nella sala del Consiglio, con i volti segnati dalla tensione e dall’ora tarda. L’ultima parola spetta al capo del fascismo, che ribadisce e difende il suo operato vantandosi di essere a conoscenza di certi segreti militari tedeschi che avrebbero presto ribaltato le sorti della guerra. Alla votazione, l’ordine Grandi passa per 19 voti favorevoli e 7 contrari. Mussolini dichiara chiusa la seduta con l’ultima minaccia, esclamando “Voi avete provocato la crisi del regime“, prima di lasciare Palazzo Venezia.

Esattamente 24 ore dopo l’inizio dell’ultimo Gran Consiglio del Fascismo, Mussolini veniva ricevuto dal Re a Villa Savoia. Nonostante il duce avesse cercato di sottolineare il carattere unicamente consultivo del Consiglio,

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https://www.panorama.it/cultura/25-luglio-1943-la-caduta-del-fascismo-e-suoi-protagonisti/#gallery-0=slide-1

 

 

 

 

Integrazione: la chimera che ipoteca il 

nostro futuro

Di Francesco Lamendola del 18 Luglio 2019

 

Integrazione: “La chimera che ipoteca il nostro futuro”. Altro che “Nuova Religione” dell’accoglienza è una ideologia che ha ottuso le facoltà mentali di un intero continente. Cosa ci insegna Guido Piovene nel suo “De America”?

 

Si parla tanto, troppo, di accoglienza, e ovviamente anche del suo logico corollario, l’integrazione. Sono entrambi concetti falsificati e contrabbandati per moneta buona, con un’impudenza che non finisce di lasciare sconcertati, specie in bocca al clero, che in teoria, dovrebbe osservare i Dieci Comandamenti e perciò non dovrebbe mentire, né render falsa testimonianza. L’accoglienza presuppone la condizione di profughi, e nel caso di quanti arrivano via mare, sui barchini o a bordo delle navi delle o.n.g., quella di naufraghi: altre due menzogne. Non è profugo chi parte, munito di telefonino per segnalare la sua posizione, o addirittura avendo già concordato un appuntamento in mare, trovandosi già su un’imbarcazione precaria e passibile di affondare, ma chi viene sorpreso da una disgrazia in mare e, contro la sua volontà, viene a trovarsi in pericolo. Inoltre non è profugo chi emigra per ragioni economiche e, mentendo, si dice vittima di persecuzioni o guerre, ma rifiuta di declinare le sue vere generalità e si fa scudo del buon cuore e del senso di colpa della nazione ospitante. Dunque, se le parole hanno un senso, accogliere i falsi naufraghi e i falsi profughi significa incoraggiare l’invasione dell’Italia e la rapida sostituzione della sua popolazione, che sarà un fatto compiuto nel giro di pochi decenni.

 

 

Stiamo costruendo un castello di menzogne e di mezze verità che finirà per crollare e per travolgerci? L’accoglienza e il suo logico corollario dell’integrazione sono entrambi due concetti falsificati e contrabbandati per moneta buona, con un’impudenza che non finisce di lasciare sconcertati, specie in bocca al clero, che in teoria, dovrebbe osservare i Dieci Comandamenti e perciò non dovrebbe mentire, né render falsa testimonianza!

 

Quanto all’integrazione, i suoi propagandisti non sanno letteralmente quel che dicono: non si sono mai dati il disturbo di vedere se una cosa del genere esista, o quanti secoli, quanti millenni richieda. In India, dove le popolazioni ariane si sono sovrapposte a quelle veda, non è un fatto compiuto nemmeno oggi, visto che le seconde sono scivolati in fondo alla scala sociale e non si sono affatto mescolate ai nuovi venuti: nuovi, si fa per dire: parliamo di circa quattromila anni fa. Gli ungheresi, gli ultimi invasori a giungere in Europa nell’alto Medioevo, hanno avuto oltre un millennio di tempo per integrarsi, e avvalendosi di una serie di circostanze assai favorevoli, comunque non senza prima essersi convertiti al cristianesimo; mentre ciò che predicano i banditori della società accogliente, multietnica e multiculturale, è che ciascun nuovo arrivato conservi felicemente le sue abitudini e tradizioni, a cominciare dalla religione: e sappiamo a quale religione appartengono la maggior parte degli immigrati africani e asiatici, una religione che vieta formalmente le conversioni a un’altra fede. Sempre parlando dei falsi profughi; perché i profughi veri, come i siriani, dopo un anno, due anni, tornano a casa, come è logico e come è giusto che sia:  finita la guerra da cui erano fuggiti, non vedevano l’ora di poter riabbracciare i loro amici e parenti, di vedere se le loro case sono ancora in piedi. Se poi prendiamo come termine di paragone un caso più recente, quello degliStati Uniti d’America, possiamo vedere che né gli abitanti originari, quei pochi sopravvissuti al massacro, né i discendenti degli schiavi che vi giunsero per lavorare nelle piantagioni di cotone e di tabacco, e parliamo di quasi trecento anni fa, si sono per nulla integrati. A meno che si consideri integrazione il fatto che uno di questi ultimi sia stato eletto presidente e qualche altro abbia raggiunto posizioni di vertice nella politica, nell’amministrazione e nelle forze armate (non, però, fatto eloquente, nella finanza, nell’industria, nella cultura o nelle professioni liberali), mentre la massa continua a vivere fisicamente separata, in propri quartieri e con il proprio stile, non senza continui attriti con tutti gli altri – si ricordi la rivolta interetnica di Los Angeles del marzo 1991 – e sempre sul piede di guerra contro le forze di polizia.

 

 

L’Eurabia è già una realtà, dal caso Colonia, alla Svezia fino a noi: l’Italia non ci risulta in guerra con il Marocco, la Tunisia o la Nigeria, i profughi veri, come i siriani, dopo un anno o due tornano a casa mentre la marea di immigrati islamici sono solo “Immigrati economici” che hanno l’obbiettivo, neanche tanto mascherato, di convertire gli Europei all’Islam!

 

C’è, nel De America di Piovene – un libro che è stato scritto quasi settant’anni fa, ma la sostanza non è cambiata -, un piccolo episodio incidentale che esprime con plastica evidenza questo concetto, ma è chiaro che gli italiani o hanno la memoria corta, o non hanno mai letto quel libro; in altre parole, che non sono disposti a sottomettersi ai fatti, se questi hanno il vizio di dare torto alle loro convinzioni ideologiche. Comunismo e cattolicesimo di sinistra, le due ideologie che hanno plasmato la mente e l’immaginario degli italiani nei

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http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/storia-e-identita/eurabia-e-civilta-occidentale/7765-la-chimera-integrazione

 

 

 

MAFIA DEI RUBA BAMBINI GIUDIZIARI MAGISTRATI CORREI

24 luglio 2019 Mauro Mellini

 

Tra le notizie di crimini spaventosi che quotidianamente apprendiamo da stampa e televisione, forse più spaventosa ed allarmante delle altre è quella dell’organizzazione in seno ai “Servizi Sociali” di Reggio Emilia, che, producendo falsi rapporti e “prove” di delitti di genitori contro i loro bambini, ne otteneva il vero e proprio “rapimento” (Kidnapping, lo battezzarono gli Americani al tempo del caso Lindbergh).

Ora la “Magistratura indaga” e pare che già, sottratti dei bimbi così rapiti alle case-famiglia, autentiche case di “deposito” dei rapiti, li sta restituendo ai genitori che, con terribili minacce per la vita dei bambini, erano stati messi in condizione di non poter validamente reagire.

Già. La Magistratura indaga ed il Tribunale dei Minori di Bologna restituisce i piccoli ostaggi (destinati alla “vendita” a coppie in cerca di adozioni) ai genitori.

Evviva il Tribunale dei Minori??

NO! Evviva un cavolo!!! Il rapimento mostruoso, il “kidnapping giudiziario” non è potuto avvenire senza una sostanziale complicità di quel Tribunale.

Se i “Servizi Sociali”, divenuti brutali associazioni a delinquere, hanno potuto mandare ad effetto i loro delitti, ciò è avvenuto perché di fronte a così gravi accuse a quei poveracci ed a così terribili provvedimenti da emettere, il Tribunale dei Minori si è rimesso puramente e semplicemente “come di consuetudine” al rapporto dei delinquenti dei “Servizi Sociali”, ai “desiderata”, cioè, della mafia, senza sentire il bisogno di condurre un’inchiesta propria, di interrogare quei poveretti etc. etc.

Ho già scritto quel che mi capitò quando ero Deputato. Presentai una interrogazione perché, di fronte ad uno dei più naturali episodi di infantile irrequietezza (un bambino si era arrampicato per recuperare il pallone finito sul balcone di un coinquilino) il Tribunale dei Minori, guarda caso, proprio quello di Bologna, aveva “parzialmente condiviso” il parere espresso “a seguito di indagini sulle condizioni famigliari del minore accusato di violazione di domicilio” con il quale si “analizzava il comportamento “criminale” attribuendone l’origine al desiderio di “evasione”. Evasione da che cosa? Dai “rigori militareschi” dell’educazione paterna (il piccolo era orfano della madre) che “evidentemente” gli veniva somministrata da un padre Maresciallo dei Carabinieri.

Come tale il troppo (presuntivamente!) militaresco Maresciallo dell’Arma Benemerita doveva essere privato dell’esercizio della patria potestà con “ricovero” del piccolo in un istituto. Il Tribunale dei Minori, specificando che tale

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http://www.lavalledeitempli.net/2019/07/24/mafia-dei-ruba-bambini-giudiziari-magistrati-correi/

 

 

 

 

Anarchici bloccano le ferrovie del Paese: ma il problema non erano i neofascisti?

di Gabriele Tebaldi – 24 luglio 2019

L’attentato compiuto da un gruppo di anarchici che ha paralizzato la rete ferroviaria italiana, smaschera ancora una volta l’inadeguatezza della narrazione mediatica, diventata ormai mero megafono di potenti gruppi editoriali.

Siamo a Rovezzano, alle porte di Firenze ed è un lunedì come un altro. Come ogni mattina folti gruppi di pendolari e viaggiatori vari si affidano al treno per arrivare chi a lavoro, chi dalla famiglia e chi in vacanza. Tutti ignari del fatto che un gruppetto ancora non identificato di teppistelli anarchici abbia appena appiccato tre roghi nei pressi di una cabina elettrica dell’alta velocità.

Il risultato: rete ferroviaria bloccata e Italia praticamente tagliata in due. Inutile sottolineare i ritardi, i disagi e i soldi persi a causa di un gesto tipico del bambino viziato ed annoiato che in mancanza di divertimenti, trae giovamento dalla sofferenza altrui.

Non riusciamo a trattenere la nostra emozione nel constatare come questo gigante chiamato Potere abbia sempre e comunque i piedi di argilla. Come sia sufficiente accendersi una sigaretta all’aria aperta in campagna e sotto la luna per mandarlo in tilt. Come tutta la sua esaltata magnificenza, tutta la sua tracotante invincibilità, dipendano da fragili cavi disseminati un po’ dovunque

Si legge sul sito internet Finimondo.org

uno dei tanti portali della galassia anarchica italiana, che cosi rivendica il gesto. Aldilà del pensiero delirante, che ricorda da vicino il folle personaggio del Joker di Batman, l’attentato sarebbe riconducibile in realtà ad uno squallido gesto di vendetta. Nello stesso giorno, infatti, la Corte di assise di Firenze aveva emesso la condanna per 28 anarchici accusati di vari reati. Associazione a delinquere, preparazione di ordigni e tentati omicidi, sono alcuni dei capi d’accusa che hanno portato alla condanna dei 28 delinquenti.

Ora, alla luce di questo grave episodio, stupisce la leggerezza con cui i media italiani hanno divulgato la notizia, relegandola quasi come semplice fatto di cronaca. Stupisce perché avrebbe dovuto essere lo spunto ideale per sottolineare la pericolosità che i gruppi anarchici, largamente presenti nel territorio italiano, rappresentano per lo Stato, le sue istituzioni e il suo corretto funzionamento. Invece il ruolo anarchico nella vicenda è stato posto in secondo piano. Un atteggiamento che stride particolarmente con la modalità di narrazione mediatica adottata a seguito del ritrovamento dell’arsenale di armi nelle mani di gruppi neonazisti. In quel caso infatti i media italiani avevano deciso di enfatizzare, giustamente, l’appartenenza politica, nonché il carattere eversivo dei trafficanti di armi e la loro pericolosità nei confronti dello Stato, invocando

 

http://www.abbywinters1.com/index.htm

 

http://www.elzeviro.eu/affari-di-palazzo/anarchici-bloccano-le-ferrovie-del-paese-ma-il-problema-non-erano-neofascisti.html

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

NON POSSIAMO SOSTITUIRE GLI ITALIANI CON IMMIGRATI: VANNO FERMATI

23 luglio 2019

Marco Bertolini, ex comandante del Coi, comando operativo di vertice interforze spiegò in un’intervista cosa fare contro quella che, anche lui come noi, definiva ‘invasione’, e non ‘immigrazione’.

Generale, in che situazione versa il nostro Paese?

«L’Italia si trova al centro del Mediterraneo e nel Mediterraneo bisogna essere forti, politicamente, economicamente, culturalmente e, perché no, anche militarmente. Il nostro Paese, invece, non vuole esercitare la forza. In quest’area si scontrano gli interessi di altri Paesi fortissimi, che sono i classici vasi di ferro e se noi ci proponiamo come vaso di coccio, perché abbiamo dei confini porosi, perché accettiamo chiunque arrivi, perché siamo passivi nei confronti delle iniziative politiche e militari degli altri, siamo destinati a pagarla molto cara».

Dove pensa arriveremo se dovessimo proseguire su questa strada?

«Se dovessimo andare avanti in questa maniera scompariremo. Si usa il termine sovranità come se fosse una bestemmia dimenticando che, invece, è il valore per cui hanno giurato i militari, ma anche i ministri».

Con la linea suggerita dall’est Europa pensa cambierebbe qualcosa?

«Sicuramente potremmo essere meno passivi nei confronti dell’immigrazione. Il problema va risolto in Africa, ma non possiamo aspettare anni. Come facciamo a ridurre il flusso? Non possiamo costruire un muro in mezzo al Mediterraneo, ma possiamo fermare, ad esempio, le Ong».

A proposito di Ong, che pensa del loro operato?

«Che la devono smettere di prendere i migranti e di portarli da noi, che passivamente li dobbiamo subire

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https://voxnews.info/2019/07/23/generale-non-possiamo-sostituire-gli-italiani-con-immigrati-vanno-fermati/

 

 

 

Salvini marcia su Bibbiano: «I pm si occupino dei rom»

Il ministro annuncia indagine su affidi e case-famiglia. «Non avrò pace fino a che l’ultimo bambino non sarà tornato a casa dai suoi genitori»

«Non avrò pace fino a che l’ultimo bambino sottratto ingiustamente alle famiglie non tornerà a casa da mamma e papà». Matteo Salvini arringa la folla dai gradini del municipio di Bibbiano, indagine “Angeli e Demoni”. Parla «da papà, prima che da ministro», promette una commissione d’inchiesta entro agosto e prende le distanze dalle polemiche grilline contro il Pd: «non è una questione di colore politico». Ma rilancia la sua battaglia contro i rom, quelli sì meritevoli di essere allontanati dai propri figli.

La giornata di Salvini

La marcia su Bibbiano del ministro dell’Interno si apre con l’incontro con alcuni genitori, che hanno chiesto a Salvini di poter riabbracciare i propri figli. Perché anche se lo scandalo documentato dall’inchiesta riguarda sei casi – e quattro bambini, proprio lunedì, sono tornati dai genitori naturali su decisione del Tribunale dei minori – i numeri degli affidi in Emilia e Romagna, afferma il ministro, sono esorbitanti.

«Solo negli ultimi anni sono 10mila i bambini portati via ai genitori in Emilia e Romagna – dice -. È un numero che non esiste, sul quale andremo fino in fondo». Difficile stabilire che lasso di tempo interessi questo dato. Quel che è certo, però, sono gli impegni presi davanti alla folla urlante che invoca giustizia e punizioni esemplari, come «il taglio della pensione per queste persone». Salvini asseconda gli appetiti della gente. «Il posto giusto per certa gente è la galera», afferma e preannuncia le iniziative leghiste: «entro i primi giorni d’agosto verrà approvata una commissione d’inchiesta sulle case famiglia» proposta dalla presidente della Bicamerale Infanzia, Licia Ronzulli.

Pd all’attacco

La presenza di Salvini a Bibbiano, per la vicesegretaria Paola De Micheli il Pd, non sarebbe altro che una «passerella di dubbio gusto». Ma sul punto il capo del Viminale è categorico: «dovrebbero parlare con quelle mamme e quei papà a cui sono stati rubati bambini con false perizie ed elettroshock (elemento smentito dagli inquirenti, ndr)».

Salvini dribbla, però, l’altra polemica politica, quella veicolata, nei giorni scorsi, dal leader grillino Luigi Di Maio, che ha definito il Pd «il partito di Bibbiano». Un collegamento ipotizzato per via del coinvolgimento nell’inchiesta del sindaco Pd Andrea Carletti, ma smentito dal capo della Procura di Reggio Emilia, che ha precisato che Carletti «non è coinvolto nei crimini contro i minori». Insomma, quella

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https://ildubbio.news/ildubbio/2019/07/24/salvini-marcia-su-bibbiano-i-pm-si-occupino-dei-rom/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

La crisi nello stretto di Hormuz: debolezza iraniana e muro americano

Niram Ferretti – 21 luglio 2019

 

La partita che si sta giocando in questi giorni nello Stretto di Hormuz dove due petroliere inglesi, la Sienna Impero e la Mesdar (quest’ultima poi rilasciata) sono state sequestrate dai Pasdaran iraniani, è uno dei tasselli della partita più grande che vede contrapporsi Stati Uniti e Iran.

L’uscita dal JCPOA (l’accordo sul nucleare iraniano) da parte dell’amministrazione Trump e la reintroduzione di sanzioni draconiane nei confronti del regime di Teheran che hanno fortemente colpito l’economia iraniana, è la causa di quanto sta accadendo in questi giorni.

C’è un punto fermo della dottrina Trump che va messo in chiaro, ed è l’idea che in un contesto globale di players in competizione per l’affermazione della propria sfera di potere, le potenze in contrasto con gli Stati Uniti (Cina, Iran, Russia, Nord Corea) non solo devono essere frenate, ma “costrette” come nel caso lampante dell’Iran, a negoziati che ne limitino l’aggressività.

La soluzione diplomatica è l’esito a cui mira l’amministrazione in carica, ma, diversamente da quella precedente, facendo sentire tutto il peso della propria potenza. In questo approccio è evidente l’impostazione teorica hobbesiana del Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton; l’unica diplomazia efficace è quella che si esercita all’ombra della forza.

Nel suo discorso alla Heritage Foundation del 21 maggio 2018, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato in modo esplicito le condizioni che gli Stati Uniti pongono all’Iran. Condizioni espresse in dodici punti programmatici, tra i quali, imprescindibili, la cessazione permanente dell’arricchimento dell’uranio, la piena disponibilità ad aprire tutti i siti nucleari alla AEIA per le ispezioni, la cessazione della proliferazione dei missili balistici, la fine della sponsorizzazione di gruppi terroristici come Hezbollah, Hamas e la Jihad islamica (i tre principali avversari di Israele, di cui il più pericoloso è il gruppo integralista libanese). Solo quando queste e altre condizioni verranno ottemperate, le sanzioni americane verranno sollevate.

Alle richieste degli Stati Uniti, l’Iran ha risposto cercando una sponda con l’Europa nel

 

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https://www.italiaatlantica.org/post/la-crisi-nello-stretto-di-hormuz-debolezza-iraniana-e-muro-americano?fbclid=IwAR1QSMBPv1jphUroyLYZU41s1mGdFZONq1pfJxyxl9HnixtJpvQ1NynfKOI

 

 

 

Sapelli: Salvini è la pedina di un attacco all’Eni

18.07.2019 – int. Giulio Sapelli

Il Russiagate è un’operazione politica come quella della vecchia Tangentopoli ’92-94: cambiano i registi, ma lo scopo è lo stesso

Esce allo scoperto il “terzo uomo” dell’Hotel Metropol, nell’ambito dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega: è Francesco Vannucci. Dmitri Peskov, portavoce di Putin, nega che il Cremlino possa avere dato fondi al partito di Salvini come ad altri politici o partiti italiani. La procura di Milano delude le attese di M5s e Pd, dicendo che l’audizione del ministro dell’Interno non è necessaria. Sono le novità di ieri sul fronte del Russiagate, che continua a tenere sulla corda tutta la politica italiana. Giulio Sapelli, economista, invita però ad allargare la prospettiva.

Professore, cosa pensa dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega?

Va collegata a molte cose. In primo luogo a quello che è successo in Austria, dove il giochetto è servito a liquidare una maggioranza di governo sgradita all’Ue: un patto inedito tra un partito aderente al Ppe e un partito di destra, candidato a trasformarsi e ad assumere maggiore responsabilità politica.

Continui.

Il caso Metropol è esploso dopo che la sindaca di Parigi ha concesso la massima onorificenza della città, la Medaglia Grand Vermeil, alla capitana Rackete. C’è un concerto internazionale – e nazionale – per far fare a Salvini la fine di Craxi. Ovviamente i francesi sono in prima fila.

E in Italia?

La7, di proprietà di un imprenditore che aspira ad entrare in politica e a fare il capo del governo, ha appena fatto uno speciale su Tangentopoli dove Di Pietro, Colombo e soprattutto Davigo hanno dato la linea politica.

Chi è stato secondo lei a raccogliere la registrazione al Metropol?

Non sono stati gli Usa. Mi pare piuttosto il tipico gioco della disinformacija russa: dare a tutti i cani un piccolo bocconcino, in modo che girando qua e là, li diffondano. Ezio Mauro sente “l’odore del sangue dell’animale ferito”. È quello che scrivevano i fascisti quando parlavano degli inglesi o degli ebrei.

Le procure sono sempre al lavoro. Differenze tra ieri e oggi?

Nel ’92-94 si trattò di un di un grande disegno internazionale con a capo la centrale del mercatismo mondiale che era Londra. Adesso la disgregazione dello Stato italiano ha colpito anche la magistratura, come si vede dalla crisi del Csm.

Questo cosa comporta?

Una lotta senza esclusione di colpi. Anche il grande capitalismo finanziario, che aveva le sue cuspidi nelle grandi logge scozzesi, adesso è diviso: tutti fanno quello che vogliono, dalle massonerie francesi a quelle tedesche. L’Ue sta implodendo, tutto è molto più complicato da gestire anche per loro.

Ci vuole dire con più precisione chi o che cosa si tratta di gestire?

Il problema è che certi gruppi puoi farli salire, agevolandone la presa del potere, ma poi le persone fanno quello che vogliono.

Si riferisce ai 5 Stelle?

Certo. Alcuni sono manovrabili, altri no e questo crea grandi problemi. Anche se sono stati scelti con cura per il loro compito.

Qual era?

Continuare il lavoro di Monti. L’esempio più chiaro è sotto gli occhi di tutti: l’accanimento sull’Ilva. Indebolire la seconda potenza industriale europea, già fiaccata dalle privatizzazioni modello Eltsin-Menem-Prodi, fa gola a molti. Non ci vuole un genio per capirlo.

Di quale modello parliamo?

Delle privatizzazioni che hanno distrutto i grandi gruppi statali attraverso gli spezzatini finanziari. Eltsin distrusse il patrimonio russo dandone una parte al notabilato vecchio e nuovo, una parte all’ex burocrazia comunista e un’altra parte ai grandi investitori stranieri. Ha fatto scuola.

E l’Ilva?

Siamo arrivati al colpo finale: se chiudono l’Ilva, i 5 Stelle hanno assolto il loro compito.

A quel punto?

A quel punto M5s non serve più. All’Italia invece serve la Lega. Ma qui Salvini paga il suo più grande errore: invece di corteggiare Orbán, avrebbe dovuto dare battaglia al Fiscal Compact dall’interno del Ppe.

Adesso cosa può fare Salvini?

Per prima cosa deve andare in Parlamento a riferire sulla vicenda. Poi deve fare bene il ministro dell’Interno: in parte lo sta facendo, dando allo Stato il compito di regolare le migrazioni sottraendole al mercato. Farebbe ancora meglio se di tanto in tanto concedesse di più alla misericordia. Però non basta. La Lega deve elaborare in modo più compiuto una politica economica non ordoliberista e approfondire la sua fisionomia di partito dei produttori.

L’incontro con le sigle sindacali e datoriali che tanto ha indispettito Conte e Di Maio non va in questa direzione?

Non lo avrei fatto al Viminale, piuttosto in una sede della Lega. Non è stato ciò che poteva essere: una grande assemblea di profilo più alto, dei veri e propri Stati generali della produzione. Per concepire una cosa del genere però occorre sostituire i social con la politica.

Sta rimproverando a Salvini, il più scaltro animale politico italiano, un deficit di politica. Ci spieghi meglio.

Solo se rappresenta veramente la borghesia nazionale, l’industria, le Pmi la Lega può rafforzare i suoi legami con gli Usa, evitando di cadere nelle braccia dell’imperialismo cinese e salvando così il paese.

Quello che è successo al Metropol va attribuito alla superficialità o a una trappola?

Le trappole per funzionare hanno bisogno della leggerezza delle loro vittime. Se vuoi guidare il paese devi avere la consapevolezza che vogliono eliminarti, proprio come un toro alla corrida.

Secondo lei fa bene o no la Lega ad intrattenere rapporti così stretti come sembra con la Russia?

La domanda è mal posta. Salvini ha ragione a dire che le sanzioni alla Russia sono sbagliate. Anzi: questo è perfettamente in linea con la vecchia politica estera italiana. La Dc, da posizioni atlantiste, ha sempre parlato con Mosca. Oggi la Russia ha rispolverato la teoria di Primakov, maestro di Lavrov: il ritorno nei mari caldi. Mosca vuole giocare un ruolo euroasiatico di primo piano. Salvini lo ha capito, ma serve una politica estera.

In concreto che cosa significa?

Il vassallo ha un suo ruolo: può fare cose che non può fare l’imperatore. Gli Usa non possono avere un rapporto scoperto e destabilizzante con la Russia di Putin, ma è evidentemente interesse dell’America tirare la Russia dalla propria parte contro la Cina. L’Italia deve elaborare e difendere il proprio “interesse prevalente”, come avrebbe detto Dino Grandi. Facendo in

 

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https://www.ilsussidiario.net/news/russiagate-sapelli-salvini-e-la-pedina-di-un-attacco-alleni/1906048/

 

 

 

L’ACCUSA DEL MAGISTRATO: POTENZE STRANIERE USANO ONG CONTRO L’ITALIA

24 luglio 2019

 

Carlo Nordio è un magistrato che tutti gli innocenti vorrebbero incontrare sulla propria strada.

Subito dopo la vicenda di Carola Rackete, ha scritto che «la concentrazione di imbarcazioni ong diretta alle nostre coste è troppo massiccia per essere casuale, ed anche senza evocar complotti è ragionevole pensare che la strategia per mettere in difficoltà il nostro Paese sia ben più raffinata di quella rappresentata dalla singola capitana».

Ieri, in un’intervista, ha spiegato chi avrebbe interesse ad indebolire la sovranità italiana.

«Una coincidenza è una coincidenza, ma due coincidenze sono un indizio e tre fanno quasi una prova. Vi è stata, in quei giorni, una concentrazione tale di ong e una spavalderia nello sfidare le nostre leggi che è più facile pensare a una strategia pianificata, piuttosto che a una serie casuale. Molti Paesi hanno interesse a destabilizzare il nostro governo, e questo può esser ritenuto un mezzo efficace».

Francia e Germania. Che poi sono i Paesi da cui provengono praticamente tutte le ong. E i finanziamenti alle ong.

La SeaWatch è sotto sequestro. Sostituita dalla nuova nave dei Medici Senza Frontiere ma con portafogli, Ocean Viking in arrivo nel Mediterraneo: si blocchi l’ingresso allo Stretto di Gibilterra per questa nave illegale finanziata dal Comune di Parigi.

La Alan Kurdi, di Sea Eye, è una nave tedesca finanziata da Vaticano e protestanti tedeschi.

La Open Arms è una nave a cui lo Stato di bandiera, la Spagna, ha vietato le attività di soccorso.

Andrebbero abbordate come i Pasdaran hanno abbordato la petroliera britannica e poi affondate. Se possibile senza l’equipaggio.

Insomma, ad oggi abbiamo una flotta di ong franco-tedesche finanziate con capitali francesi e tedeschi (e vaticani) con l’intento di traghettare clandestini in Italia: è una dichiarazione di guerra.

Macron ha del resto chiaramente intimato all’Italia di lasciare sbarcare nei propri porti tutte le navi straniere che raccattano clandestini in Libia:

 

Voleva farne una politica Ue. Al tempo del Pd ci sarebbe riuscito, visto che Renzi aveva anche firmato in tal senso. Perché tutta la nostra debolezza in Europa nasce dalle politiche arrendevoli dei governi precedenti. In cambio di poltrone per i loro accoliti, quelli che ci governavano aprivano i nostri porti: Mogherini con poltrona e più clandestini per noi.

Ma i tecnici del Viminale inviati alla riunione informale sulle Migrazioni nel Mediterraneo – appendice del vertice dei ministri dell’Interno europei svoltosi ad Helsinki la settimana scorsa – hanno sventato il blitz di Macron, stoppando

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https://voxnews.info/2019/07/24/laccusa-del-magistrato-potenze-straniere-usano-ong-contro-litalia/

 

 

 

CULTURA

Nuccio Ordine: “la buona scuola è solo quella in cui sono buoni professori”

di Aurora Pepa – 19 Febbraio 2018

In un periodo buio, buissimo, per il sistema dell’istruzione nazionale, che sempre più sta gettando nel dimenticatoio la vera essenza dell’importanza della formazione, ci sono ancora – per fortuna – docenti che si rifiutano di concepire quello scolastico come un ambiente dove parcheggiare giovani apatici nel periodo di vita che va dall’infanzia all’adolescenza. Nuccio Ordine è uno di questi: tenta di ribellarsi alla legittimazione smisurata dell’utilizzo degli smartphones in classe, si oppone all’idea che l’alternanza scuola-lavoro possa sostituire le ore di lezione tradizionali, crede ancora con forte convinzione che la cultura sia uno degli aspetti più utili nella vita di un essere umano e di un Paese.

Professor Ordine, l’“utilità dell’inutile”, prima ancora di essere il titolo di un suo libro, è un concetto. Cosa significa?

Si tratta di due termini che, per essere capiti, vanno inseriti in un contesto ben preciso: se noi volessimo sapere cosa è utile e cosa è inutile nella nostra società, basta guardare i bilanci dei governi. Semplicemente, è utile ciò che non viene tagliato. Inutile è invece ciò che viene tagliato: la scuola e l’università, la cultura, le biblioteche e i beni archeologici.

Come è possibile che la cultura sia ritenuta inutile?

Essa non produce profitto ed il vero dramma è che proprio i saperi in senso lato, che dunque non producono profitto, sono invece a mio avviso ciò di cui l’umanità ha più bisogno. La letteratura, la filosofia, l’arte, le biblioteche, gli scavi archeologici … Sono tutti fondamentali per cercare di rendere più umana l’umanità.

Che futuro prevede per il mondo della scuola, dell’università e dell’istruzione in generale?

Di fronte a noi, adesso, abbiamo un quadro disastroso: siamo in un momento in cui la scuola soffre perché non ci sono finanziamenti, in cui si riducono i sostegni alle università e alla ricerca scientifica di base, in cui il numero dei docenti si è ridotto vorticosamente negli ultimi anni a causa dei pensionamenti non rimpiazzabili. La tendenza generale è quella di pensare che la scuola moderna, la cosiddetta “buona scuola”, consista nell’investimento di soldi per la scuola digitale: questa è una follia terribile! Introdurre e legittimare, come è stato fatto negli ultimi giorni, l’uso dello smartphone in classe è una pazzia. Si crede che per leggere Dante e per studiare Kant sia necessario avere il supporto digitale, quando invece tutti sappiamo che la “buona scuola” la fanno solo e soltanto i buoni professori. Anziché investire per la formazione, per la selezione e per la retribuzione dei docenti, ci siamo abituati a pensare che un professore che abbia una classe fornita di smartphone possa far circolare meglio il sapere.

Cioè?

Basterebbe guardare ciò che è accaduto in Paesi che hanno già fatto questi esperimenti, come il Regno Unito: lì, si sono spesi milioni e milioni di sterline per investimenti di tipo digitale e, alla fine, gli ispettori non riescono ancora a comprendere se e in quale modo tali dispositivi digitali siano riusciti realmente a far studiare meglio i ragazzi. Al contrario, numerosi studi dimostrano che, utilizzandoli, gli studenti si distraggono molto più facilmente: un vero e proprio grido d’allarme, perché oggi i nostri giovani passano troppo tempo davanti agli schermi di cellulari e computers. La scuola dovrebbe disintossicarli da questi dispositivi.

E invece?

E invece questa scuola è una scuola costruita male, perché fa credere agli studenti che si debba studiare per imparare un nuovo mestiere: è una scuola che produrrà solamente buoni consumatori che, in maniera sempre entusiastica, acquisteranno dispositivi elettronici pensando che il sapere e la modernità passino attraverso tali strumenti.

Quanto le nuove generazioni percepiscono come utile – se effettivamente così la percepiscono – la cultura?

È questo il nodo centrale: gli studenti hanno la percezione che viene loro suggerita dalla scuola e dalla società. Molti colleghi, in maniera a mio avviso errata, puntano il dito contro gli studenti accusandoli di essere poco partecipativi e disinteressati, ma gli studenti sono semplicemente il frutto di questo tipo di società. La società li schiavizza, facendo loro credere che la scuola serve non ad insegnare qualcosa e a farli diventare uomini migliori, ma a proiettarli già in un mestiere che porterà al guadagno di soldi: è anche questa una forma di corruzione.

Ad esempio?

Basti pensare alla domanda “che cosa vuoi fare da grande?” che viene sempre sottoposta ai ragazzini di terza media, di modo che essi scelgano la scuola superiore e poi l’università già in sintonia con un disegno prestabilito. Questo dimostra che gli studenti non riescono più a comprendere il valore in sé della cultura: etimologicamente, “scuola” deriva dal greco “scholé”, che significa otium ed è per questo che a scuola si va per diventare migliori, non per  fare cose che si possano poi tradurre in una utilità di tipo economico. Eppure, la parte migliore di questo Paese sono proprio gli studenti!

Che significa?

Quando gli studenti trovano un professore motivato, che ama ciò che insegna e che entra in

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https://www.interessenazionale.net/blog/nuccio-ordine-buona-scuola-solo-quella-cui-sono-buoni-professori

 

 

 

Distrazioni letali

Neil Postman

 

Aspettavamo tutti il 1984. Arrivò, ma la profezia non si avverò; gli americani più riflessivi tirarono un sospiro di sollievo, congratulandosi per lo scampato pericolo. La democrazia aveva resistito. Altrove nel mondo forse c’è stato il terrore; a noi sarebbero stati risparmiati gli incubi di Orwell.

Avevamo dimenticato che, oltre alla visione infernale di Orwell, qualche anno prima ce n’era stata un’altra, forse meno nota anche se altrettanto raggelante: quella del Mondo Nuovo di Aldous Huxley. Contrariamente a un’opinione diffusa anche tra persone colte, Huxley e Orwell non hanno profetizzato le stesse cose. Orwell immagina che saremo sopraffatti da un dittatore. Nella visione di Huxley non sarà il Grande Fratello a toglierci l’autonomia, la cultura e la storia. La gente sarà felice di essere oppressa e adorerà la tecnologia che

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https://finimondo.org/node/2351

 

 

 

De Crescenzo e Camilleri. Il cordoglio invertito

di Roberto Pecchioli – 23 luglio 2019

 

De Crescenzo e Camilleri “il cordoglio invertito”: perché l’Italia ufficiale ha preferito tributare un omaggio esagerato e politicamente orientato a Camilleri e lasciare un po’ in disparte uno dei suoi ultimi “veri intellettuali”

In questo torrido luglio in cui le notizie arrivano attutite, assopite anch’esse tra afa e temperatura, due intellettuali novantenni hanno lasciato la vita. Luciano De Crescenzo avrebbe compiuto 91 anni tra un mese, Andrea Camilleri viaggiava verso i 94. Uno, De Crescenzo, si era allontanato dai riflettori già da qualche anno, l’altro ha conosciuto la celebrità in vecchiaia grazie ai gialli sul commissario Montalbano divenuti trionfo televisivo, ammalandosi mentre preparava una performance teatrale nei panni del mitico Tiresia, l’indovino cieco della tradizione greca.

Il rispetto per il mistero della morte, unito all’età grave di entrambi, impone parole di circostanza, pronunciate a bassa voce, mezzi toni che contrastano con il rumoroso cordoglio che ha accompagnato la dipartita di entrambi, specialmente quella di Camilleri. Una volta ancora, la fine di un esponente della sinistra è stata accompagnata dalla sopravvalutazione della sua figura e della sua opera. Lo confessiamo: siamo tra i rari italiani a cui non piace il commissario Montalbano, infastiditi dall’ingombrante presenza del suo autore, che per anni ha accompagnato le serie televisive con le auto recensioni, una sorta di esegesi o interpretazione autentica di Montalbano ad uso dei telespettatori. Apparteniamo invece alla schiera degli ammiratori incondizionati di Luciano De Crescenzo, lo straordinario ingegnere, filosofo, scrittore, divulgatore culturale, personaggio televisivo, attore e tanto altro ancora.

L’omaggio a Camilleri ci è parso esagerato, scomposto, animato dalla consueta autoreferenzialità del milieu culturale italiano, rafforzato per l’occasione da ampi settori della politica e delle istituzioni. Il cordoglio, diciamolo senza infingimenti, ha riguardato soprattutto le idee politiche di Camilleri. Iscritto al Partito Comunista fin da giovane, ma non certo discriminato dalla televisione democristiana in cui lavorò per decenni come autore e sceneggiatore, era il perfetto rappresentante dell’intellettuale organico italiano che ha attraversato l’interminabile dopoguerra. Sinistrissimo, nemico giurato di Berlusconi prima, di Salvini ultimamente ( in una delle ultime dichiarazioni pubbliche affermò che il leghista lo faceva vomitare) , ateo, tanto che è stato sepolto nel cimitero acattolico di Roma, negli ultimi anni appariva come una sorta di vate, un grillo parlante vetero comunista, davvero un’imitazione di Tiresia, in grado di discettare come l’oracolo di Delfi sull’universo mondo, favorito nell’impresa dalla voce profonda, dalla cadenza siciliana arrochita per il fumo e da quella presenza scenica forte, indiscutibile, che riempiva lo schermo.

Eppure, al di là della santificazione della sua parte politica, egemone culturalmente nonostante decenni di sconfitte, non ci sembra un grande. Il personaggio che gli ha dato notorietà e quattrini (si può almeno sfiorare l’argomento, parlando di un monumento, un venerato maestro della sinistra?) non è poi granché. La forza di Montalbano non sta nelle trame, che in televisione appaiono lente e lunghe, né nelle fulminee intuizioni di poliziotto. E’ un misto, un’alchimia tra la prodigiosa prestazione di Luca Zingaretti, l’attore che lo ha impersonato fino a diventare lui steso Salvo Montalbano e la rappresentazione di una Sicilia oleografica, inventata, a partire dal linguaggio e dai nomi delle città. Grande è stata la capacità degli sceneggiatori di scegliere scorci straordinari dell’isola, un mix di Ragusa Ibla, Modica, Scicli, Scoglitti e il suo mare, per ricreare e restituire al pubblico la luce accecante e insieme le penombre di una terra senza mezze stagioni.

In più, alcuni personaggi sono apparsi in televisione ben diversi da come il Camilleri scrittore li aveva descritti nei libri: il povero poliziotto Catarella ridotto a macchietta pressoché analfabeta tra strafalcioni e testate nella porta dell’ufficio dell’ammiratissimo Montalbano, il vicecommissario Augello ridotto a erotomane belloccio, onesto e un po’ tardo. La genialità dei registi, dello stesso Camilleri, esperto uomo di comunicazione televisiva, è stata trovare maschere di contorno che hanno conquistato il pubblico, come il medico legale magistralmente disegnato dall’attore Marcello Perracchio, anch’egli defunto. Almeno due espressioni sono diventate tormentoni popolari, l’immancabile “Montalbano sono”, e l’intercalare seccato del medico Pasquano, “non mi rompa i cabbasisi”, il nome dialettale di ascendenza araba di certe bacche dai frutti ovoidali. Camilleri è stato l’inventore di una lingua che non c’è, ungrammelot dialettale siciliano molto televisivo, immaginifico, splendidamente padroneggiato da Zingaretti e dagli altri attori. Lo scrittore è stato assai inferiore al Camilleri esperto televisivo. Resta però il fastidio per il retrogusto orientato politicamente di tutti gli episodi, tutto il bene da un lato, ogni male dall’altro, la simpatia mai celata per gli stranieri immigrati, il furore moralistico contro la parte politica avversa, dipinta in un continuum di corruzione, malvagità e depravazione. Un manicheismo che adesso, post mortem, ci appare meno negativo, ma che ha appesantito le dichiarazioni dell’uomo e le prestazioni dello scrittore. L’interessato cordoglio “politico” non ha nascosto il rimpianto per l’uomo di parte, più che per l’artista.

Chi avrebbe meritato gli onori riservati a Camilleri è il suo quasi coetaneo De Crescenzo, sintesi perfetta della migliore intellettualità napoletana, unita al respiro universale e alla leggerezza sorridente dei grandi. La sua biografia è di per sé un romanzo: figlio della borghesia partenopea, scelse di studiare ingegneria anziché l’amata filosofia per seguire una ragazza. Si innamorò dell’intelligenza di un grande matematico (il fascino del pensiero astratto!) e fece un’ottima carriera alla IBM. Poi, attraverso Renzo Arbore, geniale scopritore di talenti, approdò alla televisione, quindi alla letteratura e alla saggistica “alta”. Divulgatore di rara sensibilità, disse di sé: “credo di essere una di quelle scalette con soli tre gradini, che si trovano nelle biblioteche e che consentono di prendere i libri dagli scaffali che stanno più in alto.” Sapeva di non sapere

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http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/esoterismo-e-focus/biografie/7773-il-cordoglio-invertito

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

DALLA RUSSIA COI SERVIZI (DEVIATI)

 

Pubblicato il 14/07/2019

 

Un recente sondaggio dice che il 58% degli italiani ritiene grave la storia dei soldi promessi dai russi alla Lega per la campagna elettorale europea di quest’anno. Ciò dimostra ulteriormente che l’inconsapevolezza è la regina della democrazia come oggi praticata.

Infatti, posto che il problema di questo ipotetico e non avvenuto finanziamento è quello dell’interferenza straniera nella politica italiana, cioè della tutela dell’indipendenza politica italiana, allora ogni non-idiota sa che questa indipendenza non esiste dalla fine della II GM:

  1. a) l’Italia dal 1945 è militarmente occupata dagli USA con oltre 100 basi sottratte al controllo italiano;
  2. b) gli USA hanno allestito, armato e finanziato in Italia la Gladio, un’organizzazione paramilitare illecita con fini di condizionamento politico;
  3. c) la DC e il PCI hanno sempre preso miliardi rispettivamente dagli USA e dall’URSS, dati per condizionare la politica italiana; in particolare l’URSS assicurava al PCI percentuali su determinati commerci;
  4. d) il PCI riceveva questi soldi mentre l’URSS teneva puntati contro l’Italia i missili nucleari;
  5. e) il PCI, in cui allora militava il futuro bipresidente della Repubblica G.N., accettava la guida del PCUS di Stalin;
  6. f) diversi leaders politici italiani hanno sistematicamente svenduto a capitali stranieri i migliori assets nazionali;
  7. g) moltissimi leaders politici e statisti italiani hanno sistematicamente e proditoriamente ceduto agli interessi franco-tedeschi e della grande finanza in fatto di euro, fisco, bilancio, immigrazione; in cambio hanno

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http://marcodellaluna.info/sito/2019/07/14/dalla-russia-coi-servizi-deviati/

 

 

LA RETE NON È LIBERA

2 maggio 2019

Durante l’arresto di Julian Assange molti commentatori hanno scritto che oggi la Rete è diventata più libera rispetto al 2010, quando WikiLeaks comincia a rendere pubblici centinaia di migliaia di documenti riservati. Possiamo illuderci che sia così, ma non è vero.

Durante l’arresto di Julian Assange, una vergogna giudiziaria e politica al di là dell’opinione che si può avere sulla sua persona, molti commentatori hanno scritto che oggi la Rete è diventata più libera rispetto al 2010, quando WikiLeaks comincia a rendere pubblici centinaia di migliaia di documenti riservati.

Una delle tesi più diffuse è che i social network sono a loro modo costruiti dal basso, dalle interazioni tra gli utenti. Le bacheche permettono quindi una libertà di espressione e una capacità di diffusione del pensiero, o anche di documenti, sempre maggiore. Una libertà sconosciuta agli albori di internet.

Ok, prendiamo un attimo per buona questa deriva tecno-entusiasta

ingiamo di ignorare che i social network sono incessantemente al lavoro per estrarre valore dalle nostre vite, ovvero per raccogliere i nostri dati, immagazzinarli, confrontarli e poi rivenderli alle agenzie di marketing che ci restituiscono pubblicità sempre più targettizzate.

Oppure per rivenderli a eserciti e polizie, pubblici e privati, di stati democratici o di dittature, tutti impegnati nella costruzione del più imponente sistema di sorveglianza della storia: il panottico digitale dove ciascuno è sorvegliante di se stesso.

Cambridge Analytica è stata solo la punta dell’iceberg di una trama ben più complessa e pervasiva. Non è solo Google o Facebook. È Amazon. È Uber. È Angry Birds. È il surveillance capitalism, fondato sull’estrazione dei dati personali.

Fingiamo di ignorare anche che questi dati personali sono rivenduti alle multinazionali che si dedicano allo sviluppo dell’intelligenza artificiale: il fulcro e nuovo alfabeto del capitalismo estrattivo. Sarebbe assurdo, come discutere di colonialismo premettendo che non ci occuperemo dell’estrazione di materie prime nei territori soggiogati. Ok, ma andiamo avanti lo stesso.

Fingiamo di ignorare anche che il sistema di gratifica e punizione messo in atto dalle notifiche è devastante da un punto di vista psichico, e arriva addirittura a modificare le capacità affettive ed emotive degli utenti in Rete.

Bene, abbiamo finto che tutto questo non accade, e dunque le bacheche dei social network sono veramente un luogo di libertà? Se utilizzate nella maniera giusta, possono portare a cambiamenti positivi per le sorti dell’umanità? La risposta è no: i social network lavorano al mantenimento dello status quo.

Lo dimostra, da ultimo, una ricerca empirica della Northeastern e della Cornell University. Il team di studenti supervisionati dai professori Muhammad Ali e Piotr Sapiezynski ha messo su Facebook una serie di pubblicità a pagamento dove offrivano dei lavori o delle proprietà immobiliari. Queste inserzioni erano pressoché uguali alle solite che si vedono, se non che differivano per piccoli particolari, a partire dal compenso lavorativo o dal budget necessario per l’acquisto della casa, fino al tipo di fotografia o di parole usate per lo stesso annuncio.

La risposta è stata che la machine learning di Facebook, il famoso algoritmo, ha deciso che gli annunci riguardanti insegnanti o segretarie dovevano essere rivolti a donne mentre quelli per tassisti o bidelli agli uomini. Allo stesso modo le case in vendita erano riservate ad utenti di pelle bianca, quelle in affitto a utenti di pelle nera.

L’algoritmo di Facebook ha quindi lavorato per confermare tutti gli stereotipi di razza, censo e sesso che rendono la nostra società ingiusta e diseguale.

Anche perché, come spiegano a Intercept, gli autori della ricerca si sono focalizzati

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https://www.idiavoli.com/it/article/la-rete-non-e-libera

 

 

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

OGGI, 4 ANNI FA, RENZI FIRMAVA ACCORDO PER SCARICARE TUTTI I CLANDESTINI IN ITALIA

GIUGNO 19, 2019

 

Oggi, quattro anni fa, il governo italiano firmava l’accordo che consentiva lo sbarco in Italia di tutti i clandestini prelevati in Libia da tutte le navi europee, Ong comprese. Era l’architrave della famigerata “missione Sophia”, che infatti è stata pensionata non appena Salvini non ha rinnovato la firma.

Quell’accordo, e ancora prima l’operazione Mare Nostrum, ci è costato centinaia di migliaia di clandestini da ospitare in hotel.

Miliardi di euro buttati al vento.

Anzi:

regalati alle coop del Pd, al Vaticano e alla ‘ndrangheta.

Chi quell’accordo ha firmato, Renzi, come può essere diversamente definito se non anima criminale?

L’ultimo in ordine di tempo ad avere ammesso e rivendicato questo scempio è stato Padoan, ministro dell’Economia dei governi PD, ammette di avere contrattato uno sforamento minuscolo del deficit, in cambio dell’ingresso in Italia del quasi milione di clandestini sbarcati negli anni in cui hanno governato:

VIDEO QUI: https://streamable.com/vx5h4  

Padoan non è il primo ex ministro della sinistra ad ammettere questo crimine. Prima di lui era stata

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https://voxnews.info/2019/06/19/oggi-4-anni-fa-renzi-firmava-accordo-per-scaricare-tutti-i-clandestini-in-italia/

 

 

 

 

EUNAVFOR MED operazione SOPHIA: mandato prorogato fino al 31 dicembre 2018

EUNAVFOR MED operazione SOPHIA contribuisce a smantellare il modello di attività della tratta e del traffico di esseri umani.

Il 25 luglio 2017 il Consiglio ha prorogato fino al 31 dicembre 2018 il mandato di EUNAVFOR MED operazione SOPHIA. EUNAVFOR MED operazione SOPHIA è l’operazione navale dell’UE intesa a smantellare il modello di attività del traffico di migranti e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale. L’operazione svolge due compiti di sostegno: formare la guardia costiera e la marina libiche e contribuire all’attuazione dell’embargo dell’ONU sulle armi in alto mare al largo delle coste libiche conformemente alle risoluzioni 2292 (2016) e 2357 (2017) del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Il Consiglio ha inoltre modificato il mandato dell’operazione allo scopo di:

  • istituire un meccanismo di controllo del personale in formazione per assicurare l’efficienza a lungo termine della formazione della guardia costiera libica;
  • svolgere nuove attività di sorveglianza e raccogliere informazioni sul traffico illecito delle esportazioni di petrolio dalla Libia, conformemente alle risoluzioni 2146 (2014) e 2362 (2017) del Consiglio di sicurezza dell’ONU;
  • migliorare le possibilità per lo scambio di informazioni sulla tratta di esseri umani con le agenzie di contrasto degli Stati membri, FRONTEX ed EUROPOL.

“Due anni fa, gli Stati membri dell’Unione europea decisero all’unanimità di affrontare insieme uno dei crimini più abietti dei nostri tempi – il traffico di esseri umani – istituendo l’EUNAVFOR Med – Operazione Sophia. Molti sospetti trafficanti sono stati arrestati e molte vite sono state salvate nel Mediterraneo. A partire dall’ anno scorso le nostre donne e uomini che servono sotto la bandiera europea hanno anche provveduto alla formazione della guardia costiera libica e a far rispettare l’embargo sulle armi in acque internazionali  al largo delle coste libiche. Oggi sono particolarmente orgogliosa di annunciare che il mandato dell’operazione Sophia è stato rinnovato all’unanimità e anche con compiti aggiuntivi “, ha dichiarato Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. “In via prioritaria, inizieremo nei prossimi giorni la revisione del piano operativo per includere i nuovi compiti, tra cui il meccanismo per il monitoraggio

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https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2017/07/25/eunavformed-sophia-mandate-extended/

 

 

 

ECONOMIA

La frenata della Germania porta anche una buona notizia (per l’Italia)

25.07.2019 – int. Francesco Daveri

Dall’economia tedesca arriva un altro segnale di rallentamento. Cosa che può aiutare le politiche europee mirate alla crescita

L’economia tedesca non sta attraversando un buon momento e ieri è stato diffuso l’indice PMI di luglio, che per il settore manifatturiero si è attestato a 43,1, in discesa dal 45 di giugno e sotto al 45,1 atteso dagli analisti. In discesa, dal 55,8 di giugno, anche l’indice PMI relativo al settore dei servizi (55,4). «Anche il nostro PMI manifatturiero è al di sotto di 50, soglia che separa la contrazione dall’espansione, da tempo. Qualitativamente le rilevazioni su Italia e Germania sono simili, ma quantitativamente un po’ diverse, perché da loro va peggio il settore manifatturiero e vanno meglio i servizi rispetto a noi», ci dice Francesco Daveri, professore di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano.

L’indice PMI manifatturiero tedesco è però sceso ai minimi da 7 anni…

In realtà, i metodi usati per calcolare questo indice fanno sì che sia difficile confrontare il PMI di oggi con quello di anni fa. Non dimentichiamo che ci si basa su interviste. Il dato indubbiamente continua a essere in calo ed è consistentemente al di sotto di 50 e non può non preoccupare.

Considerando anche il dato di inizio mese sul forte calo degli ordinativi dell’industria tedesca a maggio, quanto dobbiamo preoccuparci del rallentamento di quella che è considerata la locomotiva dell’economia europea?

Bisogna cominciare a chiedersi cosa c’è dietro a questi dati così negativi. Un po’ sono dovuti al fatto che il ciclo dell’automobile, molto positivo per tanti anni, è forse arrivato al suo naturale esaurimento, senza dimenticare il ritardo dell’automotive tedesco sulle ultime regole riguardanti le emissioni. La Germania soffre poi del rallentamento della Cina, tra i paesi europei è quello più esposto agli effetti della guerra commerciale. Sottolineerei comunque un aspetto della situazione che potrebbe non essere negativo.

A cosa si riferisce?

Se il motore dell’Europa va piano, ciò potrebbe portare il Governo tedesco ad ammorbidire le proprie posizioni in tema di rigore di bilancio. Basterebbe che, anziché avere l’equilibrio o l’avanzo di bilancio, facessero un 1% di deficit e staremmo tutti meglio, prima di tutto loro. La Bundesbank potrebbe invece smettere di avere una posizione contrarie alle politiche che ha seguito la Bce di Draghi in questi anni e che continuerà a seguire la Lagarde di aiuto fondamentalmente al credito, alle banche, per poter continuare a far andare l’economia. Quindi dal punto di vista delle policy che potrebbero far bene all’Europa, che la Germania vada peggio degli altri è un buon segno.

Vede possibili contraccolpi per l’economia italiana dalla situazione

 

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https://www.ilsussidiario.net/news/ripresa-la-frenata-della-germania-porta-anche-una-buona-notizia-per-litalia/1908513/

 

 

 

Von Der Leyen monitorerà i conti italiani, ma quelli tedeschi?

21 luglio 2019

Ha colpito molto l’affermazione di Frau von der Leyen, neo eletta Presidente della Commissione Europea, in merito al debito pubblico italiano: <<Lo monitoreremo attentamente>>.

di Giuseppe Masala

E già, lo monitoreranno.

Non ha colpito l’affermazione in sé, ci siamo abituati. Ha colpito l’affermazione alla luce di quanto la Signora ha dichiarato il giorno prima nel suo discorso d’insediamento davanti al Parlamento Europeo, dove ha tenuto a precisare che il surplus con l’estero della Germania è fonte di stabilità e forza per tutta l’Unione Europea.

Ci sarebbe molto da discutere

sull’affermazione in sé, davvero azzardata, visto che i disequilibri con l’estero – da che mondo e mondo- come sottolinearono anche i Saggi di Bretton Woods, portano a conflitti armati. Ma ciò che preme è il combinato disposto di queste due affermazioni in relazione all’Italia. Vantando il surplus con l’estero tedesco la Signora ha dimostrato di conoscere la materia, e dunque non può essergli sfuggita la situazione italiana sotto questo aspetto.

La nostra Posizione Finanziaria Netta è in sostanziale pareggio, ciò significa che compensiamo gli investimenti e i prestiti provenienti dall’estero in Italia con altrettanti investimenti e crediti verso l’estero di capitali italiani.

Continuare a battere sul debito pubblico italiano, alla luce di questo fatto,

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http://www.elzeviro.eu/affari-di-palazzo/von-der-leyen-monitorera-conti-italiani-ma-quelli-tedeschi.html

 

 

Società di cartone

Sisto Ceci 24 07 2019

Vi ricordate di quell’immenso pianeta del malaffare, del clientelismo più sfacciato, della corruzione molecolare, del nepotismo e familismo amorale, dei buchi di bilancio senza fondo, il regno del fancazzismo generalizzato per oltre 800.000 dipendenti, le fabbriche di voti più grandi d’Italia, dell’assistenzialismo più sfrenato, del parassitismo alla luce del giorno, della burocrazia più caotica, la giungla delle partecipate e delle municipalizzate?

 

Udite udite, sono 1461.

 

Il 23,8 % del totale di esse non hanno neanche un dipendente, ma hanno il loro CDA, i revisori dei conti, gli organi di controllo, Quindi, se venissero chiuse non manderebbero in strada nessuno se non i beneficiari delle poltrone, ma non si chiudono.

Ma il numero preciso nessuno lo sa perché al CENSIMENTO DEL MINISTERO DELLA PA ha risposto solo il 62% dei comuni.

Quindi potrebbero essere e sicuramente lo saranno molte di più delle 8386 censite,

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GIUSTIZIA E NORME

Le leggi che cancellano i costumi: è l’ideale totalitario

di Dino Cofrancesco – 24/07/2019

 

Una giornalista ora in pensione, passata dalla redazione del ‘Manifesto’ a quella di un grande quotidiano ‘borghese’ del Nord-Ovest, tempo fa, ha scritto che lo spettacolo delle ragazze in costume che baciano e offrono fiori al vincitore di una tappa ciclistica è qualcosa di indecente, di umiliante per la donna, che le leggi non possono più a lungo tollerare. La stessa articolista, in un pubblico dibattito, ha difeso con toni aggressivi i suoi amici gay che, sulla scia di Niki Vendola, si erano recati in California per ‘affittare’ l’utero di una emigrata messicana che non aveva altro modo per guadagnarsi da vivere. Una persona ragionevole sarebbe sconcertata da questo doppiopesismo: indipendentemente dalla liceità dell’agire e dai giudizi morali che se ne possono dare , non si riesce a capire perché mostrare le gambe e lasciar intravedere i seni equivalga a un bieco sfruttamento del corpo delle donne mentre portare in grembo, dietro modesto compenso, un figlio che non è il proprio debba essere considerato un diritto assoluto di libertà.

In realtà, non ci troviamo difronte ad alcuna contraddizione, giacché le due fattispecie (oggettivamente molto diverse) sono unite da un comune progetto: quello di sconvolgere la morale borghese, di azzerare quel mondo sempre meno vittoriano sul quale si era riversata la rabbia dei giovani sessantottini ‘di buona famiglia’. Per il papà che assiste all’arrivo della tappa del Giro, lo spettacolo di quelle belle figliole (che peraltro nessuno ha costretto ad esibirsi in pubblico) è esteticamente gratificante mentre è ‘disgustato’ dal pensiero che per nove mesi una poveraccia, per dare da mangiare ai propri figli, debba ospitare dentro di sé un estraneo (al quale, peraltro, si consiglia di non affezionarsi e che può costringerla, per contratto, ad abortire qualora presentasse delle malformazioni: si paga, infatti, per avere un prodotto sano—automobile o neonato che sia—non per averne uno difettoso).

E’ a quel papà che bisogna sbattere in faccia l’insostenibilità dei suoi ‘pregiudizi’, far capire che il suo habitat mentale e spirituale era falso e putrescente, che i diritti degli individui valgono più di ogni codice etico e religioso ereditato dal passato.

In  realtà la giornalista citata appartiene a una political culture che ha capito cose che sfuggivano al vecchio Marx, a causa del suo ‘materialismo’ di matrice illuministica. Ha capito, in poche parole, che non è del tutto vero che il tallone d’Achille della borghesia sia la proprietà (“gli uomini dimenticano piuttosto la morte del padre, che la perdita del patrimonio”, scriveva non del tutto a ragione Machiavelli nel Principe): se la proprietà privata, infatti, è strumento di privilegio, quella pubblica può esserlo altrettanto, dal momento che non conta la titolarità del bene quanto il suo effettivo controllo. No, il vecchio Adamo si smantella distruggendone l’animae lasciandone sopravvivere (anche agiatamente) il corpo. La grande vittoria del 68 non è consistita nel cambiare la politica ma nella conversione dei genitori, nel loro dubitare delle ‘vecchie certezze’ e talora nell’adozione patetica degli abiti di comportamento—e persino dei vestiti, a cominciare dall’eskimo- dei figli. L’accelerazione che si è data al cammino di certe riforme civili che l’opinione pubblica riteneva ormai mature—a cominciare dal divorzio, al quale diede un contributo notevole  il film del grande Pietro germi, Divorzio all’italiana (1961)—è stata pagata col nichilismo dei Pugni in tasca di Marco Bellocchio (1965).

“La virtù all’ordine del giorno’: il momento totalitario del lungo maggio caldo, consiste, nel disegno di cambiare la società tradizionale, con le leggi. Queste ultime hanno senso e significato solo se cambiano i costumi, come sono autorizzate a fare dal momento che sono un prodotto della ‘ragione’–uguale in ogni tempo e in ogni luogo, sotto ogni latitudine e longitudine–e non dell’arbitrio e dell’insensatezza della storia

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https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=62305

 

 

 

DI MATTEO VOTATELO, CAMBIERÀ LA STORIA DELLE STRAGI

Mauro Mellini 24 luglio 2019

 

Niente cene, pranzi, conciliaboli per la campagna elettorale per i due posti vacanti al C.S.M. Abolite, anzi, no, “sospese” le “correnti” (come se si trattasse della corrente elettrica per la quale non è stata pagata la bolletta) la propaganda elettorale si fa con le sceneggiate. Niente conciliaboli con i rappresentanti della “Politica” (Dio ne salvi!) ma, al più con l’ubbidiente deposizione di una o più guardie carcerarie che attestino che uno o più boss mafiosi, giunti passeggiando alla loro presenza, hanno alzato il tono della voce per affermare “a quel Di Matteo là bisogna farlo fuori se no ci demolisce Cosa Nostra”.

E, poi, la sceneggiata al C.S.M. dove è stato convocato il Procuratore Nazionale Antimafia a spiegare perché ha rimosso nientemeno che il “condannato a morte” dalla mafia nonché cittadino di cento città, dall’Ufficio stragi, senza nemmeno consultare il Ministro della Pubblica Istruzione ed il Presidente del Comitato di Storia Patria.

Se si riterrà indispensabile esibire e pubblicare almeno qualche intercettazione telefonica potranno essere esibite quelle degli scambi di informazione tra i comitati presieduti, almeno uno o due, dal Guru Bongiovanni per la raccolta delle firme per Di Matteo. Saranno anche portati al Palazzo dei Marescialli gli attestati delle cittadinanze onorarie conferite al “più scortato” dei magistrati italiani con le quali riuscirono ad imporre la sua “vittoria” al concorso al posto alla Procura Nazionale Antimafia a Roma con contemporaneo “

 

http://ilcircolaccio.it/2019/07/24/di-matteo-votatelo-cambiera-la-storia-delle-stragi/

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Quelle navi ONG al servizio del capitale: il disegno per abbassare il costo del lavoro

24 luglio 2019

Contro ogni diritto del mare, le navi private deportatrici imbarcano esseri umani nelle coste della Libia destabilizzata dall’Occidente e dal suo bieco imperialismo umanitario (2011) e li deportano in massa in Italia.

di Diego Fusaro

 

Dico contro ogni diritto del mare, perché tale diritto prevede che i salvati siano condotti nel porto sicuro più vicino. Il quale, dalla Libia, non può essere in Italia. Perché ciò avviene? Sono navi private e la logica del privato sappiamo qual è: business is business.

Non salvare, ma fare profitto

Non integrare, ma lucrare. Non accoglienza di vite, ma tratta di nuovi schiavi. A che scopo? Chi ha interesse a questo disumano neocolonialismo postmoderno? I padroni del capitale, la classe dominante turbocapitalistica. Essa deporta nuovi schiavi dall’Africa, forza lavoro docile e supersfruttabile (campi di pomodoro, ecc.). E in tal guisa, abbassa i salari della classe operaia nel suo complesso, autoctona e migrante.

Inoltre, la classe dominante crea scontri orizzontali tra gli ultimi. I quali, anziché lottare verticalmente contro l’alto, lottano ora in orizzontale dividendosi tra migranti e autoctoni, bianchi e neri.

Le sinistre cosmopolite

per parte loro, con i loro utili idioti al servizio del capitale, ci mettono la legittimazione culturale:

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http://www.elzeviro.eu/affari-di-palazzo/navi-ong-al-servizio-del-capitale-il-disegno-per-abbassare-il-costo-del-lavoro.html

 

 

LA LINGUA SALVATA

Crepuscolo

cre-pù-sco-lo

SIGNLuce tenue e diffusa prima del sorgere del sole o dopo il tramonto; annebbiamento, confusione; accenno, barlume; termine, tramonto, declino

voce dotta recuperata dal latino crepùsculum ‘crepuscolo, penombra’, derivato di creper ‘oscuro’.

Oggi al crepuscolo, figuratamente, colleghiamo solo il declino, il tramonto, il termine. E questa restrizione è frutto di un’occorrenza particolare — avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento e che ha inciso tanto su questa parola quanto sul mondo intero della musica e del teatro: il successo del non sempre simpatico Richard Wagner.

Se leggendo Leopardi ci imbattiamo in un crepuscolo di allegrezza, ciò che intende è un barlume, un accenno. Se leggendo Nievo troviamo fantasmi che vagolano nel crepuscolo del delirio, ciò che intende è un annebbiamento, una confusione. Il che è naturale: il crepuscolo che vediamo ogni mattina (sempre più tardi) e ogni sera (sempre prima) è quello stato celeste in cui la luce solare si diffonde negli strati più alti dell’atmosfera prima del’alba e dopo il tramonto, quando il sole non è a cora o non è più visibile. Sono momenti di penombra, il cui nome latino è derivato da una voce enigmatica, creper, che non ha dato altri frutti, anche se qualcuno nota la parentela con il greco knéphas, che ha il medesimo tenebroso significato (che peraltro giunge a sua volta al crepuscolo). Ma dopotutto, se un termine antico che

 

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https://unaparolaalgiorno.it/significato/C/crepuscolo?utm_source=notification&utm_medium=push&utm_campaign=pdg

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

SHHH… IL NEMICO TI SORVEGLIA

Taci! Il nemico ti ascolta e sorveglia. Quando non ci sono progressi in campo economico e sociale, il sistema fa ricorso alla minaccia da fronteggiare. La paranoia è totalizzante e viene spacciata per tuo unico alleato. Nel frattempo, il panottico contemporaneo prende forma nei laboratori di psicometria e di raccolta dati.

È il surveillance capitalism.

Taci! Il nemico ti ascolta e sorveglia. Affissioni, locandine, cartelli. In epoca fascista appariva ovunque il geniale slogan che Leo Longanesi aveva immaginato per il duce. Come ogni regime, anche la sanguinaria dittatura di Benito Mussolini aveva necessità di insistere sulla dimensione sociale paranoica per rinsaldare il popolo attorno all’idea.

Quando non ci sono progressi in campo economico e sociale il sistema fa ricorso alla minaccia da fronteggiare. Tutti compatti contro il nemico, che è sempre in procinto di arrivare. Si scruta l’orizzonte lontano sui monti, alla fine del deserto, e ci si guarda la schiena mentre si fa avanti e indietro nella Fortezza Bastiani.

La paranoia è totalizzante. Fuori ci sono: i bolscevichi, gli africani, gli orientali, il complotto plutodemogiudaico. Dentro: le donne, gli invertiti, i barboni, i migranti, gli zingari. I deviati, in generale. Poi ci sono: i padroni, gli industriali, le banche, le lobby di affari. Additati come nemico di cui occuparsi in un secondo momento, sono in realtà i migliori alleati di ogni regime.

La minaccia è talmente pervasiva, sfuggente e nascosta che non è possibile affrontarla. Meglio affidarsi al sistema per rimanere protetti. Il nemico è ovunque e ovunque ti guarda: come a Dunkirk, è il tempo della sopravvivenza.

Quindi taci, china la testa, obbedisci. Alla minima protesta lo stai aiutando, lo favorisci, metti in pericolo l’intera struttura di potere forgiata nel sangue dei tuoi avi per proteggere i tuoi discendenti. Se metti a repentaglio l’idea di dio, di patria e famiglia, sei solo un cospiratore.

Taci! Il nemico ti ascolta. Oggi che la società è più liquida, rarefatta, che si sono dissolti i confini nazionali, che il Capitale gioca su una scacchiera globale, il nemico è ancora più onnipresente. Ha attraversato ogni frontiera, anche quella che separa il sé dall’altro da sé. Il nemico sei tu. Taci, e ascoltati. È il surveillance capitalism.

Il panottico contemporaneo nasce dalla collaborazione tra lo Stato e l’apparato militare. È nei laboratori di psicometria delle più prestigiose università che sono elaborati gli studi e le ricerche per l’elaborazione di sistemi che attraverso la raccolta dei dati monitorano – e prevedono – i desideri degli utenti in ambito commerciale.

I dati sono il potere, la democrazia si può hackerare. L’analisi dei dati nella società della sorveglianza non serve per predire il futuro,

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https://www.idiavoli.com/it/article/shhh-il-nemico-ti-sorveglia

 

 

 

Rivoluzione digitale e letteratura: un’introduzione al problema, senza farsi prendere dal panico

18/07/2019 ~ RELATIVITÀ

La rivoluzione digitale è la rivoluzione del nostro tempo. Ne siamo consapevoli?

SOCRATE: Dicono che [Theuth] per primo […] abbia scoperto i numeri, il calcolo, la geometria […] e, infine, anche la scrittura. In quel tempo, re di tutto l’Egitto era Thamus […]. E Theuth andò da Thamus, gli mostrò queste arti e gli disse che bisognava insegnarle a tutti gli Egizi. […] Quando si giunse alla scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza, o re, renderà gli Egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è trovato il farmaco della memoria e della sapienza». E il re rispose: «O ingegnosissimo Theuth, […] essendo padre della scrittura, per affetto tu hai detto proprio il contrario di quello che essa vale. La scoperta della scrittura, infatti, avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché, fidandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da sé medesimi. [1]

 

In questo brano del Fedro di Platone, Socrate avanza alcune critiche non tanto sull’invenzione della scrittura, quanto su un suo uso sconsiderato: la scrittura è una tecnica che deve essere padroneggiata dall’uomo, e non padroneggiare l’uomo. Il rischio infatti è che, affidandosi ad uno strumento per la conservazione della conoscenza, l’uomo dimentichi ciò che sapeva «dal di dentro» e sia costretto a ricorrere sempre a «segni estranei» che stanno fuori da lui.

Da quasi duemilaquattrocento anni di distanza questa riflessione giunge netta e tagliente alla nostra attualità: va a toccare e a far male proprio là dove la ferita è più aperta. Provate a sostituire nel brano la parola “scrittura” con “internet”, oppure, per essere ancora più concreti, con “Wikipedia” o “Google Maps”. Il re egizio Thamus sta parlando di noi: abbiamo l’impressione di essere sapienti ma senza Wikipedia e Google Maps forse oggi molti di noi sarebbero in difficoltà persino a muoversi in una città. Ecco come il sovrano continua il suo discorso all’inventore (si sarebbe tentati di chiamarlo “ingegnere”) della scrittura:

Della sapienza, poi, tu procuri ai tuoi discepoli l’apparenza, non la verità: divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, essi crederanno di essere conoscitori di molte cose, mentre […] non le sapranno; e sarà ben difficile discorrere con loro, perché sono diventati conoscitori di opinioni invece che sapienti[2].

La descrizione è talmente pertinente al nostro mondo che sembra scritta oggi: il rapporto fra apparenza e verità, lo spettacolo pirotecnico di informazioni, commenti, opinioni a cui assistiamo ogni giorno, l’incapacità di comunicare e di riconoscere il punto di vista degli altri (si rimanda al libro di Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici: l’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, recensito qui dal nostro blog): sono i problemi del nostro tempo che siamo chiamati a risolvere, e hanno tutti in qualche modo a che fare (si veda l’originale interpretazione di Baricco in The Game, ecco qui cosa ne pensiamo) con il progresso tecnologico.

Quali le vie praticabili almeno per impostare, se non risolvere, il problema? Sicuramente non il luddismo: il problema non è nelle macchine, è nel nostro livello di attenzione e di consapevolezza. Un punto di vista notevole al riguardo è quello di chi pone dubbi dalla prospettiva degli studi umanistici. Effettivamente, la gestione del progresso tecnologico, in particolare digitale, ha molto a che fare con la letteratura e con alcune delle discipline che da essa sono in vario modo discese.

La rivoluzione digitale sta cambiando il nostro modo di conoscere e percepire il mondo attraverso il linguaggio, e, secondo il linguista e filosofo Raffaele Simone[3], non in meglio. Simone sostiene che stia via via scomparendo l’atteggiamento mentale che proveniva dall’invenzione della stampa, ovvero una mentalità proposizionale, che si fonda su: esprimere pensieri in parole e frasi (proposizionalità); scomporre situazioni e problemi complessi in componenti più semplici (analiticità); strutturare il discorso in modo gerarchico (strutturalità); dare nomi alle cose, in modo da poterle richiamare facilmente (referenzialità).

L’atteggiamento mentale che il web favorisce, grazie a una testualità più fluida e all’enorme peso delle immagini, è del tutto opposto: è generico, poiché non scompone il discorso in elementi distinti e non lo struttura in modo gerarchico; è vago perché non dà nome alle cose ma si limita a alludere tramite concetti generali.

La mentalità proposizionale è propria di un atteggiamento scientifico;

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https://ilrifugiodellircocervo.com/2019/07/18/rivoluzione-digitale-e-letteratura-unintroduzione-al-problema-senza-farsi-prendere-dal-panico/#more-12012

 

 

 

ESSERE UNA MACCHINA

22 NOVEMBRE 2018

Il libro di Mark O’Connell, “Essere una macchina”, uscito lo scorso settembre è il resoconto di un viaggio del 2016 in America sulle tracce dei transumanisti, un gruppo non sempre identificabile di individui che, in diverse forme e modalità, credono nel superamento della morte grazie all’ausilio della tecnologia avanzata. Ma il volume è anche e soprattutto un’immersione nel mondo delle Big Tech che costellano la Silicon Valley, capace di portare a galla le connessioni profonde tra apparati securitari, piattaforme tecnologiche e mondo finanziario.

Il libro di Mark O’Connell, Essere una macchina, uscito lo scorso settembre (Adelphi, 2018) è il resoconto di un viaggio del 2016 in America sulle tracce dei transumanisti, un gruppo non sempre identificabile di individui che, in diverse forme e modalità, credono nel superamento della morte grazie all’ausilio della tecnologia avanzata.

Potrebbero esser classificati come tecno-utopisti, ma in realtà i personaggi che incontra O’Connell scavalcano questa definizione, in quanto le loro pratiche e studi oltrepassano l’immanenza delle problematiche della vita stessa e sfociano in una trascendenza tecnologica che può essere letta alla stregua di un vero e proprio culto religioso.

Il tono della narrazione assume tinte spesso ciniche e distaccate, ma mai canzonatorie e irriverenti. A un primo approccio potrebbe ricordare Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace, per il sarcasmo di alcune descrizioni grottesche.

Eppure a una lettura attenta è evidente che il tema viene trattato con molta serietà e se alcuni personaggi descritti risultano essere degli outsiders totali – quasi degli strampalati – alla fine l’autore si sottrae dall’intento di un’analisi antropologica (alla DFW) e si concentra più  sullo spirito del tempo e lo stato dell’arte in merito alla ricerca tecnologica più accelerata.

Il “viaggio” di O’Connell si svolge ai confini del mondo a noi finora noto, e per fare un parallelo con il secolo scorso le ricerche dei transumanisti sembrano aver sostituito le scorribande spaziali del ‘900, giacché lo spirito utopico non è più declinato nella scoperta di pianeti nuovi da colonizzare, ma è rivolto all’interno del corpo umano, nuova frontiera del sogno di vita eterna, immortalità.

L’indagine, allora, ruota intorno al concetto di “singolarità”, ossia in quello snodo dell’evoluzione del rapporto uomo-macchina nel quale le macchine superano le potenzialità della mente umana e sono in grado di sostituire l’uomo in qualsiasi aspetto pratico della vita.

Pur essendo ancora lontani da quel punto di svolta, è ormai la singolarità il faro al quale guardano i transumanisti, come racconta anche Giuseppe Genna nel suo ultimo romanzo History, un’operazione di fiction che, tuttavia, al pari di O’Connell porta a galla contraddizioni e sorti di questo imminente salto verso la post-umanità.

A fianco a personaggi davvero singolari, nel “viaggio” si incontrano anche molti volti noti dell’industria dell’high tech che negli ultimi anni hanno incrementato in maniera esponenziale i loro investimenti e guadagni con le tante aziende che costellano la Silicon Valley.

C’è Peter Thiel, fondatore di PayPal e finanziatore della prim’ora di Facebook.

E c’è Ray Kurzweil, uno dei grandi ideologi della Silicon e adesso ai vertici di Google Engineering e di Google Brain che, insieme ad altri, sonda la possibilità di uploadare un cervello umano, pratica che darebbe un’accelerazione definitiva al sopravvento dell’intelligenza artificiale.

L’upload cerebrale consisterebbe nello scaricare i dati di un cervello umano su un cloud in modo tale, poi, da poterli ritrasferire su di un corpo sano e funzionante. Quello che fino al secolo scorso avremmo liquidato come “fantascienza”, oggi diviene realtà. Con tutte le contraddizioni a carico, certo.

Il viaggio prosegue infatti in quella che viene avvertita dall’autore come una sorta di “fabbrica dell’immortalità”, in cui

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STORIA

Addio allo spirito europeo senza memoria né figli e in piena crisi identitaria

«Ora avanza il relativismo culturale e la decomposizione degli stati nazione è possibile, senza ideologie, annegati nel populismo»

Gennaro Malgieri – 24 luglio 2019

Il vuoto che caratterizza la discussione sul destino dell’Europa, testimoniata dal discorso di presentazione della nuova presidente della Commissione europea a Strasburgo, Ursula von der Leyen, invoglia a riprendere tra le mani libri “senza tempo” per fortuna riproposti da case editrici avvedute quanto raffinate. Niente di meglio di questi giorni di asfissia politica più che climatica di un “tuffo” nelle pagine de La genesi dell’Europa di Christopher Dawson, uno dei maggiori storici inglesi del Novecento, meritoriamente riproposto da Lindau ( pp. 409, euro 34,00), nel quale l’introduzione alla storia dell’unità europea dal IV all’XI secolo – davvero cruciali nella costruzione dell’identità continentale viene giustamente considerata come un’età di rinascita dal momento che la complessa integrazione tra Impero romano e Chiesa cattolica, tradizione classica e società sostanzialmente “barbare” eppure soggiogate dalla romanità favorì la nascita di una vitale civiltà, come descrisse magistralmente Gioacchino Volpe nei suoi studi sul Medio Evo e sugli albori della nazione italiana, parte di una nazione europea esistente nonostante tutto come spirito d’intrapresa nella edificazione di un edificio su rovine che non vennero rimosse, ma rivitalizzate grazie anche al monachesimo generatore di fede e di cultura.

Si può discutere sulla politica di Dawson, suscitata da contingenze che andrebbero storicizzate, ma non si può non scorgere nella sua analisi la ricerca delle fondamenta unitarie delle nazioni stesse nel quadro di un’Europa che viveva nell’ambito di un “impero interiore” che ancora attende di essere riportato in vita. Quello stesso “impero” che ha suggerito a Paul Valéry le dense e coinvolgenti pagine sull’Europa sparse nei molti libri dedicati al tema della decadenza della nostra civiltà. Lo smarrimento è tale che una immersione nella saggezza del grande poeta e filosofo francese è quasi terapeutica: “Le nostre civilizzazioni sanno adesso d’essere mortali”, leggevo qualche giorno fa nei suoi celeberrimi Chaiers. Malauguratamente quelli che hanno la capacità di veder arrivare la bufera si affidano a rabdomanti della politica che con improbabili bastoncini indicano approdi che dovrebbero essere sicuri. Ma cosa c’è di sicuro quando il “travaglio dello spirito”, sempre per usare le parole di Valéry, non produce più nulla che possa mettere in forma una civiltà che si sta disfacendo?

Davanti ai Chaiers chiusi apro un’altra raccolta di preziose informazioni sul nostro avvenire, formulate a ridosso della prima grande guerra civile europea da un giovane Valéry la cui intensa vita ( 1871- 1945) gli permise di raccogliere i frutti delle sue diagnosi per concludere di aver ragionato sullo spirito europeo formulando prognosi che nessuno sembra voglia tenere in gran conto di questi tempi. Ecco allora In morte di una civiltà ( Aragno editore, pp. 209, € 18,00) che comprende lo scintillante saggio in due parti – originato da due lettere pubblicate nella rivista londinese “Athenaeum” nel 1919 – La crisi dello spirito ed altri scritti “quasi politici” dal quale si traggono meditazioni non superficiali sull’identità dell’essere europei e da che cosa nasce quell’attitudine alla “conquista” di se stessi, innanzitutto, per poi proiettare “prometeicamente” i risultati di una formazione – non saprei se “umana, troppo umana” o anche “divina” – che ha dato il senso al mondo, senza jattanza ed esagerazioni retoriche.

E “la crisi della civiltà” introduce ad una considerazione del Vecchio Continente che oggi non può certo essere ottimista, come ci fa capire Massimo Carloni, curatore del volume, riflettendo sul “dramma dello spirito” a conclusione del composito saggio di Valéry. Scrive: “L’Europa nata abortita dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, nelle sue varie metamorfosi d’Europa del Carbone e dell’Acciaio, dell’Energia Atomica, della Comunità Economica, e poi della Banca Centrale e della finanza, è un’avvilente parodia, un simulacro burocratico del sogno valériano. L’homo europaeus, sintesi di libertà e rigore, di immaginazione e intelligenza, di cui la Grecia ha fornito il modello perfetto e Leonardo la celebre raffigurazione, oggi è miseramente ridotto ad effige di una moneta. Mentre il Mediterraneo, da crogiolo e crocevia di civiltà, è diventato un lugubre cimitero marino où marchent des tombes… Bastano questi avvilenti segni per misurare la distanza abissale che ci separa dalle origini dello spirito europeo che abbiamo miseramente tradito”. Lo prevedeva Valéry? Credo proprio di sì. Per concludere che “un’economia non è una società”, presupponeva che questa dovesse avere, onde evitare il rischio di deperire rapidamente, una cultura, la coscienza di una storia, una visione del mondo e della vita. E in cuor suo si augurava che l’Europa tornasse ad essere ciò che nel tempo era stata grazie al suo spirito. “Tutti i popoli che approdarono sulle sue rive l’hanno fatto proprio; essi si sono scambiati merci e colpi; hanno fondato porti e colonie dove, non solo gli oggetti del commercio, ma le credenze, le lingue, i costumi, le acquisizioni tecniche, erano elementi dei traffici. Prima ancora che l’Europa attuale avesse preso le sembian- ze che conosciamo, il Mediterraneo, nel suo bacino orientale, aveva visto sorgere una sorta di proto- Europa”. Ed è là che oggi finisce l’Europa? Dove è sorta dal mito e dal mare e dall’amore di un dio e dalle similitudini di genti che si sono riconosciute come originarie di un mondo ancestrale che avremmo definito indoeuropeo? Non possiamo rinunciarci. Non è tempo per funerali, ma per rinascite. Credendoci, ovviamente.

Scrive Valéry: “La nostra Europa, iniziata come un mercato mediterraneo, diventa così un’immensa fabbrica; fabbrica in senso proprio, macchina per trasformazioni, ma anche una fabbrica intellettuale senza pari. Questa fabbrica intellettuale riceve tutte le cose spirituali da ogni dove; essa le distribuisce ai suoi innumerevoli organi. Gli uni colgono le novità con speranza, con avidità, esagerandone il valore; gli altri resistono, oppongono all’invasione delle novità lo splendore e la solidità delle ricchezze già costituite. Tra l’acquisizione e la conservazione deve continuamente ristabilirsi un equilibrio mobile, ma un senso critico attacca l’una o l’altra tendenza, dispiega senza riguardo le idee possedute e apprezzate; mette alla prova e discute senza pietà le tendenze di questa regolazione sempre conseguita”. Può essere questo il destino dell’Europa immemore dell’equilibrio ragionevole che l’ha portata ad essere il sale della Terra?

L’Europa si sta, insomma, autodistruggendo. Del passato non si sa cosa farsene. Del futuro non si ha la benché minima percezione. È come se gli europei si fossero costruiti una prigione che li tiene in qualche modo costretti a guardare attraverso le sbarre ciò che accade intorno a loro, il tempo e lo spazio che si assottigliano. Diventano irrilevanti, mentre il mondo che era stato costruito da chi li aveva preceduti diventa babelico, preda di interessi famelici, oggetto degli appetiti di nuovi colonizzatori che appartengono ad altri universi culturali ed antropologici. Come nel passato, anche la civiltà europea è destinata a sparire nella maniera più lenta e cruenta: rinunciando ad esistere, a riprodursi attraverso le nascite, abdicando al ruolo che umanamente dovrebbe preservare. Negli anni Venti fece scalpore in Germania e in Italia il libro di uno studioso delle civiltà e della decadenza, Richard Korherr: Regresso delle nascite, morte dei popoli. In esso, applicando il metodo comparatistico, Korherr dimostrava come ed in qual misura l’infertilità voluta, programmata, motivata dall’egoismo e dall’assuefazione al soddisfacimento dei fittizi bisogni immediati

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https://ildubbio.news/ildubbio/2019/07/24/addio-allo-spirito-europeo-senza-memoria-ne-figli-e-in-piena-crisi-identitaria/

 

 

 

Tangentopoli si fermò davanti al Pci. D’Ambrosio disse: “Mani pulite è finita”

Il pm del Pool nel ’93 mi confessò: il marcio è già emerso. Ecco perché le mazzette “rosse” non travolsero il partito

 

Stefano Zurlo – 18/02/2017

 

A volte modesti dettagli aiutano a capire. A volta la concatenazione precisa degli avvenimenti può sfuggire nel frastuono generale. A maggior ragione se l’epopea di cui parliamo è quella di Mani pulite, oggi sotto i riflettori per il venticinquesimo compleanno.

L’opinione pubblica si è divisa, anzi accapigliata, perché il Pool non riuscì a espugnare Botteghe oscure, così come aveva travolto il ponte di comando della Dc e del Psi. E ciascuno dei protagonisti a distanza di tanto tempo racconta i passaggi di quella storia controversa e cerca di spiegare perché lo squadrone di Mani pulite si arenò davanti alle mura della cittadella rossa.

Dunque, un piccolo episodio può fornire gocce di informazione a chi vuol capire, senza teoremi e tabù. Era la primavera del 1993 e lavoravo per l’Europeo, il settimanale di casa Rizzoli. Il direttore Myriam De Cesco mi aveva chiesto di seguire proprio l’indagine milanese che stava squassando i palazzi del potere. Un pomeriggio arrivai dunque a Palazzo di giustizia. Era la prima volta o una delle primissime occasioni che avevo di entrare nel tempio della giustizia italiana. Com’è sempre stato da quelle parti, a dispetto di mille annunci di cambiamento e razionalizzazione delle abitudini e dei comportamenti, a quell’ora non c’era nessuno o quasi e io mi aggiravo, perplesso, per quei lunghissimi corridoi che mi ricordavano i quadri di De Chirico. Conoscevo a grandi linee l’intricata geografia del Palazzaccio, se non altro perché figlio di avvocati, ma vagavo con un certo disagio in quegli ambienti, sonnacchiosi a quell’ora, in cui si stava riscrivendo la storia d’Italia.

Mi ritrovai nell’interminabile corridoio della Procura, al quarto piano, il punto nevralgico della rivoluzione di rito ambrosiano. Camminavo e qualcuno mi veniva incontro: era Gerardo d’Ambrosio, il procuratore aggiunto, il coordinatore del Pool, in quel momento con Di Pietro, Borrelli, Davigo e Colombo uno degli uomini più famosi d’Italia. Mi squadrò, io mi presentai. Due minuti, qualche battuta con il suo inconfondibile timbro napoletano denso di ironie e umorismo, poi il procuratore mi rifilò la notizia che quasi non entrava nella mia testa: «Mani pulite è finita».

Lui parlava, io ascoltavo sgranando gli occhi, incredulo per lo scoop che stavo arpionando senza nemmeno aver buttato l’amo. La sostanza del ragionamento era che il più era stato fatto. Tangentopoli era stata svelata e il marcio attaccato. Formulai qualche domanda, tornai in redazione pronto a ricevere i complimenti della direzione che puntualmente arrivarono.

Capivo e non capivo il perché di quella clamorosa confessione. Come mai un magistrato così navigato si era spinto fino a quel punto? Preparai il pezzo che fu pubblicato nei giorni successivi con grande enfasi e fu ripreso dai telegiornali. Lui, visto l’inevitabile clamore, accennò un mezzo dietrofront, qualcosa smentì e qualcosa smussò ma il messaggio era chiaro.

E quella «lettera» aveva un destinatario: Tiziana Parenti, il pm del Pool che indagava sulle presunte mazzette versate proprio al Pci-Pds e cercava di avanzare su quello che allora i quotidiani chiamavano pomposamente il fronte orientale di tangentopoli. In quelle settimane cruciali l’inchiesta era arrivata davvero a un passo da Botteghe oscure. Molti osservatori ritenevano che la svolta fosse vicina. Ancora un po’ e pure il vecchio, glorioso Partito comunista sarebbe franato sotto il piccone del Pool. C’erano grandi aspettative, ma anche enormi difficoltà. Per la struttura del partito e dei suoi quadri, gente all’antica che non era certo disposta a piegarsi davanti al vento di Mani pulite. I personaggi alla Greganti, per capirci, rimanevano in cella senza fiatare, alimentando leggende e voci di ogni tipo. Certo, non correvano come centometristi per raccontare a Di Pietro quel che sapevano e inguaiare qualcun altro come facevano i loro colleghi del pentapartito. C’erano poi i rapporti

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