NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 23 DICEMBRE 2019 LEOPARDI e A. CAMUS

https://www.repubblica.it/le-storie/2018/11/06/news/albert_camus_libri_lo_straniero_la_peste_mito_di_sisifo-210950936/?refresh_ce

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 23 DICEMBRE 2019 LEOPARDI e A. CAMUS

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quïete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.

 

Giacomo Leopardi (1798 – 1837)

 


BUONE FESTIVITÀ 2019-2020

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 e 2019 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com

 

 Precisazioni

 

 www.dettiescritti.com è un blog intestato a Manlio Lo Presti, e-mail: redazionedettiescritti@gmail.com 

 

Il blog non effettua alcun controllo preventivo in relazione al contenuto, alla natura, alla veridicità e alla correttezza di materiali, dati e informazioni pubblicati, né delle opinioni che in essi vengono espresse. Nulla su questo blog è pensato e pubblicato per essere creduto acriticamente o essere accettato senza farsi domande e fare valutazioni personali. 

 

Le immagini e le foto presenti nel Notiziario, pubblicati con cadenza pressoché giornaliera, sono raccolte dalla rete internet e quindi di pubblico dominio. Le persone interessate o gli autori che dovessero avere qualcosa in contrario alla pubblicazione delle immagini e delle foto, possono segnalarlo alla redazione scrivendo alla e-mail redazionedettiescritti@gmail.com 

La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

SOMMARIO

 

Il colle che accede all’Altrove

Psicologia dell’Infinito di Leopardi

“L’Infinito” di Leopardi letto da ventidue cantautori (indovina chi)

L’INFINITO DI LEOPARDI/ Video, poesia compie 200 anni: 22 cantanti la recitano. 1

L’INFINITO DI LEOPARDI COMPIE 200 ANNI: L’OMAGGIO RAI. 1

Discorso di Camus, Premio Nobel per la letteratura nel 1957. 1

Albert Camus – Discours de réception du prix Nobel, 1957. 1

 

 

 

 

 

EDITORIALE

Il colle che accede all’Altrove

Manlio Lo Presti – 24 dicembre 2019

Ad un certo livello del pensiero assistiamo ad una convergenza di ricerca e di cammino verso un unico punto di arrivo.

I Cercatori che da secoli esplorano, ipotizzano, vagheggiano, tentano di definire un luogo senza tempo né spazio: l’Altrove. Nel corso dei secoli il loro cammino ha percorso strade diverse, ha usato nomi diversi, ha adottato tecniche di ragionamento differenti, ma tutti tendono a convergere in questa “terra di nessuno”.

Leopardi anticipa Nietzsche. Leopardi è un coraggioso giocatore nero che assiste al progressivo crollo del giocatore nero che è la tradizione dell’Occidente (1) costruita interamente su un equivoco che risale ad un Parmenide dapprima travisato e poi dimenticato.

Fra i tanti, Leopardi è uno dei pochi che si è molto avvicinato a questo luogo senza dimensioni con pochi versi, altri hanno scritto fiumi di parole perdendosi nelle proprie contraddizioni.

Anche in questo caso, dire molto con poche parole, “significa” … (2)

La poesia “l’Infinito” è tutto questo profondo tentativo di vedere l’Altrove in una tempesta di emozioni e di attese necessarie per capire se non si sta cedendo a visioni errate o momentanee.

Il poeta mostra di possedere la capacità di porsi le domande giuste per non finire in una strada senza uscita. Riesce a percorrere il vertiginoso corridoio della profonda astrazione utilizzando uno strumentario semantico veramente essenziale rispetto alla magnitudine della ricerca.

Il Poeta non sottrae parole, immagini, sfumature semantiche, il Poeta accenna lampi di intuizioni abissali che ricordano l’asciuttezza degli Haiku le riflessioni fulminanti del Tao tê King.

Leopardi non dice, non rivela: significa, lascia segni che – come al solito – sono in grado di comprendere in pochi.

Al di fuori delle numerosissime interpretazioni ed analisi condotte sul testo, l’Infinito ci invita a pensare in modo filosofico, ci offre gli strumenti scarni e pochi per comprendere la vastità di questa radura dismettendo la corazza dei nostri pre-giudizi, spogliandoci delle solite scuse per evitare una resa dei conti finale che solo pochissimi sapranno affrontare.

Cerchiamo, almeno una volta, di non seguire il gesto di Empedocle, ma solo il suo pensiero (3)

 

 

 

NOTE

  1. (*) Suggerisco la attentissima lettura del testo di E. Severino, In viaggio con Leopardi. La partita sul destino dell’uomo, Rizzoli, 2015
  2. (**) “Il Signore di cui è l’oracolo in Delfi non dice non nasconde: significa” – Fr. 120 in: Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Mondadori. Fondazione Valla, 11980, pag. 53
  3. (***) Hölderlin, La morte di Empedocle, Garzanti, 2005

http://www.filosofico.net/empedo.html

 

 

 

 

 

 

 

IN EVIDENZA

PSICOLOGIA DELL’INFINITO DI LEOPARDI

 

Enrico Galavotti – Homolaicus – Scheda su Leopardi

C.L.XIII.22

L’Infinito viene scritto fra il 1819 e il 1821 (si pensa tra la primavera e l’autunno del 1819), sicuramente dopo il fallimento della fuga dal “vil borgo natìo”, orchestrata nel 1819. Dal settembre di quell’anno Leopardi, che ha poco più di 20 anni, comincia a rinchiudersi in una progressiva solitudine, che va peggiorando anche a causa di un fisico che uno studio forsennato di molti anni ha irreversibilmente rovinato. È in questo clima che nasce il piccolo idillio, pubblicato per la prima volta nel 1825.

Idillio, in greco, significa “piccolo quadro”, “immagine” e nell’antica Grecia rappresentava, in maniera più o meno realistica, piccole scene campestri, spesso di vita pastorale, e aveva come scopo quello di valorizzare il contatto con la natura. Un genere poetico, questo, ripreso nell’Umanesimo e durato sino all’Arcadia settecentesca, ma con risultati poco significativi.

Qui invece, pur partendo sempre da un’esperienza di natura, l’idillio esprime gli stati d’animo più profondi del poeta, e la descrizione della natura è solo occasione per parlare di sé.

Il colle dell’Infinito è un sentiero girante sotto il muro di cinta

e protetto da siepe: congiungeva la Casa Leopardi alla sommità del colle.

L’infinito avrebbe potuto essere stato scritto da un recluso, o meglio da un autoemarginato, poiché qui si ha a che fare con uno sconfitto sia dalle contraddizioni della società (feudalesimo decadente) che dalle proprie paure. Ma è un recluso particolare, che non si rassegna del tutto alla propria condizione, vuole sognare una fuga, come Papillon dal bagno penale della Guyana, non col corpo, perché con questo non vi è riuscito, ma con la mente.

Questo canto è come il sospiro della “creatura oppressa”, ma oppressa soprattutto dalla propria incapacità di essere, di vivere una dimensione sociale o comunque di reagire al vuoto, all’insignificanza di un’esistenza di cartapesta, tutta dedicata ai libri, in cui l’aveva condannato il padre, che già nel 1810 gli aveva tolto i privilegi del maggiorascato, imponendogli una carriera ecclesiastica, quasi subodorando che un figlio del genere non avrebbe potuto decidere una propria vita.

E’ il lamento di uno sconfitto che cerca di giustificarsi, di dare un senso alla propria inconsistenza, alla propria eccessiva tensione emotiva, che fino a quel momento si è misurata soltanto virtualmente, tra le “sudate carte”.

“Sempre caro mi fu quest’ermo colle / e questa siepe, che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”.

Il poeta dice di trovarsi in un luogo preciso, che ama e frequenta abitualmente: un colle solitario, tradizionalmente identificato nel monte Tabor, che domina sulle campagne di Recanati, non molto distante dal palazzo di famiglia. Solo, mentre s’accinge a salire il colle, in uno spazio circoscritto e delimitato da una siepe, il poeta guarda, ma non riesce a vedere parte dell’ultimo orizzonte” (il “celeste confine” della prima stesura), quello che poi riuscirà a vedere una volta arrivato in cima: proprio questo fa scattare il meccanismo immaginativo.

Non è dunque la possibilità di vedere dall’alto del colle gli ampi spazi, ma l’ostacolo alla vista determinato, durante il tragitto, dalla siepe, l’esperienza del limite, naturale e umano insieme, a suggerire l’idea dell’infinito. Annota infatti Leopardi nello Zibaldone (28 luglio 1820): “L’anima immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario”.

Sullo stesso sentiero il poeta veniva a rimirare la luna: “E tu pendevi allor su quella selva / Siccome or fai, che tutta la rischiari”.

Al poeta è caro ciò che gli impedisce di vedere la realtà, ciò che gli permette di fantasticare su questa, come sempre ha fatto, poiché la riconoscenza del merito involontario a questo simbolo naturale e insieme spirituale della vita non è da oggi, ma da sempre (1).

Il poeta non sta guardando il colle come lo guardava nel passato, con un senso di nostalgia per i sogni che faceva da bambino o da adolescente, ma lo guarda con gli occhi del presente, dietro la grata della sua prigione domestica e paesana, di figlio di un conte decaduto, il cui declino, morale e materiale, pare inarrestabile.

Se il poeta fosse davanti a uno psicanalista e raccontasse questo sogno o questa esperienza ch’egli considera di “vita”, e se si partisse dal principio che nessuno è in grado di giudicare se stesso, dovremmo azzardare l’ipotesi che il poeta stia mentendo.

Nessuna persona normale considererebbe come “cara” una cosa che simboleggia ciò che impedisce di vivere, ciò che permette solo di fantasticare. E’ evidente che qui si vuole usare il colle (e la siepe che lo sovrasta o meglio lo fiancheggia) come pretesto per giustificare il proprio aristocratico distacco, ancorché intellettualmente sofferto, dalla realtà.

Non dobbiamo sentirci autorizzati a guardare con occhio benevolo una data situazione solo perché viene descritta con un lirismo di levatura mondiale. Il colle e soprattutto la siepe svolgono una funzione oppiacea, autoconsolatoria, benché in forma eminentemente intellettuale.

Il segreto dell’infinito sta tutto in questo incipit, dove con straordinaria efficacia poetica il negativo viene fatto apparire positivamente, quasi che il Leopardi non fosse un emulo del buddista Schopenhauer ma del dialettico Hegel.

E infatti questo idillio non può essere stato suggerito da un’ispirazione improvvisa,

 

Continua qui: http://www.homolaicus.com/letteratura/infinito/infinito.htm

 

 

 

 

“L’Infinito” di Leopardi letto da ventidue cantautori (indovina chi)

Un video Mibact e Rai per i 200 anni della poesia

di Marianna Rizzini – 20 Dicembre 2019

 

“E il naufragar m’è dolce in questo mare”: il verso, di per sé, è stampato nella memoria da quando, a scuola, si trovavano similitudini tra il destino (e lo sguardo) di Giacomo Leopardi e quello di chi, alla fine della quinta elementare, si sentiva per la prima volta non più così bambino, ma neanche così adulto, e però grande abbastanza per essere affascinato dalla storia di quel poeta di cui la maestra aveva appena raccontato la storia. E insomma “L’Infinito” di Giacomo Leopardi, la poesia più amata sui banchi e oltre, ha compiuto duecento anni e però ieri si è in qualche modo superata, se è vero che quello stesso verso, come pure i precedenti, è stato letto e recitato da ventidue grandi cantautori italiani che – anonimi e gratuitamente – hanno prestato la loro voce per fare un regalo al ragazzo di due secoli fa che, da Recanati, immaginava “interminati spazi” oltre la siepe.

E chissà se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ieri ha ricevuto, attraverso la delegazione Mibact guidata dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, una copia-anteprima del video con le ventidue voci che leggono ciascuna un verso (video firmato Rai Cultura e Direzione creativa Rai), ha riascoltato poi l’audio per capire esattamente chi ha letto cosa.

Non è un gioco, ma “un’unica dichiarazione d’amore di ventidue grandi della musica alla poesia”, dice il ministro, mentre gli astanti riconoscono intanto e sicuramente la voce di Mina, Patty Pravo, Adriano Celentano, Gino Paoli, Paolo Conte e Ornella Vanoni. E quando per la seconda volta si arriva ai “sovrumani silenzi” e alla “profondissima quiete” e poi alle “morte stagioni”, sembra a un certo punto di percepire qualcosa, nell’inflessione, che porta a un timbro conosciuto (Francesco De Gregori, ma c’è anche Claudio Baglioni). Qualcuno crede di riconoscere Ivano Fossati, qualcuno Antonello Venditti, qualcuno

Continua qui: https://www.ilfoglio.it/cultura/2019/12/20/video/linfinito-di-leopardi-letto-da-ventidue-cantautori-indovina-chi-293514/

 

 

 

 

 

 

 

L’INFINITO DI LEOPARDI/ Video, poesia compie 200 anni: 22 cantanti la recitano

20.12.2019 – Paolo Vites

In un video dove non appaiono i nomi e i volti di ventidue cantanti, si sfidano a celebrare i versi de L’infinito

Giacomo Leopardi, incisione su rame di Gaetano Guadagnini (1830),

dal ritratto di Luigi Lolli del 1826 (da Wikipedia)

 

Francesco De Gregori, una decina di anni fa, aveva scritto una canzone che si intitolava proprio L’infinito. Non era la poesia del celeberrimo Giacomo Leopardi, ne prendeva in prestito solo il titolo, per una accorata dedica in punto di morte.

 

Adesso invece che stanno per chiudersi le celebrazioni della poesia composta nel 1819, duecento anni fa esatti, probabilmente il poema più noto e anche più bello dell’intera storia della poesia italiana, ecco un divertente

 

Continua qui: https://www.ilsussidiario.net/news/linfinito-di-leopardi-video-poesia-compie-200-anni-22-cantanti-la-recitano/1962542/

 

 

 

 

 

 

 

 

L’INFINITO DI LEOPARDI COMPIE 200 ANNI: L’OMAGGIO RAI

Naturalmente è vero anche il contrario: già tutti si stanno sfidando a riconoscere le voci e così lo intende la direttrice di Rai Cultura Silvia Cantarelli: “Tutti coloro che vorranno indovinare le voci potranno ascoltare e riascoltare il video una sfida importantissima e soprattutto adrenalinica, mai nessuno aveva osato tanto”. Adrenalinica? Leopardi non è un video gioco, ma comunque tant’è.

Noi a un primo ascolto abbiamo riconosciuto Ligabue, Emma Marrone, Mina (che recita il verso di chiusura, “E il naufragar m’è dolce in questo mare”), Patty Pravo, Ornella Vanoni, Celentano, Gino Paoli, Paolo Conte, Gianna Nannini e Jovanotti. E voi? Il primo ad ascoltarle è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che lo scorso

 

Continua qui: https://www.ilsussidiario.net/news/linfinito-di-leopardi-video-poesia-compie-200-anni-22-cantanti-la-recitano/1962542/

 

 

 

 

 

 

CULTURA

Discorso di Camus, Premio Nobel per la letteratura nel 1957

 

 

Ricevendo il premio di cui la vostra libera Accademia ha voluto onorarmi, la mia grande gratitudine era tanto più profonda quanto più mi misuravo fino a qual punto la ricompensa oltrepassava i miei meriti personali. Ogni uomo, e a maggior ragione ogni artista, desidera ottenere dei riconoscimenti. Anch’io lo desidero, ma non mi è stato possibile apprendere la vostra decisione senza confrontare la sua grande rinomanza con quello che io realmente sono, un uomo quasi giovane, ricco soltanto dei suoi dubbi e di una opera ancora in cantiere, abituato a vivere nella solitudine del lavoro o nel rifugio dell’amicizia, come potrebbe non apprendere con una specie di panico una decisione che lo porta d’un colpo, solo e quasi ridotto a se stesso, al centro di una luce sfolgorante? Con quale animo poteva ricevere quest’onore nell’ora in cui in Europa altri scrittori, fra i più grandi, sono ridotti al silenzio e nel momento stesso in cui la sua terra natale è tormentata da una continua sventura?

Ho conosciuto questo smarrimento e questo turbamento interiore. Per ritrovare la pace insomma ho dovuto rimettermi in regola con una sorte troppo generosa. E poiché non potevo farlo facendo leva sui miei soli meriti ho trovato, come aiuto, ciò che mi ha sostenuto nelle circostanze più difficili durante la mia vita: l’idea che mi son creata della mia arte e della missione dello scrittore. Lasciate che in un sentimento di riconoscenza e di amicizia vi dica, con la massima semplicità, quale sia questa idea.

Personalmente non potrei vivere senza la mia arte, ma non l’ho mai posta al di sopra di tutto: se mi è necessaria, è invece perché non si estranea da nessuno e mi permette di vivere come sono al livello di tutti. L’arte non è ai miei occhi gioia solitaria: è invece un mezzo per commuovere il maggior numero di uomini offrendo loro un’immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie di tutti. L’arte obbliga dunque l’artista a non isolarsi e lo sottomette alla verità più umile e più universale. E spesso chi ha scelto il suo destino di artista perché si sentiva diverso dagli altri si accorge ben presto che potrà alimentare la sua arte e questo suo esser diverso solo confessando la sua somiglianza con tutti: l’artista si forma in questo rapporto perpetuo fra lui e gli altri, a mezza strada fra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non si può staccare. È per questa ragione che i veri artisti non disprezzano nulla e si sforzano di comprendere invece di giudicare: e se essi hanno un partito da prendere in questo mondo, non può essere altro che quello di una società in cui, secondo il gran motto di Nietzsche, non regnerà più il giudice, ma il creatore, sia esso lavoratore o intellettuale.

La missione dello scrittore è fatta ad un tempo di difficili doveri; per definizione, non può mettersi oggi al servizio di coloro che fanno la storia: è al servizio di quelli che la subiscono. O, in caso contrario, lo scrittore si ritrova solo e privo della sua arte. Tutti gli eserciti della tirannia con i loro milioni di uomini non lo strapperanno alla solitudine anche e soprattutto se si adatterà a tenere il loro passo. Ma il silenzio di un prigioniero sconosciuto ed umiliato all’altro capo del mondo sarà sufficiente a trarre lo scrittore dal suo esilio, ogni volta, almeno, che arriverà, pur nei privilegi della libertà, a non dimenticare questo silenzio e a divulgarlo con i mezzi dell’arte.

Nessuno di noi è abbastanza grande per una simile vocazione. Ma in tutte le circostanze della sua vita, ignorato o provvisoriamente celebre, imprigionato nella stretta della tirannia o per il momento libero di esprimersi, lo scrittore può ritrovare il sentimento di una comunità vivente che lo giustifichi, alla sola condizione che accetti, finché può, i due impegni che fanno la grandezza della sua missione: essere al servizio della verità e della libertà. Poiché la sua vocazione è quella di riunire il maggior numero possibile di uomini, egli non può valersi della menzogna e della schiavitù che, là dove regnano, fanno proliferare la solitudine. Qualunque siano le nostre debolezze personali, la nobiltà del nostro mestiere avrà sempre le sue radici in due difficili impegni: il rifiuto della menzogna e la resistenza all’oppressione.

Per più di vent’anni di storia folle, perduto e privo di soccorso, come tutti gli uomini della mia età, nelle convulsioni del tempo, sono stato sorretto dal sentimento oscuro che scrivere era oggi un onore, perché

 

Continua qui: https://letturesparse.blogspot.com/2013/11/discorso-di-camus-premio-nobel-per-la.html

 

 

 

 

 

 

 

 

Albert Camus – Discours de réception du prix Nobel, 1957

 

VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=M5QD-32MCv4

 

 

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°