NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 21 NOVEMBRE 2018

https://www.studiarapido.it/il-partenone-il-tempio-perfetto/#.W_VcxGhKjIU

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

21 NOVEMBRE 2018

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Chi legge se stesso, ha un’altra esistenza fuori dallo specchio.

ELIAS CANETTI, Un regno di matite, Adelphi, 2005, pag. 30

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

IN EVIDENZA

L’AEREO DI 007 FRANCESI ESPLOSO IN VOLO NEI CIELI DI MALTA nel 2016: CONTROLLAVA I MOVIMENTI DELLE ARMI FRANCESI DIRETTE AI LIBICI

GLI UOMINI DELL’INTELLIGENCE DI PARIGI DOVEVANO ASSICURARSI CHE FINISSERO NELLE MANI GIUSTE… – LA VERSIONE UFFICIALE PARLAVA DI CONTROLLORI DEI FLUSSI MIGRATORI, MA ORA ARRIVA LA RIVELAZIONE DI UN GIORNALE MALTESE

14 novembre 2018

Gabriele Carrer per la Verità

 

Nel bel mezzo della conferenza per la Libia, emergono dettagli sui movimenti dei servizi segreti francesi a Malta. Il giornale Malta Today ha pubblicato un’inchiesta sulle persone a bordo del piccolo aereo bimotore, un Fairchild Metroliner Mk III, che il 24 ottobre 2016 precipitò poco dopo il decollo dallo scalo internazionale di Luqa a Malta. Il velivolo esplose nell’ impatto con il suolo e morirono le cinque persone a bordo. Si trattava di tre funzionari del Dgse, i servizi segreti francesi per l’estero, e due contractor della società lussemburghese Cae. Il governo maltese sostenne immediatamente che si trattasse di un volo di ricognizione per monitorare le rotte del traffico di droga ed esseri umani dalla Libia.

In realtà i cinque, come ha ricostruito Malta Today, facevano parte di una cellula di nove uomini che – da una villetta a schiera in quel di Balzan, ricco comune di meno di 4.000 anime nel cuore dell’isola – controllava i movimenti delle armi francesi dirette in Libia. La loro missione era assicurarsi che finissero nelle mani giuste.

Lo scriveva l’allora segretario di Stato americano Hillary Clinton in una mail del 2 aprile 2011 (rivelata da Wikileaks 4 anni più tardi) destinata al suo fedele Sid, cioè il consigliere per la politica estera, Sidney Blumenthal: la Francia di Nicolas Sarkozy, la stessa che sotto egida Nato intervenne con altri Paesi occidentali il 19 marzo 2011 per rovesciare il regime di Muammar Gheddafi, vendeva armi ai ribelli libici. E ha continuato a farlo, nonostante l’embargo delle Nazioni Unite, anche dopo il 2011.

Malta Today racconta come l’abitazione sia stata smantellata in fretta e furia, lasciando cavi scoperti per le stanze. Ma in tempo: appena prima dell’arrivo dei magistrati e della polizia, il giorno stesso della tragedia dell’aereo. E oggi, a distanza di qualche giorno dal rapporto delle autorità francesi secondo cui l’incidente fu causato dalla scarsa manutenzione del velivolo, l’inchiesta del giornale contraddice quanto dichiarato ufficialmente dal governo della Valletta, che allora sostenne si trattasse di uomini coinvolti in un’operazione di sorveglianza doganale che andava avanti da soli cinque mesi. E la polizia maltese che indaga sul caso avanza dei dubbi sul rapporto francese.

In realtà, in quell’ abitazione di Balzan, affittata per 20.000 euro all’ anno, viveva una squadra di nove membri degna di un film di spionaggio. Immaginate l’aereo in volo che trasmette le riprese dal vivo delle coste e del territorio della Libia

Continua qui:

https://www.maurizioblondet.it/laereo-di-007-francesi-esploso-in-volo-nei-cieli-di-malta-nel-2016-controllava-i-movimenti-delle-armi-francesi-dirette-ai-libici-gli-uomini-dellintelligence-di-parigi-dovevano-assicur/

 

 

Per coloro che ancora ipocritamente fanno finta di non sapere, riporto la interessante elencazione delle 113 basi USA (ma sono molte di più) operanti in Italia ridotta dal dopoguerra a colonia da V mondo:

BASI USA IN ITALIA

Ernesto Melappioni – 1 novembre 2018

 

Trentino Alto Adige

 

  1. Cima Gallina [Bz]. Stazione telecomunicazioni e radar dell’Usaf.

 

  1. Monte Paganella [Tn]. Stazione telecomunicazioni Usaf.

 

Friuli Venezia Giulia

 

  1. Aviano [Pn]. La più grande base avanzata, deposito nucleare e centro di telecomunicazioni dell’Usaf in Italia [almeno tremila militari e civili americani. Nella base sono dislocate le forze operative pronte al combattimento dell’Usaf [un gruppo di cacciabombardieri] utilizzate in passato nei bombardamenti in Bosnia. Inoltre, la Sedicesima Forza Aerea ed il Trentunesimo Gruppo da caccia dell’aviazione Usa, nonché uno squadrone di F-18 dei Marines. Si presume che la base ospiti, in bunker sotterranei la cui costruzione è stata autorizzata dal Congresso, bombe nucleari.

Nella base aerea di Aviano (Pordenone) sono permanentemente schierate, dal 1994, la 31st Fighter Wing, dotata di due squadriglie di F-16 [nella guerra contro la Jugoslavia nel 1999, effettuò in 78 giorni 9.000 missioni di combattimento: un vero e proprio record] e la 16th Air Force.

Quest’ultima è dotata di caccia F-16 e F-15, e ha il compito, sotto lo U. S. European Command, di pianificare e condurre operazioni di combattimento aereo non solo nell’Europa meridionale, ma anche in Medio Oriente e Nordafrica. Essa opera, con un personale di 11.500 militari e civili, da due basi principali: Aviano, dove si trova il suo quartier generale, e la base turca di Incirlik.

Sarà appunto quest’ultima la principale base per l’offensiva aerea contro l’Iraq del nord, ma l’impiego degli aerei della 16th Air Force sarà pianificato e diretto dal quartier generale di Aviano.

 

  1. Roveredo [Pn]. Deposito armi Usa.

 

  1. Rivolto [Ud]. Base USAF.

 

  1. Maniago [Ud]. Poligono di tiro dell’Usaf.

 

  1. San Bernardo [Ud]. Deposito munizioni dell’Us Army.

 

  1. Trieste. Base navale Usa.

 

Veneto

 

  1. Camp Ederle [Vi]. Quartier generale della Nato e comando della Setaf della Us Army, che controlla le forze americane in Italia, Turchia e Grecia. In questa base vi sono le forze da combattimento terrestri normalmente in Italia: un battaglione aviotrasportato, un battaglione di artiglieri con capacità nucleare, tre compagnie del genio. Importante stazione di telecomunicazioni. I militari e i civili americani che

 

Continua qui:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2027369757357843&id=100002545153743

 

La secessione dell’Unione Europea

di Thierry Meyssan

Secondo Thierry Meyssan, il modo in cui Germania e Francia negano al Regno Unito il diritto di uscire dall’Unione Europea dimostra che quest’ultima non è soltanto una camicia di forza. Dimostra altresì che gli europei insistono a preoccuparsi poco dei propri vicini, come accadde per le due guerre mondiali. Evidentemente hanno dimenticato che governare non vuole dire semplicemente difendere gli interessi immediati del proprio Paese, significa avere un orizzonte di ampio respiro e scongiurare conflitti con chi ci sta accanto.

RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA) | 20 NOVEMBRE 2018

e popolazioni dell’Unione Europea non sembrano essere consapevoli delle nuvole che si stanno addensando sopra le loro teste. Hanno individuato i gravi problemi della UE, ma li affrontano con disinvoltura e non capiscono cosa c’è in gioco con la secessione britannica, la Brexit. Si stanno inoltrando lentamente in una crisi che potrebbe risolversi solo con la violenza.

L’origine del problema

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, i membri della Comunità Europea hanno accettato di piegarsi al volere degli Stati Uniti e hanno ammesso gli Stati dell’Europa Centrale, benché non rispondessero affatto ai criteri logici di adesione. Imboccata questa strada, hanno adottato il Trattato di Maastricht, che ha fatto scivolare il progetto di un coordinamento economico degli Stati europei verso l’idea di uno Stato sovranazionale. Si trattava di creare un vasto blocco politico che, con la protezione militare degli Stati Uniti, si sarebbe avviato insieme a loro sulla via della prosperità.

Questo super-Stato non è per niente democratico. È amministrato da un consesso di alti funzionari, la Commissione, composta da un delegato per ogni Stato dell’Unione, designato dal capo di Stato o di governo del proprio Paese. Mai nella storia si è visto un impero funzionare così. Il modello paritetico della Commissione ha partorito molto presto una gigantesca burocrazia paritaria, dove alcuni Stati sono “più uguali di altri”.

Il disegno di uno Stato sovranazionale si è dimostrato inadeguato al mondo unipolare. La Comunità Europea (CE) era nata dalla branca civile del piano Marshall, di cui la NATO era l’ambito militare.

Le borghesie dell’Europa occidentale, che si sentivano minacciate dal modello sovietico, sostennero la CE sin dal congresso convocato nel 1948 all’Aia da Winston Churchill. Dissolta l’URSS, non avevano più interesse a continuare su questa via.
Gli Stati dell’ex Patto di Varsavia esitavano tra imbarcarsi nell’Unione Europea o allearsi direttamente con gli Stati Uniti.

Continua qui:

http://www.voltairenet.org/article204000.html

 

 

Malta, armi francesi e Libia

da aurorasito

Gosint 15 novembre 2018

Malta è la Casablanca degli anni ’40. Malta è la base delle operazioni libiche. Francesi, inglesi, italiani, statunitensi… ci sono tutti“.

Esperto di affari libici

Contrariamente a quanto detto in pubblico, l’aereo non sorvegliava il traffico di droga e umani, ma si assicurava che le armi francesi venissero fornite alle persone giuste in Libia“.

Malta Today

26 ottobre 2016, la Francia sembrava utilizzare Malta come trampolino di lancio per le operazioni militari segrete in Libia.

15 novembre 2018, agenti dei servizi segreti francesi usavano Malta come base per monitorare l’invio di armi in Libia. Le cinque persone uccise nell’incidente aereo facevano parte di una cellula di nove uomini a Balzan, Malta. I francesi potrebbero avere il loro “LibyaGate”.

David Hudson ha scritto un pezzo molto informato su Malta Today.

Gli agenti della DGSE, che agivano per conto del governo francese, svolgevano missioni di ricognizione seguendo specificamente il movimento degli armamenti francesi inviati in Libia. Due persone, il capitano Fabien Pierret e il primo ufficiale Marcel Bourret, erano contraenti della CAE, società lussemburghese specializzata in sorveglianza aerea che progettò e possedeva l’aeromobile. Lavoravano per GAM56, l’unità dei trasporti del servizio segreto francese. Gli altri tre membri dell’equipaggio sull’aereo – Alexandre Chaissant, Vincent Pouplet e una terza persona il cui nome non è disponibile, erano membri del DGSE, l’agenzia d’intelligence estera della Francia.

Armi in Libia: connessione francese – Nonostante l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite sulla Libia, che impedisce l’invio di armi a qualsiasi fazione in Libia, a meno che non sia approvato dal Comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU, la Francia assicurava 9,1 miliardi di dollari di esportazioni in armamenti nel 2014. La vendita di armi francesi alla Libia fu documentata in un’e-mail classificata trapelata all’ex-candidata presidenziale statunitense Hillary Clinton, quando era segretaria di Stato. L’e-mail del 2011 fu pubblicata da WikiLeaks nel 2015. L’e-mail sull’interesse della Francia in Libia indicava il generale Abdalfatah Yunis. Il generale Yunis fu ucciso in circostanze poco chiare. Il suo corpo e quelli di altri due ufficiali furono trovati alla periferia di Bengasi. Erano stati colpiti e poi bruciati.

In una e-mail a Hillary Clinton, Sidney Blumenthal dichiarava che: “Nel luglio-agosto 2011 i” funzionari della sicurezza “del NTC scoprirono che Yunis era in contatto segreto con Sayf al-Islam Gheddafi. In risposta a questo rapporto, una fonte sensibile dichiarò che Jalil (Mustafa Abduljalil, capo dell’NTC) ordinò agli agenti della sicurezza del NTC di assassinare Yunis mentre si dirigeva una riunione alla sede della NTC. Jalil poi disse che Yunis era stato ucciso da dissidenti islamisti tra le sue truppe”. Questa è ovviamente una storia molto sanguinaria. Intel Today vorrebbe porre una domanda molto semplice. Dove trovava la Libia i 9 miliardi di dollari per l’accordo sulle armi? Sicuramente, non vi è alcun collegamento col mistero dei 10 miliardi di euro mancanti dai conti congelati di Gheddafi nelle banche belghe?

Incidente aereo, alle 7.20 del 24 ottobre 2016, un Fairchild Metroliner bimotore si schiantava subito dopo il decollo, uccidendo tutte e cinque le persone a bordo. I media riferirono che il volo faceva parte di una “operazione di sorveglianza doganale francese”. Le relazioni suggerivano che l’aereo fosse stato noleggiato dall’agenzia di controllo delle frontiere dell’Unione europea, Frontex.

‘Serie Nera’ per la DGSE, l’alto rappresentante per gli affari esteri Federica Mogherini escludeva che l’aereo fosse coinvolto in qualsiasi operazione dell’UE. La dogana francese dichiarava che nessuno del proprio personale era presente a bordo. Il ministero della Difesa francese confermava che tre dei cinque uomini a bordo erano funzionari dell’intelligence estera francese: la DGSE

Continua qui:

http://aurorasito.altervista.org/?p=3582

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Vuoi capire davvero l’Italia? Occhio a parolacce, gestacci, e imprecazioni

18 novembre 2018

La cosiddetta “pancia del Paese” oggi trionfa. Ma per capirla davvero bisogna guardare all’immenso patrimonio di volgarità linguistiche (e semiotiche) che da secoli ci appartiene. Lo fa il linguista Massimo Arcangeli nel libro “Sciacquati la bocca” (Il Saggiatore)

 

Un estratto da Sciacquati la bocca. Parole, gesti e segni dalla pancia degli italiani (Il Saggiatore)

 

Se il linguaggio non verbale del cinema italiano muto risente di un’artefatta teatralità melodrammatica, tanto appare caricato, anche con l’avvento del sonoro non mancano esempi di una gestualità piena o esagerata, come quella di Massimo Troisi: da antologia la sua corporeità compulsiva e civettuola in Ricomincio da tre (1981), quasi un rituale preparatorio alla notte d’amore con l’infermiera Marta (Fiorenza Marchegiani), e, nello stesso film, i duetti dell’attore e regista con Lello Arena a forza di mosse e contromosse, di tocchi e di ritocchi.

Contrapposto alla compostezza degli inglesi, alla rigidità tedesca, ai moderati movimenti delle braccia e delle mani dei francesi, lo smodato gesticolare italico ci ha lasciato un ineguagliabile ricordo nel dialogo muto a distanza fra Giancarlo Giannini e Mariangela Melato in Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972), di Lina Wertmüller. Un piccolo campionario di italici gesti autonomi – distinti da quelli coverbali, compagni delle parole – è ancora il dialogo muto fra Carlo Verdone e Margherita Buy in Maledetto il giorno che t’ho incontrato (1992), per la regia dello stesso Verdone. In un altro film della Wertmüller, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974), c’è una scena a tre fra Melato, Giannini ed Eros Pagni che riproduce, nelle parole e nelle pose, altrettanti tipi italici o giù di lì: la Melato, con i suoi atti verbali e movimenti a tratti isterici, ma intimamente snob (anche quando cede al turpiloquio), manifesta i toni di una superiorità settentrionale che scaglia i suoi anatemi, a suon di sventagliate di erre moscia e di tirate abortiste, ecologiche e anticomuniste, contro la «civiltà di massa» e i «morti di fame» di un’Italia colpevolmente prolifica; Pagni, convinto comunista, risponde colpo su colpo alle affermazioni dell’attrice, via via accendendosi e sfoderando tutto il repertorio di genere del capitolino scomposto, sguaiato, urlante; Giannini, marinaio siciliano dai modi rozzi e pure lui comunista (fa l’attivista, e in posizione di rilievo), lancia alla donna sguardi infuocati senza affrontarla verbalmente. Schiuma rabbia ma il suo è un livore sordo, quello del sottoposto che ribolle ma non sbotta, sfogandosi in proprio o col collega di bordo. Un livore pur sempre italico, ma da isolano. Implode, come imploso è il suo corpo. Chissà come si sarebbe comportato se avesse condiviso con gli altri il tavolo su cui mangiare.

Il modo di sedere, come il modo di gesticolare (cinesica) o di vestire (vestemica), di camminare, di salutare o di dormire, non è solo, delle componenti non verbali del comportamento umano, una fra le più studiate dall’etnografia e dall’antropologia popolare; è anche, quando ci troviamo a tavola, una posizione del corpo utile a reimpostare la distanza che mettiamo fra noi e l’attività del mangiare – cibi e bevande, ma anche strumenti, contenitori, accessori vari – come distanza fra persone che interloquiscono o interagiscono (prossemica). La diversa postura assunta abitualmente in tavola, fra un pasto e l’altro, da un bambino inglese e uno francese, il primo con i gomiti ben ancorati al corpo e il secondo con gli stessi piantati sul desco “a ventaglio”, potrebbe suggerire riflessioni interessanti sull’antropologia italica dell’attavolamento restituita, ancora una volta, dall’immaginario cinematografico.

In una scena di Miseria e nobiltà (1954) Totò e gli altri quattro attori seduti assistono prima composti, a debita distanza, alla preparazione della tavola da parte di un cuoco e di due suoi aiutanti; si avvicinano quindi al cibo sempre composti, saltello dopo saltello (sulle sedie); si avventano infine sull’insalatiera fumante, ricolma di spaghetti, che troneggia in centrotavola, mangiando la pasta con le mani e, nel caso di Totò, salendo addirittura sul desco. Un pranzo animalesco, e ce lo suggerisce il comico stesso: gli passa davanti un allettante pollo arrosto e protende il capo per annusarlo, come farebbe un cane; solleva le braccia dalle gambe e le piega a squadra in avanti, abbassando le mani, come quel cane atteggerebbe le zampe anteriori nella trepidante attesa dell’agognatissimo cibo; intasca gli spaghetti che tornerà a mangiare quando sarà, come il cane porterebbe con sé il cibo in eccesso per sotterrarlo o nasconderlo da qualche parte in attesa di recuperarlo al momento opportuno.

GESTI DIVERSI

Molti studi sulla gestualità hanno affrontato il tema all’interno di una prospettiva di genere, in qualche caso viziata dal punto di vista antropocentrico; in storie ben note gli uomini fanno il pugno col pollice fuori, le donne col pollice dentro; gli uomini lanciano pietre in lunghezza, le donne in altezza. Ci sono poi i gesti che promanano da una sessualità altra da quella maschile e femminile, saccheggiati dal cinema brillante (in stile commedia all’italiana) e funzionali alla costruzione di un personaggio macchiettistico i cui connotati sono un lascito dell’avanspettacolo: quello di un omosessuale ben accessoriato (gli si fanno indossare collane, orecchini, bracciali ecc.), dagli abiti sgargianti e dalle movenze tutt’altro che virili. In una pellicola di Totò, L’imperatore di Capri (1949), l’attore napoletano, pur impegnato a destreggiarsi nel corteggiamento di capresi bellissime, si presenta a un tratto a Mario Castellani (Asdrubale Stinchi) con quei connotati, condivisi da altri due personaggi eccentrici

 

Continua qui:

https://www.linkiesta.it/it/article/2018/11/18/vuoi-capire-davvero-litalia-occhio-a-parolacce-gestacci-e-imprecazioni/40162/

 

 

BELPAESE DA SALVARE

L’Italia avrà 16 milioni di abitanti

23/09/2018 Massimo Bordin

Tra un secolo il Belpaese sarà abitato da 16 milioni di abitanti, cioè il 73 per cento in meno di oggi. Il tutto è stato spiegato attraverso la glaciale logica dei numeri al Festival della Statistica e della Demografia che si conclude oggi a Treviso.

Mentre dalle mie parti tutti “quelli che leggono” se ne sono andati a Pordenone Leggere a sentire gente del calibro di Susanna Tamaro e Carlo Lucarelli, io che faccio sempre il bastian contrario ho fatto come “quelli che scrivono” e mi sono recato alla manifestazione culturale antagonista sulla Statistica. Ne è valsa la pena perché ne è uscita una chicca prontamente ripresa anche dall’Ansa: nel 2118 saremo 16 milioni.

In un programma informatico sono stati inseriti il tasso di fertilità attuale (1,34) e l’attesa di vita dei bimbi nati oggi (83,8 anni), per capire – con tutte le altre condizioni alla pari – quante persone abiteranno la Penisola nel 2018: poco più di 16 milioni è stato il responso. Siccome diversi filosofi ne stanno parlando da tempo verrebbe da dire che anche questa volta i filosofi intuiscono (ricordate gli atomi di Democrito?), e poi gli scienziati dimostrano (la sistemazione atomistica di John Dalton), ma non credo occorra scomodare nessuno per provare con i numeri ciò che è sotto gli occhi di tutti: l’Italia non si è dotata di politiche per la famiglia come altri paesi e fa spallucce di fronte al chiaro fenomeno della femminilizzazione fingendo che si tratti di una provocazione maschilista e omofobica. Addirittura, c’è chi da la colpa al calo del testosterone sulla scorta della scoperta scientifica dell’acqua calda: l’ipofertilità. E allora – persino in questo settore – siamo alle solite. Gli scientisti che ammorbano le accademie e prestano il fianco al pensiero unico, amano scovare cause meccaniche e deterministiche a fatti che invece hanno una chiara matrice politica e sociale, confondendo come al solito gli effetti con le cause. Non sono il calo del testosterone o l’infertilità le cause del calo demografico, ma il comportamento umano che, in Italia, si sta orientando verso il figlio unico o verso la rinuncia ad avere figli come scelta consapevole della coppia. Poi, ovviamente, tutto questo si riverbera ANCHE sotto il profilo chimico accelerando il problema. Secondo uno speciale della trasmissione di Rai Tre Presa Diretta, ad esempio, l’ipofertilità sarebbe dovuta ai banali oggetti che popolano la nostra vita quotidiana e alle sostanze chimiche che possono interferire con il nostro sistema ormonale. E sfortunatamente, questi potenziali interferenti endocrini possono essere quasi ovunque. La femminilizzazione del maschio non è fantascienza perché nei luoghi più contaminati del pianeta già lo abbiamo visto negli animali. Per esempio con gli alligatori ermafroditi della Florida o con i pesci del Po che stanno cambiando sesso a causa dell’inquinamento.

In Italia in 50 anni abbiamo perso il 50% delle nascite. I demografi, ogni anno, ci ricordano che il numero dei morti supera quello dei nati. Se continuiamo così, con 1,3 figli in media a donna, siamo destinati a veder sparire il 60% dei giovani nel giro di 3 generazioni,

Continua qui:

http://micidial.it/2018/09/litalia-avra-16-milioni-di-abitanti/

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

L’esercito britannico si prepara a reprimere sommosse anti-Brexit

RETE VOLTAIRE | 19 NOVEMBRE 2018

Secondo il Sunday Times del 18 novembre 2018, l’esercito britannico ha ricevuto disposizione di prepararsi a mantenere l’ordine nelle piazze delle grandi città del Regno Unito, affiancando la polizia.

Di fronte alla rigidità dell’Unione Europea, il primo ministro, Theresa May, sarebbe nell’impossibilità di trovare un accordo con Bruxelles.

L’Unione Europea ha respinto la proposta britannica di rimanere nel Mercato Comune, allorché avrà assolto gli obblighi sovranazionali previsti dal Trattato di Maastricht. La UE, molto preoccupata di un possibile effetto-contagio della Brexit,

Continua qui:

http://www.voltairenet.org/article203988.html

 

CYBERWAR SPIONAGGIO DISINFORMAZIONE

Ecco come funziona il giornalismo da noi, almeno sugli esteri

14 novembre 2018 – Alberto Negri

Ecco come funziona il giornalismo da noi, almeno sugli esteri. La politica estera e il mestiere di inviato di guerra che ho esercitato per 35 anni sono da noi assai marginali: giornali e tv sono ripiegate sull’ombelico italico da sempre.

I posti  e ovviamente gli stipendi migliori vengono riservati agli amici degli editori, dei politici e di qualche lobby, come quella che influenza le nomine sui corrispondenti in Israele.

Chi è contro Israele o viaggia il mondo arabo e iraniano è un amico dei terroristi, quindi sospetto.

Poi c’è la sudditanza nei confronti degli Usa: per anni chi era contrario alla politica

 

Continua qui:

http://assadakah.com/ecco-come-funziona-il-giornalismo-da-noi-almeno-sugli-esteri/

 

 

 

 

 

Il peggior nemico della NATO è se stessa

da aurorasito

Gunnar Ulson, LDR, 19 novembre 2018

Gli incidenti accadono. Per la Norvegia, in conclusione delle esercitazioni militari della NATO Trident Juncture 2018, un incidente colpiva la fregata dotata dell’Aegis Lockheed Martin, HNoMS Helge Ingstad. Dopo la collisione con una petroliera, il capitano della fregata ordinò d’incagliare la nave per evitare la perdita totale. Un pensiero veloce porterebbe ad aver salvato le vite dei marinai norvegesi e reso più facili le operazioni di salvataggio. Per fortuna non ci furono perdite umane, solo otto feriti furono segnalati dai media occidentali. Helge Ingstad partecipava alla simulazione della NATO dell’invasione della Norvegia. Come il Council on Foreign Relations chiariva nell’articolo, “Esercitazioni della NATO Trident Juncture: cosa sapere”, gli invasori immaginari erano ovviamente russi. Il pezzo del CFR reclamava: “L’aggressore nella simulazione è fittizio, ma impostazione e scala delle esercitazioni indicano chiaramente una direzione. Le tensioni tra NATO e Russia, che condivide il confine artico con la Norvegia, sono alle stelle. Negli ultimi cinque anni, la Russia si è annessa la Crimea, destabilizzato l’Ucraina orientale, fornito aiuti militari al regime brutale in Siria, si è intromessa nelle elezioni occidentali e si è allontanata o presumibilmente violato i principali trattati di sicurezza”. Certamente nulla di ciò che sostiene il CFR è vero e molte accuse alla Russia sono da tempo abbandonate da i media occidentali. Il fatto che la Norvegia abbia perso una nave costosa nelle esercitazioni della NATO, per prepararsi a un’invasione russa che non accadrà mai, suggerisce che la peggiore minaccia all’Europa è la NATO, non Mosca.

La NATO è un cancro, non uno scudo

La somma di denaro richiesta per ospitare i membri della NATO in Norvegia per prepararsi a un’invasione russa che non accadrà mai sembrerebbe dannosa per i norvegesi e le altre nazioni europee che spendono per spostare forze e mezzi (40000 persone, 120 aerei e 70 navi ) verso e dalle aree delle esercitazioni. L’addestramento è importante e il mantenimento di un forte carattere militare e di una deterrenza credibile è importante anche per tutte le nazioni, incluse Europa occidentale e Russia. Ma tali preparativi dovrebbero essere proporzionali alle potenziali minacce che deve affrontare qualsiasi nazione o blocco di nazioni. Tali preparativi dovrebbero anche essere volti chiaramente a creare una deterrenza piuttosto che una provocazione.

La Trident Juncture della NATO sembra essere più un’esercitazione volta a rafforzare l’espansione della NATO ad est, ai confini della Russia che una preparazione all’”invasione russa” che anche la leadership della Norvegia afferma assai improbabile. Tali esercitazioni e l’agenda che servono avvantaggia vari interessi particolari, principalmente di Washington (incluso Lockheed Martin), a spese dei membri europei della NATO. La NATO, guidata da Washington ed immensi interessi corporativi che la dominano, è uno strumento per estendere le ambizioni nordamericane sul mondo. Pochi potrebbero dare una spiegazione credibile su ciò che l’occupazione dell’Afghanistan da quasi vent’anni della NATO ha a che fare con la difesa dell’Europa. Per la Norvegia in particolare, l’Afghanistan è diventata la tomba di almeno 10 suoi militari e il buco nero che ingoia diversi miliardi di dollari norvegesi. Allo stesso modo, fu la NATO guidata dagli Stati Uniti che distrusse la Libia (coll’aiuto norvegese), trasformandola in un focolaio di terrorismo e innescando la crisi dei rifugiati che invade l’Europea e continua ad essere fonte di tensioni socioeconomiche oggi. In questo caso, la NATO compromise la sicurezza europea, e i contribuenti norvegesi contribuirono al disastro.

È chiaro che la NATO non protegge l’Europa, ma l’usa per far avanzare le ambizioni nordamericane sul mondo, ben oltre ogni ragionevole giurisdizione che un’alleanza difensiva europea dovrebbe avere.

Poiché la NATO usa l’Europa, consuma fondi che potrebbero essere meglio utilizzati a livello nazionale per gli europei. Il risultato netto delle attività della NATO indebolisce piuttosto che sostenere la sicurezza europea. La Trident Juncture della NATO è semplicemente un’estensione di tale processo, volto ad incrementare le tensioni con la Russia e a minare ulteriormente pace e stabilità

Continua qui:

http://aurorasito.altervista.org/?p=3600

 

 

 

 

 

L’Ansa chiude a Beirut e Teheran e chiudiamo gli occhi sul mondo

18 novembre 2018  Alberto Negri

 

L’Ansa chiude a Beirut e Teheran e chiudiamo gli occhi sul mondo.

 

Discutendo del suo ultimo libro “Khomeini. Il rivoluzionario di Dio” (Castelvecchi),  Alberto Zanconato, capo esteri dell’Ansa, per anni corrispondente in Iran e Libano, mi informa che l’agenzia nazionale ha chiuso le sedi storiche di Beirut e Teheran.

Continua qui:

http://assadakah.com/lansa-chiude-a-beirut-e-teheran-e-chiudiamo-gli-occhi-sul-mondo/

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

ONG, migranti, trafficanti, inchieste. Tutto quello che c’è da sapere

19 maggio 2017 di Angelo Romano, Claudia Torrisi, Andrea Zitelli   RILETTURA ATTENTA

Negli ultimi due mesi le Organizzazioni non governative, che soccorrono i migranti lungo la rotta centrale del Mediterraneo, sono state accusate di collusione con i trafficanti e di incentivare, con la loro presenza, le partenze dei barconi dalla Libia verso l’Italia. Si è innescato un dibattito acceso che ha coinvolto istituzioni, giornalisti, politici e magistrati. Questo lavoro di approfondimento affronta in maniera dettagliata le questioni emerse, ricostruendo attraverso un’analisi critica il dibattito pubblico, le ipotesi avanzate dal procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro nei confronti delle ONG, chi sono le organizzazioni non governative nel mirino delle procure e come funzionano e il complicato scenario internazionale in cui si inserisce tutta questa vicenda. Per avere un quadro completo è stato necessario uno studio su ogni aspetto della questione. Solo in questo modo, avendo a disposizione tutti gli elementi e il contesto di riferimento, sarà possibile farsi una propria opinione al di là di polemiche e pregiudizi. “Le ONG sono colluse con i trafficanti di migranti”: come nasce la storia dei “taxi del mare” “L’indagine” sulle ONG, cosa ha detto il procuratore Zuccaro Chi sono e cosa fanno e con quali fondi operano le ONG  Lo scenario politico e internazionale: Europa, le leggi del mare e la questione libica “Le ONG sono colluse con i trafficanti di migranti”: come nasce la storia dei “taxi del mare” “Le ONG sono colluse con i trafficanti di migranti”. L’idea che le operazioni di salvataggio in mare dei migranti siano il paravento di un business della migrazione che coinvolge organizzazioni non governative e reti criminali si è fatta strada nel dibattito pubblico, “penetrando nel profondo e mettendo in discussione il dovere del soccorso”, come dichiarato dal senatore Luigi Manconi in una recente intervista. Sono stati due i filoni di informazione che si sono intrecciati tra di loro: i post di una fondazione olandese, Gefira, la prima a parlare nel mese di novembre dello scorso anno di collusione tra ONG, Guardia Costiera Italiana e trafficanti, ripresi in Italia da alcuni media; le rivelazioni di rapporti interni, il documento ufficiale dell’agenzia europea della guardia costiera e di frontiera, Frontex, e alcune dichiarazioni del suo direttore, che hanno accusato le ONG di essere un fattore di attrazione dei barconi dei migranti, riprese da alcuni politici. Le osservazioni di Frontex sono state anche alla base dei sospetti del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, sull’operato delle organizzazioni non governative. Il 15 novembre 2016, la Fondazione Gefira, un think-tank paneuropeo olandese, pubblica un articolo dal titolo Colte sul fatto: le Ong trafficano migranti (poi tradotto in italiano lo scorso aprile). Presentata dai media che l’hanno rilanciata come fondazione indipendente, Gefira ospita nel magazine Newropeans di cui è editrice, articoli euroscettici, come nel caso delle campagne “No Euro della Lega Nord”. Sul sito, ci sono articoli a firma di gefira.org contro George Soros, sui paesi vittime dell’Euro o sull’aumento dell’immigrazione dall’Africa in Italia a causa delle politiche dai “confini aperti” dell’Europa e degli aiuti delle Ong. Secondo Gefira, “le ONG, la Guardia Costiera italiana e i trafficanti coordinano le proprie azioni” e diverse organizzazioni umanitarie, che operano in acque libiche, “sono un elemento indispensabile per la rotta di traffico per l’Europa”. A dimostrarlo sarebbero i software per il tracciamento delle navi (marinetraffic.com) e i rapporti di alcuni giornalisti. In particolare, Gefira si riferisce ai movimenti della nave Golfo Azzurro nella giornata del 12 ottobre 2016, monitorata incrociando i dati ricavati dal sistema di identificazione automatica sul sito marinetraffic.com e i racconti di una giornalista olandese imbarcata sulla nave, Eveline Rethmeier, per l’emittente Rtl Nieuws. Si tratta dell’intervento di soccorso in mare ad opera del team MOAS-Croce Rossa Italiana, in cui 113 persone furono tratte in salvo da un gommone in difficoltà e 17 (tra le quali un bambino nigeriano di tre anni) risultarono disperse. A destare sospetto, scrive il think-tank olandese, è quanto riportato in uno dei post della giornalista olandese a bordo della Golfo Azzurro, dove si legge che già alle 8 del mattino del 12 ottobre la Guardia Costiera italiana aveva comunicato all’imbarcazione di prepararsi ad assistere una barca in difficoltà a circa 30 miglia dalla loro posizione, dirigendola in acque territoriali libiche. Golfo Azzurro sarebbe stata informata ben 10-12 ore prima delle altre navi. Secondo quanto riportava Malta Today in quei giorni, prosegue Gefira, intorno alle 19, il Centro di Coordinamento di Salvataggio Marittimo a Roma aveva contattato la nave Phoenix. Solo alle 21:20 i droni dell’imbarcazione erano riusciti ad avvistare il gommone pieno di migranti e,

Continua qui:

https://www.valigiablu.it/ong-migranti-trafficanti-inchieste/

ECONOMIA

Quelli che “ma se usciamo dall’euro chi ci compra il debito pubblico”?

19/11/2018 Massimo Bordin

Notiziona dalla Cina: finalmente anche i cittadini potranno investire in obbligazioni di Stato cinesi!

Eheeee? Lo so, detta così sembra una supercazzola, ma è la pura e cruda verità. Fino ad oggi, i cinesi non compravano i bond emessi dal loro Stato. E allora come faceva il governo di Pechino? Non hanno il debito pubblico? Eccome se ne hanno: i dati riportati dal Sole24ore confermano un debito pubblico nel Paese di Mezzo che sfiora i cinquemila miliardi di dollari, cifra che andrebbe moltiplicata per 2,5 se tenessimo in considerazione anche i debiti dei governi locali (le municipalità). Ma allora, se registrano queste astronomiche cifre, chi compra di norma il debito pubblico cinese? Risposta: le banche pubbliche cinesi!

Chi sa leggere, ne tragga le conseguenze anche per il nostro debito, giudicato “intollerabile” dalla marmaglia degli economisti nostrani.

La Cina da venerdi 16 novembre consente agli investitori al dettaglio di acquistare obbligazioni governative locali presso le banche. La People’s Bank of China (PBOC) ha annunciato che gli investitori al dettaglio potranno d’ora in poi acquistare obbligazioni governative locali presso le banche commerciali, estendendo l’elenco delle obbligazioni disponibili per loro sulle piattaforme bancarie.

In precedenza, gli investitori individuali potevano acquistare buoni del tesoro attraverso un complicatissimo meccanismo che rendeva sterile l’investimento e solo dal 2016.

Alcuni ritengono che la mossa volta a favorire il pubblico retail contribuirà ad alleggerire il

Continua qui:

http://micidial.it/2018/11/quelli-che-ma-se-usciamo-dalleuro-chi-ci-compra-il-debito-pubblico/

 

Amazon, farsi pagare dai poveri non è mai stato così facile

20 novembre 2018 Enrico Verga

Con un poco d’ironia un titolo adatto per questi giorni. Di questi tempi “farsi pagare dai poveri” – o dai politici terrorizzati dalla mancanza di opportunità lavorative per i propri elettori, che quindi rischiano di diventare poveri – è più facile che tassare un ricco (nonostante i ricchi abbiano persino scritto ai politici per chiedere di non tagliare loro le tasse).

In questi giorni il signor Bezos è più famoso del signor Musk, uno che s’impegna per stare sui media 24/24. Il ricco Jeff ha infatti dichiarato pubblicamente che Amazon fallirà. Bene inteso, non ha detto quando o meglio ha indicato la vita media di un’azienda in 30 anni e più (Amazon è nata nel 1994 quindi ha già 24 anni). Subito dopo, forse per evitare che i suoi colletti bianchi si prendessero un coccolone – contratto a tempo indeterminato e una retribuzione media sui 100mila dollari più benefit un livello quadro-dirigente mica lo trova facilmente di sti tempi – ha chiarito che sta a “noi (ai suoi stipendiati immagino)” far si che il fallimento arrivi più tardi possibile.

Ultimamente i Ceo o ex Ceo di grandi gruppi si divertono a rilasciare dichiarazioni più o meno “clickbait”: Elon Musk con le sue uscite sulla borsa (che gli son costate multe dalla Sec per 40 milioni), le sparate del Ceo di Uber (che ha lasciato la sua posizione di Ceo) contro le donneBill Gates che parlava contro l’intelligenza artificiale (ora è attivo, tra le altre cose, nella vendita di water) e così via. In parallelo con le sue dichiarazioni il signor Bezos si è fatto regalare, forse un termine un poco forte ma datemi licenza, due città. Dopo una lunga battaglia a suon di ribassi, inginocchiamenti su tappeti di chiodi arrugginiti e leccamento di piedi (per modo di dire, ovviamente), due sindaci americani ora possono esultare: hanno vinto Amazon. Specificamente New York e Crystal city(Nord Virginia) si aggiudicheranno la nuova sede di Amazon divisa in due. Per il colosso statunitense è un affare d’oro. Amazon oltre a vendere cose in rete ha anche una florida unità di gestione dati. Amazon web service è fornitore della difesa e della Cia e ambisce a diventare fornitore di molte aziende grazie ai suoi servizi di bigdata. Una pubblicità del genere di certo aiuta.

Le promesse fatte dai due sindaci sono intriganti per Bezossconti fiscali, investimenti in infrastrutture (per reggere il traffico che le due sedi genereranno, tra le altre cose) insomma una situazione di win-win per tutti. Ma c’è una cosa che non mi torna, diciamo un’osservazione generata dalle parole del signor Bezos. Stando alla analisi del Washington Post (di proprietà di Bezos, ergo potenzialmente poco propenso a scrivere male del suo capo) “Amazon stima di assumere (in riferimento a uno dei due quartier generali) 400 persone nel 2019, 1180 nell’anno successive. Ci si aspetta di creare un minimo di 25mila posti di lavoro entro il 2030 e potenzialmente 37850 entro il 2034”. Amazon sarà ancora in piedi nel 2034?

Le città che hanno vinto hanno vincolato il loro supporto economico (sotto forma di investimenti e tagli alla tassazione) a delle promesse. Promesse che Amazon valorizzerà immediatamente (specie il tema tassazione) mentre sulle assunzioni è tutto da vedere come si evolverà Amazon nei prossimi anni. Le sfide per Bezos non mancano. Amazon non è poi così ampiamente diffuso come si pensi e il suo target medio sono la classe media occidentale (1 miliardo circa in lenta perdita di potere di acquisto procapite). Nel resto del mondo la partita è già vinta da Alibaba e più in generale dal governo cinese (presente con le sue estensioni corporative in tutta l’Africa, Centro Asia, in parte in India

Continua qui:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/20/amazon-farsi-pagare-dai-poveri-non-e-mai-stato-cosi-facile/4775967/

 

 

 

Europa. Il gioco del cerino dei poteri in crisi

Il contesto dell’impuntatura europea sui 5 miliardi di scostamento italiani, mentre corrono crisi nordeuropee da migliaia di miliardi di euro.

 

20 novembre 2018 di Giuseppe Masala.

Diciamoci le cose come stanno: rompere le scatole all’Italia per uno sforamento (sulle previsioni econometriche) dello 0,5% del rapporto deficit/pil dell’anno fiscale 2019 può essere letto in due modi diversi: il primo è che a Bruxelles siano completamente matti oppure significa che è partito il gioco del cerino per fare in modo che il più fesso si bruci le dita.

In altri termini, non si può creare ad arte una crisi per pochi miliardi di europer un’impuntatura su quale sia il modello econometrico più corretto. Viene da pensare che ci sia qualcosa sotto, e seguendo l’insegnamento di Leonardo Sciascia che diceva di guardare il contesto forse possiamo anche arrivare a capire.

La Germania è sotto schiaffo da parte degli USA per la guerra commerciale, le sue banche più importanti Deutsche Bank e Commerzbank sono dei veri e propri crateri senza fondo, la Francia è in piena rivolta contro il suo presidente, i paesi del Nord Europa hanno il sistema bancario investito da un enorme scandalo di riciclaggiodi danaro sporco (Danske Bank), le aziende dell’automotive tedesca sono sotto tiro per lo scandalo Diesel Gate, la Renault sta rischiando l’arresto in Giappone del suo presidente e questo potrebbe rompere il matrimonio Nissan-Renault, la Bayer verrà travolta dalle richieste di risarcimento danni per un pesticida cancerogeno utilizzato in USA dalla

 

Continua qui:

https://megachip.globalist.it/kill-pil/2018/11/20/europa-il-gioco-del-cerino-dei-poteri-in-crisi-2033908.html

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Viviamo in un regime di Monetary Dominance?

giuseppemasala  26 ottobre 2018

 

Mentre tutti si stracciano le vesti per le accuse di Di Maio a Draghi: “Avvelena i pozzi” generando panico nessuno si interroga sulle gravissime parole del Professore Draghi espresse ieri a Francoforte. Secondo il Presidente della BCE, osannato da tutte le testate di giornale e da tutte le tv, vivremmo in un regime di “dominanza monetaria”. A me risulterebbe altro: la Banca Centrale Europea (così come all’epoca la Banca d’Italia) agisce in indipendenza e autonomia. Ma un “regime di monetary dominance” è un’altra cosa: è la subordinazione delle politiche fiscali poste in essere dalle Istituzioni democraticamente elette alle autorità monetarie e dunque ai tecnocrati delle banche centrali. Inutile sottolineare che per qualunque scelta politica del governo democraticamente eletto sono necessarie le risorse poste a disposizione dalla leva fiscale per diventare realtà pratica e concreta. Dire dunque che siamo in un regime di monetary dominance significa dire chiaro e tondo che viviamo sotto la dittatura dei banchieri centrali. Dittatura ormai peraltro pubblicamente e platealmente rivendicata.
Inutile sottolineare che siamo di fronte ad una rivendicazione di qualcosa che già è stato platealmente e pubblicamente rivendicato dalla BCE nel 2011: le lettere con filma in calce del Presidente Trichet per quanto riguarda la Spagna e a doppia firma del Presidente Trichet e di quello entrante Draghi per quanto riguarda l’Italia. Missive dove si elencavano i provvedimenti che i Governi dovevano porre in essere se volevano evitare la crisi fiscale grazie all’intervento della BCE. Per inciso, intervento peraltro che sarebbe stato dovuto e non condizionato visto che stanno lì a fare quello: evitare le crisi di liquidità dei sistemi bancari dei paesi aderenti all’eurosistema.
Ma il punto non è manco quello: il punto è che in Italia (in Spagna non mi pronuncio non avendo la più pallida idea) la Costituzione non da alcun predominio (alcuna monetary dominance) alla banca centrale sulle istituzioni democraticamente elette. Anzi, per il vero, le mie umili resipiscenze della Costituzione Italiana mi suggeriscono che la Banca Centrale non è manco nominata.
Qui invece siamo alla plateale rivendicazione della Sovversione dell’Ordine Democratico e Costituzionale.

Continua qui:

https://steemit.com/ita/@giuseppemasala/viviamo-in-un-regime-di-monetary-dominance

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Jobs act, la Consulta spiega perché ha bocciato l’indennità fissa di licenziamento

di Alberto Piccinini * – 14 novembre 2018

Con sentenza depositata l’8 novembre 2018 n. 194, la Corte costituzionale si è pronunciata sul “contratto a tutele crescenti” di cui al Dlgs. n. 23/2015 – prima e fondamentale creazione del Jobs Act finalizzata a regolamentare i licenziamenti degli assunti con contratto a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 – destrutturandolo nel suo nucleo essenziale.

Esso sostanzialmente consisteva nel prevedere, in caso di licenziamento illegittimo da parte di un datore di lavoro con più di 15 dipendenti, come regola generale (tranne poche eccezioni, sostanzialmente riconducibili al licenziamento discriminatorio o nullo per altri casi previsti dalla legge) un’indennità fissa: due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di quattro mensilità e un massimo di 24 mensilità (divenuti minimo di sei e massimo di 36 mensilità dopo il decreto dignità, convertito in legge n. 96/2018).

Tale automatismo aveva lo scopo di rassicurare i datori di lavoro sulla conoscibilità del “costo” di un licenziamento, programmabile quindi senza timore di una sua dichiarata illegittimità, andando così incontro a quelle esigenze di “flessibilità in uscita” che dovrebbero indurre gli imprenditori ad assumere (come qualcuno ha osservato, è come ritenere che per incentivare i matrimoni potrebbe essere utile depenalizzare l’uxoricidio).

La Corte ha ritenuto questo criterio rigido, legato alla sola anzianità di servizio, contrario al principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost., che vieta di applicare (automaticamente) rimedi identici a situazioni diverse, e al principio di ragionevolezza, dovendo l’indennità “costituire un adeguato ristoro” del danno concretamente subito dal lavoratore “e un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente” (e a tale proposito viene anche richiamata la Carta Sociale Europea, che prevede che un lavoratore licenziato senza un valido motivo abbia diritto a “un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione”).

Secondo i giudici della Consulta, il danno provocato da un licenziamento ingiustificato “dipende da una pluralità di fattori” e quindi il giudice dovrà tenere conto, nel condannare il datore di lavoro all’indennizzo, non solo dell’anzianità di servizio, ma anche di altri criteri individuati dalla “disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti) nel rispetto dei limiti, minimo e massimo”.

La Corte costituzionale argomenta ampiamente la sua decisione richiamando “il particolare valore che la Costituzione attribuisce al lavoro” e ricordando che il “diritto al lavoro” (art. 4, primo comma, Cost.) e la “tutela” del lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni” (art. 35, primo comma, Cost.) comportano la garanzia dell’esercizio nei luoghi di lavoro di altri diritti fondamentali costituzionalmente garantiti e concludendo per l’incostituzionalità del decreto legislativo n. 23 del 2015, nella parte in cui determina l’indennizzo rigido (e modesto, specie per i lavoratori con poca anzianità di servizio) di cui si è parlato. Esso infatti “non realizza un equilibrato componimento degli interessi in gioco: la libertà di organizzazione dell’impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall’altro”.

Il riferimento al limite minimo e massimo dell’indennità induce a una prima considerazione. L’aumento del massimo da 24 a 36 mensilità da parte della legge n. 96 del 2018 era destinato a trovare applicazione, per la prima volta, per un lavoratore assunto dopo il 2015 con 18 anni di anzianità, solo nel 2033. Dopo la pronuncia della Corte il giudice, in teoria, in caso di licenziamento illegittimo potrebbe già oggi riconoscere un simile indennizzo applicando i parametri sopra citati.

Ciò comporta che, paradossalmente, un lavoratore assunto prima del 7 marzo 2018 – al quale si applica ancora la legge Fornero – ha sì più possibilità di ottenere, in caso di accertamento della mancanza di un giustificato motivo oggettivo (per ragioni tecniche e organizzative) o soggettivo (disciplinare), un ordine di reintegrazione ai sensi dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori. Se però il giudice ritenesse non applicabile la reintegra ma solo il diritto a un indennizzo, i parametri entro i quali potrebbe operare sono più alti nel minimo (12 mensilità anziché sei) ma più bassi nel massimo (24 mensilità anziché 36).

A mio avviso l’equilibrio raggiunto, basato comunque su una tutela solo monetaria, non soddisfa fino in fondo la finalità di garantire il diritto al lavoro a chi l’ha perduto in forza di un atto illegittimo. Pertanto, mi aspetterei che il legislatore, ove sentisse l’esigenza di

Continua qui:

 

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/14/jobs-act-la-consulta-spiega-perche-ha-bocciato-lindennita-fissa-di-licenziamento/4761829/

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

La rivolta dei gilet gialli non è una rivoluzione, è una guerra tra consumatori frustrati

20 novembre 2018

 

Quella che negli ultimi giorni si è scatenata contro la Carbon Tax voluta dal governo Macron non ha niente a che fare con la rivoluzione e con la libertà, ma è soltanto la reazione cieca e furente di una classe media divisa che lotta per mantenere dei finti privilegi

FREDERICK FLORIN / AFP

287.710 persone. 2034 posti di blocco. Circa 5000 agenti di polizia a presidio. 355 persone interrogate di cui 157 arrestate. 409 feriti di cui 14 in gravi condizioni. 1 morto. Cifre che fanno pensare all’inizio di una guerra civile, che non stonano persino con quelle della presa della Batiglia del 14 luglio 1789, il giorno in cui nacque la Francia repubblicana, quando 1000 insorti attaccarono la prigione di Parigi presidiata da 82 veterani invalidi e 32 guardie svizzere.

Eppure questo è soltanto il bilancio, tra l’altro parziale, di una protesta che non ha nulla di rivoluzionario: la cosiddetta rivolta dei gilet jaunes — hanno preso il nome dai giubbotti gialli che gli automobilisti sono tenuti ad indossare in caso di pericolo — una rivolta che è scoppiata per protestare contro la Carbon Tax proposta dal governo Macron e che negli ultimi giorni ha messo a dura prova la Francia intera.

Insomma, una volta i cittadini francesi sfidavano le autorità per lottare contro l’aumento delle tariffe del pane, contro i privilegi di classe della nobiltà, e combattevano per guadagnarsi il diritto a partecipare alla vita politica. Ora invece lo fanno per protestare contro l’aumento delle tariffe della benzina, che fa parte del progetto politico del governo Macron di tassare i carburanti sia per finanziare progetti ambientali, sia per detassare il lavoro.

Migliaia di persone che lottano per difendere il proprio diritto di usare la macchina sulle tangenziali e sulle autostrade francesi, è vero, ma che non si accorgono che quel diritto non è un affatto un diritto, ma è un privilegio, e persino di quelli inutili, che servono per mascherare una prigione. Sì, perché l’automobile, per molti di loro non è certo il mezzo che gli apre la stada della libertà, ma è una vera e propria schiavitù, soprattutto nelle tangenziali e nelle strade della Capitale, nelle quali, a causa del traffico, la velocità media delle auto è ormai scesa a 38 km/h in tangenziale, e addirittura a 13 km/h, 2 in meno che in bicicletta, in città.

I giubbotti gialli non sono dei poveri idioti. Sono solo le vittime di un potere che mentre fa gli interessi di se stesso e si schiera a difesa delle classi privilegiate, li ha attirati in una prigione usando lo zuccherino della finta libertà individuale.

Ma attenzione, perché i giubbotti gialli non sono dei poveri idioti. Sono solo le vittime di un potere che mentre fa gli interessi di se stesso e si schiera a difesa delle classi privilegiate, li ha attirati in una prigione usando lo zuccherino della finta libertà individuale. Ma contemporaneamente, e drammaticamente, essi sono le vittime di se stessi, carnefici a propria insaputa delle proprie stesse libertà. Sono vittime che invece di unirsi e collaborare per il bene della collettività e per il futuro del pianeta (e quindi anche dei propri figli) si battono gli uni contro gli altri in una guerra civile al ribasso, fatta di rabbia e furore.

Per capire la dimensione di questo paradosso basta guardarsi intorno, e prendere i mezzi pubblici. Si scoprirà che la Francia non è messa meglio dell’Italia. La RER, ovvero l’insieme delle linee interurbane dell’Ile de France, è una rete che serve milioni di pendolari ogni giorno, e funziona malino: è spesso guasta, interrotta, mal funzionante. Non è troppo diversa, insomma, dalla rete che ogni giorno fa impazzire milioni di lavoratori italiani coi suoi ritardi e malservizi. Eppure nessun sciopero dei pendolari è stato mai indetto, nessuna lotta è stata fatta per esigere l’emancipazione della mobilità e la libertà di gestire il proprio tempo senza dover passare ore al giorno rinchiusi in una macchina.

«I giubbotti sono gialli, ma la rabbia è nera», gridano i partecipanti a questa ondata di protesta senza precedenti. È una rabbia vera, profonda, esplosiva. Ma è una rabbia che sta venendo convogliata male, malissimo, che sta esplodendo ciecamente e che sta causando una guerra civile tra povera gente, lavoratori esasperati che il sistema ha portato a vivere a decine di chilometri da dove li costringe a lavorare e, nello stesso tempo, ha convinto di essere più liberi da soli che insieme.

Dividi et impera, dicevano i senatori dell’antica Roma, che in quanto a conservazione del potere ne capivano abbastanza. E quelli che ora sono al loro posto, a un paio di millenni di distanza, non fanno molto diversamente.

Dividi et impera, dicevano i senatori dell’antica Roma, che in quanto a conservazione del potere ne capivano abbastanza. E quelli che ora sono al loro posto, a un paio di millenni di distanza, non fanno molto diversamente: hanno capito che è molto più comodo dividere i subalterni, isolarli gli uni dagli altri, rinchiuderli in piccole gabbie di acciaio semovente, convincerli che il vicino è il loro nemico e che la lotta giusta è quella per avere il proprio posto — fermo — in mezzo al traffico, piuttosto che riguadagnare il tempo della propria vita.

Nell’agosto del 2011, a Londra si scatenò una delle rivolte più violente (per ora) del XXI secolo. Iniziata da una manifestazione pacifica di circa 200 persone, la protesta invase le strade di molti quartieri della città. Migliaia di persone si riversarono in strada e attaccarono negozi e attività commerciali. Il loro obiettivo non era lottare per avere più diritti, ma prendersi con la forza ciò che gli era stato promesso ma che non avevano soldi per avere. Non pane, ma iPhone. Il governo cercò di contenere la rivolta schierando 16.000 poliziotti

Continua qui:

 

https://www.linkiesta.it/it/article/2018/11/20/la-rivolta-dei-gilet-gialli-non-e-una-rivoluzione-e-una-guerra-tra-con/40183/

 

ATENE VENDERA’ ANCHE CENTINAIA DI SITI ARCHEOLOGICI

Maurizio Blondet  19 novembre 2018

Il tumulo di re Filippo di Macedonia, il padre di Alessandro, che sorge a Vergina. Il Palazzo di Cnossos  a Creta, mitica sede  del Minotauro. Il castello di Patrasso fatto elevare da Giustiniano, e quello veneziano di Corfù, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Il museo di antichità bizantine di Tessalonica.  Repertoriati al ministero greco delle Finanze, sono conferiti al TAIPED, il fondo per le privatizzazioni, per la vendita.

http://www.lefigaro.fr/conjoncture/2018/11/15/20002-20181115ARTFIG00280-grece-tolle-autour-du-sort-des-sites-antiques.php?fbclid=IwAR2Rv9Fwuf_D7yxqjcJ9hKOFXO9x7gBPGyk8BVnZspwY2vD2q5pEd4EXCp

Per quanto sembri incredibile, Le Figaro elenca cose che sembrano un esecrabile raschiare il fondo del barile: anche il sito preistorico di Santorini e il connesso museo,  con le inestimabili  statuine della cultura cicladica,  secondo millennio avanti Cristo. Quel che resta del sito archeologico di Sparta col minuscolo museo. Il sito di Eleusi sacro a Demetra, dove avevano luogo i misteri eleusini.

Ad Eleusi han portato puttane /

antò Ezra Pound a chiusa della poesia “Contro l’Usura”. E’ stupefacente constatare la dettagliata precisione della sua profezia.

Ad Eleusi han  portato puttane/  carogne crapulano/ ospiti d’usura,

ma la traduzione per quanto magistrale, non rende l’originale inglese:

They have brought whores for Eleusis
Corpses are set to banquet
at behest of usura.

Cadaveri si dispongono a banchetto/ Al comando di usura”.

 

Com’è perfettamente vero, reale. Li riconosciamo dalle foto, li vediamo in tv – questi cadaveri viventi che  banchettano con  memoria della civiltà d’Europa, spazzolano fino all’ultima polpa della nostra cultura che  ci è cara più della vita,  biascicano divorando l’oro di Filippo e le colonne doriche di Eleusi, senza non dico vergogna, ma la minima idea dell’orrendo spettacolo che danno  col loro appetito di cadaveri, col loro trangugiare da vampiri. Anzi si congratulano con la vittima che stanno spolpando. Moscovici solo ieri diceva a Tsipras: “La crisi greca finisce “e io sono felice” perché è un momento storico”. Era di giugno. E ricordiamo il nostro (loro) Gentiloni addirittura intenerirsi: “Tsipras ha salvato il suo paese scommettendo sull’Europa”, con l’occhio lucido mentre serviva in tavola i Cadaveri europei.

La Merkel s‘è compiaciuta  soprattutto che i greci avessero ammansito la loro ribellione, che l’aveva così sgradevolmente colpita; ha parlato a bocca piena, perché  s’era pappata 14  aeroporti regionali della Grecia, tutti quelli che per afflusso di turisti possono rendere qualcosa  (Corfù, Mikonos, Santorini, Tessalonica), conferiti alla  società di gestione dell’aeroporto di Francoforte, e avendo accuratamente sputato le lische, quelli che non rendono;  voleva anche il Pireo,  e  s’è oscurata perché quello se lo son presi i cinesi.

Qualche giorno fa è arrivato il Cadavere Hollande. Da Atene ha twittato: “Caloroso  incontro con Alexis Tsipras. È riuscito a raddrizzare  la Grecia ed ancorarla alla zona euro, grazie al popolo greco così coraggioso”.


(D’Alema ce lo ha spiegato, senza muovere un dito)

VIDEO QUI: https://twitter.com/_xenio_/status/1001224178488479745  

Tra questi vampiri insaziabili non dobbiamo dimenticare il posto d’onore a Mario Draghi: l’uomo che prima, come consigliere di Goldman Sachs consigliò ad Atene i trucchi contabili con cui entrare nell’euro falsificando i bilanci, e  dopo come governatore della pseudo-Banca Centrale Europea, ha praticato sui greci la tortura del blocco dei bancomat, per indurli  ad accettare la schiavitù.  Un  crimine  – perché  l’elementare dovere primo di una banca centrale è quello di mantenere la liquidità – che Draghi proverà ad usare contro di noi, perché lui, come  ogni governatore o membro del consiglio dalla BCE, sono esenti da conseguenze penali. Nessun tribunale umano può giudicarli, essi se ne sono chiamati al disopra: il che fa della BCE, la centrale dell’Usura, un dispotismo, con  l’usuraio-capo legibus solutus, da far  sembrare l’impero ottomano uno stato di diritto.

E i nostri media suonano il violino a “Europa è pace”, “Europa è libertà”, “populisti non sono democratici”.

Puttane sviolinanti per Usura.

Mostruosi vampiri cadaverici eurocratici che s’ingozzano di storia, spogliano la nobile madre della nostra cultura europea di cui non gli frega niente, se non vedere cosa si possa intascare dai biglietti dei musei. Gente morta dentro e fuori che si attacca agli spiccioli, la Grecia deve mettere insieme otto miliardi per fine 2018, le han fatto firmare l’impegno di fare avanzo primario per i prossimi 42 anni….

Tutto questo dopo aver tagliato per 13volte le pensioni, dopo aver fatto perdere 200mila posti di lavoro in 8 anni nel settore pubblico. Morti e suicidi a migliaia, migliaia di sfrattati perché non possono pagare l’affitto, mezzo milione di bambini che soffrono la fame, la popolazione diminuita di un milione di giovani, disoccupazione fra le più alte della storia. Perfino questo: nel 2017 ben 133 mila persone (+333%) han rinunciato all’eredità perché non avevano i soldi per pagare le tasse. Con che risultato?  Il debito pubblico prima della Troika era al 140% e ora è al 180%.

Gente che muore nelle mense dei poveri, salari da 350-400 euro, stipendi che vengono ancora ridotti in queste settimane –  ed è  il popolo cui noi italiani, appena abbiamo cominciato il liceo, abbiamo sempre guardato come al fratello; 2500 anni  di storia vissuta insieme, cultura scambiata, una lingua che i nostri ufficialetti in Grecia si sforzavano di parlare con commozione, ricordando gli aoristi imparati a scuola, e il pope rispondeva con degnazione, in greco antico…io stesso  ho vissuto questa esperienza. Ed ora, i nostri Mattarella, i nostri Draghi, Gentiloni e Letta, i ripugnanti Macron, i ributtanti Juncker e Disselbloem, il mostruoso Weidmann dalla mascellla triturante di jena,  possono partecipare – O anche solo assistere –  a questo scempio della cultura e uccisione del popolo più fraterno, la sua spoliazione di memorie, di diademi antichissimi, di sacri  luoghi del  nostro  cuore civile,  per  farne redito agli usurai, continuando a dire che “L’Europa è pace”. Mostri imperdonabili, cadaveri dell’usura a banchetto con le membra della Madre.  Se restiamo indifferenti, diamo la provocazione a noi stessi che non siamo più civili, che abbiamo adottato la barbarie cieca e spietata, antiumana prima che anticristiana.

E’ il piano Schauble applicato con fredda ferocia barbarica

Un popolo di vili dovrebbe svegliarsi almeno alla consapevolezza che poi saccheggeranno noi delle nostre memorie, dei nostri monumenti, dell’arte inimitabile dei nostri antenati, fra i quali viviamo come estranei dimentichi.  Lo ha pur spiegato a voi di sinistra, “europeisti” vili, Varoufakis: “Wolfgang Schauble capiva che austerità più nuovi prestiti sarebbero stati catastrofici per paesi come la Grecia, ma insisteva su questi metodi come parte sua campagna per disciplinare Francia Italia”

https://www.yanisvaroufakis.eu/2017/09/28/schauble-leaves-but-schauble-ism-lives-on/

Ed in una intervista a un giornale francese, alla domanda perché Schauble non abbia semplicemente agevolato l’uscita dall’euro della Grecia, Varoufakis ha risposto: “Per colpire  la Francia. Lo stato-provvidenza francese, il suo diritto del lavoro, le sue imprese nazionali sono il vero bersaglio delle finanze tedesche. Lui considera la Grecia come un laboratorio dell’austerità, il cui  metodo è sperimentato prima di essere esportato. La paura del Grexit mira a far cadere le resistenze francesi, né più né meno”.

Insomma il deforme in sedia rotelle ha freddamente calcolato la morte del popolo  greco  e  della civiltà stessa, per “dare una lezione” a noi e a Parigi.

E’ la stessa conclusione a cui è giunto uno studio della London School of Economics

Ideology (not economics) explains why the Troika treated Ireland less harshly than Greece

“L’ideologia, non l’economia, spiega perché la Troika ha trattato l’Irlanda meno ferocemente della Grecia”.

Continua qui:

https://www.maurizioblondet.it/atene-vendera-anche-centinaia-di-siti-archeologici/

 

Gerhard Schröder denuncia l’occupazione USA della Germania

RETE VOLTAIRE | 19 NOVEMBRE 2018

 

L’ex cancelliere Gerhard Schröder nel 2003 si oppose alla distruzione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti, che addussero come pretesto il ruolo avuto negli attentati dell’11 settembre 2001 e l’intenzione di bombardare gli USA con missili balistici chimici.

Schröder avvicinò la Germania alla Federazione Russa e lanciò la costruzione del gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico per approvvigionare la Germania di gas russo aggirando l’Ucraina, all’epoca già instabile. Quando lasciò la politica, l’ex cancelliere divenne presidente del consorzio per la costruzione di Nord Stream e nel 2017 entrò in Gazprom.

In un’intervista rilasciata alla televisione tedesca N-TV, Gerhard Schröder ha

Continua qui:

http://www.voltairenet.org/article203989.html

 

POLITICA

Italia, potenza scomoda: dovevamo morire, ecco come

Scritto il 02/5/13                    RILETTURA ATTENTISSIMA

Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anni dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.

E’ la drammatica ricostruzione che Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato, fornisce a Claudio Messora per il blog “Byoblu”. All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, fin che potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco. Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».

Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filoaraba, in competizione con le “Sette Sorelle”. E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neobrigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima». Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.

Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».

Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».

Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici». E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la Banca Commerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.

Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie speculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni. Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».

Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».

Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.

Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco.

Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti. «Gente che

 

Continua qui:

http://www.libreidee.org/2013/05/italia-potenza-scomoda-dovevamo-morire-ecco-come/

 

 

 

 

 

AIUTO, ARRIVANO I CAVALIERI DI RE ARTOM!

”CON QUESTA EUROPA BISOGNA ANDARE ALLA GUERRA TOTALE”.

FEDERICO NOVELLA INTERVISTA L’IMPRENDITORE VICINO A CASALEGGIO (SENIOR E PURE JUNIOR): ”SE L’EUROPA LANCIA IL SILURO DELLA PROCEDURA D’INFRAZIONE, DOBBIAMO RILANCIARE. ARRIVIAMO AL 3% DI DEFICIT E GIOCHIAMOCI QUESTA CARTA. HANNO AMMAZZATO IL PAESE CON UNA NUOVA FORMA DI RAZZISMO ANTI ITALIANO”

 

Federico Novella per ”La Verità” – 20 NOV 2018

 

 

«A la guerre comme à la guerre, abbiamo lanciato la sfida all’ Europa e dobbiamo andare fino in fondo». Arturo Artom sembra un personaggio uscito da un’acquaforte del XIX secolo. Torinese, ingegnere, vanta la silhouette d’un nobile sabaudo.

 

Quintessenza del gentleman, abiti e barba curatissima, una cortesia quasi spiazzante. Non alza la voce, non s’ accalora, centellina le sillabe con precisione chirurgica e appena può si smarca: «Io sono un imprenditore, non c’ entro con la politica».

 

Eppure i giornali lo descrivono come l’ombra di Davide Casaleggio, oltre che principe dei salotti, mago del networking, grande tessitore di rapporti, compagno di aperitivi di Beppe Grillo, ambasciatore dei 5 stelle nel mondo delle imprese. «Ma la stampa scrive tante cose», precisa. Ciò nonostante, persino Artom il mite quando parla di Europa non disdegna la stoccata. Arrivando a caldeggiare il colpo di reni.

 

Continua il braccio di ferro tra governo e Bruxelles. Lei che ha il polso degli imprenditori, ci dica se c’ è ancora battito.

«Ogni giorno mi confronto con i piccoli imprenditori italiani, quelli che oggi stanno salvando la nostra economia, dal momento che il grande capitalismo ormai è fallito. La pancia produttiva del Paese aveva molte aspettative nei confronti di questo governo».

 

Aspettative rimaste deluse?

«Quest’ autunno l’entusiasmo si è tramutato in paura. Viviamo tra l’incudine dei mercati e il martello dell’Unione europea, e la crescita è seriamente compromessa, persino per la locomotiva tedesca. Questa battaglia logorante con la burocrazia europea sta spaventando le imprese».

 

E dunque?

«Dunque, non possiamo vivacchiare. Abbiamo il dovere di disinnescare subito la paura. Delle due l’ una: o troviamo immediatamente un compromesso, oppure andiamo fino in fondo con coraggio».

 

E se Bruxelles lanciasse il siluro della procedura di infrazione?

«In quel caso dobbiamo rilanciare. Non preoccupiamoci dei numeri, reperiamo subito le risorse per estendere la platea della flat tax e gli incentivi alle imprese, interveniamo sul cuneo fiscale. Potremmo arrivare al 3% di deficit. Alziamo la posta, e giochiamoci bene questa carta».

 

«Alzare la posta» è un termine pokeristico. Non rischiamo di far saltare il banco, con il rischio di vederci negato l’ accesso ai mercati finanziari?

«Certo, c’ è una quota di rischio. Ma i mercati sono più intelligenti di quanto pensiamo. Se le risorse venissero impiegate tempestivamente per finanziare crescita e riforme, vinceremo la battaglia».

 

Sono credibili le stime del governo che prevedono una crescita dell’1,5% nel 2019?

«Io ragiono sui dati, e temo sia più probabile una decrescita in futuro. Perciò occorre intervenire subito.

Questo establishment europeo si sta comportando in maniera ignobile».

 

Perché?

«Hanno ammazzato il Paese con una nuova forma di razzismo anti italiano, la falsa narrazione per cui il nostro Paese è allergico alle regole e va confinato all’ ultimo banco».

 

A chi si riferisce in particolare?

«La Commissione europea ha una responsabilità enorme. Getta benzina sul fuoco, usa i mercati come un manganello per esercitare pressione nei confronti degli Stati che non si allineano. L’ anno scorso ci hanno obbligato a rivedere il deficit verso l’alto per salvare le banche, a cominciare dal Monte dei Paschi. Oggi che invece dovremmo utilizzare il deficit per aiutare cittadini e imprese, fanno la voce grossa».

 

Olanda e Austria chiedono pene esemplari per l’Italia.

«Le élite europee si muovono sulla base di interessi politici. A loro fa comodo che l’Italia sia poco competitiva. Penso a sei anni fa, quando questo Paese stava faticosamente uscendo dalla grande crisi. Anziché favorirci, a Bruxelles ci hanno riservato un trattamento particolare, obbligandoci all’ austerity e facendoci ripiombare in recessione».

 

Eppure, la consideravano vicino ad Enrico Letta e Mario Monti.

«Mi permetto di dissentire. Ho partecipato a un convegno sull’ innovazione tecnologica organizzato dal think tank Vedrò di Letta, tutto qui. Con Monti poi, davvero zero contatti».

 

Cosa pensa Davide Casaleggio della condotta del governo?

«Non ci crederà, ma con lui non parlo mai di politica».

 

Infatti non ci credo. Lei è da sempre legato alla famiglia Casaleggio.

«Ho conosciuto il padre Gianroberto durante un incontro di Confapri, il gruppo di imprenditori di cui faccio parte con il trevigiano Massimo Colomban. Persone in gamba che firmano ogni mese anche ottocento buste paga, ma che si sentivano trascurate dalla politica. Gianroberto ha avuto la sensibilità di ascoltarle, ed è nato un rapporto di stima molto profondo».

 

E il figlio Davide?

«L’ho incontrato ai funerali del papà. Mi mandò a casa un libro sugli aforismi di Gianroberto con una bellissima dedica. Ci siamo visti di nuovo, e da allora ci frequentiamo. Ma ripeto, tra noi parliamo di tecnologia, non di politica».

 

Lei è anche l’ideatore del Cenacolo, l’appuntamento milanese dove decine di personaggi di spicco raccontano la propria vita. Deve amare la mondanità.

«Diciamo che amo la contaminazione. È meraviglioso unire le esperienze di grandi imprenditori, artisti, designers. Scoprire i caratteri geniali che uniscono le loro fortune».

 

È vero che a ispirare la sua carriera è stato Steve Jobs?

«Ho avuto modo di parlarci. Amava moltissimo l’Italia. Aveva come slogan una frase di Leonbattista Alberti: “L’ uomo può ciò che vuole”. Mi piace pensare che il suo famoso motto “Stay hungry, stay foolish”, derivi da un “marchio” italiano”.

 

È amico anche di Bill Clinton?

«L’ho incontrato a Londra. Spesso mi capita di accompagnare all’ estero i campioni della tecnologia italiana. Del resto, stiamo facendo quest’ intervista tramite wifi satellitare dall’ aereo che mi porta a New York. Vado a promuovere il sito di fashion più importante al mondo. Poi continuerò il mio ciclo di incontri sull’ intelligenza artificiale».

 

Di Beppe Grillo ha detto: «L’ho sempre stimato, ma ora è prigioniero del suo successo».

«Mai detto. Ci siamo visti un paio di volte durante una campagna elettorale. Ricordo anche una cena con lui. Mi ha colpito il Grillo a riflettori spenti: showman formidabile sulla scena, molto più pacato e tranquillo dietro le quinte».

 

Pensa che il Movimento 5 Stelle sia destinato alla scissione?

«Quando ricevi un così vasto consenso, vale a dire il voto di un italiano su tre, penso sia inevitabile che nel Movimento emergano sensibilità diverse».

 

In passato, per chi ha votato?

«Arrivo da una famiglia di estrazione liberale. Oggi mi riconosco in chi propugna il concetto di “Italia First”, parafrasando Donald Trump».

 

Da torinese, come ha vissuto la piazza dei 30.000 che dicono sì alla Tav?

«Spiace sia diventata una partita politica, ma ragioniamo con equilibrio: i costi dell’opera sono faraonici e le stime di traffico davvero troppo ottimistiche. È giusto opporsi alla Tav, come del resto sta accadendo in diverse parti d’ Europa».

 

Non possiamo nemmeno dire no a prescindere alle infrastrutture.

«Non parlerei più di Tav. Semmai di un nuovo tunnel di base con una linea tradizionale efficiente che trasporti soprattutto merci. Altrimenti torneremmo alle avventure da prima Repubblica. Ricorda i mondiali di calcio nel 1990? Abbiamo costruito stadi enormi, che poi si sono rivelati costosissime cattedrali nel deserto».

 

Il reddito di cittadinanza è lo strumento giusto per far ripartire il mercato del lavoro?

«C’ è stato un grande cambiamento di prospettiva. Per 50 anni la nostra politica industriale è stata la cassa integrazione, vale a dire la difesa del posto di lavoro a tutti i costi. Con il reddito di cittadinanza difendiamo il reddito del lavoratore obbligandolo alla

 

Continua qui:

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/aiuto-arrivano-cavalieri-re-artom-39-39-questa-europa-188410.htm

 

 

 

 

STORIA

Caro Alberto Angela, senza l’Urss gli ebrei avrebbero fatto la fine dei Maya

15/10/2018 Massimo Bordin

Sabato sera su Rai Uno Alberto Angela ha vinto la sfida dello share registrando 3,6 milioni di spettatori. Un enorme successo di pubblico per una trasmissione (Ulysse) che parla di storia. E questa non può che essere una buona notizia perché dimostra – e per l’ennesima volta – che gli argomenti storici interessano tantissimo e possono anche sperare nel pubblico di prima serata.

Quel che non si può sopportare, invece, è la stucchevole retorica che i media stanno pompando attorno alle trasmissioni dei due Angela, che non affrontano mai i contenuti proposti tramite dialettica e contraddittorio tra storici o tra scienziati. in sostanza, si tratta delle stesse lezioni di scuola superiore, con al più, l’ausilio di qualche filmato. Piuttosto di niente meglio piuttosto, verrebbe da dire. Ma…

Il “vecchio” Piero da anni ci fa vedere una scienza positivistica, che non sbaglia mai e che fa solo del gran bene, quando le cronache mostrano invece una incredibile varietà sulle questioni scientifiche, con feroci diatribe tra scienziati, colpi di scena e disastri ambientali, processi e condanne, fallimenti economici e interessi finanziari. Il “giovane” Alberto, dal canto suo, propone in prevalenza temi umanistici (quelli scientifici sono già occupati dall’ottuagenario genitore) in modo totalmente descrittivo. Nella puntata di sabato Angela junior ha dirottato persino l’attenzione sulla propaganda geopolitica attuale, fornendo informazioni discutibili, se non proprio false, sul ruolo dell’Unione Sovietica in occasione del conflitto, lasciando intendere agli spettatori più sprovveduti una complicità dei vertici russi nell’Olocausto.

Che la russofobia sia di moda non è certo una novità, ma sulla storia occorre essere intransigenti e pretendere spiegazioni circostanziate delle informazioni riportate. Secondo Alberto Angela, infatti, il Presidente dell’allora Unione Sovietica, all’alba della Seconda Guerra Mondiale ed in occasione dell’accordo Ribbentrop-Molotov, consegnò ai nazisti gli ebrei perché facessero la fine che tutti sappiamo.

Invece, senza l’intervento sovietico oggi probabilmente l’Europa orientale sarebbe guidata dai successori di Adolf Hitler e dunque gli ebrei non esisterebbero nemmeno più. Ma per capirci qualcosa, andiamo con ordine.

IL PATTO RUSSOTEDESCO. Le responsabilità dell’Unione Sovietica in occasione del Secondo Conflitto ci sono, ma non sono superiori a quelle di altri paesi, come l’Inghilterra, ad esempio. La nazione maggiormente responsabile fu la Germania che cercava di espandersi, soprattutto a est. Il famigerato patto Molotov-Ribbbentrop impegnava i contraenti (Urss e Germania) «a non aggredirsi reciprocamente, a non appoggiare potenze terze in azioni offensive e a non entrare in coalizioni rivolte contro uno di essi». Sfido chiunque a trovare in quei documenti un riferimento alla consegna di ebrei da parte dei sovietici. Gi storici parlano anche di un protocollo segreto tra le due nazioni che prevedeva la spartizione dei paesi baltici in sfere d’influenza, ma questo protocollo va visto alla luce di quanto successo prima: Lenin aveva rinunciato a territori che da tempo immemore erano sotto il controllo russo per gestire le complicate vicende interne postrivoluzionarie. La Polonia era già stata spartita una clamorosa volta nel 1795 ed era scomparsa dalle carte geografiche come nazione. Dunque, il patto Ribbentrop-Molotov non rappresenta un atto malvagio unico nella storia, come tendenziosamente fa credere Alberto Angela, ma, soprattutto, la questione ebraica c’entra con il patto come c’entra con i cattolici, i luterani, i calvinisti e gli avventisti del settimo giorno. Hilter voleva prendere la Polonia per il corridoio di Danzica, espandErsi ad est per cercare lo “spazio vitale” per il Reich e per allontanare il comunismo. Dall’altra parte della barricata, Stalin voleva riprendere l’impero russo che fu degli Zar anche per favorire i tantissimi russi che vivevano fuori dall’Unione delle Repubbliche Sovietiche, e per fare ciò occorreva controllare i paesi baltici. Tutte le altre considerazioni – pur interessanti e sempre degne di ascolto – puzzano di ideologia e strumentalizzazione politica bipartisan.

Se, invece, proprio proprio non si vuole fare a meno di considerare la questione ebraica in relazione all’attacco alla Polonia, bè allora occorre riconoscere che accadde esattamente l’opposto di quanto riportato da Alberto Angela nella sua

Continua qui:

http://micidial.it/2018/10/caro-alberto-angela-senza-lurss-gli-ebrei-avrebbero-fatto-la-fine-dei-maya/

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°