NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 13 GIUGNO 2019

https://faremusic.it/2017/04/08/la-canzone-profetica-di-giorgio-gaber-desta-sinistra/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 13 GIUGNO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Il più degno di commiserazione, tra gli uomini,

è colui che converte i suoi sogni in oro e argento.

KHALIL GIBRAN, Sabbia e schiuma, Mondadori, 1993, pag. 93

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

Tanto devono morire. No?

LA PROSSIMA RIVOLUZIONE: IL GENOCIDIO DEI BIANCHI COME FINE. 1

Svegliatevi! Fino a quando il pubblico europeo e Usa potrà accettare i crimini delle loro élite al potere? 1

Torniamo ad esercitare il dubbio 1

Rampini attacca la “sinistra snob” che predica l’accoglienza: “Hanno dimenticato gli italiani”. 1

SUSPIRIA: LA RIVOLUZIONE È NEL CORPO. 1

Ecco perché dovremmo arrabbiarci di più (e meglio) 1

LA FILOSOFIA DEL RANCORE. 1

Greta e il problema

Mafia Nigeriana e mafia nostrana. 1

Carpeoro: Olanda criminale come l’Ue, deruba gli italiani 1

Tre Mari, quel piano Usa per l’Europa che mette in pericolo l’Italia. 1

Siamo solo raffinate bestie da preda, dobbiamo fermarci per vedere l’uomo. Parola di Nietzsche 1

Shakespeare vittima del politically correct 1

Sul web la censura Ue: ma oscurare la verità non è reato? 1

Il ministero della censura

Chiamano “fake news” la perdita del monopolio della verità 1

CIA, SOE e KGB: i manuali delle spie? Li scarichi su internet 1

Migranti, ecco l’ultimo appello buonista contro il dl Sicurezza. 1

Secessione delle élites

Come Matteo Salvini potrebbe far saltare in aria la zona euro 1

Carpeoro: Palme fu ucciso perché voleva abolire la povertà 1

La Banca d’Italia, ovvero il secondo tragico Fantozzi

Mohamed Konare: vi spiego a cosa serve davvero il reato di “afrofobia” 1

Brasile, un reportage di ‘The Intercept’ dimostra che il giudice Sergio Moro ha manipolato il processo contro Lula. 1

Morte di David Rossi, Fracassi: colpa di Draghi il crollo Mps 1

Le parole della neopolitica – Pacchia. 1

Il Nuovo Ordine Mondiale, Cina, Russia 1

Anna Von Reitz : La Regina Non è la Regina e Neppure Papa Francesco “Gesuita” Non è un Papa. 1

LO STRANO CASO DI CONTE E TRIA. 1

Destra e sinistra, Gaber 1994

I robot ci sostituiranno?   

Liberarsi del corpo   Parliamo del 25 aprile?

 

 

 

IN EVIDENZA

TANTO DEVONO MORIRE, NO?

Nicolas Micheletti 7 05 2019

 

Corinne Ellemeet, dei Verdi Europei, sta cercando di far entrare in politica una proposta abbastanza inquietante:  limitare interventi chirurgici per gli over 70.

 

Ha sottolineato che il 70% dei pazienti negli ospedali olandesi ha più di 70 anni, quindi questo potrebbe permettere un risparmio per lo Stato.

 

“Un processo di screening dovrebbe essere messo in atto quando si sta prendendo in considerazione un trattamento avanzato e costoso”, ha detto la Ellemeet, comprese le operazioni cardiache, il trattamento del cancro, la dialisi renale e simili.

 

Ellemeet dice che non è una questione di costi, ma di evitare l’accanimento terapeutico, e che la valutazione deve comunque essere fatta dal paziente. In realtà la cosa potrebbe essere più complicata di così.

 

Il quotidiano di lingua francese Le Soir ha pubblicato una serie di articoli citando uno studio del centro federale per l’assistenza sanitaria (KCE) sull’accettazione pubblica dei risparmi dell’assistenza sanitaria in Belgio.

 

Secondo il giornale emerge che i fiamminghi di lingua olandese sono i più propensi

Continua qui:

 

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1235668179934197&id=198012607033098

 

 

 

LA PROSSIMA RIVOLUZIONE: IL GENOCIDIO DEI BIANCHI COME FINE

Maurizio Blondet  10 Giugno 2019

Chi ha guardato il video eccezionalmente illuminante di  Emanuele Fusi ha potuto constatare  che  l’odio omicida  per l’uomo bianco che è diventato non solo la parola d’ordine – ma il punto di   forza  “rivoluzionario”  unificante  di tutte le sinistre, ebrei progressisti e “minoranze discriminate”  di ogni genere, dai negri alle lesbiche e trans.

https://youtu.be/izlFiDjavNo                 (FUSI: I VERI RISCHI DELL’IMMIGRAZIONE DI MASSA)

Avrà constatato come famosi e ricchi  giornalisti di colore e attivisti/ attiviste  j  molto note affermano gelidamente la necessità di uccidere gli uomini bianchi ed eterosessuali (straight in inglese):  che si fanno teorici dlela nuova ideologia:   da  Susan Sontag a David Ignatieff  (della passata generazione degli ebrei “liberal”),  fino a John Bernstein che   raccomanda “uccidi un uomo bianco mentre vai al lavoro” a Michelle Golberg del New York Times (: “Possiamo sostituirli” i bianchi) , a  Jessy  Daniels: le famiglie smettano  di fare bambini bianchi  e meticciarci coi colorati.

A questi aspiranti genocidi ideologici   aggiungo l’attivista Sophie Lewis, autrice di  “Full Surrogacy Now: Feminism Against Family”  –  la quale con  la gelida presunzione , e  l’impunità tipica delle figlie di papà dette “jewish princesses”  (figlie dei miliardari di New York)  , rivendica:  noi  progressisti abbiamo sbagliato a cercare di  nascondere che l’aborto  è un omicidio. No, dobbiamo difendere l’aborto come un omicidio necessario – necessario per liberare la donna “dal lavoro gestazionale” che i maschi le hanno imposto.

VIDEO QUI: https://twitter.com/i/status/1136981132396957696

 

Un vecchio anticomunista  riconosce qui toni  e voci che ha già sentito: da Lenin

 “Impiccare (intendo appendere pubblicamente, in modo che la gente lo veda) almeno 100 kulak, ricchi bastardi e sanguisughe conosciute. Pubblicare i loro nomi.  Confiscare tutto il loro grano”. 

È necessario – segretamente e urgentemente preparare il terrore”. 

a Trotzki,

Per rendere sacro l’individuo dobbiamo distruggere l’ordine sociale che lo crocifigge. E questo problema può essere risolto solo con il sangue e il ferro.

dalle Guardie rosse  di Mao,  come da Gramsci e le Brigate Rosse. La necessità dello sterminio di categorie sociali intere  come necessità per “la liberazione dei lavoratori”,  per far sorgere l’Uomo Nuovo , e far emergere la nuova società ideale dove non ci sarà alcun lavoro subordinato, alcuna  minoranza discriminata, alcuna guerra, alcuna crudeltà  – una volta che NOI  avremo esercitato a fondo la crudeltà necessaria per la vostra  liberazione.

Qui, il vecchio anticomunista del tempo che fu   rivede sorgere con orrore, in questa forma apparentemente nuova,  il marxismo giudeo-bolscevico.   Quello stesso  che per 70 anni  ha schiacciato interi popoli  in nome della classe operaia.  Adesso è il  Proteo che rinasce a nome delle minoranze discriminate, negri e LGBT, ma ovviamente con gli stessi scopi: lo sterminio  dei nuovi kulaki. E  che sta facendo sul serio  ce lo dicono questi privilegiati ebrei americani “di sinistra”:   questi “teorici”  della neo-rivoluzione  stanno rivendicando il diritto di uccidere Di essere razzisti fino al genocidio della “razza che opprime” con la sua stessa esistenza

Continua qui:

 

https://www.maurizioblondet.it/la-prossima-rivoluzione-il-genocidio-dei-bianchi-come-fine/

 

 

 

 

 

Svegliatevi! Fino a quando il pubblico europeo e Usa potrà accettare i crimini delle loro élite al potere?

 

 

di Andre Vltchek – NeoJournal

 

Anno dopo anno, mese dopo mese, vedo i due lati del mondo; i due estremi che stanno diventando sempre più disconnessi:
Vedo grandi città come Homs in Siria, ridotte a rovine terrificanti. Vedo Kabul e Jalalabad in Afghanistan, frammentati da enormi muri di cemento destinati a proteggere gli eserciti di occupazione della NATO e le loro marionette locali. Vedo mostruose devastazioni ambientali in paesi come il Borneo indonesiano, le città minerarie peruviane dell’oro o le ormai inabitabili isole-atollo dell’Oceania: Tuvalu, Kiribati o Isole Marshall.
Vedo baraccopoli, mancanza di servizi igienico-sanitari e acqua potabile pulita, dove gli stivali degli imperi occidentali hanno distrutto culture locali, asservendo persone e saccheggiando le risorse naturali.

Lavoro in tutti i continenti. Non mi fermo mai, anche quando la stanchezza cerca di schiantarmi contro il muro, anche quando non ci sono quasi più riserve. Non posso fermarmi. Non ho il diritto di fermarmi, perché finalmente riesco a vedere il modello; il modo in cui questo mondo opera, il modo in cui l’Occidente è riuscito a usurparlo, indottrinare e asservire la maggior parte dei paesi del mondo. Combino le mie conoscenze e le pubblichiamo come un ‘avvertimento per il mondo.

Scrivo libri su questo “modello”. La mia opera più completa, fino ad ora, è “Exposing Lies of The Empire” di 1000 pagine.

Poi, vedo l’Occidente stesso.

Vengo a ‘parlare’, in Canada e negli Stati Uniti, così come in Europa. Ogni tanto sono invitato a parlare anche al pubblico australiano.

L’Occidente è così oltraggiosamente ricco, rispetto ai continenti rovinati e saccheggiati, che spesso sembra che non appartenga al Pianeta Terra.

Una pigra passeggiata pomeridiana a Villa Borghese a Roma, e una passeggiata orrida nel quartiere povero di Mathare a Nairobi potrebbe facilmente esistere in due distinte realtà, o in galassie diverse.

Anche adesso, dopo aver leggermente sbagliato l’ortografia di “Villa Borghese”, il mio Mac ha immediatamente offerto una correzione. È perché esiste Villa Borghese. D’altra parte, “Mathare”, che ho scritto correttamente, è stato sottolineato in rosso. Mathare ‘è un errore’. Perché non esiste. Non esiste, nonostante il fatto che circa un milione di uomini, donne e bambini vivano lì. Non è riconosciuto dal mio MacBook Pro, né dalla stragrande maggioranza dei miei lettori relativamente ben istruiti in Occidente.

In effetti, il mondo quasi-esistente sembra essere un grande errore, non entità, se osservato da New York, Berlino o Parigi.

Vengo e parlo davanti al pubblico occidentale. Sì, lo faccio di tanto in tanto, anche se con frequenza sempre minore.

Francamente, affrontare la folla europea o nordamericana è deprimente, persino umiliante.

Va così: sei invitato a ‘dire la verità’; per presentare ciò che stai vedendo in tutto il mondo.

Ti trovi lì, di fronte a uomini e donne che sono appena scesi dalle loro comode auto, dopo aver cenato bene nelle loro case ben riscaldate o con aria condizionata. Potresti essere uno scrittore famoso e un regista, ma in qualche modo ti fanno sentire come un mendicante. Perché sei venuto per parlare a nome di “mendicanti”.

Tutto è ben rifinito e coreografato. Ci si aspetta che tu non mostri alcun ‘eccesso’. Che tu non chiami i tuoi “nomi” pubblici. Che non giuri, non inizi a insultare tutti in vista.

Ciò che si affronta di solito è una folla piuttosto dura, o almeno “indurita”.

Recentemente, nel sud della California, quando mi è stato chiesto, da un collega filosofo e un mio amico, di rivolgermi a un piccolo raduno dei suoi colleghi, alcune persone stavano battendo sui loro telefoni cellulari, mentre stavo descrivendo la situazione sul fronte siriano, vicino a Idlib. Ho ritenuto che il mio parlare non fosse altro che uno “sfondo, una musica da ascensore” per la maggior parte di loro. Almeno quando mi rivolgo a milioni attraverso le mie interviste televisive, non devo vedere il pubblico.

Quando “parli” in Occidente, in realtà stai affrontando uomini e donne che sono responsabili, almeno in parte, degli omicidi di massa e dei genocidi commessi dai loro paesi. Uomini e donne i cui standard di vita sono oltraggiosamente alti, perché gli Altri vengono derubati, umiliati e spesso violentati. Ma i loro occhi non sono umili; li stanno trivellando in te, aspettando un errore che potresti commettere, così possono concludere: “È una notizia falsa”. Per loro, non sei un ponte tra quelli che “esistono” e quelli che non lo fanno. Per loro, tu sei un intrattenitore, un uomo di spettacolo, o il più delle volte: una seccatura.

Per conoscere la guerra, il terrore che l’Occidente sta diffondendo, è, per molti nel mio pubblico, ancora un altro tipo di lusso, intrattenimento di alto livello, non diversamente da una performance di opera o un concerto sinfonico. Se necessario, possono anche pagare, anche se per lo più preferiscono non farlo. Dopo un’esperienza diversa, si torna alla routine, ad una vita elegante e riparata. Mentre tu, il giorno dopo, stai spesso prendendo un aereo per tornare alla realtà degli altri; alla prima linea, alla polvere e alla miseria.

Loro, il vostro pubblico (ma affrontarlo, anche la maggior parte dei vostri lettori) sono venuti a mostrare quanto sono “aperti”. Sono venuti “per imparare” da te, “per essere istruiti”, mantenendo intatti i loro stili di vita. La maggior parte di loro pensa di sapere tutto, anche senza la tua esperienza diretta, ti stanno benevolmente facendo un favore invitandoti, e trascinandoti fino all’università o al teatro o ovunque tu sia di fronte a loro. Non sono venuti per offrire alcun sostegno alla tua lotta. Non fanno parte di nessuna lotta. Sono persone buone, amanti della pace e laboriose; È tutto.
Sai, come quei tedeschi, alla fine degli anni ’30; persone ipocrite e laboriose. Molti di loro adorano i loro animali domestici e riciclano la loro spazzatura. E pulire se stessi a Starbucks.

Qualche giorno fa abbiamo fermato il colpo di stato in Venezuela. Dico noi, perché, sebbene profondamente devastata nell’isola del Borneo, stavo dando interviste a RT, Press TV, rivolgendomi a milioni di persone. Anche qui, non ho mai smesso di scrivere, twittare, sempre pronto a lasciar perdere tutto solo per volare a Caracas, se dovessi essere necessario lì.

Per difendere il Venezuela, per difendere la rivoluzione lì, è essenziale. Poiché è essenziale difendere la Siria, Cuba, la Russia, la Cina, la Corea del Nord, l’Iran, la Bolivia, il Sudafrica e altre nazioni rivoluzionarie e coraggiose che si rifiutano di arrendersi al diktat occidentale.

Mentre infuriava la battaglia ideologica per Caracas, stavo pensando: c’è qualcosa che potrebbe ancora muovere il pubblico occidentale in azione?

Sono ormai – europei e nord americani – diventati totalmente indifferenti ai loro crimini? Hanno sviluppato una sorta di immunità emotiva? La loro condizione è ideologica o semplicemente clinica?

Eccoci qui, nel bel mezzo di un colpo di stato totalmente aperto; un tentativo da parte dell’Occidente di rovesciare uno dei paesi più democratici del nostro pianeta. E non hanno fatto quasi nulla per fermare il terrorismo compiuto dai loro regimi a Washington o a Madrid! Almeno in Indonesia nel 1965 o in Cile nel 1973, il regime occidentale cercò di nascondersi dietro sottili foglie di fico. Almeno, mentre distruggeva l’Afghanistan socialista e l’Unione Sovietica comunista creando i Mujahedin, l’Occidente usava il Pakistan come vassallo, cercando di nascondere, almeno in parte, il suo vero ruolo.

 

Almeno, mentre uccidevano più di 1 milione di persone in Iraq, c’era questa sciarada e un mucchio di menzogne ??sulle “armi di distruzione di massa”. Almeno, almeno …

Ora è tutto trasparente. In Siria, Venezuela; e contro la Corea del Nord, Cuba, Iran, Cina, Russia.

Come se la propaganda non fosse nemmeno più necessaria, come se il pubblico occidentale fosse diventato totalmente obbediente, non ponendo alcuna minaccia ai piani del regime occidentale.

O più precisamente, la propaganda occidentale, una volta elaborata, è diventata estremamente semplice: ripete le bugie e la grande maggioranza dei cittadini occidentali non si preoccupa nemmeno di mettere in discussione ciò che i loro governi stanno facendo al mondo. L’unica cosa che conta sono le “questioni domestiche”; significato – i salari e i benefici per gli occidentali.

Non ci sono rivolte come durante la guerra del Vietnam. Ora le rivolte servono solo a migliorare il benessere dei lavoratori europei. Nessuno in Occidente sta combattendo per fermare il saccheggio all’estero, o gli attacchi terroristici scatenati dalla NATO contro paesi non occidentali, o contro le innumerevoli basi militari della NATO, contro le invasioni e i golpe orchestrati.

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Quanto più il pubblico occidentale può davvero vedere soffrire?

Può davvero accettare tutto questo?

Accetterebbe l’invasione diretta del Venezuela o di Cuba o di entrambi i paesi? Ha già accettato l’intervento diretto e la distruzione della Jugoslavia, dell’Iraq, dell’Afghanistan, della Libia e della Siria, per citare solo alcune azioni terroristiche commesse dall’Occidente nella storia recente.

Quindi, quanto ancora? Un attacco contro l’Iran sarebbe accettabile? Diciamo, 2-3 milioni di morti?

La Corea del Nord, forse? Qualche altro milione, una nuova montagna di cadaveri?

Sto chiedendo; non è una domanda retorica. Voglio davvero saperlo. Credo che il mondo debba sapere.

Il pubblico occidentale ha raggiunto il livello dell’ISIS (o come si chiama lì IS o Deash)? È così ipocrita, così fanatico, così convinto del proprio eccezionalismo, che non può più pensare, chiaramente, analizzare e giudicare?

Provocare la Russia o la Cina o entrambi nella Seconda Guerra Mondiale sarebbe accettabile per le persone che vivono in Baviera o nella Carolina del Sud, o nell’Ontario?

E se sì, sono davvero tutti fuori di testa?

E se lo sono, il mondo dovrebbe cercare di fermarli, e come?

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Voglio conoscere i confini della follia occidentale.

Che la follia sia indiscutibile, ma quanto è massiccia?

Capisco, ora ho accettato il mostruoso fatto che i francesi, gli yankees, i canadesi, i britannici o i tedeschi non gliene frega niente di quanti milioni di persone innocenti uccidono in Medio Oriente, o nel sud-est asiatico, in Africa o in “luoghi come quello’. Accetto che non conoscono quasi nulla della loro storia coloniale e non vogliono sapere nulla, purché abbiano calcio, molta carne e 6 settimane di vacanze su spiagge esotiche. So che anche molti di quelli che possono vedere i crimini mostruosi commessi dall’Occidente, vogliono incolpare tutto sui Rothschild e sulla “cospirazione sionista”, ma mai su sè stessi, mai su Israele quale avamposto dell’Occidente nel Medio Oriente, mai sulla loro cultura che si esprime attraverso i secoli di saccheggio.

Ma per quanto riguarda la sopravvivenza del nostro pianeta e la sopravvivenza dell’umanità?

Immagino gli occhi di quelle persone che vengono alle mie “presentazioni di combattimento”. Dico loro la verità. Dico tutto. Non mi trattengo mai; mai nessun compromesso. Mostro loro le immagini delle guerre che hanno scatenato. Sì loro; perché i cittadini sono responsabili dei propri governi e perché c’è, chiaramente, qualcosa che si chiama colpa collettiva e responsabilità collettiva!

Quegli occhi, volti … ti dirò quello che leggo in loro: non agiranno mai. Non tenteranno mai di rovesciare il loro regime. Finché vivono le loro vite privilegiate. Finché pensano che il sistema in cui sono le élite, almeno abbia qualche possibilità di sopravvivere nella sua forma attuale. Giocano in entrambi i modi, alcuni di loro: verbalmente, sono indignati dalla NATO, dall’imperialismo occidentale e dal selvaggio capitalismo. Praticamente, non fanno nulla di tangibile per combattere il sistema.

Qual è la conclusione allora? Se non agiscono, allora gli altri devono. E sono convinto: lo faranno.

Per più di 500 anni il mondo intero è stato in fiamme, saccheggiato e ucciso da un piccolo gruppo di nazioni occidentali estremamente aggressive. Questo è andato avanti praticamente ininterrottamente.

Nessuno lo trova più divertente, più. Dove lavoro, in posti a cui tengo, nessuno vuole questo tipo di mondo.

Guarda quei paesi che stanno cercando di distruggere il Venezuela. Guarda da vicino! Consistono negli Stati Uniti, in Canada, nella maggior parte dell’Europa e soprattutto in quegli stati del Sud America dove i discendenti dei colonialisti europei stanno formando la maggioranza!

Vogliamo altri 500 anni di questo?

Nordamericani ed europei devono svegliarsi presto. Anche nella Germania nazista, c’erano soldati che erano così disgustati da Hitler, che volevano mandarlo ai cani. Oggi, in Occidente, non c’è un solo potente partito politico che crede che 500 anni di saccheggio colonialista occidentale siano più che sufficienti; che torturare il mondo dovrebbe fermarsi e fermarsi immediatamente.

Se l’imperialismo occidentale, che è la più grande e forse l’unica grande minaccia che il nostro pianeta sta affrontando, non è decisamente e presto smantellato dai suoi stessi cittadini, dovrà essere combattuto e scoraggiato da forze esterne. Questo è : dalle vittime passati e presenti.

Traduzione de l’AntiDiplomatico

*Andre Vltchek is a philosopher, novelist, filmmaker and investigative journalist. He has covered wars and conflicts in dozens of countries. Four of his latest books are China and Ecological Civilizationwith John B. Cobb, Jr., Revolutionary Optimism, Western Nihilism, a revolutionary novel “Aurora” and a bestselling work of political non-fiction: “Exposing Lies Of The Empire”. View his other books here. Watch Rwanda Gambit, his groundbreaking documentary about Rwanda and DRCongo and his film/dialogue with Noam Chomsky “On Western Terrorism”. Vltchek presently resides in East Asia and the Middle East, and continues to work around the world. He can be reached through his website and his Twitter. His Patreon

Notizia del: 07/06/2019

 

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-svegliatevi_fino_a_quando_il_pubblico_europeo_e_usa_potr_accettare_i_crimini_delle_loro_elite_al_potere/11_28786/

 

 

 

 

 

Torniamo ad esercitare il dubbio

28 Maggio 2019

Marco Moiso
Vicepresidente del Movimento Roosevelt
Supervisore per il Regno Unito

 

Dubbio – significato della parola in generale, secondo il Dizionario filosofico del Signorelli:
“E’ uno stato di incertezza, di indecisione, in cui viene a trovarsi l’uomo per la difficoltà grave, o anche insormontabile, di giungere ad un’affermazione conclusiva, alla verità.”

Il dubbio è positivo: perché fonte di ogni ricerca e condizione di ogni conquista.

E’ uno stato che di fronte a problemi fondamentali, origina un sentimento di insoddisfazione, di inquietudine, me che poi, costituisce la forza che spinge al superamento del dubbio stesso.

Non per fede, ma per risultato della propria ricerca.

———

Il dubbio ci aiuta anche nella politica.

È vero che le forze che si definiscono oggi “europeiste” lo sono nella sostanza? O in realtà tradiscono i principi sui quali l’Europa doveva essere costruita, rendendola invisa al popolo?

È vero che le forze socialiste si occupano dell’interesse della collettività? O usano le giuste cause delle minoranze per nascondere la tutela de facto agli interessi dei pochi e dei pochissimi che invece il potere lo hanno, e dettano le regole del gioco?

È vero che il “sovranismo” è un pericolo? O la parola “sovranismo” è stata appiccicata addosso a coloro che in fondo rivendicano un sistema democratico basato sulla sovranità del popolo, per screditarli? Tutti coloro che si definiscono democratici non dovrebbero credere nella sovranità del popolo? Se non è il popolo ad essere sovrano, chi lo è?

Ai democratici importa davvero che la sovranità si compia a livello nazionale? o vogliono che si compia sempre, a livello municipale, cittadino, provinciale, regionale, nazionale e sovranazionale?
Dall’altra parte, coloro che oggi si fanno portavoce della lotta contro l’Europa maligna, saranno davvero disposti a creare un’Europa democratica? O hanno interesse in realtà nel ridimensionare ancora di più il ruolo dello Stato a vantaggio di poteri economici sovranazionali?

Quando dubitiamo della coerenza del prossimo, come nei 4 esempi di sopra, siamo noi stessi pronti ad ammettere che le persone non sono sempre consapevoli delle contraddizioni che incarnano? O tendiamo a pensare ci sia dolo e cattive intenzioni anche dove magari non ci sono?

Queste sono alcune delle domande che mi sono posto io. Domande che semplicemente mettono in discussione la narrativa proposta ogni giorno; spesso mistificata anche da falsi dibattiti e opposte opinioni, che però rinforzano questa stessa narrativa fatta di dicotomie false e strumentali.

Tu che dubbi hai?

https://blog.movimentoroosevelt.com/home/2067-torniamo-ad-esercitare-il-dubbio.html

 

 

 

 

 

 

Rampini attacca la “sinistra snob” che predica l’accoglienza: “Hanno dimenticato gli italiani”

La voce fuori dal coro del corrispondente di Repubblica: “A forza di occuparsi degli ultimi che attraversano il Mediterraneo, la sinistra ha dimenticato gli italiani”

Cristina Verdi – 10/06/2019

La sinistra? A forza di difendere i migranti si è dimenticata degli italiani.

A dirlo non è il leader della Lega ma un’icona progressista come Federico Rampini. Lo storico corrispondente di Repubblica affida ad un libro il suo personale j’accuse verso uno schieramento politico reo di avere abbandonato le classi operaie per fare da “cassa di risonanza alle agenzie di rating”.

La notte della sinistra, edito da Mondadori elenca tutti gli errori che hanno condotto alle ultime batoste elettorali. Dalla difesa a tutti i costi delle frontiere aperte all’allerta per il ritorno del fascismo. “È il vezzo di una sinistra intellettualmente pigra – dice il giornalista intervistato da La Verità – non avendo idee forti da proporre, ci si rifugia in automatico nella vecchia retorica”. Certo, la battaglia dei porti chiusi di Matteo Salvini non la condivide. Non foss’altro perché, come quella combattuta Oltreoceano per il muro al confine con il Messico, la considera “marginale rispetto al problema”.

L’Italia multietnica per Rampini è una “banalità”. “Ogni Paese ha il diritto di stabilire le regole di accesso e di appartenenza alla propria comunità nazionale”, pena la diffusione di un senso di smarrimento e insicurezza. Sono i migranti stessi a sconfessare “l’ideologia no border”, sostiene il giornalista che rivendica l’eredità nazional popolare del Partito Comunista Italiano e ricorda come “nella storia sono sempre stati gli industriali, i ricchi, a volere frontiere aperte, sia per gli scambi commerciali, sia per la manodopera a basso costo”.

L’accoglienza indiscriminata, precisa, non è mai stata un’idea di sinistra e gli immigrati non ci pagheranno le pensioni. Anzi, un giorno le “consumeranno” pure loro, prevede l’editorialista che critica Juncker e dà del sovranista a Macron. Insomma, non sono gli elettori leghisti ad essere ignoranti, ma i politici di sinistra ad essersi trincerati sotto gli ombrelloni a Capalbio dimenticando le periferie.

Sì perché, passi Greta Thunberg, ma se l’eroina del nuovo femminismo diventa Asia Argento, allora siamo alla “perversione del politicamente corretto”.

 

http://www.ilgiornale.it/news/politica/rampini-attacca-sinistra-snob-che-predica-laccoglienza-hanno-1709068.html

 

 

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

SUSPIRIA: LA RIVOLUZIONE È NEL CORPO

24 GENNAIO 2019

Una serie di ritratti a tinte forti in cui la donna assume al tempo stesso l’accezione di creatura spietata e quella di soggetto in lotta, con il proprio corpo, per la sua autodeterminazione: ecco il nodo focale e la rivoluzione delle varie “Suspiria” che, dall’ultimo film di Luca Guadagnino al teatro di Emma Dante, rivisitano il celebre cult del ’77 firmato Dario Argento.

Una serie di ritratti a tinte forti in cui la donna assume al tempo stesso l’accezione di creatura spietata e quella di soggetto in lotta, con il proprio corpo, per la sua autodeterminazione: ecco il nodo focale e la rivoluzione delle varie Suspiria che, dall’ultimo film di Luca Guadagnino al teatro di Emma Dante, rivisitano il celebre cultdel ’77 firmato Dario Argento.

Nella pellicola, infatti, uno degli oscuri richiami messi in campo sembra essere proprio la sinergia tra la danza contemporanea e l’atto rivoluzionario.

Le braccia danzano ma, al tempo stesso, possono costruire ordigni letali. La ballerina e la terrorista si sovrappongono e vengono rappresentate alla stregua di figure archetipiche mentre il regista si sofferma su un’idea di corpo che viene agito dalle donne con famelica fierezza.

L’ambientazione scelta – la Berlino di fine anni ’70 in cui imperversa la banda Baader Meinhof – funziona, in questo senso, da costante e sibillino richiamo politico-iconografico. Poco o nulla viene confermato della trama e della messinscena originaria, che stavolta si dipana in percorsi sotterranei e meandri psicanalitici.

Il risultato è una surreale liturgia del topos del collegio femminile, che pervade a la narrazione i cui ambienti vengono di continuo attraversati da esseri superiori, con apparenti sembianze femminili.

Le insegnanti, così come le allieve, assomigliano più a figure mitologiche che non a personaggi in carne e ossa. Nell’inestricabile dedalo narrativo scandito in sei parti più l’epilogo, l’unico filo conduttore del Suspiria di Guadagnino sembrano essere le donne che progressivamente si tramutano in una serie di organi pulsanti e distinti ma che, riuniti a comporre l’intera compagnia di danza, finiscono per rappresentare un’unica e immane entità.

 

Un’entità spettrale le cui dinamiche settarie ricordano la banda satanica dei Manson e d’altronde la giovane protagonista sembra aver dedicato tutta la propria esistenza, compresa la vendita della propria anima, per entrare a far parte dell’inquietante “compagnia”.

Tuttavia non è solo l’intreccio politico a legare i personaggi, che sono accomunati anche e soprattutto da una solidale e sincronica condivisione dei propri incubi.

Ogni ballerina rinuncia al narcisismo individuale per l’audacia di rincorrere il desiderio di donarsi alla danza collettiva. Una compagnia popolata da un mondo di “compagne”, spiriti eletti per talento e tutti condannati alla ricerca della perfezione, costretti ad annullarsi l’uno nell’altro così che ognuno di essi diventi parte di un corpo altro, più vivo e più grande.

 

Mentre i colli si piegano fin quasi a spezzarsi e i salti si ripetono fino al dolore straziante dei ripetuti atterraggi, l’unico obbiettivo è ampliare le possibilità del fisico attraverso il potere della mente.

Una mutazione, appunto, a simboleggiare la strenua ricerca di un ruolo. Ecco una delle chiavi interpretative, tra le infinite possibili, per scovare il senso profondo delle parole sibilline pronunciate dalla diafana Tilda Swinton nei panni di Madame Blanc, ascetica coreografa della scuola : «cosa vuoi essere tu per la compagnia? La testa, il cuore, le gambe?». «Le mani, voglio essere le mani» risponderà la nuova e talentuosa recluta.

 

Nonostante i ritmi rarefatti, l’assenza dell’elemento musicale (tanto caro a chi, grazie a Dario Argento, si era perso nelle deliranti e celeberrime note dei Goblin) e la volontà di non fornire una consequenzialità univoca alla narrazione, il film ha il merito di portare in scena la potenza corporea e intellettuale delle protagoniste quasi ad allegorizzare una liberazione della donna rimasta, troppo a lungo, sopita.

Nessuna possibilità, per lo spettatore nostalgico, di trovare una chiave univoca per il film che non si presenta né come remake né come omaggio o citazione dell’originale.

Chi guarda è lasciato completamente solo nella decodifica soggettiva di un opera orrorifica ma non ascrivibile al genere horror tout court. Eppure, nel susseguirsi degli eterni fotogrammi surreali, si percepisce un desiderio, forse inconscio, di scavare nell’abisso dell’animo femminile.

 

Una ricerca che si sta consolidando dal cinema alla serialità televisiva e che approda anche a teatro. Le protagoniste di Suspiria ricordano infatti Le baccanti della splendida reinterpretazione teatrale per mano della coraggiosa e visionaria Emma Dante.

 

Cappi, corpi, drappi e, soprattutto, donne. Una rappresentazione superba in cui il rito dionisiaco è allo stesso tempo liberatorio, famelico e, al contrario della tragedia originaria, irreversibile.

Ma se le danzatrici di Suspiria, al pari delle “Baccanti” della Dante, hanno un aspetto quasi cannibalico, l’opera teatrale è superiore quanto a impatto visivo e concettuale, e per l’intensità e il coraggio con cui forse consegna l’omaggio più significativo al cinema di Dario Argento.

Con un budget ridotto, grande inventiva e un eccezionale talento, Emma Dante riesce ad urlare ciò che Guadagnino mantiene criptico: e cioè che la rivoluzione è donna e non esiste legame che possa arginare la sua dirompente sete di libertà.

Che in tempi bui e sconclusionati le idee chiare sono meglio dei voli pindarici.

E che il semiologo Eco ci aveva visto giusto giocando con il verso «stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus»  per trovare il titolo del suo romanzo di maggior successo: volendo significare che non è il nome a fare di una rosa una rosa, un nome è solo un nome.

 

Così, mentre il tema del genere e l’attenzione sulle rivendicazioni femminili sembrano prendere sempre più spazio nell’industria culturale contemporanea, forse risultano più “sospiri” all’Argento nelle Baccanti di Emma Dante che non nell’omonimo film di Guadagnino che, con un pizzico di autoironia, avrebbe potuto intitolare “Chiamalo con un altro nome”, strappando un sorriso ai semiologi senza incidere troppo sul suo visionario ma ermetico “recupero” di un classico intramontabile dell’horror italiano.

 

https://www.idiavoli.com/it/article/suspiria-la-rivoluzione-e-nel-corpo

 

 

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Ecco perché dovremmo arrabbiarci di più (e meglio)

Salvatore La Porta in “Elogio della rabbia” (Il Saggiatore) difende l’arte di incazzarsi e invita a un culto dell’ira che non sfoci nella ferocia: “L’ira è un sentimento nobile, legato a un senso di giustizia. Dobbiamo incanalare il rancore per aiutare gli altri”

10 giugno 2019

È lunedì, e naturalmente vi sarete già arrabbiati. Avete dormito poco, fate un lavoro che non vi piace, siete rimasti bloccati nel traffico del mattino, avete appena litigato col vostro partner per una stupidaggine. O semplicemente vi dà fastidio che sia iniziata la settimana con la sua routine. Che sia invidia, rancore o gelosia basta uno sguardo sbagliato per sfogare la rabbia verso qualcuno. L’umanità è sempre più incazzata. C’è rabbia verso i politici, i migranti, i giornali, le donne, i gay. E si augura la morte o lo stupro con la stessa facilità con cui un tempo si diceva buongiorno e buonasera. Una semplificazione qualunquista? Guardate i commenti nei social network per capire che ognuno di noi, a giro, vive il suo giorno di ordinaria follia. In mezzo a questo rancore c’è chi ha una soluzione. Non una sessione di yoga o una conversione al buddismo, ma un lavoro certosino per trasformare questa energia repressa in un’arma per difendere e riconquistare la nostra vita. Salvatore La Porta in “Elogio della rabbia” (Il Saggiatore) invita a un culto dell’ira che non sfoci nella ferocia. «La rabbia esiste anche se non è percepita. Pensiamo di avere una vita serena solo perché grossomodo viviamo quel che desideriamo. Ma quel grossomodo è il problema, perché crea un piccolo serbatoio di rancore dentro di noi che può esplodere o aumentare all’improvviso- Basta un periodo particolarmente difficile».

La rabbia è inevitabile? 
Sì. Nessuna vita corrisponde ai nostri desideri e inevitabilmente lo scarto fra quel che vorremmo e quel che invece viviamo crea un attrito, una sensazione di fastidio nella nostra quotidianità. La vita è indefinibile, mentre noi invece desideriamo cose precise. E quando non si realizzano ci arrabbiamo per i motivi sbagliati. E dire che l’ira è un sentimento nobile.

Cioè?
Per sua natura l’ira è legata a un senso di giustizia. Non ci si arrabbia per qualcosa che va bene ma per qualcosa che va storto. Quando vediamo un torto l’ira si attiva. Mentre oggi spesso riserviamo il nostro senso di giustizia solo per cose che ci riguardano e non a favore di chiunque subisca un torto. E così si spiega la mentalità fascista, l’egoismo, l’oppressione dell’amato, la rabbia nei confronti dei più deboli o di chi pensiamo ci possa aggredire. Per anni invece l’ira ci ha portato ad abbracciare cause e persone molto lontane da noi.

Facciamo un esempio. 
Per esempio la Shoa. A distanza di anni ancora ci arrabbiamo per quello che hanno subìto gli ebrei durante la Seconda guerra mondiale ed è uno dei popoli più estranei alla cultura europea, abitanti in diaspora senza uno Stato. Eppure a pensarci proviamo ancora ira per i nazisti e la loro ferocia. Se ci pensate è lo stesso sentimento che spinge ora molte persone a sostenere la causa palestinese o ad arruolarsi per aiutare i curdi contro l’Isis.

Ma anche ad armarsi per combattere con l’Isis. Chi stabilisce quale ira sia giusta o sbagliata?
L’ira è sempre sincera, chi la pratica crede sempre di fare la cosa giusta. Non possiamo mai avere la certezza che la nostra scelta, il nostro senso di giustizia sia corretto. Per questo l’ira deve essere legata alla razionalità e alla capacità di discernere le cose nel mondo il più possibile. Più informazioni abbiamo riguardo il mondo intorno a noi più siamo prudenti nell’ira e a cercare di dirigerla con cura. Conoscere il mondo maggiormente ci impedisce di essere parziali. Il mondo è più vario della nostra routine casa-ufficio.

Come si fa concretamente? 
Dobbiamo falsificare le nostre credenze, cercare fonti diverse da quello che ci viene detto e avere il coraggio di metterci in discussione. Spesso siamo arrabbiati per cose non vere dette da altri in modo convincente. Nell’antico testamento si preosuppone che solo la divinità che conosce il bene e il male in maniera assoluta possa dirigere l’Ira. Ma è un mito. L’uomo non ha la conoscenza assoluta per questo deve leggere, vedere film, ascoltare musica, viaggiare entrare in empatia con gli altri. La cultura ci permette di incanalare la rabbia in modo efficace. Così la prossima volta ci arrabbieremo per un’ingiustizia vera e non per un fraintendimento della mente.

 

Quando sentiamo l’ingiustizia solo per le cose che accadono a noi non proviamo ira, ma rancore che ci avvelena dentro giorno per giorno. Sarà anche difficile ma l’empatia è l’unica porta per trasformare il rancore in ira positiva. Più la mia empatia si espande più tendo a usare l’ira come senso di giustizia nei confronti di estranei e di alti ideali

Salvatore La Porta

 

Facile a dirsi, difficile non arrabbiarsi nella quotidianità.
È questo il problema. Quando sentiamo l’ingiustizia solo per le cose che accadono a noi non proviamo ira, ma rancore che ci avvelena dentro giorno per giorno. Sarà anche difficile ma l’empatia è l’unica porta per trasformare il rancore in ira positiva. Più la mia empatia si espande più tendo a usare l’ira come senso di giustizia nei confronti di estranei e di alti ideali. E l’ira positiva è quella che ti fa uscire per strada a manifestare contro le ingiustizie o ad agire quando nel bus, per strada, al lavoro, al supermercato vediamo qualcuno subire un torto. Ogni volta che si ha uno scatto d’ira bisogna capire se si sta danneggiando i più deboli o i più forti.

Siamo più arrabbiati rispetto ai nostri genitori e nonni?
La nostra è un’ira più malata. Prendiamo ad esempio il femminicidio. Grazie alla tecnologia possiamo continuamente controllare, verificare, vigilare sul comportamento delle persone che amiamo. Abbiamo un rapporto ossessivo nei confronti dell’amore. Se ho bisogno di sapere dove sia, o cosa stia facendo la persona di cui sono innamorato, basta cercarla nel telefono. E quando questa ossessione viene frustrata perché magari quella persona non risponde banalmente a un messaggio, capita che in pochi attimi il tutto degeneri in un’ira fortissima. E se quella persona ha tradito o si è allontanata perché non prova più niente allora il rancore può portarci a fare cose terribili.

Nell’epoca dei populismi e dei cultori dell’odio, non credi sia scivoloso fare un elogio della rabbia? Qualcuno potrebbe fermarsi al titolo. 
Vero, ma va fatta. Perché con la rabbia ci dobbiamo convivere, non possiamo eliminarla del tutto. E in questa fase storica sta montando in maniera cieca perché esperti dell’odio ci incanalano il loro rancore mascherandolo con il buon senso. Abbiamo la visione sempre più ristretta sulle cose del mondo. Ci fermiamo alla nostra quotidianità. Quello è diventato il nostro mondo e guai a chi ci viene a dire come parcheggiamo la macchina o se saltiamo la fila alle poste. E siamo solo agli inizi. Dovremmo fare come nel judo.

Cioè?
Quando un bambino sale per la prima volta sul tatami, gli si dice che tutto quello che imparerà facendo il judo non lo dovrà mai fare per strada, se non in casi estremi. L’ira è come un’arte marziale, bisogna comprendere come nasce e averne una cura estrema usandola solo in determinati casi, quando sentiamo che realmente c’è un’ingiustizia. Se conosci il mondo agisci solo quando credi sia realmente necessario. I cani piccoli abbaiano, quelli grandi non ne hanno bisogno. Bisognerebbe imparare dal popolo curdo nel Rojava.

Sanno gestire bene la rabbia? 
Quel popolo negli ultimi decenni è stato smembrato maltrattato, distrutto. Ne avrebbe di ragioni per arrabbiarsi. Ma invece di lasciarsi andare a un odio indiscriminato verso tutti ha costruito un modello alternativo e lo sta difendendo. Tutti sono alla pari: le donne combattono studiano e vivono come gli uomini. C’è una divisione del lavoro dei beni quanto più solidale possibile.

Con tutto il rispetto per il Rojava, forse servirebbe un modello più vicino a noi per capire come gesitre la rabbia.
E allora prendete ad esempio Gesù. Nei Vangeli più volte si vede Gesù iracondo. È rabbioso quando disconosce i genitori e li insulta davanti ai rabbini del tempio di Gerusalemme, si infuria con i suoi discepoli per la loro mancanza di fede, per la fame continua che li tormenta, per il loro conformismo. Addirittura, maledice un albero di fico, promette la lapidazione dei suoi nemici, predice il fuoco e la spada e scaccia i mercanti dal tempio. Ma non si infuria mai con i deboli. Mai. E quando la sua rabbia potrebbe mettere a repentaglio la vita dei suoi discepoli nell’orto Getsemani, non si arrabbia contro chi l’ha tradito, ma trattiene Pietro dall’usare la spada, riattacca l’orecchio del soldato e si consegna ai suoi nemici.

 

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/10/ira-arrabbiarsi-saggiatore-la-porta-rabbia/42465/

 

 

 

 

 

 

 

LA FILOSOFIA DEL RANCORE

La resa delle intelligenze al “Nichilismo psicopatologico” dilaga la filosofia del rancore e della rivalsa: un cocktail micidiale con il quale le minoranze “aggressive” vengono all’assalto della nostra società e dei suoi valori

 

Dilaga la filosofia del rancore e della rivalsa

Francesco Lamendola – 05 Aprile 2019

 

Se la nostra società, nel volgere di una manciata di anni, è giunta al punto di farsi dettare la legge morale e il codice penale dalla signora Cirinnà, allora vuol dire che c’è davvero qualcosa che non funziona, in essa, a livello profondo; molto più profondo di quel che non si potesse immaginare. Non si tratta solo di superficialità, volgarità e ignoranza: perché dare credito a una parlamentare che se ne va in giro ostentando un cartello con la scritta; Dio, patria. famiglia = che vita de merda, è indicativo sul piano sociologico e, forse, su quello psicoanalitico; non spiega, però, la resa delle intelligenze, l’abdicazione del senso comune di fronte alle aberrazioni di chi vuole imporre per decreto che l’intera società si dimentichi, una volta per sempre, i concetti di padre e madre, soprattutto di madre, per adottare la filosofa del “genitore” indifferenziato, bisessuale, omosessuale, transessuale e via dicendo. Se un popolo di sessanta milioni di persone, un popolo che ha dato alla civiltà del mondo san Francesco, san Tommaso d’Aquino, Dante, Giotto, santa Caterina da Siena, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Beato Angelico, Raffaello, Ariosto, Leonardo da Vinci, Michelangelo, e si potrebbe continuare per pagine e pagine, è giunto a tollerare l’imposizione per decreto della filosofia gender, e la distribuzione del farmaco blocca-ormoni a spese della sanità pubblica, e accetta che chi osa parlare della famiglia naturale, formata da uomo e donna, sia coperto d’immondizia, insultato, deriso, minacciato, boicottato, e si faccia completo silenzio sui sei milioni di aborti ufficiali eseguiti da quando è passata la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, e ora ci si accinga a varare la legge sull’eutanasia; se un tale popolo è giunto ad accettare che siano trattati da estremisti e da sovversivi gli ultimi, strenui difensori dei valori tradizionali, e che siano isoalti e rifiutati persino dal clero cattolico e dai teologi di grido, e che salga sul pulpito gente come la signora Cirinnà, a fare la lezione a milioni di genitori e ad insegnare loro cosa vuol dire prendersi cura dei loro figli: ebbene, in tal caso vuol dire che quel popolo è caduto tanto in basso, quanto mai, prima, nella sua storia gloriosa e plurimillenaria. Significa che non ha più nulla da dire né agli altri popoli, né a se stesso; che non sa più vedere la realtà, né sa immaginare un futuro per i suoi figli: e infatti i giovani, specialmente laureati, se ne vanno, a decine di migliaia, ogni anno, da questa madre matrigna che è l’Italia, e si portano via la loro intelligenza, il loro entusiasmo, la loro competenza, che andranno a beneficio di qualcun altro: mentre da noi resteranno, un po’ alla volta, solo i vecchi, i cinici, gli egoisti,i culi di piombo inchiodati alle loro poltrone, ai loro meschini privilegi, alle loro rendite, alle loro baronie universitarie, alle loro direzioni sanitarie e delle aziende pubbliche, alle loro direzioni di giornali, televisioni e case editrici, ai loro banchi di Montecitorio e Palazzo Madama, e soprattutto alle loro preziose poltrone negli istituti di credito e assicurativi, dai quali si domina agevolmente tutto il resto.

Se la nostra società, nel volgere di una manciata di anni, è giunta al punto di farsi dettare la legge morale e il codice penale dalla signora Cirinnà, allora vuol dire che c’è davvero qualcosa che non funziona, in essa!

 

E questo pone un primo problema: che fine hanno fatto l’intelligenza, il senso della dignità, il rispetto di sé, specialmente fra quelli che, a torto o a ragione, dovrebbero rappresentare la crema intellettuale del Paese. Il discorso ci porterebbe a ripetere cose già dette molte altre volte: la verità è che, oggi, viviamo in un momento storico di vacanza pressoché totale della classe dirigente; non c’è una vera classe dirigente: ci sono solo tanti personaggi preoccupati prevalentemente di se stessi, delle proprie carriere, del proprio stipendio, della propria popolarità: personaggi modesti, privi di spessore, carenti di coraggio, e, soprattutto, fondamentalmente asserviti al capitale finanziario internazionale, che li ha quasi tutti sul suo libro paga e rispetto al quale essi non oserebbero neanche starnutire, non diciamo avanzare una riserva. E ciò vale per la finanza e l’economia, così come per i trasporti, l’edilizia, la ricerca scientifica, il commercio, l’agricoltura, la scuola, l’università, il cinema, la cultura, l’informazione, la santità: insomma, praticamente tutto. A ciò si aggiunga il difetto congenito della nostra sedicente classe dirigente: il distacco abissale, storico, originario, con la gente comune; l’indifferenza e il disprezzo per la condizione di vita dei cittadini.

 

Il ricatto, morale e intellettuale, esercitato dalle minoranze aggressive, è talmente forte che tutti quanti si sentono in colpa all’idea che possa esserci una qualche discriminazione verso di esse: e si scordano che ad essere discriminata, ormai, è la maggioranza silenziosa, la stragrande maggioranza del popolo italiano!

 

Il secondo problema che si pone è come sia stata possibile una vittoria così rapida, così totale, delle filosofie nichiliste e delle pratiche aberranti e innaturali, sul piano strettamente culturale e intellettuale, anche in quegli ambiti, come il mondo cattolico, nei quali avrebbero dovuto esistere gli anticorpi, avendo una ricca e gloriosa tradizione alle spalle, due volte millenaria: una tradizione culturale, intellettuale e spirituale più che sufficiente per resistere a un assalto che è, in realtà, così inconsistente sul piano teorico e così palesemente privo di fondamenti logici. In altre parole, come è possibile che l’evidenza delle cose non si sia imposta, che la logica e il buon senso non abbiano prevalso? Come è possibile che perfino le massime autorità della Chiesa, ad esempio, abbiano preso le distanze del 13° Congresso mondiale della Famiglia, che si è tenuto a Verona a fine marzo del 2019, rimarcando differenze di metodo e di prospettiva e dissociandosi da quanto i partecipanti intendevamo riaffermare, cioè la priorità della famiglia naturale e il suo insostituibile ruolo affettivo ed educativo? La risposta che ci sembra di poter dare è questa: per timidezza, per pusillanimità, per conformismo, ma soprattutto per interesse, la nostra intellighenzia ha deciso di non resistere, anche se avrebbe potuto benissimo farlo.Lo schema è sempre quello dell’8 settembre 1943; perché rischiare combattendo, quando ci si può salvare alzando per tempo bandiera bianca? Ora, i nostri intellettuali, i nostri responsabili dell’informazione e della cultura, hanno deciso di arrendersi in massa: di arrendersi all’agenda del Partito radicale, che, pur col suo minuscolo consenso elettorale, detiene, in questa fase storica, il controllo quasi totale del panorama culturale e degli spazi pubblici. Si prenda un qualsiasi salotto televisivo nel quale si parla di questioni etiche e diritti civili: si vedrà che a difendere le gloriose conquiste di civiltà dell’ideologia nichilista ci sono almeno tre, quattro, cinque ospiti, contro uno chiamato, tanto per salvare le apparenze, a difendere la testi contraria. Inevitabilmente costui fa la figura del retrogrado, dell’oscurantista, del razzista; logico: quando il paradigma culturale passa in mano alle minoranze aggressive, chi rimane fedele al vecchio paradigma viene automaticamente screditato, perfino a livello di linguaggio, anzi, cominciando proprio da quello, più o meno come restarono screditati e spiazzati i difensori del modello cosmologico tolemaico quando si affermò quello copernicano. Con la notevole differenza che qui non si tratta di passare da un paradigma scientifico meno preciso ad uno più preciso, ma di capovolgere i fondamenti intellettuali, etici e spirituali della nostra civiltà, compiendo un salto nel vuoto che ci porterà verso il nulla; si tratta di una distruzione volontaria del nostro passato e della nostra identità, di un rifiuto rabbioso, sistematico, intollerante, di tutto il nostro patrimonio morale e sociale. Una volta padroni del linguaggio e padroni del paradigma culturale dominante, i signori del nichilismo hanno buon gioco a imporre la loro prospettiva, in qualche misura, perfino a quei pochi che vedono il pericolo e vorrebbero organizzarsi per resistere.

Quando il paradigma culturale passa in mano alle minoranze aggressive: i nostri intellettuali, i nostri responsabili dell’informazione e della cultura, hanno deciso di arrendersi in massa: di arrendersi all’agenda del Partito radicale, che, pur col suo minuscolo consenso elettorale, detiene, in questa fase storica, il controllo quasi totale del panorama culturale e degli spazi pubblici!

 

Ed ecco che perfino i relatori del Congresso di Verona, al termine dei lavori, redigono un documento conclusivo nel quale si afferma, sì, la bellezza e la santità della famiglia naturale, formata da un uomo e una donna e benedetta da Dio, ma si raccomanda anche “rispetto” per quanti fanno delle scelte diverse, e si chiede che la loro dignità sia tutelata ad ogni costo. E cosa significa, questo, in pratica, se non che ci si rimangia con la sinistra quel che si è affermato con la destra? Qui c’è una voluta confusione fra il rispetto dovuto alle persone e la fermezza riguardo ai principi. Si possono e si devono rispettare le persone, ma non si può affatto “rispettare” chi odia e vorrebbe vedere distrutta la famiglia naturale. Il fatto è che il ricatto, morale e intellettuale, esercitato dalle minoranze aggressive, è talmente forte che tutti quanti si sentono in colpa all’idea che possa esserci una qualche discriminazione verso di esse: e si scordano che ad essere discriminata, ormai, è la maggioranza silenziosa, la stragrande maggioranza del popolo italiano che si fonda, ancora e sempre, sulla vera famiglia, formata da un uomo e una donna: sono loro che andrebbero difesi, di questi tempi! E questo discorso vale anche in altri ambiti della vita sociale, ad esempio per quel che attiene ai cosiddetti migranti, che sono in realtà, a tutti gli effetti, degli invasori (si veda quel che dice in proposito il cardinale Sarah, il quale essendo africano, non può certo esser sospettato di pregiudizi razziali). Possibile che non si sia capito ancora che ad essere discriminati, sia legislativamente, sia praticamente, sono i cittadini italiani, e che a godere d’ingiusti privilegi sono gl’immigrati, meglio se clandestini d’ignota provenienza e identità, e con pochissima voglia di lavorare e guadagnarsi la vita onestamente?

La famiglia “naturale” e il pilatesco silenzio della Chiesa? Come è stata possibile una vittoria così rapida, così totale, delle filosofie nichiliste e delle pratiche aberranti e innaturali, sul piano strettamente culturale e intellettuale, anche in quegli ambiti, come il mondo cattolico, nei quali avrebbero dovuto esistere gli anticorpi, avendo una ricca e gloriosa tradizione alle spalle, due volte millenaria?

 

Il terzo problema che si pone è capire su quali forze sociali, psicologiche, morali, facciano leva questi apostoli del nichilismo, questi arconti della distruzione della nostra civiltà; perché deve essere ben chiaro che tali essi sono: chi odia la famiglia naturale, chi predica l’aborto e l’eutanasia come forme di civiltà e di liberazione, odia la nostra vera civiltà e vorrebbe vederla annientata. Si tratta, è chiaro, di sparute minoranze, anzi di frazioni militanti e molto aggressive di tali minoranze, perché non tutti coloro che appartengono a queste ultime condividono quello spirito di crociata, anzi crediamo che la maggior parte di essi se ne guardi bene; e sufficienti, nondimeno, a formare una massa critica capace di sfondare le difese, marce e fatiscenti, della nostra società, e imporre i loro diktat senza quasi incontrare resistenza.

Ora, su quali sentimenti, emozioni, pensieri, fanno leva i predicatori del nichilismo contrabbandato per progresso e per “civiltà”? Fermo restando che la centrale operativa si trova da tutt’altra parte, e cioè, come abbiamo accennato, dalle parti del potere finanziario internazionale, interessato a demolire le società che possiedono una tradizione, per ridurne i popoli al livello di masse abbrutiteda un tipo di vita e di lavoro sempre più precari, ma, nello stesso tempo, ipnotizzate più che mai dal miraggio consumista, che le ha spento in loro anche l’ombra d’un pensiero critico, crediamo che la materia prima per l’attacco delle minoranze aggressive ai danni della maggioranza silenziosa e pacifica, psicologicamente e materialmente inerme, anche perché disabituata ai sacrifici e alla lotta, sia fornita da un concentrato, potenzialmente esplosivo, d’infelicità, rancore, invidia e desiderio di rivalsa. Le minoranze che si dicono, o si dicevano fino a pochissimo tempo fa, discriminate, se non addirittura oppresse, sono formate da persone che vivono in condizioni anormali e che, fino a qualche anno fa, percepivano la loro differenza con la maggioranza della società e non ponevano in dubbio i fondamenti su cui essa si basava. Ora, invece, esse prendono di mira proprio i fondamenti e contestano, per esempio, che si possano adoperare concetti come “normale” e ”anormale”, o espressioni come “secondo natura” o “contro natura”.

La resa delle intelligenze al “nichilismo psicopatologico”: la miseria e l’aberrazione dei loro “ragionamenti” si commenta da sé: nel caso dell’aborto, ad esempio, un bambino in arrivo è paragonabile a un tumore?

 

Quelle persone, spesso, sostengono che l’anormalità non esiste, per il semplice fatto che non esiste la norma; e quanto all’essere contrario alla natura, affermano che anche prendere dei farmaci o fare delle terapie contro il tumore è un andare contro natura. La miseria e l’aberrazione di un tale “ragionamento” si commenta da sé: nel caso dell’aborto, ad esempio, un bambino in arrivo è paragonabile a un tumore? Noi pensiamo che l’atteggiamento aggressivo, il disprezzo della “norma”, lo sputare sui valori più sacri del vivere civile (come appunto Dio, la Patria e la Famiglia) nascano da una vera e propria psicopatologia i cui ingredienti essenziali sono l’infelicità e l’invidia. L’infelicità prodotta da uno stile di vita anormale, e l’invidia (inconscia, senza dubbio) nei confronti delle detestate persone “normali”, che non abortiscono, che si sposano fra uomo e donna, che hanno dei bambini per via naturale, che assistono i loro cari malati fino all’ultimo, senza prendere scorciatoie fatte passare per autodeterminazione della propria vita. E la stessa infelicità e la stessa invidia è il fattore che entra in gioco con le altre minoranze. Un immigrato clandestino africano, sradicato dalla propria terra, dalla propria famiglia, da tutti i propri valori e punti di riferimento, non è felice in una società che lo accoglie con freddezza, con diffidenza, anche perché lui non ha alcuna voglia d’integrarsi e di accettare lealmente il suo sistema di vita. Lui vuole conservare tutte le sue abitudini, compreso il disprezzo della donna, la sua sottomissione, la sua brutalizzazione, se ella fa tanto da disobbedire agli ordini del maschio-padrone. Su questo aspetto, però, le femministe di casa nostra tacciono, perché in loro prevale l’altro riflesso condizionato: l’adesione incondizionata all’ideologia immigrazionista. Infelici perché sradicati, ma invidiosi per quel modo di vivere degli europei che essi segretamente invidiano, anche se mostrano di disprezzarlo: infelicità e invidia, più il rancore represso, ed ecco il cocktail micidiale con il quale le  minoranze aggressive vengono all’assalto della nostra società e di tutti i suoi valori. Perché a un omosessuale non dovrebbe essere sufficiente il condurre la sua vita, senza che nessuno lo voglia costringere a cambiarla? Perché deve provocare, perché deve venire con le dita negli occhi del prossimo, ostentando, nelle sfilate dei Gay Pride, ma anche in molte altre occasioni, lo spettacolo dei propri comportamenti volutamente offensivi, sguaiati, disgustosi per il senso comune e anche per il senso estetico altrui? Perché imporre agli altri lo spettacolo dei baccanali dell’inversione? Evidentemente, perché ci sono un mare di rancore e desiderio di rivalsa…

 

http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/filosofia/7437-la-filosofia-del-rancore

 

 

 

 

 

 

 

 

GRETA E IL PROBLEMA

Andrea Zhok 19 04 2019

 

 

La studentessa liceale svedese Greta Thunberg è andata a parlare con i potenti di tutto il mondo, è stata filmata, intervistata, glorificata mediaticamente, le magliette sono già disponibili e sono certo che a brevissimo partiranno libri e biopic.

 

Sembra che ci sia un accordo unanime, globale sull’inderogabile necessità di risolvere il Grande Problema del pianeta: capi di Stato e leader di importanti multinazionali plaudono a Greta e annuiscono con sguardo compunto alle sue parole di severo ammonimento.

 

La pubblicità si è ritirata (per la millesima volta in questi anni) su stilemi ecologisti.

 

Documentari si succedono a ritmo frenetico sulle reti televisive: ovunque un profluvio di Salva-la-tartaruga-qua e Salva-il-pinguino-là.

 

Sembra insomma di assistere ad una grande marcia dell’umanità, tutta unita, tutta concorde nella ferma volontà di risolvere il Problema.

 

Già.

 

In effetti chi mai potrebbe essere in disaccordo rispetto alla necessità di affrontare il Grande Problema, declinato nei termini della “Salvezza del Pianeta”? Chi? I Klingon? I Rettiliani? Galactus il Divoratore di Mondi?

 

Il vero problema, dietro al Grande Problema, è che da che mondo è mondo i conflitti non sono mai avvenuti su cose come “il Bene deve vincere”, “la Sofferenza è brutta”, “Salviamo l’Umanità” (o “il Mondo”, o “la Natura”).

Sono assai fiducioso che Churchill, Stalin e Hitler avrebbero concordato senza nessun problema su tutti questi obiettivi. Senza che ciò gli impedisse di cercare in buona coscienza di estinguersi a vicenda.

 

Il problema dietro ad ogni presunto Grande Problema è che la rappresentazione astratta del Bene è sempre pragmaticamente insignificante. Le strade cominciano a divergere solo dopo, quando vedi quali interessi, di chi, e in quali modi, il ‘perseguimento del Bene’ minaccia.

 

Fino a quando nessuno apre bocca intorno a chi dovrebbe cominciare a dimagrire per ottenere quei risultati, l’accordo regna pacifico e sovrano.

 

Questo è particolarmente vero nell’odierno sistema liberal-liberista, dove si presume che per ogni problema, disgrazia o sciagura, sarà il sistema stesso a fornire la soluzione, mettendo sul mercato un prodotto acconcio – rilanciando i consumi e i profitti in una progressione infinita e magnifica.

Così ogni problema posto, ogni ‘crisi’ è, schumpeterianamente, un’occasione di innovazione, e di crescita ulteriore.

 

Peccato che tutti i problemi ecologici di cui parliamo sono proprio prodotti costanti della dinamica schumpeteriana dell’innovazione competitiva perenne, quell’innovazione che consente di superare gli stalli di crescita (la caduta tendenziale del saggio di profitto) ingegnandosi a produrre di più e meglio. Quell’innovazione anarchica e immensamente pluralista, forzata dalla competizione, e glorificata come il motore del progresso e della crescita, ecco, è proprio quella il Problema.

 

Se facciamo coincidere il problema ecologico con un suo singolo aspetto (es: riscaldamento globale), ci nascondiamo (magari in buona fede) l’essenza della questione, che non ha a che fare con la capacità di rispondere di volta in volta ad uno specifico problema noto, ma col fatto che mentre ne soppesiamo pian pianino uno, ne stiamo producendo simultaneamente altri cento, ancora ignoti.

 

Finché vige una spinta globale alla massima competizione produttiva il processo di demolizione del pianeta (più precisamente, della nostra capacità di viverci sopra) continuerà imperterrito, proprio come continua oggi mentre festeggiamo Greta a reti unificate.

 

Finché QUESTO problema non viene affrontato di petto, fino ad allora stiamo semplicemente chiacchierando, giocando, facendo infotainment.

 

E tutto questo una paffuta sedicenne svedese è perfettamente legittimata a non saperlo e non capirlo.

Ma tutto quel bestiario di autorità ciniche e giornalisti patinati che le dà corda a costo zero, quelli non hanno davvero nessuna scusa.

 

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1198272290354168&id=100005142248791

 

 

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Mafia Nigeriana e mafia nostrana

I fatti di Macerata in una previsione dei servizi segreti del 2016

Da Paolo Franceschetti – 13 Febbraio 2018                                               RILETTURA

 

  1. L’inesistenza di una Mafia Nigeriana

La vicenda di Pamela Mastropietro si è da subito trasformata non in una storia di omicidio rituale, ma in una vicenda politica. Il successivo fatto avvenuto a Macerata, di Luca Traini, che ha sparato a degli extracomunitari, ha innescato una vera e propria campagna di odio antiimmigrati, basata su assunti completamente falsi. Il più assurdo è quello che vede tra i protagonisti del fatto la cosiddetta mafia nigeriana; giornali e tv si sono lanciati in approfondite analisi della “mafia nigeriana”; titoli altisonanti tipo “quanto è potente la mafia nigeriana”; una mafia, come ha di recente affermato un noto criminologo, addirittura più potente della mafia cinese (sic!!!). E inoltre una serie di articoli sui riti vudù e sul cannibalismo. La questione è stata cavalcata da una parte della destra, ed è quindi diventata l’occasione per farne un cavallo di battaglia elettorale.

Smentiamo allora queste assurdità partendo da una questione molto semplice: la definizione di “mafia”. Si tratta di una definizione che, senza scomodare esperti, basta prendere dal codice penale all’articolo 416 bis.

Dice il codice: L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.

Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.

Sintetizzando, per poter parlare di “mafia” occorrono:

  • Acquisizione e controllo del territorio, nonché controllo di attività economiche appalti e servizi pubblici: non risulta che la criminalità nigeriana sia infiltrata negli appalti o nell’economia italiana;
  • Controllo del voto, quindi, in definitiva, controllo della politica: non risulta da inchieste, giornalistiche o giudiziarie, rapporti ufficiali, o altri, un controllo della criminalità nigeriana sulla nostra politica;
  • Armi o materiali esplodenti, occultati o tenuti in deposito: anche su questo punto, non risulta che la mafia nigeriana disponga di questi arsenali da far tremare i polsi alla società italiana.

Più in generale, per parlare di mafia occorre un controllo capillare del territorio, con il potere di condizionare la politica, la magistratura, e la società civile; tutte caratteristiche che, per quanto riguarda la criminalità nigeriana, non ci risultano.

Sorvoliamo poi sull’assurdità dell’affermazione che la mafia nigeriana sarebbe più potente di quella cinese (ricordiamo che la Cina ha acquistato parte della Pirelli, parte della Banca d’Italia, parte delle aziende che producono il Chianti, il Milan, ha acquisito partecipazioni in ENI, Generali, Telecom, ecc.). La mafia cinese in realtà è la più potente del mondo, perché ha un’origine millenaria, e si avvale anche di poteri esoterici, psichici, e materiali, sconosciuti anche all’esoterismo occidentale.

La criminalità nigeriana, tutt’al più, gestisce un traffico di prostitute, sotto il controllo delle nostre mafie, che devono dare l’assenso per permettere ai Nigeriani di operare. E le nostre mafie, lo sappiamo da tempo, viaggiano a braccetto con la politica.

  1. La previsione dei servizi segreti nella relazione del 2016

In realtà, lo scontro sociale, in funzione elettorale, tra immigrati e società civile, era stato previsto in un rapporto dei servizi segreti, che lo avevano preannunciato da tempo. Il testo della relazione, che risale al 2016, si può trovare in rete:

http://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/wp-content/uploads/2017/02/relazione-2016.pdf

Ne riportiamo i passi più significativi:

In particolare l’emergenza migratoria, ritenuta tra i temi più remunerativi in termini di visibilità e consensi, ha ricoperto un ruolo centrale nelle strategie politiche delle principali organizzazioni che, nel tentativo di cavalcare in modo strumentale il fenomeno, facendo leva sul malessere della popolazione maggiormente colpita dalla congiuntura economica e dalla contrazione del welfare, hanno sviluppato un’articolata campagna propagandistica e contestativa (manifestazioni, presidi, attacchinaggi, flash mob) contro migranti e strutture pubbliche e private destinate all’accoglienza, influenzando indirettamente anche la costituzione di “comitati cittadini” di protesta”….

….In generale, il diffondersi in ambito europeo di istanze populiste e nazionaliste, nonché di sempre più estesi timori ed insofferenze verso la presenza extracomunitaria, tende ad essere percepito tra i gruppi della destra radicale come un’opportunità per accrescere il proprio spazio politico, determinando pertanto un incremento della correlata attività di mobilitazione.”

Sul piano previsionale, si ritiene, infine, che continueranno a verificarsi episodi di contrapposizione (provocazioni, aggressioni e danneggiamenti di sedi) con frange dell’estrema sinistra, per effetto sia della mobilitazione concorrenziale su tematiche sociali, da parte di entrambi gli schieramenti, sia delle visioni contrapposte in tema di immigrazione.

Infine, mi farei una domanda. Come mai tutto questo baccano sulla “mafia nigeriana” e sugli “omicidi rituali vudù”, e mai un accenno, nei vari media mainstream, ai delitti rituali nostrani (quelli sì, diffusi e comuni)? Improvvisamente i giornali scoprono l’esistenza dell’omicidio rituale… ma solo da parte dei Nigeriani. Un po’ come guardare la pagliuzza nell’occhio altrui, e dimenticare la trave nel proprio.

https://petalidiloto.com/2018/02/due-parole-sulla-mafia-nigeriana-sulla-mafia-nostrana.html/2

 

 

 

 

Carpeoro: Olanda criminale come l’Ue, deruba gli italiani

Scritto il 10/6/19

Con le manovre per la procedura d’infrazione procede il piano contro l’Italia, concepito per abbattere il governo gialloverde e insediare Mario Draghi al posto di Giuseppe Conte, con l’incarico di schiacciare il nostro paese sotto il peso di un’austerity mostruosa.

 

Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, il primo – giorni fa – a ventilare l’avvento di Draghi a Palazzo Chigi, dopo che a fine ottobre avrà dovuto lasciare la presidenza della Bce. Ma a determinare l’eventuale caduta del governo Conte – aggiunge Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nighs” – non sarà tanto la procedura d’infrazione, quanto la crescita esplosiva (e opportunamente pilotata) dello spread. «E questa sarebbe l’Europa?», si domanda Carpeoro, spazientito. «Non c’è un’ombra di solidarietà tra i paesi Ue: e i primi a pretendere che all’Italia sia inflitta la massima dose di rigore sono proprio i paesi come l’Olanda, che in questi anni si sono distinti per scorrettezza». Peggio: «L’Olanda ha introdotto un legislazione fiscale che non esito a definire criminale, attirando le nostre maggiori aziende e sottraendo in tal mondo risorse preziose all’Italia. A livello europeo è possibile dover essere governati, di fatto, da dei veri e propri criminali?».

 

Avvocato e saggista, Carpeoro si è distinto per la sua denuncia contro la massoneria di potere, di stampo reazionario e neo-feudale: un’élite che usa la finanza come clava, e all’occorrenza anche il terrorismo (strategia della tensione) per giustificare la  continua, progressiva erosione della democrazia con l’alibi della sicurezza. Europeista convinto, Carpeoro accusa di anti-europeismo sostanziale i protagonisti della Disunione Europea, che da Bruxelles e Francoforte impongono al continente il diktat neoliberale. L’ultimo grande argine a questa deriva, secondo Carpeoro, è stato il premier socialista svedese Olof Palme, assassinato a Stoccolma nel 1986 alla vigilia dei grandi eventi che, dopo il crollo del Muro di Berlino, avrebbero spianato la strada all’attuale tecnocrazia Ue. Risultato: «Siamo nelle mani di gente come Jean-Claude Juncker, che si vanta impunemente della ricchezza del suo paese, il Lussemburgo», dimenticando di dire che il Granducato è stato per decenni uno Stato-canaglia, «un paradiso fiscale che si è arricchito a spese di altri paesi europei, a cominciare dall’Italia».

 

Inglorioso primato, ora passato all’Olanda: dopo la Fiat, anche Mediaset ha annunciato il trasferimento della domiciliazione fiscale, migrando verso i lidi olandesi. Si segnala anche l’attivismo del Biscione, impegnato in acquisizioni a tutto campo, in Europa, nel settore televisivo. Per Carpeoro, è la prova del fatto che l’anziano Berlusconi voglia «mettere al riparo il suo patrimonio, per difenderlo dall’assalto che – dopo la sua morte – dovranno subire i suoi figli».

 

Copione classico, da anni: lo sport più in voga, in Europa (inaugurato dal club del Britannia, incluso Draghi) è il saccheggio del Belpaese. Carpeoro è disgustato: «Ma che razza di Europa è mai questa? Qui si lasciano emigrare le industrie nella parte orientale dell’Ue, dove si permette che gli operai vengano pagati pochissimo, e poi non si fa niente per evitare che i migranti africani finiscano per fare concorrenza, al ribasso, agli operai italiani. Se però qualcuno – come Salvini – si permettere di dire che l’immigrazione incontrollata è folle, e che quantomeno i migranti dovrebbero essere distribuiti anche negli altri paesi europei, gli si dà subito del fascista.

 

E mai nessuno, in Italia, che denunci i criminali olandesi», a cui l’Unione Europea consente di attuale questa loro “pirateria fiscale” a spese dell’Italia, in barba a qualsiasi idea di collaborazione europea, o almeno di rispetto delle regole più elementari.

 

https://www.libreidee.org/2019/06/carpeoro-olanda-criminale-come-lue-deruba-gli-italiani/

 

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Tre Mari, quel piano Usa per l’Europa che mette in pericolo l’Italia

Lorenzo Vita 10 GIUGNO 2019

Anche in questo caso l’Italia non c’era, se non per l’ambasciatore Paolo Trichilo presente al vertice dei Tre Mari che si è tenuto a Lubiana. Un vertice di fondamentale importanza, specialmente perché a molti ancora risulta poco chiaro il rischio che l’Italia può correre dall’esclusione internazionale su diversi fronti. E questo incontro, trattando anche di Adriatico, non può non destare allarme nel nostro governo e in generale per la strategia italiana in Europa e nel Mediterraneo.

Per capire l’importanza dell’iniziativa basta capire il significato del nome, Tre Mari, che indica l’unione strategica di Baltico, Nero e Adriatico. Un piano che può avere un’importanza capitale, che vede non solo il forte interesse della Polonia, da sempre desiderosa di riconnettersi all’Europa orientale e a tutta l’area dei Balcani, ma anche (e soprattutto) degli Stati Uniti. Che in questo contesto sanno perfettamente di poter creare una cintura che da un lato tenga fuori la Russia dall’Europa dell’Est e dall’altro lato si incunei nell’area di influenza economia e politica tedesca. Quel mondo dell’Europa di Mezzo piace a Washington e piace anche allo stesso Donald Trump e ai suoi strateghi, che possono utilizzare Visegrad e il Trimarium come mezzo per dividere fisicamente Ue e Russia, colpire gli interessi tedeschi e fare in modo che si crei una sorta di cintura che colleghi i due mari del fronte orientale della Nato: Mar Nero e Mar Baltico. Quest’ultimo diventato in questi giorni bollente per le esercitazioni Baltops dell’Alleanza atlantica.

Da queste premesse, si può comprendere il motivo per cui i Tre Mari rappresenta una iniziativa fin troppo sottovalutata in Europa ma soprattutto in Italia, un Paese che troppo spesso dimentica il ruolo che può avere l’Est Europa, in particolare i Balcani, sulla sua strategia continentale. Giusto concentrarsi sull’Europa centro-occidentale e sul Mediterraneo, ma attenzione a sottovalutare un fonte a noi vicino in cui si connettono il gas russo, gli interessi energetici nell’Adriatico, il rapporto con i vicini balcanici e la politica di Germania e Stati Uniti, partner imprescindibili di Roma. E nella sfida per l’Europa orientale, Washington pare abbia inserito proprio l’Adriatico fra i primi posti nella sua agenda strategica: a partire dal gas, che lo unisce, fisicamente e ideologicamente, fino ai mari del Nord.

Per l’Italia, capire l’essenza del Trimarium è fondamentale. Perché l’Europa dell’Est appare un polo sempre più importante nello scacchiere europeo sia per i piani Usa sia per quelli di Berlino. E il fatto di essere esclusi da un grande piano che include un mare che è anche nostro (l’Adriatico) pone degli interrogativi e deve destare allarme. Da un punto di vista economico, perché se gli Stati Uniti puntano sul lato orientale di questo mare di fatto investono sui nostri diretti concorrenti. Dal punto di vista politico, perché se non siamo più centrali per l’Adriatico, non lo siamo neanche per i Balcani, dove la Germania sta già mettendo le mani avanti come terza potenza dopo Russia e Stati Uniti. Ma significa anche avere dei competitor su un altro fonte: l’asse con gli Stati Uniti in chiave anti-Ue. Nella sfida di Roma ai vincoli di Bruxelles e all’asse franco-tedesco, è chiaro che serve l’appoggio di potenze esterne. E se non possono esserlo Russia e Cina, l’unica soluzione è quella americana: che però a quanto pare ha altri progetti per l’Europa a est della vecchia cortina di ferro. E che potrebbe anche far pagare all’Italia il prezzo dei nostri rapporti naturalmente positivi con la Russia, che non possiamo certamente dimenticare.

E non è un caso che sia stato proprio il gas uno dei temi fondamentali del vertice di Lubiana. I 12 Paesi che compongono l’iniziativa dei Tre Mari infatti, con la benedizione del segretario per l’Energia Rick Perry, hanno infatti dato il via a una serie di progetti che puntano proprio alla maggiore autonomia dei partner orientali dall’oro blu di Mosca. Insieme ad alcuni progetti infrastrutturali da leggere anche in chiave Nato, sono infatti stati sbloccati fondi per metanodotti e rigassificatori. Non ultimo quello costruito in Polonia e che riprende le orme di quello croato di Veglia, a pochi chilometri da Trieste. Un sistema di porti, ferrovie, autostrade e pipeline che di fatto rappresenta la risposta americana a Mosca (con tutti i limiti geografici) ma anche alla Cina e al suo 17+1, cioè quella piattaforma di dialogo fra Pechino e l’Europa orientale.

Progetti in cui gli Stati Uniti vogliono confermare quello che è sempre stato il mantra della Nato: America dentro, Russia fuori, Germania sotto

Una Germania che però stata invitata con tutti gli onori dalla Slovenia, segno che i Paesi dell’area orientale difficilmente possono fare qualcosa senza cercare il sostegno tedesco. E anzi, come sottolineano alcuni, pare che sia stato proprio l’invito rivolto da Lubiana al presidente Frank-Walter Steinmeier ad aver indispettito la Casa Bianca a tal punto che Trump, ospite nel 2017 in Polonia, non è stato in Slovenia nonostante la coincidenza con le celebrazioni per lo sbarco in Normandia. Detto questo, la Germania sa perfettamente che questa iniziativa rischia di rappresentare un duro colpo per la sua politica verso est, a tal punto che da Berlino qualcuno ha già detto che è pronta a comprare gas liquefatto americano per placare l’ira di The Donald sul North Stream 2 e che rischia di mettere in discussione i rigassificatori tedeschi del Nord.

E l’Italia? Assente. Assente sia perché del Trimarium non ne fa parte sia perché on ha attuato quella politica verso est che le avrebbe permesso di incunearsi in un’area a noi molto vicina e soprattutto strategica. Se la Germania viene invitata a partecipare con il presidente della Repubblica e l’Italia no, qualcosa sicuramente non sta andando per il verso giusto. Perché è un’iniziativa che dovrebbe essere fatta per escludere Berlino. E invece sta escludendo noi: e soprattutto l’Adriatico.

https://it.insideover.com/politica/tre-mari-europa-usa-italia.html

 

 

 

 

 

CULTURA

Siamo solo raffinate bestie da preda, dobbiamo fermarci per vedere l’uomo. Parola di Nietzsche

Una pagina del “Frammenti postumi” che parla a tutti, presi dalla vita lavorativa, sociale, di relazione. Solo sospendendo tutto possiamo aspirare a essere uomini

10 giugno 2019

 

L’unica proprietà che abbiamo è questo corpo che tocco, nel logorio del tempo – ed è di questa proprietà, l’io, l’individuo, che ci espropriano. Palestrato al netto di chi vuole vederci – e venderci – così e non chi sei.

Questo esproprio non riguarda il tempo – contratto il mio tempo per un tot di denaro – ma, profondamente, l’individuo. Così, ci adattiamo a un lavoro che non è per noi, ‘ma rende’, senza considerare che l’atto reiterato in ciò che non ci appartiene e non appare appropriato, sfianca il nostro talento – questo è sempre stato il punto: non la dinamica economica ma l’involuzione psichica. Più che la rendita, qui è la resa, incondizionata: sfatiamo il talento in hobby, ci diamo ad attività sfiancanti – sport, palestra, corsa – che non ci fanno ‘stare bene’ (il bene dimora in altri regni, altri ranghi); semplicemente, ci consumano. La fatica giustifica la nostra inedia esistenziale. Non siamo né Oblomov né Casanova, non sappiamo l’arte dell’ozio e la goduria del sedurre al caos, né l’inettitudine che procaccia pensieri penetranti – Svevo, Pirandello, Kafka, Camus. Ci crediamo sovrani – soldi sufficienti a calibrare il corpo in una geometria narcisista – perché rubandoci l’individuo ci hanno dato l’individualità. Ma l’individuo non ha bisogno di niente – ha tutto dentro di sé – mentre l’individualità si nutre di tutto, sta bene con i surrogati dell’individuo: vestiti modaioli, locali giusti, case sopraffine, amanti adatte/i, viaggi esotici, cartografia Instagram a go-go. Di noi non abbiamo sacrificato una parte per il bene di tutti – il senso sublime dello Stato – ma ci siamo uccisi al vivere, declinando in una frustrazione continua. Lo stato ‘di natura’ ci è impossibile, ora – ne saremmo sarchiati e sopraffatti: non ci insegnano più i nomi degli alberi né la virtù dei commestibili, perché?E un insetto, nel bosco, avrebbe ragione di noi, inabili a inarcarci sui monti innamorati al nulla – possiamo solo sperare nello Stato, innaturale. Ci diciamo predatori, ma ad armi pari, saremmo la più fragile preda – chi disgrega e dilania per noi la bestia facendocela trovare sfilettata, sotto plastica, luminosa, perfetta, al supermercato? Chi immagina il corpo morto della bestia mentre passa sulla teglia imburrata il tozzo di pollo per i figli, per carità, il bendiddio della famiglia? Passare dall’orizzonte del servo della gleba a quello del consumatore ha reso più felici i potentati: se il servo si ribella può far male – ha due braccia così ed è allenato dalla vessazione –, il consumatore, al contrario, è innocuo. E se alza la cresta, lo si rimbambisce con qualche centone in più.

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/10/nietzsche-frammenti-postumi-lavoro-filosofia/42466/?fbclid=IwAR0mfIQswloLLnZ8T8VZiLS_2HeMN5KZWPwv44EJHZFQLJ2e6VVLkGYjH20

 

 

 

 

 

Shakespeare vittima del politically correct

Il celebre regista Richard Eyre, ex direttore del National Theatre, che ha lavorato per decenni con gli attori britannici più famosi, si ribella al politicamente corretto: “Basta modificare il sesso dei personaggi di Shakespeare”

Roberto Vivaldelli – 05/06/2019

L’isteria gender e politically correct rischia di rovinare Shakespeare. Fortunatamente, a ribellarsi al pensiero unico è il celebre regista Richard Eyre, ex direttore del National Theatre, che ha lavorato per decenni con gli attori britannici più famosi e ha diretto la serie Hollow Crown della Bbc.

Secondo Eyre, infatti, le produzioni non dovrebbero mai interferire con il testo originale delle commedie e cambiare il “genere” dei personaggi per strizzare l’occhio al politicamente corretto imperante né quindi affidare ad attrici donne dei ruoli maschili.

Come riporta il Telegraph, il regista ha risposto a una domanda dal pubblico all’Hay festival, dove veniva criticata la messa in scena della tragedia shakespeariana Timone d’Atene da parte della Royal Shakespeare Company dove Timone è interpretato da una donna. “Sono al 100 per cento d’accordo con lei” ha replicato il regista, sottolineando che la “Royal Shakespeare company non dovrebbe scambiare i generi dei personaggi nelle sue produzioni”. Secondo il mostro sacro del teatro inglese, questa ostentazione fa perdere ritmo nei versi e non rispetta la metrica originale.

In “Timone d’Atene”, scritto presumibilmente da Shakespeare tra il 1604 ed il 1608 come, si narra la vicenda di Timone, ricco ateniese generoso, circondato di uomini che crede amici. Ma quando i debiti lo travolgono, non trova nessuno che lo soccorra. Indignato, si ritira a vita solitaria in una caverna nei pressi della città, e anche quando trova un insperato tesoro, non torna ai lussi e agli agi, ma usa quel denaro per tessere la sua vendetta contro la città. Il personaggio è realmente esistito nella Atene di Pericle (inizio del V sec. a.C.). Ne parla Plutarco nella “Vita di Antonio”, descrivendolo come un maligno, un misantropo, un introverso, che evitava la compagnia di tutti tranne quella del filosofo Apemanto.

Ebbene, nella produzione di Simon Godwin della Royal Shakespeare Company, illustre compagnia teatrale inglese nata nel 1960 a Stratford grazie a Peter Hall e Fordham Flower, l’attrice Kathryn Hunter interpreta il ruolo di Lady Timon anziché Lord Timon come nell’originale. Un evidente forzatura che però non rappresenta affatto un’eccezione di questi tempi. In un’intervista rilasciata al Stratford HeraldGodwin sottolinea: “Esiste un movimento globale che sostiene che questi non sono più ruoli per uomini interpretati da uomini. Penso che facciamo un favore a Shakespeare celebrando la modernità. Ci sono poi molti modi per inserire più donne nelle sue opere. Uno è quello di mantenere il genere del copione e farlo interpretare da una donna; l’altro è quello di modificarlo in modo che l’uomo diventi una donna anche nel copione”.

E aggiunge: “Quando ho diretto La dodicesima notte ho fatto diventare Malvolio (il maggiordomo di Olivia), Malvolia, e questo ci ha davvero aiutato”. Nella commedia shakesperiana Malvolio è segretamente innamorato di Olivia, e questo il regista lo sapeva perfettamente: probabilmente voleva dare un tocco “Lgbt” e “gay friendly”a un’opera così snaturata in tutto e per tutto. Inutile stupirsi dunque se in qualche rappresentazione Romeo diventerà Romea per soddisfare l’ego di qualche regista progressista, sempre nel nome della “modernità”.

 

http://www.ilgiornale.it/news/cultura-e-spettacoli/shakespeare-vittima-politically-correct-1706299.html

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Sul web la censura Ue: ma oscurare la verità non è reato?

Pubblicato: Lunedì, 30 Aprile 2018 Postato da Redazione Movimento Roosevelt                                      RILETTURA

 

Presentiamo, su un tema di stringente e inquietante attualità, un eccellente articolo di Giorgio Cattaneo, ideatore e curatore del frequentatissimo sito Libre Idee (www.libreidee.org ) e socio del Movimento Roosevelt:

“Solo in Italia ci sono 10 milioni di account Internet che corrispondono a persone ormai abituate a informarsi sul web, per avere lumi sui retroscena che i media mainstream non svelano. Basta questo, secondo Glauco Benigni (presidente di Wac, Web Activists Community) a spiegare la crescente voglia di bavaglio che pervade palazzi, ministeri e alte cariche pubbliche. Per mascherarla, l’establishment ricorre all’ennesimo inglesismo abusivo e infestante, “fake news”. Una propaganda martellante fatta di minacce, dietro al pretesto incarnato da un altro neologismo, quello che trasforma in “hater” (odiatore) anche chi esprime indignazione verso l’abuso politico di potere. Ora siamo alla vigilia di una censura grottesca e sistemica, presentata come definitiva dal Ministero della Verità di un’istituzione tra le meno democratiche al mondo, la Commissione Europea. L’inglese Julian King, commissario alla sicurezza, avverte: saremo inondati di “fact-checkers”, almeno ventimila, incaricati di organizzare una sorta di delazione di massa per criminalizzare qualsiasi fonte difforme da quelle istituzionali. Attenzione, però: l’oscuramento della libertà d’opinione non è solo un atto odioso e antidemocratico. Non è solo pericoloso per tutti, come la storia insegna. La lesione di un diritto fondamentale non è anche un reato?

Fino a quando potranno restare impuniti, i presunti “ladri di verità” che impediscono all’opinione pubblica di acquisire dati su quanto avviene ogni giorno nel mondo? E’ annosa la polemica sulla disinformazione che finisce per coprire crimini gravissimi, inclusi quelli che l’Onu definisce “contro l’umanità”. In occasione del recente bombardamento dimostrativo sulla Siria, motivato dal presunto impiego di armi chimiche da parte del governo di Damasco, Marcello Foa – in tarda serata, su RaiTre – ha accusato i colleghi di aver dato per scontata la versione ufficiale degli Usa, rifiutando di constatare l’assenza di prove: non risulta infatti che Assad abbia colpito civili con i gas (né è dimostrato che altri abbiano impiegato agenti chimici a Douma: non ci sono prove che la popolazione siriana sia stata effettivamente colpita, quel giorno). In collegamento da Washington, la corrispondente Giovanna Botteri si è difesa in modo singolare, affermando che è inevitabile il rischio di essere imprecisi nelle cronache sulla Siria, dal momento che ai reporter è vietato l’accesso al teatro bellico – diversamente da quanto accaduto, ad esempio, in Iraq. Peccato che, proprio in occasione della Guerra del Golfo, fece la sua comparsa il primo degli inglesismi poi tristemente noti, “embedded”: in Iraq, i giornalisti “impacchettati” furono a costretti a vedere solo quanto stabilito dal comando del generale Norman Schwarzkopf.

Fu la prima volta, nella storia del giornalismo bellico. Se ne lamentarono, i veterani premiati dal Pulitzer: la prima vittima della guerra è sempre la verità, dissero, ma in Iraq si è passò il limite, giungendo alla censura preventiva apertamente dichiarata. Assistemmo così al festival delle fake news governative: dal set hollywoodiano con i poveri cormorani intrappolati nel petrolio fino alla (mai avvenuta) strage degli innocenti, la bufala dei neonati “massacrati nelle incubatrici dai soldati di Saddam” a Kuwait City. Notizie false, regolarmente “bevute” da centinaia di reporter e offerte, come amaro aperitivo, a milioni di lettori e telespettatori, mentre i missili “intelligenti” grandinavano sulla testa delle famiglie di Baghdad. E ora che il bavaglio di massa torna prepotentemente di moda, quale guerra preoccupa i censori dell’Unione Europea? Quella contro la possibile verità su un’istituzione che si professa europeista e invece lavora intensamente contro l’Europa unita, contro la concordia e la prosperità dei popoli europei? Temono le elezioni del 2019, i lobbisti privatizzatori di Bruxelles: a loro, il celebre paladino della trasparenza universale Mark Zuckerberg ha appena promesso la massima vigilanza, sulle pagine del maggior social network del mondo. Il Grande Fratello non permetterà che siano veicolate verità sgradite: saranno “bannate”, dai possessori dell’infrastruttura informatica.

Il web, beninteso, non è la palestra assoluta della libertà: immenso motore economico, è strettamente controllato dai suoi dominus, dagli algoritmi di Google, da fantasiosi tecno-stregoni come quelli di Cambridge Analytica. Il web è anche una pattumiera di malcostume e violenza verbale: si è lasciato credere che chiunque, protetto dall’anonimato di un nickname, potesse arbitrariamente distribuire insolenze, insulti e minacce. Forse però varrebbe la pena di ricordare ai legislatori che non siamo nel far west: esistono leggi a tutela dei cittadini, che sanzionano reati come la diffamazione. Di colpo non bastano più? Servono normative speciali, d’emergenza? E soprattutto: sono legali, le disposizioni speciali? Così come è un reato la calunnia, perché mai non dovrebbe essere perseguita per legge anche la distorsione della verità, che rende cieco il pubblico di fronte agli eventi? Ancora più grave è il proposito di “spegnere” programmaticamente le voci libere del web, magari segnalate dagli invisibili censori (penalmente irresponsabili) dell’impunita Unione Europea. Non è reato, occultare la verità? Non sarebbe materia, questa, su cui consultare innanzitutto i più autorevoli giuristi? Come in ogni questione controversa, l’ultima parola non potrebbe spettare a un tribunale? La parte civile, in questo caso, rappresenterebbe mezzo miliardo di persone: i cittadini dell’Unione Europea. “

GIORGIO CATTANEO

REDAZIONE MOVIMENTO ROOSEVELT (www.movimentoroosevelt.com )

(Articolo del 30 aprile 2018)

https://blog.movimentoroosevelt.com/home/1604-sul-web-la-censura-ue-ma-oscurare-la-verita-non-e-reato.html

 

 

 

 

 

 

Il Ministero della Censura. La caccia alle fake news vuole imbavagliare l’informazione alternativa

di Enrica Perucchietti

pubblicato il 13 Febbraio 2018

«La guerra è pace, La libertà è schiavitù, L’ignoranza è forza». Questi sono i tre slogan che campeggiano stampati sulla facciata del palazzo di forma piramidale in cemento bianco in cui si trova la sede del Ministero della Verità orwelliano: è al suo interno, nell’Archivio, che lavora il protagonista di 1984, Winston Smith. Il Miniver (in neolingua) si occupa dell’informazione e della propaganda e ha il compito di produrre tutto ciò che riguarda l’informazione: promozione e diffusione dei precetti del partito, editoria, programmi radiotelevisivi, letteratura. Questo ente si occupa anche della rettifica di questo materiale, in un’opera capillare e costante di riscrizione delle fonti. Il Miniver, cioè, si occupa di falsificare l’informazione e la propaganda per rendere il materiale diffuso conforme alle direttive e all’ideologia del Socing. Il Grande Fratello, infatti, sottomette le menti dei cittadini tramite il “controllo della realtà”, ossia il bipensiero e niente deve sfuggire alle maglie del suo dominio onnipervasivo.

Nella società distopica immaginata da Orwell, il controllo è totale in quanto i colleghi di Winston si occupano di falsificare la storia seguendo l’adagio del Partito, «Chi controlla il passato […] controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato». Le menzogne propinate dai falsificatori vengono imposte dal Partito e acquisite in modo spontaneo e acritico dalle masse perché «se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera». Questo passaggio di 1984riecheggia il noto adagio di Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich: «Se ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte, diventa una realtà». E soprattutto, viene acquisita e introietta come se fosse sempre stata vera.

Il “controllo della realtà” e la falsificazione costante del passato servono a soggiogare il popolo tenendolo imprigionato in una forma di eterno presente: privo di memoria storica e senza più la capacità di usare la coscienza critica, l’uomo comune è costretto a crollare di fronte alla dissonanza cognitiva che viene indotta dal Grande Fratello, senza nemmeno accorgersi delle bugie a cui viene bombardato quotidianamente. Dovrà quindi allinearsi completamente all’Ortodossia, accettare e credere qualunque menzogna come dogma, anche qualora si dica che 2+2 fa 5. Chi non lo facesse sarebbe immediatamente accusato di psicoreato. Il potere, cioè svuota le menti dei cittadini per riempirle con i propri contenuti, proprio come ripeteva ancora Goebbels «Non basta sottomettere più o meno pacificamente le masse al nostro regime […] Vogliamo operare affinché dipendano da noi come da una droga».

Tematiche attualissime − come mostro nel mio ultimo libro, Fake News. Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post-verità: come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso (Arianna Editrice) − in un periodo in cui la caccia alle fake news sta monopolizzando il dibattito pubblico all’interno di una cornice fintamente democratica e le voci dissonanti sono ancora troppo poche.

L’attuale diatriba sulla fake news ha portato alla promozione di un clima di isteria che potremmo definire una “caccia alle streghe 2.0”. In un pieno rigurgito di maccartismo, dove al posto dei comunisti oggi vengono perseguitati coloro che non si allineano al pensiero unico, è in atto una campagna che da un lato strumentalizza la violenza e il cyberbullismo dei social e dall’altro, in piena modalità schizoide, fa uso di questi metodi per attaccare, dileggiare, denigrare e screditare i ricercatori e i giornalisti “alternativi”. Si è partiti con la graduale costituzione di siti atti allo smascheramento di bufale per finire ad adottare metodi sempre più sofisticati per imbavagliare il web (come se le bufale fossero un’esclusiva della rete e i media mainstream ne fossero immuni!).

Sia i media mainstream, sia i politici che oggi chiedono misure per la censura del web hanno negli anni divulgato, e continuano a farlo, innumerevoli panzane, menzogne deliberate o fake news (si pensi per esempio alle famigerate armi di distruzione di massa iraquene poi rivelatesi inesistenti) ricorrendo quindi a sofisticate forme di manipolazione per dirigere il consenso dell’opinione pubblica. Invece il neo Tribunale dell’Inquisizione si focalizza soltanto sui contenuti della rete, additando anche gli argomenti scomodi come bufale.

Secondo i novelli inquisitori, infatti, fenomeni politici e sociali come Brexit, l’elezione di Trump, la vittoria del NO alla modifica costituzionale in Italia, ecc. sarebbero in realtà il frutto “scellerato” della diffusione delle bufale on line (se non addirittura dovute all’intervento dei famigerati hacker russi). Per tutelare la “propaganda”, introdurre in modo sempre più strisciante lo psicoreato e censurare l’opinione pubblica, in Occidente si stanno quindi introducendo leggi o apparati volti a stanare le bufale e a oscurarle, con il rischio (o forse dovremmo dire con l’intento deliberato) di censurare il web e in particolare l’informazione alternativa.

Anche Facebook, Google e Twitter sono dovuti correre ai ripari per poter sottostare al volere dell’establishment. Durante le presidenziali francesi, per esempio, Facebook ha oscurato 30 mila profili accusati di diffondere fake news o fare spam, suscitando non poche polemiche. Sempre in Francia, nella conferenza stampa di inizio anno, Macron ha annunciato un progetto di legge per combattere le fake news e rafforzare il controllo dei contenuti su internet in periodo elettorale.

Nemmeno l’Italia sfugge a queste misure draconiane: da noi il ministero dell’Interno ha attivato un nuovo servizio a disposizione degli utenti per segnalare fake news, che è stato presentato a Roma alla presenza del ministro dell’Interno Marco Minniti, il capo della Polizia Franco Gabrielli e il direttore del servizio di Polizia postale, Nunzia Ciardi. Una volta ricevute le segnalazioni, un team dedicato del Cnaipic le verificherà attentamente attraverso l’impiego di tecniche e software specifici e, in caso di accertata infondatezza, pubblicherà una smentita. In che modo si deciderà quali contenuti sono veri e quali falsi? Fino a che punto si spingerà questo sistema?

L’opinione pubblica sembra passiva di fronte a questi provvedimenti se non addirittura propensa a legittimare l’uso della forza, arrivando persino ad accettare di introdurre il reato di opinione: una forma di psicoreato orwelliano 2.0 secondo cui verrebbe punita non più l’azione ma la libertà di espressione e ancora prima di pensiero. Non si potrà più pensare “male” (cioè in modo critico e indipendente dal pensiero unico): i propri pensieri e le proprie emozioni dovranno allinearsi al pensiero comune, globale, globalizzato, politicamente corretto. Sarà semplicemente vietato pensare fuori dal coro: la mente di tutti noi sarà definitivamente sotto controllo. Apparentemente, per una “buona” causa.

https://www.interessenazionale.net/blog/ministero-della-censura-caccia-alle-fake-news-vuole-imbavagliare-l-informazione-alternativa

 

 

 

 

 

 

Chiamano “fake news” la perdita del monopolio della verità

Scritto il 11/5/18

Davvero poche persone riescono a trovare un senso nell’attuale isteria sulle “fake news” e quasi nessuno è disposto a inquadrarla nel contesto storico e a comprendere perché il problema sia sorto adesso. La ragione per cui si è diffusa l’isteria, e specialmente negli Stati Uniti, è perché si tratta di  una reazione (più o meno comprensibile) alla perdita del poteremonopolistico globale esercitato dai mediaanglo-americani, in particolar modo dal 1989, ma praticamente dal 1945 in poi. Le ragioni del quasi-monopolio occidentale tra il 1949 e il 1989 (chiamiamola Fase 1) sono  molteplici: il grande flusso di notizie provenienti da canali di informazione come la “Bbc”, e più tardi la “Cnn”, molto maggiore rispetto a quelle fornite dalle agenzie nazionali in molti paesi; la portata molto più ampia dei grandi servizi informativi in lingua inglese: questi offrivano una copertura giornalistica di tutti i paesi, mentre i medianazionali potevano a malapena permettersi corrispondenti in due o tre delle maggiori capitali mondiali; la diffusione dell’inglese come seconda lingua; e ultimo, ma non meno importante, la migliore qualità delle notizie (ovvero la maggiore veridicità) rispetto a quelle reperibili nelle fonti nazionali.

Questi vantaggi dei mediaoccidentali erano particolarmente evidenti ai cittadini del Secondo Mondo, dove i governi mantenevano una stretta censura, cosicché l’Urss doveva perfino arrivare all’estremo di bloccare le stazioni radio occidentali. Ma anche nel resto del mondo i mediaoccidentali erano spesso migliori di quelli locali per le ragioni che ho menzionato. Un lettore attento avrà notato che finora ho contrapposto i mediaglobali anglo-americani a quelli nazionali o solamente locali. Ciò perché solo i primi avevano una portata globale e il resto dei media(a causa della mancanza di finanziamenti o di ambizione, del controllo governativo o della limitata diffusione della lingua) operava a livello puramente nazionale. Così i mediainglesi e statunitensi hanno combattuto una battaglia impari con i piccoli giornali o Tv nazionali. Non è sorprendente che i mediaglobali anglo-americani siano stati capaci di controllare, in molti casi completamente, la narrazione politica. Non solo i mediaoccidentali erano pienamente in grado di influenzare quello che (ad esempio) le persone in Zambia pensavano dell’Argentina o viceversa (perché probabilmente chi viveva in Zambia aveva a disposizione una copertura locale degli avvenimenti in Argentina prossima alla zero); soprattutto, a causa della maggiore apertura e migliore qualità dei mediaoccidentali, questi erano in grado perfino di influenzare la narrazione pubblica all’interno dello Zambia o all’interno dell’Argentina.

I rivali globali che l’Occidente affrontava all’epoca erano risibili. Le radio ad onde corte cinesi, sovietiche e albanesi avevano programmi in molteplici lingue, ma le loro storie erano così insipide, noiose e irrealistiche che la gente che, di volta in volta, le ascoltava, lo faceva per lo più a scopo di divertimento. Il monopolio dei mediaoccidentali si è quindi ulteriormente espanso con la caduta del comunismo (chiamiamola Fase 2). Tutti i paesi ex-comunisti dove i cittadini erano abituati ad ascoltare clandestinamente “Radio Europa Libera” erano adesso più che disponibili a credere nella verità di tutto quello che veniva diffuso da Londra e Washington. Molti di questi organi di informazione si installarono nell’ex Blocco Orientale (“Rfe” oggi ha il quartier generale a Praga). Ma la luna di miele del monopolio globale occidentale iniziò a cambiare quando gli “altri” realizzarono che anche loro potevano provare a diventare globali, nell’unico spazio mediatico globale creato grazie alla globalizzazionee a Internet. La diffusione di Internet garantiva che si potessero produrre programmi e notizie in lingua spagnola – o araba – e che fossero guardati in ogni parte del mondo. “Al Jazeera” è stata la prima a intaccare pesantemente, e poi distruggere, il monopolio occidentale sulla narrazione del Medio Oriente in Medio Oriente. E adesso entriamo nella Fase 3.

I canali turchi, russi e cinesi hanno quindi fatto lo stesso. Quanto successo nel mondo delle notizie ha avuto un parallelo in un’altra area in cui il monopolio anglo-americano era totale, ma poi ha iniziato a indebolirsi. Le serie Tv globali che venivano esportate, di solito erano prodotte solamente negli Usa– o in Uk; ma presto hanno trovato rivali di grande successo nelle telenovelas latino-americane, nelle serie indiane e turche, e più recentemente russe. In realtà, questi nuovi arrivati hanno praticamente spinto le serie Usae Uk quasi completamente fuori dai propri mercati “nazionali” (che, per esempio, per la Turchia include gran parte del Medio Oriente e dei Balcani). Quindi è arrivata la Fase 4, quando altri medianon-occidentali hanno capito che potevano provare a sfidare il monopolio informativo occidentale non solo all’estero, ma anche nel giardino di casa dei mediaoccidentali. Questo è successo quando “Al Jazeera-Us”, “Russia Today”, “Cctv” e altri sono entrate in scena con i loro programmi e le loro notizie in lingua inglese (e anche francese, spagnola, etc) orientate all’audience globale, inclusa quella americana. Questo è stato in effetti un cambiamento enorme. Ed è il motivo per cui stiamo attraversando una fase di reazione isterica alle “fake news”: perché è la prima volta che medianon-occidentali stanno non solo creando la propria narrazione globale, ma stanno anche cercando di creare una narrazione dell’America.

Per la gente che viene da paesi piccoli (come me) questa è una  cosa del tutto normale: siamo abituati a stranieri che non solo nominano i nostri ministri ma che sono presenti in tutto lo spazio mediatico, e persino influenzano la narrazione della storiae della politicadel paese, spesso perché la qualità delle loro notizie e delle loro borse di studio è migliore. Ma per molte persone negli Usae in Uk questo è uno shock totale: come osano degli stranieri dir loro qual è la narrazione del proprio paese? Ci sono due possibili esiti di questa situazione. Uno è che il pubblico statunitense dovrà rendersi conto che, con la globalizzazione, persino il paese più importante, come sono gli Usa, non è immune dall’influenza degli altri; anche gli Stati Uniti, in confronto al resto del mondo nel suo complesso, diventano “piccoli”. Un’altra possibilità è che l’isteria porterà alla frammentazione dello spazio di internet, come stanno già facendo Cina, Arabia Saudita e altri. Allora invece di una bella piattaforma globale per tutte le opinioni, torneremo indietro alla situazione pre-1945, con “stazioni radio” nazionali, reti internet locali, bando delle lingue straniere (e forse persino degli stranieri) sulle NatNets nazionali [gioco di parole basato sull’etimologia della parola internet,  sincrasi di International Network, i.e. rete internazionale, a cui vengono contrapposte le reti nazionali, i.e. National Networks, NatNets, ndt] – in sostanza avremo messo fine alla globalizzazionedel libero pensiero e saremo tornati ad un genuino nazionalismo.

(Branko Milanovic, “Le ‘fake news’ sono la reazione alla fine del monopolio della narrazione”, dal blog dell’economista serbo-americano, tradotto da “Voci dall’Estero” il 30 aprile 2018).

Articoli collegati

 

https://www.libreidee.org/2018/05/chiamano-fake-news-la-perdita-del-monopolio-della-verita/

 

 

 

 

 

CIA, SOE e KGB: i manuali delle spie? Li scarichi su internet

Di Marco Petrelli – 3 maggio 2017

Dalla raccolta di informazioni al silent killing, passando per interrogatori e sabotaggi: i libri di testo degli 007 raccontano tantissimo della nostra storia

Lasciate perdere i Martini mescolati, le Austin Martin e, se possibile, anche Austin Powers: per essere una spia non c’è bisogno di tanta teatralità, quanto di molta pazienza e gran lavoro d’ufficio per raccogliere e analizzare dati. Se, invece, vostro obiettivo è quello di apprendere parte del lavoro spionistico, magari dei tempi della Guerra fredda, ai film di JamesBond potete alternare semplici pdf scaricabili dal web, con indicazioni su come essere un perfetto agente segreto.

Contro interrogatorio Il sito della National Security Agency rende disponibile, con un click, il manuale, vintage, della CIA nel 1963. Si chiama Kubark Counter Intelligence Interrogation, circa 130 pagine che raccolgono indicazioni su come estorcere e valutare la fondatezza di una confessione, soffermandosi su metodi che possono andare dal coercitivo ad un approccio meno sofferente. Il doc è, chiaramente, declassificato: a colpire è il fatto che le pagine altro non siano che lo scan di un manuale originale, redatto a macchina e con la dicitura “secret”. Puoi leggerlo qui.

Oltre cortina Se il cuore è a Est e la mente va a Tatiana Romanova (Daniela Bianchi), la bella bon girl di Dalla Russia con Amore, NKVD e KGB possono fare al caso vostro. Un pdf piuttosto voluminoso raccoglie pagine e pagine di tecniche del Gruppo Alpha, fra le meglio addestrate unità di intervento rapido al mondo:

Alpha Team Training Manual. How the soviets trained for personal combat, assassination and subversion

che, va da sé, è in inglese. Un’opera importante per conoscere lo spionismo sovietico, malgrado per essere sicuri di una cristallina e fedele traduzione non sarebbe male reperire anche il testo originale. Puoi scaricarlo qui.

OSS  La Center Intelligence Agency (CIA) mette a disposizione sul proprio sito contenuti che ricostruiscono l’attività (vera, non cinematografica) delle spie dell’Office Strategic Service americano e dell’Abwehr tedesco nella Seconda Guerra Mondiale. In particolare, ad attirare attenzione sono il “Simple Sabotage Field Manual” e il “German Intelligence Service”, il primo di carattere formativo e pratico, il secondo informativo perché, si legge sulla copertina, raccoglie informazioni sul nemico ottenute da agenti alleati e che sono aggiornate al I luglio 1944. Insomma, una sorta di guida destinata agli operatori di intelligence sia per distinguere le ramificazioni del secret service nazista (Abwehr – forze armate; Reichssicherheitshauptamt RSHA – SS), sia per preparare coloro che, in un secondo tempo, avrebbero dovuto chiedere conto agli sconfitti delle azioni commesse in guerra.

SOE Va bene, lo so, non ditemelo: sognate Peggy Carter e il SOE britannico, pronti a lanciarvi dietro le linee con gli Howling Commandos del Cap. Bene, allora ho qualcosa che fa per voi: sempre con un click potete scaricare How to be a Spy, volume di recente pubblicazione che racconta, nel dettaglio, lo Special Operations Executive, divisione di sabotatori dei servizi segreti inglesi nata nel 1940 con la “benedizione” dell’allora Primo Ministro Winston Churchill:

and now set Europe ablaze” E ora incendiate l’Europa.

Bombe, sabotaggi, assassinii, raccolta di informazioni, contatti con la resistenza in Francia, Olanda, Italia, Albania, Romania e nei Balcani con l’Armata popolare di Tito: gli agenti del SOE hanno dato un contributo enorme alla causa degli Alleati, malgrado i metodi talvolta poco ortodossi ai quali ricorrevano. Uomini e donne addestrati in Inghilterra e paracadutati oltre le linee, come il ceco e lo slovacco che nel ’42 uccisero il numero 3 del Reich Reinhard Heydrich. Addestramento e foto del training sono i gustosi bocconi proposti da How to be a Spy, come il silent killing descritto in tre scatti che vedono all’opera il maggiore Fairbairn del Campo “X” o, ancora, le immagini della sede Hydra (la Marvel non c’entra) in cui lavorano analisti ed esperti. Potete scaricarlo qui.

Outsider Tornando alla Guerra fredda e concentrandosi su missioni più “casalinghe”, piuttosto noto è In caso di golpe. Manuale teorico-pratico per il cittadino di resistenza totale e di guerra di popolo di guerriglia e di controguerriglia, pamphlet pubblicato nel 1975. È una testimonianza storica preziosa (e introvabile) del clima di odio, di fanatismo e di sospetto che regnava un quarantennio fa nel nostro Paese. Per quanto riguarda l’Italia aggiungo una chicca, dettagli del “Manuale del combattente” redatto nel 1988 dallo Stato Maggiore Esercito e destinato ai militari di leva, libello piuttosto diffuso nelle caserme nostrane e che dà indicazioni di massima su orientamento, sopravvivenza, combattimento e normative internazionali.

 

https://www.gqitalia.it/news/2017/05/03/cia-soe-e-kgb-i-manuali-delle-spie-li-scarichi-su-internet

 

 

 

 

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Migranti, ecco l’ultimo appello buonista contro il dl Sicurezza

L’appello di ActionAid, Asgi e i sindaci di Crema, Siracusa e Palermo a tutti i Sindaci d’Italia per sottoscrivere un impegno a iscrivere nei registri anagrafici i richiedenti asilo

Claudio Cartaldo –  10/06/2019

Un nuovo appello buonista. A sottoscriverlo ActionAid, Asgi e i sindaci di Crema, Siracusa e Palermo.

Una sollecitazione per i #dirittincomune e una sfida al dl Sicurezza. Il tema è sempre lo stesso, ormai cavallo di battaglia – per esempio – di Leoluca Orlando: la battaglia contro il divieto di iscrizione nei registri anagrafici dei richiedenti asilo.

Come noto, il dl Salvini (poi convertito in legge dal Parlamento), prevede nuove disposizione riguardo l’iscrizione all’anagrafe dei migranti che hanno fatto richiesta di asilo. È nota la battaglia che la sinistra ha condotto contro questo articolo del decreto Sicurezza. E mentre alcuni sindaci si sono adeguati, evitando di iscrivere richiedenti asilo al registro anagrafico, altri si sono ribellati. Non solo con dichiarazioni pubbliche, ma anche nei fatti. Alcune città hanno protestato, altre hanno “ignorato” il Dl e in alcuni casi gli oppositori del decreto hanno trovato nel parere di giuristi e nelle sentenze dei giudici di Firenze, Bologna e Genova una sponda “secondo i quali il diritto all’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo è tuttora vigente ed esigibile”. Per questo ActionAid, Asgi e i sindaci di Crema, Siracusa e Palermo ora chiedono a tutti i primi cittadini di Italia di impegnarsi per garantire a tutti gli immigrati l’iscrizione nel registro. In barba agli obiettivi del governo.

Sono in gioco diritti essenziali, che nei fatti spesso sono inaccessibili o compromessi in assenza di iscrizione anagrafica”, si legge nel testo dell’appello. “I diritti sono un bene comune irrinunciabile. Tutti noi, singoli cittadini, società civile organizzata, siamo chiamati in causa quando vengono compromessi o resi inaccessibili – dichiara Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid – Con #dirittincomune vogliamo promuovere un’azione ampia e aperta, rivolta sia agli amministratori delle nostre città sia alle organizzazioni solidali, perché i diritti di tutti siano sempre garantiti e si combatta il rischio di esclusione e marginalità sociale. È in discussione la qualità della nostra democrazia“.

E mentre il sindaco di Siracusa, Francesco Italia, rivendica la “tradizione” di una città “solidale e contro le discriminazioni”, non poteva certo mancare l’intervento di Orlando. “‘Io sono persona, noi siamo comunità’, con queste parole spieghiamo la nostra politica rivolta ai migranti, che è la stessa rivolta a tutti coloro vivono condizioni di difficoltà o disagio, quale che ne sia l’origine, quali che siano la nazionalità, la religione, la provenienza delle persone coinvolte – dice il Sindaco di Palermo – ‘Io sono persona’ sottolinea che ognuno e ognuna è portatore e portatrice di diritti umani inalienabili. Il riconoscimento di tali diritti è elemento imprescindibile che costituisce il nostro essere, tutti insieme, una comunità. Oggi i Sindaci si trovano di fronte alla possibilità di escludere, per altro violando la Costituzione, qualcuno, ferendo tutta la comunità, o piuttosto avviare percorsi inclusivi e legali per rafforzare le proprie comunità“.

 

http://www.ilgiornale.it/news/politica/migranti-ecco-lultimo-appello-buonista-contro-dl-sicurezza-1708988.html

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Secessione delle élite, morte del cattolicesimo, immigrazione”. E la Francia si è frantumata

 

Sisto Ceci 30 05 2019

 

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scrive il Financial Times (29/5/2019)

 

“Da quando mi sono trasferito in Francia nel 2002, ho visto il paese completare una rivoluzione culturale” scrive Simon Kuper. “Il cattolicesimo si è quasi estinto (solo il 6 per cento dei francesi ora frequenta abitualmente la messa), sebbene non così a fondo come il comunismo, la ‘chiesa’ rivale di vecchia data. La popolazione non bianca ha continuato a crescere. In molte regioni, la storia familiare si presenta così: nonno François era un contadino, nonna Marie allevava i figli, papà Jean-Claude aveva un lavoro in fabbrica mentre Mama Nathalie insegnava part-time. Ora il giovane Kevin (i nomi inglesi stanno sostituendo quelli francesi) è un addetto alla reception dell’hotel, separato dalla madre di suo figlio, Malika. Una nuova società individualizzata, globalizzata, irreligiosa richiede una nuova politica. Le elezioni europee della scorsa settimana hanno confermato il nuovo divario francese: i vincitori economici si sono uniti dietro a Emmanuel Macron, mentre i perdenti sono meno uniti, ma lo sono soprattutto dietro al leader di estrema destra Marine Le Pen. ‘L’archipel français’, un libro del sondaggista Ifop Jerôme Fourquet, spiega la frammentazione della società. Le periferie della classe operaia del nord-est e del sud-est deindustrializzati, in particolare, ora tornano a Le Pen. Nel frattempo, anche l’élite si sta ritirando tranquillamente dal resto della Francia. Questa separazione non è guidata da redditi altissimi: la disuguaglianza francese non si è mossa molto. Piuttosto, gli istruiti si sono recintati dietro i graziosi centri urbani, da Parigi a Tolosa e Lione squisitamente vivibili, fino a luoghi più piccoli come Compiègne e Limoges. I vincitori francesi ora esistono in una sorta di ‘autarchia’, raramente mescolati con altre classi, scrive Fourquet. Sono ottimisti in una nazione pessimista. Sentono che stanno salendo nell’ascensore sociale, come lo chiamano i francesi, mentre la maggior parte della gente della classe operaia dice nei sondaggi che vivono peggio dei loro genitori. Un numero crescente di vincitori lascia la Francia del tutto: Macron ha conquistato il 59 percento degli elettori francesi a Palo Alto nel primo turno delle elezioni presidenziali del 2017 e ha raccolto più soldi in Gran Bretagna che nelle 10 maggiori città di provincia della Francia messe insieme”.

 

https://www.facebook.com/100031860510496/posts/150927779312572/

 

 

 

 

 

ECONOMIA

Come Matteo Salvini potrebbe far saltare in aria la zona euro

FINANCIAL TIMES:

Maurizio Blondet  10 Giugno 2019

Se Bruxelles si accanisce  contro  il governo italiano sui suoi piani fiscali, ricorrerà a pericolose manovre fiscali

https://www.ft.com/content/9930319c-890d-11e9-a028-86cea8523dc2

…. Imini-BOT sembrerebbero soldi veri. Le loro denominazioni sarebbero le stesse delle banconote in euro. A seconda di come sono progettati, gli italiani potrebbero persino pagare le tasse con loro. Per questo motivo avrebbero buone possibilità di diventare un mezzo di pagamento accettato. Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, ha espresso il suo punto di vista la settimana scorsa: “I mini-BOT sono o denaro e quindi sono illegali, oppure sono indebitati e quindi lo stock di debito sale. Non penso ci sia una terza possibilità. “

Non sono sicuro di essere d’accordo con l’onorevole Draghi su questo punto. I mini-BOT potrebbero essere entrambi allo stesso tempo – debito con caratteristiche simili a quelle del denaro. Si vorrebbe  liquidare questo sviluppo a Roma come un eccentrico voto di un parlamento eccentrico. Ma considerate  il contesto politico e lo scontro dell’Italia con l’UE.

….

Non c’è molto che l’UE potrebbe fare per fermare l’emissione di mini-BOT. La politica fiscale rientra nel dominio della sovranità nazionale. Ma la Commissione europea conterà questi strumenti come parte del deficit e del debito pubblico dell’Italia.

L’UE dovrebbe anche procedere con cautela. C’è un forte motivo per non procedere con una procedura di deficit eccessivo in questo momento e aspettare fino all’autunno.

munchau@eurointelligence.com

 

 

https://www.maurizioblondet.it/financial-times/

 

 

 

 

Carpeoro: Palme fu ucciso perché voleva abolire la povertà

Scritto il 04/5/19

Il 28 febbraio del 1986 io ero in piazza Duomo 19 a Milano, nell’ufficio di Bettino Craxi, quando arrivò la notizia dell’uccisione di Palme. Non ero da solo. C’era la deliziosa Alma Cappiello, avvocato e parlamentare socialista. C’era Luciano Belipaci, che era il presidente del Circolo Rosselli (da cui quel giorno nacque il Circolo Olof Palme). C’era Enzo Saponara, che era il segretario dei giovani socialisti. C’erano tante persone.

Noi lo sapevamo bene, chi fosse Olof Palme, ma in Italia non è che lo sapessero benissimo. Era il leader dei socialisti europei, e non perché qualcuno l’avesse eletto. Ci sono due modi di essere leader: per autorità e per autorevolezza. Tanti preferiscono il primo, pochi arrivano al secondo. Tutti i socialisti d’Europa pendevano dalle labbra di Olof Palme, perché aveva realizzato la rivoluzione copernicana del socialismo. Aveva scritto, detto e insegnato – in tutte le salse – che il socialismo doveva superare Marx e il classismo. Il socialismo si era sclerotizzato nella cosiddetta lotta di classe. Anzi: aveva figliato il comunismo, sulla base della lotta di classe. Immaginava le classi come le placche dell’arteriosclerosi nel sangue di una persona invecchiata precocemente. Una situazione sclerotica, schematica, intoccabile, con classi sociali ciascuna con le sue colpe e le sue caratteristiche, mentre una sola aveva dei meriti.

Si immaginava una nobiltà antirivoluzionaria e una borghesia rivoluzionaria solo nel Settecento, mentre l’unico vero corpo rivoluzionario era il proletariato. Questa è una teoria esoterica: si sfiorava la religione. Olof Palme non accettò questa teoria. Rifiutò il concetto di classe. Disse: se proprio vogliamo enfatizzare la parola classe, possiamo dire che una classe (che cambia, di tempo in tempo) è la categoria di persone che ha gli stessi bisogni, le stesse necessità – non gli stessi interessi. Perché, secondo lui, un socialista non doveva occuparsi degli interessi, ma delle necessità. Questa era la sua visione, condivisibile o meno. Ma è una visione veramente rivoluzionaria, perché scardinava la base del marxismo – una base esoterica, ideologica, mistica. La scardinava: la toglieva dai cardini e lasciava la porta aperta. Quando Claudio Martelli iniziò a utilizzare il termine “area laica e socialista”, lo fece perché quel termine l’aveva inventato Olof Palme. E lo aveva anticipato in un pranzo, in occasione di un convegno in Germania, nel quale aveva detto: noi dobbiamo creare l’area laica e socialista. Significava allargare il concetto di socialismo: non nei confronti di tutte le speculazioni classiste e pseudo-rivoluzionarie che lo avevano quasi completamente ammorbato, nonostante il distacco dal comunismo. Significava che la vera mediazione doveva avvenire nei confronti della cultura illuministica. Cioè: il socialismo si doveva riconciliare con l’umanesimo illuminista.

In Italia, umanesimo illuminista voleva dire per esempio repubblicani, liberali, radicali, reduci del Partito d’Azione: tutti eredi, come i socialisti, della Rivoluzione Francese. Pochi anni dopo la Rivoluzione, infatti, a Parigi c’erano i socialisti: c’era Saint-Simon, c’era Proudhon, c’era Blanqui, c’era Blanc (il cosiddetto socialismo utopistico). Sapete, quando uno ti vuole delegittimare – senza offrire argomentazioni – ti dice che sei un utopista. Ma è una cosa bellissima, l’utopia: è un non-luogo (“ou-topos”). Significa che tutto quello che avviene in un non-luogo è utopistico; ma non significa che non esista, e non significa neanche che non possa essere degno di attenzione. Il problema è che Palme l’aveva fatta, questa rivoluzione – era colpevole di farla fatta – e in un contesto che non era molto favorevole (quello di adesso lo è ancora meno, perlatro), dove comunque gli altri leader socialisti europei erano in difficoltà. Craxi cominciava a perdere la salute, e il diabete galoppante gli provocava anche scatti caratteriali imprevedibili; Mitterrand era in pieno bonapartismo, per cui non è che fosse proprio affidabile; e Schmidt è la persona più piatta che si sia conosciuta nella storia del socialismo europeo. Capirete che non erano proprio passeggiate di salute. Eppure, Palme era stato capace di gettare le basi del socialismo europeo.

Tanto era stato fondamentale, Palme, per il socialismo europeo, che poco prima di venir ucciso era candidato – dato per vincente – a diventare segretario generale dell’Onu. Poteva essere un modo comodo per toglierlo dalla guida del governo svedese, e per allontanarlo dalla gestazione di questa Europa che abbiamo visto nascere? Per come uno conosce Olof Palme, in realtà, l’elezione alle Nazioni Unite poteva essere un’arma a doppio taglio. Rimane il fatto che questo personaggio, che nel 1968 era a Praga a manifestare contro i carri armati sovietici, che nei primi anni ‘70 promosse una mozione dell’Onu contro la guerra in Vietnam, e che nel 1974 andò in Sudafrica a manifestare per la scarcerazione di Nelson Mandela, non si era fatto molti amici: era stato capace di contestare chiunque. Ma aveva un solo riferimento: la vera guida di Olof Palme era la libertà, intesa nell’accezione iniziatica del termine. Libertà non è fare ciò che vuoi, è sapere quello che si vuole. La libertà è, prima di tutto, una consapevolezza della nostra mente: è uno stato mentale, la libertà, prima di essere uno stato fisico. Io ho fatto l’avvocato: in galera ho conosciuto persone libere, e ho conosciuto persone che erano “in galera” da libere. Perché prima di essere una condizione sociale, politica, giudiziaria – la libertà è uno stato mentale. Io ho conosciuto menti sempre libere, dovunque fossero, qualunque cosa facessero, così come ho conosciuto menti prigioniere (dovunque fossero, e qualunque cosa facessero).

Olof Palme era una mente libera, e questa sua mente libera gli ha fatto superare il socialismo adottando un economista – Rudolf Meidner – che è l’uomo che ha inventato il cosiddetto “progetto economico svedese”. Un progetto rivoluzionario: realizzato con la creazione di fondi di comproprietà delle aziende a favore dei sindacati (in quota, certo: non si mise a nazionalizzare); con la previsione di un tipo di contribuzione assistenziale, previdenziale e sanitaria rivoluzionaria. E’ vero, all’epoca usò una leva fiscale piuttosto consistente, ma non so se oggi farebbe la stessa cosa, perché già nel suo secondo mandato attenuò il prelievo fiscale. Evidentemente, si regolò sul contesto economico contingente. Ma la sua regola ispirativa era questa: la politica e lo Stato devono rispondere alle necessità dei cittadini, e il compito di una forza politica è quello di stabilire quali sono le priorità, rispetto a queste necessità. Due elementi fondamentali, dei quali nessun altro politico, all’epoca sua, tenne conto. Dopo Palme ci ritrovammo Blair, Hollande. Pensate che, attualmente, nel direttivo del Partito Socialista Europeo il nostro rappresentante è la Mogherini. Lei fa l’anestesista: nel senso che tu non senti nulla (né dolore, ma neanche piacere).

La chiamo “eutanasia del socialismo”: il socialismo si è ucciso da solo, dopo la morte di Palme, perché è mancato un tipo di guida a dei personaggi che non erano in grado di fare, da soli, la “nuova era” socialista. Nemmeno Craxi lo era: grande politico e grande statista, ma non era Palme. Così il socialismo si è suicidato. In che modo? Ha svenduto il suo marchio, senza chiedere garanzie sui contenuti – così come si svende tutto, nel sistema di potere contemporaneo. Il potere oggi si impossessa di marchi, cancella quello che c’è sotto (e quello che c’è stato prima) e poi lo utilizza. E’ successo parzialmente anche con la massoneria, con le religioni. Sapete, una cosa illuminante su cui farsi domande è questa: perché non c’è nessuna religione che dichiari che la povertà è illegittima? Tutte le religioni chiedono di aiutare i poveri. La povertà la danno come inevitabile, inesorabile. Era anche uno degli argomenti di Palme, impegnato in quel suo assistenzialismo così avanzato. Queste cosiddette dottrine spirituali ci vengono a dire: aiutate i poveri. Non ci dicono: facciamo in modo che non esistano più, i poveri. Vi siete mai chiesti perché?

(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate al convegno “Nel segno di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara, contro la crisi della democrazia”, promosso il 3 maggio 2019 a Milano dal Movimento Roosevelt. A margine dei lavori, Carpeoro – avvocato e saggista, a lungo collaboratore di Craxi – ha aggiunto che Palme fu ucciso da agenti di un servizio segreto, probabilmente bulgaro, su ordine della P2 di Gelli, per conto della massoneria reazionaria internazionale. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016 per Revoluzione, Carporo ricorda che – alla vigilia del premier socialdemocratico scandinavo – Licio Gelli telegrafò al senatore statunitense Philip Guarino il seguente messaggio: “La palma svedese sta per cadere”. Carpeoro spiega che Guarino era il braccio destro di Michael Ledeen, influente storico e politologo statunitense di origine ebraica, membro del B’nai B’rith – esclusiva massoneria del Mossad – nonché del Jewish Institute. Sempre secondo Carpeoro, dopo aver danneggiato lo stesso Craxi (provocando la crisidi Sigonella, traducendo in modo fuorviante le parole di Reagan durante una conversazione telefonica tra il presidente Usae il premier italiano), Ledeen avrebbe “sovragestito” Antonio Di Pietro, quindi Matteo Renzi e contemporanamente Luigi Di Maio).

 

(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate al convegno “Nel segno di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara, contro la crisi della democrazia”, promosso il 3 maggio 2019 a Milano dal Movimento Roosevelt. A margine dei lavori, Carpeoro – avvocato e saggista, a lungo collaboratore di Craxi – ha aggiunto che Palme fu ucciso da agenti di un servizio segreto, probabilmente bulgaro, su ordine della P2 di Gelli, per conto della massoneria reazionaria internazionale. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016 per Revoluzione, Carporo ricorda che – alla vigilia dell’omicidio del premier socialdemocratico scandinavo – Licio Gelli telegrafò al senatore statunitense Philip Guarino il seguente messaggio: “La palma svedese sta per cadere”. Carpeoro spiega che Guarino era il braccio destro di Michael Ledeen, influente storico e politologo statunitense di origine ebraica, membro del B’nai B’rith, esclusiva massoneria del Mossad, nonché del Jewish Institute. Sempre secondo Carpeoro, dopo aver danneggiato lo stesso Craxi – provocando la crisi di Sigonella, traducendo in modo fuorviante le parole di Reagan durante una conversazione telefonica tra il presidente Usa e il premier italiano –Ledeen avrebbe “sovragestito” Antonio Di Pietro, quindi Matteo Renzi e contemporanamente Luigi Di Maio).

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https://www.libreidee.org/2019/05/carpeoro-palme-fu-ucciso-perche-voleva-abolire-la-poverta/

 

 

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

La Banca D’Italia, ovvero, il secondo tragico Fantozzi e la corazzata Potemkin

di Paolo Franceschetti

Editoriale del n° 7/8 luglio/agosto 2007 del supplemento mensile AltalexMese        RILETTURA

 

Una delle scene più esilaranti di tutto il cinema comico italiano, a mio parere, è quella della corazzata Potemkin tratta dal secondo tragico Fantozzi.

Il potentissimo professor Guidobaldo Maria Riccardelli era un fanatico cultore del cinema d’arte. Una volta alla settimana obbligava dipendenti e famiglie a terrificanti visioni dei classici del cinema. In vent’anni Fantozzi ha veduto e riveduto: “Dies irae” di Carlo Teodoro Dreyer, 6 ore; “L’uomo di Aran” di Flaherty, 9 tempi; ma soprattutto il più classico dei classici, “La corazzata Potëmkin”, 18 bobine, per un numero imprecisato di ore, di cui il professor Riccardelli possedeva una rarissima copia personale. (1)

Il giorno della partita Italia Inghilterra Fantozzi si sta sedendo in poltrona con frittata, birra e rutto libero per godersi lo spettacolo, ma riceve una telefonata dal direttore: quella sera i dipendenti della ditta furono costretti ad andare a vedere il film la corazzata Potemkin.

Dopo la visione del noiosissimo film scatta il dibattito…. Il geometra Filini fa un cauto commento sulle emozioni provate nel guardare la carrozzina che scende dalle scale; altri fanno altri commenti di lode. Ma l’aver costretto i dipendenti a perdere la partita è la classica goccia che fa traboccare il vaso; Fantozzi non ne può più di tanta ipocrisia e sale sul palco per dire la sua: “La corazzata Potemkin è una XXXXXX pazzesca”.

Seguirono 92 minuti di applausi.

Cosa c’entra il film di Fantozzi con la Banca d’Italia lo vedremo fra poco.

*****

In questo numero si riassume una delle tante sentenze sugli affidamenti in house. Il CDS ha ribadito ancora una volta, sulla scorta delle direttive Europee, che un ente pubblico locale che deve affidare dei servizi ad una ditta esterna lo può fare, purchè mantenga una quota di controllo. In particolare ha stabilito che

1) l’amministrazione deve esercitare sul soggetto un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

2) il soggetto deve svolgere la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza.

La sentenza ribadisce un principio di diritto giusto, cioè che un servizio pubblico, se è tale, non può essere affidato indiscriminatamente a privati.

In questi giorni però sto preparando la terza edizione del mio manuale di diritto amministrativo e approfondendo la questione della natura giuridica della Banca d’Italia i conti non mi tornano.

Se nelle prime due edizioni scrivevo infatti che la Banca d’Italia è un ente pubblico (e del resto la natura pubblica dell’ente è stata ribadita anche dalla Cassazione nel 2006), pur essendo privatizzato, perché ha un fine pubblico e un sistema di controlli pubblici, ultimamente mi sono ricreduto. Il 95 per cento delle azioni è infatti in mano alle banche private. (2)

Questo significa che gli utili della Banca vanno a soggetti privati. Quel che è peggio, significa che la Banca D’Italia, che dovrebbe vigilare sulle banche, è in mano agli stessi vigilati. Un po’ come mettere Riina a capo della Procura di Palermo.

Vado a controllare meglio la legge e, dopo parecchio tempo, riesco a capirci qualcosa; solo una percentuale di tali guadagni va allo stato… (3)

A me pare assurdo lo stesso, nel senso che, anche nella assurda ipotesi che per legge allo stato fosse destinato il 90 per cento degli utili, mi pare senza senso che il funzionamento di una Banca centrale sia affidato a soggetti privati. E stiamo parlando di soggetti privati che sono “banche”, non opere pie di beneficenza, o associazioni come l’Azione Cattolica.

Va bè, penso… ma perlomeno ci sarà un meccanismo di controllo da parte dello stato. Ad esempio, la nomina e la revoca del Governatore sarà controllata dallo Stato. Invece no. L’articolo 17 dello Statuto della Banca d’Italia dice che prima della nomina o della revoca da parte del Presidente del consiglio deve esserci il parere del Consiglio Superiore della Banca d’Italia. Per la verità la norma non chiarisce se tale parere sia vincolante o meno; in realtà c’è solo una frase sibillina, che dice che tale parere è rilasciato “ai fini della deliberazione del Consiglio dei Ministri”. Embè, mi domando… ma cosa significa “ai fini”? E’ vincolante o no…?

Su un articolo di una rivista giuridica apprendo che il parere è vincolante, ma “la correttezza della decisione è assicurata dal meccanismo della collegialità del parere”.

Per chiarirmi le idee e approfondire il sistema dei controlli prendo un saggio istituzionale sulla Banca D’Italia, e leggo che “ le leggi contemplano apparati di autorità di volta in volta diversi e con attribuzioni specifiche ed esclusive impostati su schemi di collaborazione e di coordinamento di attività previsti e disciplinati rigorosamente dalla legge”.

Tanto valeva che l’autore scrivesse “scusate, ma il sistema dei controlli non lo conosco perché mi scoccia prendermi la briga di leggerlo”.

Invece sul Trattato di diritto amministrativo di Sabino Cassese l’autore ha le idee più chiare. Scrive infatti che “esiste un principio generale di autonomia nella fissazione dei modi (generali e specifici) di raggiungimento dei fini assegnati alla Banca nell’ordinamento del credito. In altre parole, viene conferito alla Banca il potere di autolimitarsi, predeterminando non solo i criteri di massima, ma anche i principi e le linee guida di indirizzo della propria attività”. Come dire: la Banca d’Italia, e per essa i suoi azionisti, il Banco San Paolo, Banca Intesa, le Assicurazioni Generali, ecc. fanno quello che gli pare; eh già, perché hanno “il potere di autolimitarsi”. Un termine giuridico, apparentemente innocuo, che è l’equivalente dell’espressione gergale “fanno quello che gli pare”.

Ma la parte inquietante viene quando mi accorgo che la politica monetaria è comunque segreta, perché il D.M. 13 ottobre 1995, n. 561, articolo 2 ha messo il segreto su tutti gli atti di politica economica e monetaria della Banca d’Italia.

Leggo qua e là, per scoprire ancora che gli azionisti della Banca d’Italia sono stati resi noti al pubblico solo nel 2005, dopo che se ne occupò il settimanale “Famiglia Cristiana”. Perché prima essi erano “riservati”.

In effetti, né il Digesto delle discipline pubblicistiche, né il Trattato di diritto amministrativo di Sabino Cassese, né altri testi, citano gli azionisti della Banca d’Italia dicendo quale sia la compagine sociale effettiva.

Mi pare assurdo.

Allora chiamo una persona a me molto cara. Non posso definirlo un amico, data la distanza di età che ci separa, ma è stata la persona che nel corso della sua vita mi ha dato i consigli migliori. E’ docente universitario, e abbastanza saggio da avermi sempre dato i consigli giusti per la pubblicazione di manuali, per affrontare i concorsi universitari ecc. Espongo il problema a questa persona, ritenendo contraddittorio che l’affidamento di un piccolo servizio come quello di un porto turistico debba essere soggetto a determinate garanzie, e tali garanzie svaniscano totalmente quando il servizio che l’ente privato deve garantire è addirittura il servizio dell’emissione della moneta, cioè uno dei servizi assolutamente essenziali e indisponibili da parte di uno stato che voglia dirsi tale.

Il mio amico – più grande di me e senz’altro più esperto di me – ha risposto: Paolo, scusa ma di che ti meravigli? Caro ragazzo, si vede che sei ancora giovane e ingenuo…. Ancora devi capire a fondo il sistema…

Guarda l’articolo 2621 del codice civile. Punisce con una pena FINO a due anni di reclusione chi commette reato di falso in bilancio (cioè in teoria potrebbe essere anche punito con un giorno). E considera in ogni caso non punibile tale reato, se la somma rubata non supera il dieci per cento. Che è come dire: Se tu hai una società con un capitale di 1000 milioni di euro, puoi rubare fino a 100 milioni. Se la somma è superiore però stai attento, cattivello, perché ti potremmo anche punire (se non scatta la prescrizione) con una pena terribile di qualche giorno di reclusione con la condizionale.

Io mi sono arrabbiato e gli ho detto: “ma scusa che c’entra questa norma? Sto parlando di un’altra cosa”.

Fammi finire giovane ed irruento ragazzo… – ha detto il mio amico – Ora vai a guardare la norma che punisce il furto. Per l’articolo 624 bis chi è entrato in casa tua e ti ha rubato qualche tempo fa il videoregistratore con tutti i dvd di Allie McBeal si becca almeno un anno, e fino a sei anni. Mentre quello che ti ha rubato il portafoglio dalla tasca, essendo furto con destrezza, si beccherà almeno un anno, anche se nel portafoglio non c’era nulla, tranne una tessera bancomat che hai bloccato qualche minuto dopo.

Insomma, rubare 100 milioni di euro non è reato. Rubarti la collezione di DVD o un portafoglio vuoto lo è sicuramente.

Bene, il criterio è lo stesso. Il comune che deve dare in appalto un porto turistico deve seguire certe regole precise, e questo è giusto. Se lo stato deve affidare a privati il servizio di emissione della moneta e il controllo dei mercati bancari, lo fa a chi gli pare, dandolo senza nessun controllo.

Ma questo è assurdo, dico io. Anche perché tutti i manuali dicono pacificamente che è un ente pubblico e lo dice pure la Cassazione nel 2006. Perché non lo dice nessuno?

Per tre ragioni Paolo. Primo perché non fa comodo dare troppa pubblicità alla cosa. Figurati che fino al 2004 la compagine azionaria della Banca non era neanche resa pubblica.

Secondo, perché la questione è complessa e occuparsene non è semplice.

Terzo perché chi scrive manuali di diritto amministrativo, come te, si fa fuorviare da quello che scrive la cultura giuridica dominante e quindi è complice inconsapevole di un sistema di disinformazione.

Insomma, nella terza edizione del mio manuale correggerò questo “particolare”.

Per ora, trattandosi di un editoriale, posso scrivere in libertà quello che penso sulla natura giuridica di questo ente, senza troppi condizionamenti. Dopo approfonditi studi e dopo aver fatto accurate ricerche di diritto comparato, direi che una lettura costituzionalmente orientata della normativa che regola la Banca centrale può portare ad affermare che:

la composizione della Banca d’Italia è una “illegittimità costituzionale” pazzesca.

Proposta finale de iure condendo

Re melius perpensa, ho il dovere di fare un discorso oggettivo su questo potere di autolimitarsi delle banche. In fin dei conti non è giusto trarre conclusioni affrettate e sospettare che tale potere venga mal utilizzato per perseguire i propri fini, anziché quelli pubblici.

Allora, da buon giurista, mi sono domandato quale sia la ratio di una siffatta normativa e ho telefonato al mio amico di cui sopra.

E’ presto detto.

La ratio sta nella presunzione di legittimità del comportamento delle banche. E nell’esigenza di semplificazione del sistema dei controlli, che dando alla stessa banca il potere di autolimitarsi, snellisce le procedure statali al riguardo, esonerando lo Stato dal gravoso compito di controllare, ispezionare, verificare, sanzionare, ecc.

D’altronde un modulo organizzativo e legislativo analogo è stato applicato al parlamento, ove grazie al meccanismo delle immunità e del divieto di intercettazione, la magistratura non ha più alcun controllo sui singoli parlamentari, e quindi la legalità del comportamento dei deputati e senatori è garantita, appunto, da questo potere di autolimitarsi, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: 24 parlamentari condannati in via definitiva che continuano a promulgare leggi che loro stessi violano; decine di avvocati legati direttamente o indirettamente a chi sta al potere, che legiferano su materie di interesse dei loro assistiti; la maggior parte dei cittadini che fatica ad arrivare a fine mese, ma il parlamento si autoaumenta lo stipendio pro capite; si discute di pensioni, di età pensionabile, ecc., ma il parlamentare va in pensione dopo due anni e mezzo; e così via.

Il che suggerisce un modello organizzativo alternativo, de iure condendo, da applicare a tutti gli enti, e, al fine di non violare il principio di parità previsto dall’articolo 3 della Costituzione, anche a tutti i cittadini.

Per gli enti pubblici, dovrebbe valere una regola analoga a quella della Banca d’Italia. Totale indipendenza.

Quanto ai cittadini, si potrebbe abolire la galera, e abolire i controlli di polizia sui cittadini, dando a ciascuno il “potere di autolimitarsi”.

Lo stato risparmierebbe miliardi. I poliziotti non rischierebbero più la vita sulle strade. E i cittadini sarebbero maggiormente responsabilizzati nella vita pubblica.

Per i casi più complessi, come quelli di mafia, in cui c’è il sospetto che il cittadino colpevole di un reato non prenda con troppa imparzialità la decisione di autoarrestarsi è quanto meno opportuno inserire un piccolo correttivo: per l’arresto, occorrerà il parere vincolante della famiglia dell’arrestando, ove l’imparzialità della decisione sarà assicurata dalla collegialità della pronuncia.

Finalmente, con questo sistema, si potrà dare piena attuazione al principio di parità di cui all’articolo 3 della Costituzione, parificando ogni soggetto, pubblico o privato, ad un medesimo regime giuridico, e sottoponendolo allo stesso modulo organizzativo della Banca d’Italia (e del parlamento) dando a ciascuno “il potere di autolimitarsi, predeterminando non solo i criteri di massima, ma anche i principi e le linee guida di indirizzo della propria attività”.

__________________

(1) In realtà il titolo citato nel film è stato cambiato rispetto a quello reale in un più ironico “La corazzata Kotiomkin”; il film vero, La corazzata Potëmkin (1925), non dura un numero infinito di ore, come sostiene Paolo Villaggio nel film, ma ha una normale durata attorno ai 70 minuti, se non ricordo male.

(2) Per la precisione la compagine sociale della banca centrale è la seguente:

Gruppo Intesa (27,2%),
BNL (2,83%),
Gruppo San Paolo (17,23%)
Monte dei Paschi di Siena (2,50%),
Gruppo Capitalia (11,15%)
Gruppo La Fondiaria (2%)
Gruppo Unicredito (10,97%)
Gruppo Premafin (2%)
Assicurazioni Generali (6,33%)
Cassa di Risparmio di Firenze (1,85%)
INPS (5%)
RAS (1,33%)
Banca Carige (3,96%)
Privati (5,65%)

(3) Per la precisione, fino al 20 per cento degli utili può essere accantonato a riserve. Un altro 20 per cento può essere destinato a riserve speciali. La restante somma viene devoluta allo stato (Articolo 39 dello statuto).

https://www.altalex.com/documents/news/2007/07/16/la-banca-d-italia-ovvero-il-secondo-tragico-fantozzi-e-la-corazzata-potemkin

 

 

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Mohamed Konare: vi spiego a cosa serve davvero il reato di “afrofobia

 

VIDEO QUI: https://youtu.be/6pkOC5QAUmU

 

L’unione europea, come di consueto, persegue gli obbiettivi del grande capitale internazionale a scapito dei popoli, nascondendoli dietro principi e valori condivisibili.

La proposta presentata al parlamento europeo di Strasburgo per l’introduzione del reato di “afrofobia” mira a combattere con strumenti legali, l’opposizione, sempre più forte dei cittadini europei rispetto alla gestione del fenomeno migratorio, strumento indispensabile per depredare l’Africa delle sue risorse umane oltre che fisiche e imporre nei paesi europei un regime di concorrenza sempre più feroce e sleale.

 

A sostenerlo è Mohamed Konare, leader del movimento panafricanista in esclusiva per “mepiu”.

 

http://www.imolaoggi.it/2019/04/04/mohamed-konare-vi-spiego-a-cosa-serve-davvero-il-reato-di-afrofobia/?fbclid=IwAR07hl1UybqomR5xrLzRors_xzH1z_SgHSnoDnbN7tm5WkQT_ZVUSo5rjPI

 

 

 

 

 

 

 

Brasile, un reportage di ‘The Intercept’ dimostra che il giudice Sergio Moro ha manipolato il processo contro Lula

di Fabrizio Verde
Come volevasi dimostrare. Il giudice istruttore Sergio Moro, titolare dell’inchiesta Lava Jato e successivamente entrato a far parte del gabinetto governativo del fascio-liberista Jair Bolsonaro in Brasile, ha manipolato le indagini in modo da incastrare l’ex presidente Lula fino a quel momento in testa a tutti i sondaggi e il grande favorito alla vittoria finale nelle elezioni presidenziali che poi hanno incoronato Bolsonaro.

 

The Intercept Brazil di Glenn Greenwald ha pubblicato una vasta e incisiva inchiesta sulle presunte motivazioni politiche alla base dell’Operazione Autolavaggio (Lava Jato) contro l’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva e il Partito dei lavoratori (PT), nonché il coinvolgimento non etico dell’attuale ministro della Giustizia, Sergio Moro.

 

I documenti sono stati diffusi divisi in tre parti in cui secondo The Intercept, e dimostrano, con documenti trapelati e messaggi di Telegram tra pubblici ministeri e Moro, come la squadra “apolitica” e “imparziale” abbia trascorso ore a pianificare internamente come impedire il ritorno a potere di Lula e del suo Partito dei Lavoratori. Come poi effettivamente avvenuto con la vittoria di Jair Bolsonaro.

 

“Le inchieste giornalistiche sono basate su enormi archivi di materiali precedentemente non divulgati – tra cui chat private, registrazioni audio, video, foto, procedimenti giudiziari e altra documentazione – forniti da una fonte anonima. Rivelano gravi illeciti, comportamenti non etici e un inganno sistematico su cui il pubblico, sia in Brasile che a livello internazionale, ha il diritto di sapere”, hanno affermato i giornalisti.

Sul primo articolo, The Intercept sostiene con evidenza, che nonostante sia ritratto in Brasile e in tutto il mondo come apolitici e preoccupati unicamente di combattere la corruzione, i procuratori di Lava Jato “complottarono per impedire al Partito dei lavoratori (PT) di vincere le elezioni presidenziali del 2018 bloccando o indebolendo il messaggio pre-elettorale”.

 

Il 28 settembre 2018, dopo che il giudice della Corte Suprema Ricardo Lewandowski ha autorizzato che l’allora detenuto Lula potesse rilasciare interviste in base al diritto di libertà di parola, una delle procuratrici, Laura Tessler, ha avvertito nella chat che “una conferenza stampa prima del secondo turno delle votazioni potrebbe aiutare ad eleggere Haddad”, riferendosi al candidato presidenziale del PT Fernando Haddad.

 

Mentre il capo della task force del procuratore, Deltan Dallagnol, affermava che avrebbero dovuto “pregare” affinchè il PT non fosse tornato al potere. In una serie di conversazioni, i pubblici ministeri, tra cui Dallagnol, hanno attivamente messo in atto strategie su come indebolire il possibile effetto delle interviste o persino su come impedirle.

 

Lo stesso Deltan Dallagnol discuteva su come evitare che Lula fosse intervistato da Monica Berrgamo, editorialista del quotidiano Folha de S. Paulo, prima elezioni a causa del timore che attraverso di essa Lula potesse convincere le persone a scegliere Fernando Haddad o consentire il ritorno del PT al potere.

 

Nell’inchiesta viene inoltre rivelato come il capo della task force abbia più volte espresso dubbi circa la principale accusa che ha portato in prigione l’ex presidente Lula. La donazione di un appartamento triplex sulla spiaggia di Guaruja in cambio di contratti con la compagnia petrolifera statale Petrobras per l’azienda OAS.

 

Il ruolo di Sergio Moro

 

La seconda inchiesta si concentra sul ruolo chiave giocato da Sergio Moro. Il giudice istruttore non a caso incensato dal mainstream mondiale. Sergio Moro ha offerto consigli strategici ai pubblici ministeri, passato consigli per nuovi percorsi di indagine e valutato il processo in segreto e fuori dal tribunale.

 

“Nel corso di più di due anni, Moro ha suggerito al pubblico ministero che la sua squadra avrebbe cambiato la sequenza di chi avrebbe indagato; ha insistito per ridurre i tempi di inattività tra i raid; ha dato consigli strategici e suggerimenti informali; fornito ai pubblici ministeri una conoscenza anticipata delle sue decisioni; ha offerto critiche costruttive alle limature giudiziarie; e ha persino rimproverato Dallagnol come se il pubblico ministero lavorasse per il giudice”, si legge nell’inchiesta.

 

Questo tipo di condotta, se è vera, non è etica per un giudice, che è responsabile del mantenimento della neutralità per garantire un processo equo e viola il Codice Etico del Giudiziario per il Brasile.

 

Eppure queste non sono accuse nuove, dal momento che le squadre di difesa di Lula hanno dichiarato il coinvolgimento discutibile di Moro dall’inizio dell’indagine.

 

L’appartamento sulla spiaggia a tre piani non avrebbe potuto essere dato a Lula come una tangente, come sostenuto dai pubblici ministeri perché è stato registrato in nome della società OAS con diritti finanziari in un conto bancario federale. Zanin Martin ha detto che se la società vendesse l’appartamento, la traccia dei soldi dovrebbe apparire nelle transazioni della banca federale, dove i documenti dimostrano che Lula non ha acquisito la proprietà.

 

Eppure come “prova” in un processo internazionalmente deriso e criticato, Dallagnol ha presentato una diapositiva di PowerPoint piena di refusi che avevano il nome di Lula nel mezzo e presunti crimini cerchiati e che indicavano il suo nome. Nessuna documentazione o prove concrete è mai stata prodotta contro il leader del PT.

 

Domenica sera, il ministro della Giustizia Moro ha risposto all’inchiesta dell’Intercept affermando che “lamenta la mancanza di indicazioni sulla fonte”, ma non nega alcuna accusa. Inoltre, Moro difende che “non vi è alcun segno di anomalie o indicazioni di un magistrato, nonostante siano prese fuori dal contesto …” Nel frattempo, la task force Autolavaggio non ha smentito l’autenticità delle informazioni pubblicate da The Intercept.

 

Un appartamento non riconducile a Lula

 

L’appartamento sulla spiaggia a tre piani non avrebbe potuto essere ceduto a Lula come tangente, come sostenuto dai pubblici ministeri perché è stato registrato in nome della società OAS con diritti finanziari in un conto bancario federale. Zanin Martin ha detto che se la società vendesse l’appartamento, la traccia dei soldi dovrebbe apparire nelle transazioni della banca federale, dove i documenti dimostrano che Lula non ha acquisito la proprietà.

 

Eppure come “prova” in un processo internazionalmente deriso e criticato, Dallagnol ha presentato una diapositiva PowerPoint piena di refusi che avevano il nome di Lula nel mezzo e presunti crimini cerchiati e che indicavano il suo nome. Nessuna documentazione o prove concrete sono mai state prodotte contro il leader del PT.

 

Il ministro della Giustizia Moro ha risposto all’inchiesta di Intercept affermando che “lamenta la mancanza di indicazioni sulla fonte”, ma non nega alcuna accusa. Nel frattempo, la task force Lava Jato non ha smentito l’autenticità delle informazioni pubblicate da The Intercept.

 

“Lula vittima di lawfare”

 

Le inchieste di The Intercept confermano quanto la difesa di Lula proclama da tempo inascoltata. “Nessuno può dubitare che il processo contro Lula sia falsato”, scrive la squadra difensiva dell’ex presidente in un comunicato.

 

“Il ripristino della piena libertà di Lula è urgente, così come il riconoscimento più pieno e completo che non ha commesso alcun reato e che è vittima di ‘lawfare’. Manipolazione delle leggi e delle procedure legali per scopi di persecuzione politica”.

 

Fonte: The Intercept, teleSUR, La Radio del Sur

Notizia del: 10/06/2019

 

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-brasile_un_reportage_di_the_intercept_dimostra_che_il_giudice_sergio_moro_ha_manipolato_il_processo_contro_lula/5694_28840/

 

 

 

 

 

 

Morte di David Rossi, Fracassi: colpa di Draghi il crollo Mps

Da Giorgio Cattaneo – 18 Maggio 2018                        RILETTURA

 

Siena, 6 marzo 2013. Un uomo precipita dalla finestra, ma non muore sul colpo. Si muove ancora, quando due uomini comparsi dal nulla, nel vicolo sotto la sede centrale del Montepaschi, gli si avvicinano per verificarne le condizioni, prima di sparire. Chi sono? Mistero. «Sappiamo invece chi ha fatto pervenire quel filmato al “New York Post”: è stata la Cia», afferma il reporter Franco Fracassi, ai microfoni di “Border Nights”, a proposito del video (sconvolgente) sulla morte di David Rossi, poi ripreso anche dalle “Iene” e ora disponibile sul web. Insieme a Elio Lannutti, Fracassi è autore del saggio “Morte dei Paschi”, ovvero: dalla drammatica fine di Rossi ai risparmiatori truffati, “ecco chi ha ucciso la banca di Siena”. Suicidio all’italiana? Sappiamo solo che la magistratura ha rinunciato a indagare nella direzione dell’omicidio, dice Fracassi, avendo rapidamente archiviato il caso come, appunto, suicidio. «Certo, resta il fatto che Rossi è volato dalla finestra del suo ufficio appena due giorni dopo l’email in cui annunciava di voler parlare con i magistrati, riguardo al suo ruolo nella banca finita nella bufera». Indagini a parte, per Fracassi il vero colpevole ha un nome preciso: Mario Draghi. «E’ stato lui a far crollare la banca di Siena», determinando il disastro che poi ha portato anche alla morte di David Rossi.

Il primo a puntare il dito contro il presidente della Bce è stato Gioele Magaldi, leader del Movimento Roosevelt e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che svela il ruolo di 36 Ur-Lodges nel “back office” del  massimo potere mondiale. Superlogge sovranazionali potentissime, come le 5 organizzazioni di stampo neo-aristocratico alle quali, secondo Magaldi, è affiliato Draghi: sono la “Edmund Burke”, la “Pan-Europa”, la “Der Ring”, nonché due autentiche colonne del mondo supermassonico di segno reazionario, la “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e la “Three Eyes”, il club di Kissinger, Rockefeller e Brzesinski. «Quando era governatore di Bankitalia – sostiene Magaldi – Draghi avrebbe dovuto vigilare sulla spericolata acquisizione di Antonveneta da parte della banca senese. Ma non lo fece, così come Anna Maria Tarantola, all’epoca alta funzionaria della Banca d’Italia». La vicenda Mps-Antonveneta è nota: il “Sole 24 Ore” la definisce «la più grande rivalutazione della storia». Il prezzo di Antonveneta, riassume il quotidiano di Confindustria, nel 2007 schizzò in pochi mesi dai 6,6 miliardi pagati dal Banco Santander per comprare l’istituto ai 9,3 (più oneri vari che hanno fatto salire il prezzo definitivo a 10,3 miliardi circa) tirati fuori da Mps.

Oltre 10 miliardi, dunque, ai quali «vanno aggiunti almeno altri 7,9 miliardi di debiti di Antonveneta, che l’istituto senese si è accollato». In soli 11 mesi – dal 30 maggio 2008 al 30 aprile 2009 – il Monte dei Paschi «ha effettuato bonifici per oltre 17 miliardi». Soldi che, scrive il “Sole”, «sono finiti ad Amsterdam, Londra e Madrid». Oggi, Franco Fracassi la definisce «la più grande operazione bancaria della storia», avendo coinvolto anche gli olandesi di Abn-Amro, gli inglesi e la Banca Mondiale. «Draghi – insiste Fracassi, a “Border Nights” – ha avuto un ruolo di primo piano, nel disastro del Monte dei Paschi, perché non ha permesso controllo ma, a mio giudizio, ha premuto per la cosa: è stato lui a spingere il Monte dei Paschi nel baratro, perché la banca senese era un tassello fondamentale di questa operazione – che Draghi ha voluto a tutti i costi, e che ha portato alla grande crisi economica, quella che sta devastando tutta l’Europa da ormai dieci anni». Questa crisi, aggiunge Fracassi, è figlia del crack di alcune delle più grandi banche d’Europa, «frutto di un’operazione voluta da Draghi in

 

un  momento in cui non bisognava farla, e soprattutto non in maniera così scellerata, come se si avesse voluto gettare l’Europa nel baratro».

Perché è successo? «Non credo che Draghi non sapesse che cosa sarebbe potuto accadere», dice sempre Fracassi a “Border Nights”. «Non credo l’abbia fatto per leggerezza. E’ una persona molto intelligente, che sa il fatto suo. E so anche che Draghi è uno dei campioni del neoliberismo: è colui che, quando stava in Goldman Sachs, ha gettato nel baratro la Grecia». Conoscendo l’ideologia neoliberista e le strategie normalmente adottate dall’élite finanziaria euro-atlantica, aggiunge Fracassi, «presumo che ci sia stata la volontà di gettare l’Europa nella crisi». Draghi? «In questo ha avuto un ruolo di primo piano, e il Monte dei Paschi è stata la chiave di volta: quantomeno, quindi – conclude – Draghi ha delle responsabilità morali, per questa vicenda», su cui ora incombe anche il giallo della morte di David Rossi. E quello strano video, che Fracassi attribuisce alla Cia? Proprio la fonte di quelle immagini terribili «dà la dimensione della cosa», aggiunge il giornalista. «E’ un filmato che non dovrebbe esistere, e che teoricamente non dovrebbe avere nulla a che vedere con loro: cosa può importare, alla Cia, di un italiano che si suicida?». Vai a sapere. Sempre Fracassi, a “ByoBlu”, ha  rivelato che «il Montepaschi è una delle banche che in questi ultimi 7 anni hanno garantito l’acquisto e la vendita di armi, in Siria, a tutte le parti in conflitto».

Nel libro scritto con Lannutti, Fracassi cerca di capire «chi siano gli assassini di quella che è stata la banca più grande d’Europa». Si parla di armi, di politica, di criminalità organizzata. «Anche il mondo sommerso del crimine, alla fine, passa dalle banche: non è che esiste la Criminal Bank e poi le banche pulite, le banche son banche», dice ancora Fracassi a “Border Nights”. «Tranne forse rari casi virtuosi, la maggior parte delle banche fa queste cose. Il problema è: a che livello, quanto consapevolmente, e quanta ingerenza hanno, questi aspetti, nella gestione complessiva della banca». La crisi di Mps sembra consonante con le recenti notizie sull’assorbimento delle Bcc, le banche di credito cooperativo, raggruppate – per volere della Bce – sono l’ombrello di un unico grande soggetto finanziario, che si teme sarà fatalmente meno attento all’economia dei territori e invece più aperto (come il Montepaschi dopo la fatale svolta) al mercato finanziario internazionale dei titoli tossici. «Il fallimento del Montepaschi, dovuto alla responsabilità quantomeno morale di Mario Draghi – aggiunge Fracassi – ha portato uno sconquasso in tutto il sistema economico e creditizio europeo. E quindi anche nelle banche italiane, che a  differenza di altre erano più fragili, trovandosi in una situazione di grande esposizione, per aver fatto fusioni con altre banche e investimenti in Borsa sbagliati, ma soprattutto per la quantità di crediti inesigibili».

Di per sé, precisa il giornalista, i crediti inesigibili non fanno crollare una banca, se non molto raramente. «Se però il sistema salta, quei crediti inesigibili diventano insostenibili: durante una crisi economica, chi ha preso soldi in prestito non riesce a restituirli. E’ una sorta di catena: più banche falliscono, e più rischiano di fallirne». Elementare: «Quando un sistema va in crisi, i più deboli sono i primi a soccombere». E mentre una grande banca ha i suoi paracadute, oltre a essere “too big to fail” (troppo grande per poter fallire), le banche piccole «non hanno quasi protezione, da parte della politica e del sistema finanziario: si appoggiano a piccole realtà locali, che possono entrare in crisi coinvolgendo le banche stesse». E’ la storia recente dell’Unione Europea, sintetizza Fracassi, a rendere esplicita la condanna (non giudiziaria, certo, ma storico-politica) dei super-tecnocrati alla Mario Draghi, onnipotenti registi di una crisi abilmente pilotata per organizzare uno smisurato trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto. Un fenomeno spaventosamente spettacolare, senza eguali nella storia moderna. Il sociologo Luciano Gallino lo chiamava “lotta di classe dei ricchi contro i poveri”. E in attesa che venga alla luce la verità definitiva sulla fine di David Rossi – esecutori e mandanti dell’eventuale omicidio – Franco Fracassi insiste: almeno moralmente, la colpa è di Draghi. Distruggere Mps faceva parte di un piano preciso, che l’ex governatore di Bankitalia, poi promosso alla Bce, non ha certo ostacolato.

(Il libro: Elio Lannutti e Franco Fracassi, “Morte dei Paschi. Dal suicidio di David Rossi ai risparmiatori truffati. Ecco chi ha ucciso la banca di Siena”, PaperFirst editore, 280 pagine, 12 euro).

https://petalidiloto.com/2018/05/morte-di-david-rossi-fracassi-colpa-di-draghi-il-crollo-mps.html

 

 

LA LINGUA SALVATA

Le parole della neopolitica – Pacchia

di Michele A. Cortelazzo* 28 GENNAIO 2019

«Sono stanco degli impuniti che possono fare quello che vogliono. Una delle priorità del nostro governo sarà di fare in modo che per gli immigrati clandestini in questo paese si spendano meno soldi e tempo. I regolari e gli onesti non hanno niente da temere, mentre per i clandestini è finita la pacchia: preparatevi a fare le valige». Con questo intervento, tenuto a Vicenza il 3 giugno del 2018 durante un incontro elettorale, il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha lanciato quello che è diventato presto un vero e proprio tormentone della sua propaganda: la pacchia è finita. Subito dopo, il 5 giugno, il ministro dell’Interno ha rilanciato l’espressione in una dichiarazione rilasciata nelle stanze austere del Senato: «Confermo che è strafinita la pacchia per chi ha mangiato per anni alle spalle del prossimo: ci sono 170mila presunti profughi che stanno in albergo a guardare la tv». Da allora Salvini usa ricorrentemente la locuzione (un esempio recente: «Col Pd caos e clandestini, con la Lega ordine e rispetto. Certi sindaci rimpiangono i bei tempi andati sull’immigrazione, ma anche per loro è finita la pacchia!», in un tweet del 3 gennaio 2019).

 

Nel folklore verbale

 

L’espressione è così entrata a far parte del più recente folklore verbale della politica italiana. È diventata, cioè, una specie di motto proverbiale al quale si ricorre con continuità, facendo ricadere episodi diversi nella stessa cornice interpretativa. La voce è usata dai giornali, e capita che qualche volta lo facciano per riferire prese di posizioni di Salvini anche quando il ministro non ha usato il suo tormentone (anche qui un esempio recente: «Salvini in Abruzzo, Finita la pacchia per gli spacciatori», in un titolo del «Tempo» del 6 gennaio 2019, che corrisponde nel contenuto, ma non nella forma letterale, all’affermazione pronunciata da Salvini).

Il vorticoso successo dell’espressione è ben documentato dalla sua ricorrenza nei discorsi pubblici. Certamente, l’uso di pacchia nei discorsi politici non nasce con Salvini, ma è comunque piuttosto recente. Nei discorsi ufficiali tenuti al Senato, la prima occorrenza risale al 2007, in un discorso di un altro leghista, l’ex ministro Roberto Castelli. Nella legislatura successiva pacchia echeggia due volte nell’aula del Senato, per bocca di due senatori dell’Italia dei Valori (Elio Lannutti e Francesco Pardi; il primo usa proprio l’espressione finire la pacchia); nella legislatura terminata nel 2018 pacchia ricorre una sola volta, per bocca del senatore Carlo Giovanardi. Ben diversa la situazione della legislatura appena iniziata: in pochi mesi pacchia, spesso proprio nella sequenza la pacchia è finita, ha raggiunto le venti occorrenze: quattro di queste sono dovute ai senatori leghisti Nadia Pizzol e William De Vecchis e ai senatori del Movimento Cinque Stelle Stefano Patuanelli e Stefano Lucidi. Ma tutte le altre volte sono i senatori dell’opposizione a inserire la parola nei loro discorsi, citando, in chiave polemica quando non sarcastica, il ministro dell’Interno.

 

È indubbio, quindi, che si tratti di un altro successo comunicativo di Matteo Salvini, che ha costretto i suoi oppositori a giocare, sia pure per combatterlo, nel suo campo di gioco linguistico.

Ma la scelta dell’espressione da parte di Salvini ha anche un risvolto, probabilmente involontario ma interessante, relativo alla provenienza geografica. Nel ricostruire l’etimologia di pacchia,  Francesca Riga, in questo portale, ha individuato correttamente la base nel verbo pacchiare ‘mangiar con ingordigia’, di origine tuttora non chiara, ma probabilmente onomatopeica; il verbo ha corrispondenti nei dialetti settentrionali (veneto paciar ‘muovere le mascelle’, milanese pacià e piemontese pacè ‘mangiare abbondantemente e con avidità’). Però, come chiarisce il DELI, «secondo Panz. Diz. 1931 e L. Renzi, LN XXVIII, 1967, 30, nel sign. di ‘vita comoda’ la voce è giunta in italiano dal romanesco (e infatti il Belli la usa in romanesco già nel 1829: sonetto n. 11)». Il sonetto, in realtà, è il 51 ed è datato 8 gennaio 1832: «schiatt’e ccrepo, e sbuggero, e mme sbraccio / Pe mmantené la pacchia ar zor Mattia!» (altre attestazioni nei sonetti 154 e 498), ma insomma l’uso traslato di pacchia ha una decisa connotazione romanesca. Anche dal punto di vista dell’origine, pacchia è dunque forma altamente indicativa dell’attuale orizzonte politico di Salvini, che ha trasformato la Lega Nord in Lega, facendo diventare partito nazionale quello che era nato come partito territoriale che rivendicava l’autonomia, se non addirittura l’indipendenza, dell’Italia settentrionale.

 

*Università degli studi di Padova

 

Le parole (o locuzioni) già trattate: menevadismocontratto di governomaninapallesovranismocambiamento

 

Immagine: Interno della Camera dei deputati a Palazzo Montecitorio, Roma

 

http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/Neopolitica7.html

 

 

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Il Nuovo Ordine Mondiale, Cina, Russia “Multipolarismo” contro il NWO dei Gesuiti

Fulvio Oscar – 14\04\2019 

 

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha dichiarato oggi che il modello liberale occidentale della società sta morendo e che un nuovo ordine mondiale sta prendendo il suo posto. Lavrov ha fatto i commenti al suo incontro annuale con studenti e professori presso l’Accademia diplomatica del Ministero degli esteri, ha riferito l’agenzia di stampa russa TASS.

“Il modello liberale occidentale di sviluppo, che prevede in particolare una perdita parziale della sovranità nazionale – questo è quello che i nostri colleghi occidentali hanno puntato quando hanno inventato quella che chiamano globalizzazione – sta perdendo la sua attrattiva e non è più visto come un modello perfetto per tutti. Inoltre, molte persone nei paesi occidentali sono scettiche al riguardo “, ha detto Lavrov.

Secondo lui, lo sviluppo globale è guidato “da processi volti a potenziare il multipolarismo e ciò che chiamiamo un ordine mondiale policentrico”

Link allegato . https://tsarizm.com/news/eastern-europe/2019/04/12/russia-says-new-world-order-being-formed/

L’Europa NON ci Merita, Imploderà – A MAI più

https://fulviooscar.altervista.org/il-nuovo-ordine-mondiale-cina-russiamultipolarismo-contro-il-nwo-dei-gesuiti/?fbclid=IwAR2TcOaSQn0eXFoXjj420O1Z5cjfQB1WM82IOMHSmu4LUGNn_M28czJmecw

 

 

 

 

 

Anna Von Reitz : La Regina Non è la Regina e Neppure Papa Francesco “Gesuita” Non è un Papa

da Fulvio Oscar Di Anna Von Reitz

 

 

Stamattina sono stato trattato da una parodia di newspunch.com , che annunciava che la regina Elisabetta sta sostenendo di essere la 43a pronipote del profeta Maometto.  

Secondo la loro storia, sta tentando di convincere il mondo musulmano di essere il loro legittimo sovrano, come parte di un tentativo di introdurre la Crown Rule globale e ravvivare il business del petrolio.  

È abbastanza strano essere vero (non pretendere di essere la progenie del Profeta – la notizia) e spiegare chiaramente la proliferazione delle ghigliottine in America e la migrazione forzata dei musulmani e le richieste di Sharia. 

 

La verità attuale è che la Regina Elisabetta è un criminale.

un criminale comprovato, e deve essere arrestato. Se la sua stessa gente non lo farà, qualcun altro dovrà farlo. E questo significherà un’altra sanguinosa e assurda guerra mondiale. 

Come tedesco per linea reale, Elizabeth ha altrettanto diritto al Trono della Gran Bretagna che a me. [Potrei avere qualche pretesa in più di lei, perché ho del sangue di MacDonald del Clan scozzese che scorre nelle mie vene.]

Quindi c’è uno sciopero.

Non è una “Windsor” — è solo un nome altrimenti onorevole adottato perché ammette astutamente che lei è la Purser di Prince of the Air. Occupa la stessa posizione di base della famiglia francese Payseur — “Wind-sur” come “Pay-sur“. Lei è un banchiere militare. 

Quindi ci sono due scioperi — mentendo sul suo nome e sulla sua funzione.

E poi c’è la prova effettiva della criminalità e della violazione della fiducia. Nel 2011 è stata condannata per: (1) non essere stata effettivamente seduta sul Trono e (2) aver infranto il suo Coronation Oath, da una giuria britannica.

http://mtrial.org

http://jamesfetzer.blogspot.com

http://terroronthetube.co.uk/2011/05/12/muaddib-acquitted/

http://jforjustice.co.uk/77/

Questo è il caso John Anthony Hill [JAH]. Lei è stata processata È stata condannata da una giuria in un tribunale britannico. Giusto e sincero.

Lì hai strike tre.

Non c’è dubbio che la regina Elisabetta II in effetti impersona la regina d’Inghilterra e lo fa da molti anni.

Se potessi farlo, perché non pretendere di essere la quarantatreesima pronipote del profeta Maometto?

È interessante notare che, non solo Elizabeth sta impersonando la Regina di Gran Bretagna, la sostanza di tutti i suoi crimini contro di noi e contro molte altre persone, è anche una forma di imitazione.

La franchigia è una forma di imitazionePrendi un uomo vivente e lo ridefinisci come una società in franchising, una cosa.

Quando sono stati arrestati per arrestarla, le scuse e gli ululati del Parlamento e del Consiglio Privato equivalgono a “Ma, ma … se lo facessimo, tutte le leggi che portano la sua firma non sarebbero valide … se lo facessimo , non ci sarebbe alcuna Successione legittima (non c’è comunque, ma allora?) …. se lo facessimo ….. “E poi c’è” Ma lei è così vecchia ….. perché no lascia che la Natura faccia il suo corso, non causi alcuna interruzione del governo ….. ”

Data la sua storia familiare, potrebbe durare altri quindici anni e sperare di convincerci che è la quarantatreesima pronipote di Mohammed. 

E continua a firmare leggi non valide che riguardano tutte le sue franchigie fasulle per tutto il tempo.

Sembra che il Parlamento britannico sia afflitto dalla stessa malattia mentale e dalla stessa mancanza di buon senso che affligge il Congresso “degli Stati Uniti”.

Sanno che nessuna legge o trattato che abbia mai firmato ha alcuna validità. Sanno che lei non è in realtà la Regina e che qualsiasi contratto o patto con il Popolo Britannico è stato reciso entro tre giorni dalla sua incoronazione. Tutti hanno saputo che per otto (8) anni, completamente accesi, nei loro volti, innegabili.

Immagino sperano che il resto di noi non se ne accorga, ma noi abbiamo.

Se la regina non è la regina, non vi è alcun valido potere di esecuzione dietro le corti britanniche, comprese le corti territoriali britanniche. Molto semplicemente, non hanno alcuna autorità legale o legale da dire o fare jack-diddly. 

Sono tutti presi da un brutto doppio legame. Se vanno indietro e ripristinano la Legge sulla Terra, che è quello che dovrebbero fare, saranno condannati a morte sotto di essa. Tuttavia, deve esserci una specie di legge o la società si trasformerà nel caos. Inserisci la sharia. Ma anche un idiota sa che non sta per essere lavato.

Ogni idiota, cioè, ma quelli del parlamento britannico e di Nancy Pelosi.

E mentre siamo su quell’argomento … la regina non è la regina, e neanche il papa è il papa.

Francesco è un gesuitaI gesuiti celebrano tutta la vita per servire il Papa. Ne consegue che un gesuita non può mai essere il papa. Anche un luterano lo sa. Quindi che sta succedendo?

Ogni Papa fin dal primo Papa ha indossato due cappelli.

Indossa il sacro ufficio del Papa e l‘ufficio secolare del Romano Pontefice. Tutto ciò fu ereditato dal Concilio di Nicea dall’imperatore romano Costantino e consolidato nell’800 d.C. sotto Carlo Magno.

Così Benedetto XVI, sentendosi troppo vecchio per affrontare i rigori dell’Ufficio Secolare, si rivolse ai suoi leali soldati, i gesuiti, e scelse uno per assumere il lavoro diRomano Pontefice, mentre lui, lui stesso, mantenne apertamente il “ministero” ufficio”.

In altre parole, Benedetto XVI, il papa emerito, è ancora il papa. Francesco lo sta servendo come un gesuita leale, facendo ciò che gli è stato detto di fare, che è fondamentalmente quello di circondare i carri per proteggere gli interessi della Chiesae “agire da Papa” mentre si assume il peso dell’ufficio secolare.

Quindi sta impersonando il Papa proprio come Elisabetta sta impersonando la Regina. 

Abbiamo a che fare con Magicians, Con Men e Bad Actors. Questo è il male in luoghi elevati di cui parla la Bibbia, ed è essenzialmente il peccato di Mosè che viene a casa per dormire.

Il vero Dio ci ha dato dieci comandamenti, sapendo che siamo troppo stupidi e indisciplinati per obbedire anche a dieci leggi, ma almeno potremmo dargli uno sforzo in buona fede. 

Mosè e il suo avaro fratello, Aaron, diedero alla gente più di 600 “leggi” aggiuntive – l’equivalente delle leggi statutarie – garantendo che tutti sarebbero condannati. 

Quindi, eccoci qui, tra il Rock and the Hard Place e qui è il mio umile suggerimento: 

  1. Dimentica di provare a implementare la Sharia Law;
  2. Accantonare l’applicazione di tutte le leggi statutarie;
  3. Adotta la Legge del Regno dei Cieli– ci sono solo tre (3) leggi in Cielo, e quelle permettono a tutti di salvare le loro pelli; 
  4. Consegnare le proprietà immobiliari rubate a me; Io sono il fiduciario. Restituirò la terra e il suolo ai popoli della Terra senza ulteriore addio;
  5. Accettare l’istituzione di una valuta reale basata sul valore di tutte le merci e manodopera scambiate. 

 

Molti avvocati saranno senza lavoro, ma questo è un piccolo prezzo da pagare —– soprattutto perché questo è l’unico modo in cui tutti continuano a respirare.

Anna von Reitz    http://www.annavonreitz.com/

Link dell’Articolo 

http://www.paulstramer.net/2019/06/the-big-baloney-qe-ii-and-pope-francis.html?fbclid=IwAR0hV6KqrlgVRIqtDPwVTNAM6Tou-9SfGoX1BJrNsMb7VBSOgxQ4rPMhPCU

 

https://fulviooscar.altervista.org/anna-von-reitz-la-regina-non-e-la-regina-e-neppure-papa-francesco-gesuita-non-e-un-papa/

 

 

 

 

 

POLITICA

LO STRANO CASO DI CONTE E TRIA

ILLUSTRI SCONOSCIUTI CHE DETTANO LA LINEA AL GOVERNO GIALLOVERDE

10 Giugno 2019 di Francesco Maria Toscano

“…Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna, troverrà sempre chi si lascerà ingannare”.

Principe” da Machiavelli 

Mi è tornata alla mente questa mirabile sintesi proposta nel “Principe” da Machiavelli nel notare le bizzarre “contorsioni” che stanno lacerando ora il governo Conte, “scosso” dall’ipotesi “minibot” messa recentemente sul piatto dal leghista Claudio Borghi Aquilini. Nel merito della questione Borghi ha ragione da vendere. Nessuna norma vieta l’utilizzo di uno strumento che serve per accelerare il pagamento dei debiti che la Pubblica Amministrazione ha già contratto con famiglie e imprese, strangolate da inaccettabili ritardi degni di un Paese del terzo mondo. I minibot, con buona pace di Draghi, non aumentano il “debito pubblico” (ammesso e non concesso che sia un crimine aumentarlo), perché si limitano a cartolarizzare un debito già esistente come ampiamente dimostrato dallo stesso Borghi e dall’economista Nino Galloni

https://www.libreidee.org/2019/06/galloni-a-draghi-i-minibot-non-sono-ne-valuta-ne-debito/ > (clicca per leggere).

Ma non è questo il punto che vorrei approfondire nel pezzo di oggi, essendo ovvio e intuitivo il fastidio che le élite finanziarie- che parlano bocca del Presidente della Bce- possano provare nell’osservare i prodromi di una strategia governativa che punta a superare il ricatto della “mancanza di liquidità” maleficamente costruito dagli usurai di Bruxelles e Francoforte. E’ interessante invece notare come- subito dopo “l’altolà” imposto dal “drago” originale che tutto osserva dall’Eurotower- anche i “draghetti” Conte e Tria presenti in qualità di “tecnici” in ruoli chiave del governo gialloverde (Giuseppe Conte, meno conosciuto dell’omonimo Antonio, fa addirittura il premier) hanno iniziato a “sputare fuoco” contro i minibot nonostante si tratti di un provvedimento esplicitamente previsto nelle pieghe del famoso “contratto di governo” sul quale il notaio Giuseppe Conte- che cammina sulle orme del più famoso giurista Pocaterra che smistava i “pacchi” nel fortunato programma televisivo “Affari Tuoi”- dovrebbe coscienziosamente vigilare. Ma si sa
quando parla Draghi non c’è contratto che tenga. Ora, siccome Conte, Tria e anche l’inutilmente sorridente Moavero rappresentano tre voti (tre voti complessivi, non il 3 per cento dell’elettorato fate attenzione) in tutto, verrebbe normale chiedersi in forza di quali “poteri nascosti” questo trittico eserciti un potere di interdizione così marcato per la gioia di quel Sergio Mattarella che poco più di un anno fa voleva nominare Cottarelli premier in sfregio all’intero Parlamento. Se in Italia governa chi ha i voti, e i voti li hanno Di Maio e Salvini, come è possibile che le decisioni le prendano Tria e Conte? Evidentemente nessuno di loro ha mai studiato a dovere il famoso “sillogismo aristotelico”. Oppure, più che una mancanza di studi classici, siamo probabilmente in presenza del solito “gioco delle parti”, con Salvini e Di Maio nei panni dei “poliziotti buoni” che provano a rintuzzare a beneficio di telecamera i “poliziotti cattivi” Conte e Tria, arcigni difensore della Ue. I nostri governanti sappiano però che il popolo italiano non ha “l’anello al naso”, essendo adesso in grado di riconoscere le manovre dissimulate di un potere che usa sempre gli stessi trucchi. Salvini si ricordi infine della triste parabola subita da Renzi, passato in un battibaleno dal 40% di consensi alla pensione anticipata.

Da quando Machiavelli scrisse il Principe ne è passata tanta di acqua sotto i ponti.

https://www.maurizioblondet.it/lo-strano-caso-di-conte-e-tria-illustri-sconosciuti-che-dettano-la-linea-al-governo-gialloverde/

 

 

 

 

 

 

Gaber: Destra e sinistra (1994)

 

Tutti noi ce la prendiamo con la storia

ma io dico che la colpa è nostra

è evidente che la gente è poco seria

quando parla di sinistra o destra

 

Fare il bagno nella vasca è di destra

far la doccia invece è di sinistra

un pacchetto di Marlboro è di destra

di contrabbando è di sinistra

 

Una bella minestrina è di destra

il minestrone è sempre di sinistra

quasi tutte le canzoni son di destra

se annoiano son di sinistra

 

Le scarpette da ginnastica o da tennis

hanno ancora un gusto un po’ di destra

ma portarle tutte sporche e un po’ slacciate

è da scemi più che di sinistra

 

I blue-jeans che sono un segno di sinistra

con la giacca vanno verso destra

il concerto nello stadio è di sinistra

i prezzi sono un po’ di destra

 

La patata per natura è di sinistra

spappolata nel purè è di destra

la pisciata in compagnia é di sinistra

il cesso é sempre in fondo a destra.

 

La piscina bella azzurra e trasparente

è evidente che sia un po’ di destra

mentre i fiumi tutti i laghi e anche il mare

son di merda più che sinistra

 

L’ideologia l’ideologia

malgrado tutto credo ancora che ci sia

è la passione l’ossessione della tua diversità

che al momento dove è andata non si sa

dove non si sa dove non si sa.

 

Io direi che il culatello è di destra

la mortadella è di sinistra

se la cioccolata svizzera é di destra

la nutella è ancora di sinistra

 

Il pensiero liberale è di destra

Ora è buono anche per la sinistra

non si sa se la fortuna sia di destra

la sfiga è sempre di sinistra.

 

Il saluto vigoroso a pugno chiuso

è un antico gesto di sinistra

quello un po’ degli anni ’20 un po’ romano

è da stronzi oltre che di destra

 

L’ideologia, l’ideologia

malgrado tutto credo ancora che ci sia

è il continuare ad affermare un pensiero e il suo perché

con la scusa di un contrasto che non c’è

se c’è chissà dov’è se c’è chissà dov’è.

 

Tutto il vecchio moralismo è di sinistra

la mancanza di morale è a destra

anche il Papa ultimamente è un po a sinistra

e il demonio è ancora andato a destra

 

La risposta delle masse è di sinistra

con un lieve cedimento a destra

Son sicuro che il bastardo è di sinistra

il figlio di puttana è a destra

 

Una donna emancipata è di sinistra

riservata è già un po’ più di destra

ma un figone resta sempre un’attrazione

che va bene per sinistra o destra.

 

Tutti noi ce la prendiamo con la storia

ma io dico che la colpa è nostra

é evidente che la gente è poco seria

quando parla di sinistra o destra.

 

Ma cos’è la destra cos’è la sinistra

Ma cos’è la destra cos’è la sinistra

Destra sinistra, destra sinistra

Basta!

 

https://www.youtube.com/watch?v=kZHvXtl4KY0

https://youtu.be/kZHvXtl4KY0

 

 

 

 

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

I robot ci sostituiranno? Dal controllo elettronico al “disboscamento” degli umani.

di Enrica Perucchietti

pubblicato il 13 Febbraio 2018

«I robot uccideranno un sacco di posti di lavoro, perché in futuro queste mansioni verranno svolte dalle macchine». L’allarme viene da Davos, dove Jack Ma, fondatore e principale azionista del sito di commercio on line Alibaba, ha denunciato il fatto che l’Intelligenza Artificiale è una “minaccia” per gli esseri umani e che presto i robot cancelleranno milioni di posti di lavoro, «perché in futuro queste mansioni verranno svolte dalle macchine». Macchine che, a differenza dei lavoratori umani, non devono essere pagate, non soffrono la stanchezza, la fame o la depressione.

Si tratta dell’ennesimo allarme sui pericoli dell’automazione che proviene da un uomo d’affari e pioniere nel campo delle nuove tecnologie: Ma, come molti nomi illustri prima di lui, si è detto preoccupato per il futuro dell’umanità. «La tecnologia», ha spiegato, «dovrebbe sempre fare qualcosa per potenziare le capacità della gente, non diminuirle».

Le parole di Ma risuonano in tutto il mondo negli stessi giorni in cui è scoppiata la polemica riguardante il braccialetto elettronico in grado di monitorare i movimenti dei dipendenti e di controllarne la produttività brevettato da Amazon nel 2016 ma riconosciuto ufficialmente soltanto la scorsa settimana. La multinazionale di Jeff Bezos si è difesa dalle accese polemiche e ha risposto al clamore suscitato parlando di “speculazioni” e sostenendo che «la sicurezza e il benessere dei dipendenti sono la nostra priorità».

Per chi volesse approfondire la questione rimando al libro inchiesta di Jean-Baptiste Malet En Amazonie, dove il giornalista racconta la sua esperienza di “infiltrato” come lavoratore interinale all’interno di un magazzino francese di Amazon per circa un mese, testimoniando i ritmi di lavoro frenetici e massacranti, le pause cronometrate, un sistema di controllo che esaspera la competitività tra gli stessi lavoratori, ecc. Situazioni che si possono ritrovare in molti altri posti di lavoro, dove le condizioni dei dipendenti sono a dir poco alienanti.

Sempre più spesso sentiamo parlare della stretta sul controllo elettronico, di “innovazioni tecnologiche” per rendere i processi produttivi più semplici ed efficaci che si rivelano però, a uno sguardo più attento dei mezzi per de-umanizzare il lavoro e schiavizzare i dipendenti. Si tratta di una nuova forma di “capolarato digitale” che, grazie al controllo sempre più pervasivo, sta rendendo i lavoratori degli “uomini di vetro”, trasparenti e sotto costante sorveglianza. Ciò non può che causare ulteriore stress, competitività e depressione nei dipendenti registrando preoccupanti ripercussioni nell’intero tessuto sociale.

Riccardo Staglianò, nel suo libro “Al posto tuo”, parla di “disboscamento dagli umani” in quanto il supercapitalismo digitale, in particolare in settori come la logistica, non solo ha «assunto magazzinieri, pagandoli poco e facendoli trottare tanto», ma ora punta alla progressiva sostituzione dei lavoratori umani con le macchine, come confermato oltreoceano dallo stesso Ma.

Invece di “progredire”, di evolverci e di migliorare non solo la produttività ma anche le condizioni e i diritti dei lavoratori, siamo ripiombati indietro nel tempo, registrando ritmi di lavoro frenetici, terrorismo psicologico e condizioni al limite della schiavitù.

A ciò si aggiunge la questione del controllo sul luogo di lavoro, tematica di certo non è nuova che ho ampiamente trattato in precedenza nei miei articoli e saggi (si veda: http://www.interessenazionale.net/blog/tutti-controllati-col-chip-sottopelle). Pensiamo per esempio alla nuova moda di impiantare chip dermali per “comodità”, sui luoghi di lavoro senza minimamente pensare alle conseguenze sociali del gesto (ho già citato in un precedente articolo il caso della Three Square Market i cui manager avevano proposto ai propri dipendenti l’innesto di un microchip RFID in grado di contenere tutte le informazioni utili alla vita in azienda e il caso della svedese Epicenter). Già nel 2015 Fincantieri aveva provato a introdurre una modalità simile: nel corso delle trattative per il rinnovo del contratto integrativo l’azienda avrebbe chiesto di introdurre microchip negli scarponi e negli elmetti degli operai «per implementare la sicurezza» sul lavoro e conoscere sempre la posizione dei dipendenti. I sindacati intervennero dichiarando inaccettabile la richiesta.

Non è necessario infiltrarsi come Malet in un’azienda per immaginare la situazione di alcuni lavoratori, condannati a lavorare come in un girone infernale. Lavorare male e in modo precario per guadagnare poco e vivere altrettanto male.

In questa discesa agli inferi, il lavoro prima è stato delocalizzato per abbassare i costi, trasferendo la produzione in Paesi emergenti, dove gli operai costano meno che da noi, poi come effetto collaterale della delocalizzazione i lavoratori immigrati sono arrivati da noi sperando di guadagnare di più. La miseria con cui venivano pagati gli immigrati è diventata poi il parametro cui adeguare la nostra paga, livellando così verso il basso tutti i salari. Il lavoro è diventato sempre più disumano e precario.

Ovviamente non è finita. Il passo successivo è la sostituzione dei lavoratori con i robot, come denunciato da Jack Ma. La Terza Rivoluzione Digitale è in atto e Ma invita a «non competere con le macchine» ma a sviluppare ciò che i robot non possono ancora rubarci: la creatività e lo spirito di collaborazione. Per evitare che lo sviluppo tecnologico ci schiacci è fondamentale mettere la tecnologia al servizio dell’uomo, invece che contro di esso, migliorando la vita di tutti puntando al benessere collettivo e non alla mera produttività e alla ricchezza di pochi.

https://www.interessenazionale.net/blog/robot-ci-sostituiranno-dal-controllo-elettronico-al-disboscamento-degli-umani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LIBERARSI DEL CORPO, LIBERARE IL CORPO: “GHOST IN THE SHELL”

24 aprile 2017

 

«Nel futuro il confine tra uomo e macchina sta scomparendo. I progressi della tecnologia permettono agli umani di potenziarsi con parti cibernetiche». La “connessione” pervasiva che il capitale ha imposto sull’uomo privandolo della sua “corporeità” e, di conseguenza, provocando una distorsione nella percezione di libertà è raccontata nell’action-movie di fantascienza diretto da Rupert Sanders.

«Il potere, lungi dall’impedire il sapere, lo produce. Se si è potuto costituire un sapere sul corpo, è stato attraverso un insieme di discipline militari e scolastiche. È solo a partire da un potere sul corpo che un sapere fisiologico, organico, era possibile.» Michel Foucault

 

Uno sottofondo di note cupe accompagna lo scorrere delle didascalie di testa, si legge:

Nel futuro il confine tra uomo e macchina sta scomparendo. I progressi della tecnologia permettono agli umani di potenziarsi con parti cibernetiche. La Hanka Robotics, finanziata dal governo, sta sviluppando un agente militare che renderà quel confine ancora più labile, trapiantando un cervello umano in un corpo interamente sintetico. Metterà insieme le caratteristiche più potenti di umani e robot.

Quindi la camera inquadra, con una soggettiva dal basso, i volti mascherati dei paramedici che trasportano un corpo inerme su un lettino mobile, verso una sala operatoria. Sui camici dei paramedici si distingue la sigla hanka.

Il cervello umano, attraverso una leva meccanica, viene immesso nel corpo robotico.

«Funzionerà?», chiede l’uomo in giacca, dallo sguardo di ghiaccio, al medico che ha pilotato l’operazione.

«Sì. Una macchina non sa stare al comando, sa solo obbedire agli ordini. Non sa immaginare, avere cura o intuito. In quanto mente umana in un telaio cibernetico, Mira invece saprà fare tutte queste cose». È la risposta.

Ghost in the Shell, la storia

Dal mese scorso la Universal Pictures distribuisce nelle sale italiane l’action-movie di fantascienza Ghost in the Shell. La pellicola, regia di Rupert Sanders, è un adattamento cinematografico della celebre e omonima saga trans-mediale, ideata da Masamune Shirow alla fine degli anni Ottanta, e divenuta oggetto di culto sulla scena del cyber-punk giapponese.

Giappone, futuro indeterminato, ma molto prossimo: il maggiore Mira Killian (Scarlett Johansson) è un cyborg creato dalla Hanka Robotics, la più potente multinazionale nel settore cibernetico, e incaricato – dalla sezione Numero 9, una divisione governativa dei servizi speciali di pubblica sicurezza, capeggiata da Daisuke Aramaki (Takeshi Kitano) – di scovare ed eliminare Kuze, un pericoloso hacker che minaccia l’ordine costituito. In un rocambolesco susseguirsi di indagini e scontri armati, Mira, cerebro umano impiantato in un corpo sintetico, scoprirà di avere molto in comune con il suo target Kuze, e che il nemico da sconfiggere in realtà non è quello che la Hanka Robotics vuole far credere…

Liberarsi del corpo, liberare il corpo

Piena epoca del potenziamento cibernetico: nel mondo di GitS la maggior parte degli individui sono un ibrido tra uomo e macchina, cioè quasi tutti hanno impianti cibernetici nel proprio corpo, fino al limite massimo, come nel caso di Mira e del supposto antagonista Kuze, di un cerebro innestato su un corpo robotico. Tutti, quasi tutti, o meglio: quelli che possono permetterselo e quelli che non hanno potuto scegliere diversamente.

La sequenza di fotogrammi, sia pur fugace, in cui Mira incontra una prostituta sulla strada, è in questo senso emblematico, perché la prostituta è interamente umana, ed è il sottile ma scintillante indizio – uno dei tanti – che in GitS la rappresentazione fantascientifica non trascende troppo dal materialismo storico: avanzamento tecnologico e matrice economica vanno di pari passo. Di qui si arriva alla questione centrale – posta in essere dalla messinscena – che è il corpo. Ma non ancora non basta. Perché viene aperta anche una breccia sul conflitto di genere, riferito al corpo femminile, quando Mira scopre – a operazione compiuta – di non essere stato oggetto di un salvataggio in seguito a un incidente, ma di essere vittima, come tante altre, di una macchinazione criminale perpetrata dalla multinazionale Hanka Robotics.

Il rimando teorico e immediato è alle riflessioni di Michel Foucault su “corpo e potere”, trasposte alla luce della “connessione” pervasiva – allegorizzata dal cerebro imprigionato nel corpo sintetico, apice del cognitivismo, che il capitale ha imposto sull’uomo privandolo della sua “corporeità” e, di conseguenza, provocando una distorsione nella percezione dell’effettiva libertà.

 

Il “ghost” come topos dell’anima

«Fantasia, sogni, realtà, qual è la differenza? È tutto uguale, solo rumore», sentenzia Batou (Pilou Asbaek), altro membro del commando. Per Mira, come per tutte le altre vittime che condividono la sua condizione – tra cui l’insidioso Kuze, che si scoprirà essere tutt’altro che un “terrorista” efferato –, comincia la lotta per la liberazione del corpo e l’autodeterminazione. Una lotta che tuttavia può essere ingaggiata, giocoforza, solo attraverso le stesse armi del capitale, rivolgendogliele contro: le capacità cognitive per svincolarsi dal controllo, la tecnologia avanzata per sferrare il colpo decisivo.

«Tu sei più di un’arma, tu hai un ghost [ossia un’anima, ossia una coscienza, all’occorrenza ribelle]. Quando avremo la nostra unicità [ossia tra anima e corpo, leggi teoria e prassi], allora troveremo la pace», dice Aramaki – il capo della Sezione 9 – a Mira, quasi fosse una replica speculare alle battute d’inizio pellicola pronunciate dal medico.

Ecco che il ghost, come topos dell’anima e dell’intelligenza impegnati nella lotta per riacciuffare il sensibile, si riaggancia al tema dell’intelligenza artificiale e relative rappresentazioni – navigato da pellicole, serie-tv e adattamenti cinematografici come I.A., Io robot, Westworld, Blade Runner – per condurre la sfida ancora oltre. Per certi versi è un lungimirante ribaltamento della cifra poetica tirata in ballo da The Matrix: non più il puro controllo della mente attraverso realtà virtuali, ma la totale privazione e controllo del corpo. Si è al crocevia ulteriore, quello dell’innesto cerebrale – e non sua riproduzione – sulla massa robotica, operazione che simboleggia l’insistita e pervasiva connessione della nostra mente agli apparati tecnologici quasi che, da appendici del corpo, fossero diventati “corpi sostitutivi”.

«Tutti quelli intorno a me si sentono connessi a qualcosa… A qualcosa a cui io non sono connessa», riflette Mira quando comincia – dopo che l’astinenza da farmaci sedativi le produce i primi cortocircuiti tra ghost e shell – a riacquistare coscienza.

Quale contropotere

Ma come avviene questa liberazione? Il target del maggiore Mira è Kuze, proprio uno di quei ribelli – etichettati come “terroristi” che minano la sicurezza pubblica dalla Haka Robotics – che si battono per la liberazione dallo sfruttamento del capitale. Kuze si è formato tra i reietti dell’underground – «non avevamo niente, a parte noi stessi» – che frequentano la “zona illecita” e cospirano contro lo stato. Anzi: contro il dominio tecnologico del capitale esercitato attraverso la collusione criminale tra governo e multinazionali.

In una selva inondata da gestapo al soldo dei poteri forti, propagande iper-sicuritarie e paranoie diffuse dal sistema stesso nella popolazione, GitS restituisce un affresco distopico che non risulta essere troppo lontano dai tempi bui che corrono. Contro lo “stato assassino” delle cose, l’hacker Kuze crea e usa un network di menti umane per fendere il proprio colpo all’establishment, braccio repressivo delle grandi corporations. Tuttavia dopo che Mira, e con lei tutta la Sezione 9, si rendono conto di combattere la medesima battaglia degli hacker, si accorgono anche che il network creato da Kuze non è un vero contro-potere, ma rischia di tradursi soltanto in una nichilistica ritirata dal conflitto, una latitanza continua, inefficace a scalfire le ingiustizia perpetrate dal sistema corrotto, se non complice e affiliato ai medesimi meccanismi: e in questo GitSveicola una potente e necessaria riflessione sulla deriva anarco-capitalistica dei movimenti libertari legati alle cyber-culture.

Il vero contro-potere, allora, è fare luce su come la Hanka Robotics, ergo: il capitale, – attraverso il braccio armato dello stato – abbia legalizzato amenità e ingiustizie e, quindi, colpire, anche e soprattutto dall’interno. Ecco che la Sezione 9 da cardine della legalità si fa giustiziere. Mira si rifiuta di fuggire nel network con Kuze e rimane nella realtà, a combattere:

La mia mente è umana, il mio corpo è costruito. Sono la prima del mio genere, ma sarò l’ultima. Ci aggrappiamo ai ricordi come se ci definissero, ma è quello che facciamo a definirci. Il mio ghost è sopravvissuto per ricordare a quelli che verranno dopo di noi che l’umanità è una virtù.

Eppure, l’orizzonte – ancorché illuminato dalle lotte per giustizia ed emancipazione, resta cinereo – e l’evasione da tutto è capace di sedurre anche i guerriglieri più intransigenti come Mira, che per rifiatare deve paradossalmente immergersi nei fondali di un lago.

«Niente voci, niente dati in streaming, il nulla. Mi fa paura», dice Mira rivolta all’amico Batou.

«E perché ci vai?»

«Perché sembra reale».

 

Il prossimo autunno uscirà in sala Blade Runner 2049. Un remake dalle ampie pretese commerciali, che da sempre muovono l’industria cinematografica, certo. Ma questa rinnovata e insistita produzione del fantascientifico, forse, è anche il segno dell’imperitura esigenza di rappresentazioni in grado di portare a galla le contraddizioni del sistema costituito, come dà prova di fare Ghost in the Shell.

 

https://www.idiavoli.com/it/article/liberare-corpo-ghost-in-the-shell

 

 

 

 

STORIA

Parliamo del 25 aprile?

Rosanna Ruscito 23 04 2019

 

La mattina del 25 aprile 1945, Giuseppina fu sequestrata da tre partigiani e portata nei locali della Scuola Media “Guido Bono” a Legino, adibito a Campo di Concentramento per i fascisti.

Le cosparsero la testa di vernice rossa e le vergarono la emme di Mussolini sulla fronte per poi esibirla in pubblico come un trofeo di caccia. Fu pestata a sangue e violentata per giorni.

Il 30 aprile fu posto fine al suo martirio con un colpo di pistola alla nuca e il suo corpo gettato, insieme ad altri, su un cumulo di cadaveri davanti al cimitero di Zinola.

Al riconoscimento della piccola partecipa Stelvio Murialdo il quale dà una testimonianza agghiacciante:

«…erano terribili le condizioni in cui l’avevano ridotta, Evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a cancellare la sua giovane età. Una mano pietosa aveva steso su di lei una sudicia coperta grigia che parzialmente la ricopriva dal collo alle ginocchia. La guerra ci aveva costretto a vedere tanti cadaveri e in verità, la morte concede ai morti una distesa serenità; ma lei, quella sconosciuta ragazza

NO!!! L’orrore era rimasto impresso sul suo viso, una maschera di sangue, con un occhio bluastro, tumefatto e l’altro spalancato sull’inferno. Ricordo che non riuscivo, come paralizzato, a staccarmi da quella povera disarticolata marionetta, con un braccio irrigidito verso l’ alto, come a proteggere la fronte, mentre un dito spezzato era piegato verso il dorso della mano” …»

Questo sono e sono stati i partigiani

 

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