IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA CIVILTÀ MONDIALE

IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA CIVILTÀ MONDIALE

Nicola Walter Palmieri – 14 APRILE 2021

FONTE: https://www.vicenzapiu.com/leggi/italiano-questo-sconosciuto-per-suarez-e-per-molti-altri-che-lo-bocciano-ma-declinano-i-verbi-invece-che-coniugarli/

  1. Formazione della civiltà mondiale. L’immenso tessuto, nella cui trama sono entrati fili innumerevoli diversi per natura, colore e pregio, che rappresenta lo sviluppo della civiltà, non permette di stabilire una gerarchia di apporti: il valore supremo, la civiltà, è dato dal risultato complessivo in cui tutti i contributi interagiscono e si fondono. Questo non toglie tuttavia che si possa cercare di distinguere fra i contributi che le varie comunità umane hanno fornito alla formazione della civiltà mondiale, quel complesso di cognizioni, capacità e valori che costituisce il patrimonio disponibile (anche se non sempre e non in tutto condiviso) dell’umanità.

             Gli italiani hanno avuto grande parte nell’immenso sforzo del progresso dell’umanità. Intendo gli italiani non come entità etnica, che non sono mai stati, ma come il popolo, costituitosi in unità culturale distinta, che abita quella curiosa piccola penisola in forma di stivale che si trova all’estremità sud-orientale di quell’altra curiosa appendice del continente asiatico che è l’Europa.

             L’Italia, come tutta l’Europa occidentale, non partecipò sensibilmente al primo sviluppo della civiltà umana che si svolse fra il quarto e il primo millennio avanti Cristo sulle pianure irrigate dai grandi corsi d’acqua delle aree calde (Nilo,  Tigri, Eufrate, Indo, e i grandi fiumi della Cina). Le principali civiltà del continente americano, sorte molto più tardi, mai superarono un livello analogo a quello raggiunto in Mesopotamia e in Egitto quattro millenni prima.

             Il principio della storia in Italia è nel primo millennio avanti Cristo, e fu il risultato dell’evoluzione dei popoli indigeni, dell’arrivo dei Celti, degli Etruschi (la cui provenienza dall’Asia sembra l’ipotesi più probabile), e delle numerose colonie di cui le città greche costellarono, come il resto del Mediterraneo, Sicilia e Italia meridionale, talché quest’ultima finì con l’essere chiamata Magna Grecia, nuovo territorio dell’Ellade, che superò, in prosperità e potenza, l’antica madrepatria (fenomeno forse paragonabile nella colonizzazione europea del continente americano che divenne la Magna Europa).

             Gli Etruschi, popolo misterioso che occupò l’Italia centrale tirrenica sopra Roma, e si spinse fino nella Valpadana, arrivarono intorno al 1000 a.C., vissero più o meno pacificamente per qualche secolo, influenzarono, e per qualche tempo, dominarono, Roma nascente, e si stemperarono presto nell’espansione romana. A parte testimonianze presenti della loro arte di costruttori in città come Volterra, Arezzo, Perugia, Cortona, Tarquinia, e in numerose tombe ornate di sculture e di affreschi, non lasciarono molto ai posteri. La loro lingua è indecifrata nonostante le numerose iscrizioni rimaste in caratteri simili a quelli greci. Da loro, Roma derivò elementi di organizzazione statale, principi e rituali religiosi, e una tecnica architettonica, l’arco e la volta, che i Greci non conoscevano e che contraddistinse l’architettura romana e quella occidentale di tutti i secoli a venire. La civiltà greca in Italia ebbe una fioritura e un impatto ben più importanti. Sono in Italia – a Siracusa, Agrigento, Segesta, Selinunte, Pesto, e in innumerevoli altri siti – superstiti monumenti dell’architettura greca di altissima qualità, e in quantità maggiore di quanto è rimasto nella Grecia odierna. Alcune delle grandi menti filosofiche e scientifiche del mondo greco (Pitagora, Parmenide, Zenone, Archimede) prosperarono in Italia.

  1. Universalità di Roma. Tutti questi elementi di civiltà, autoctoni o di importazione, furono incorporati, unificati e portati a nuovi sviluppi dall’energia dominatrice dello sparuto popolo di pastori e piccoli agricoltori stanziati sulla riva del basso Tevere che, nell’ottavo secolo a.C., fondò un villaggio predestinato ad alti destini. Dopo secoli passati nel difendersi e nell’affermarsi contro i bellicosi popoli italici, contro gli Etruschi, e contro le popolazioni celtiche dell’Italia del Nord, Roma alfine conseguì il controllo dell’Italia e si trovò ad affrontare l’altra potenza mediterranea, quella dei Fenici, guidata dalla grande città commerciale africana Cartagine. Trasformatisi rapidamente in potenza marittima, i Romani affrontarono Cartagine in tre lunghe e sanguinose guerre, in cui la loro stessa sopravvivenza fu più volte in pericolo. Alla fine trionfarono, Cartagine fu distrutta, e la nuova potenza egemone mediterranea poté volgersi alla conquista di un impero più grande, e certo più duraturo, di quello messo insieme da Alessandro. Al suo culmine, intorno al 100 d.C., l’Impero Romano si estendeva dal Marocco atlantico alla Scozia, dal Reno al Danubio, dall’Armenia alla Mesopotamia e all’Egitto. Al centro stava Roma, caput mundi, verso cui confluivano tutte le sapienze, i culti, le idee, le tradizioni, le culture di un mondo vastissimo e multiforme, al quale Roma dette l’impronta unificante con la sua capacità di governo, il diritto, la pax romana che da essa fu assicurata, e con le due lingue universali, il latino e il greco.

             Il mondo non aveva mai assistito prima, né vide poi, un fenomeno simile a quello per cui, durante più di quattro secoli, chiunque poté muoversi sicuro fra Cadice e Antiochia, Damasco e Lione, la Britannia e l’Armenia, parlando una sola lingua, rispettando una sola legge a tutti applicabile, usando una sola moneta, seguendo liberamente i propri costumi e la propria religione (salvo l’obbligo di un formale omaggio all’autorità imperiale). Un periodo di pace e di tolleranza universali, non un’età dell’oro ma qualcosa che vi si poteva avvicinare, quando, come disse Anatole France, “gli dei non c’erano più e Dio non era ancora nato”. Fu l’Impero Romano, con la sua affermazione di universalità e con gli strumenti che esso aveva sviluppato, a consolidare i raggiungimenti delle civiltà fino allora esistenti, a stabilizzarli, a farli progredire, e infine a permetterne la sopravvivenza nonostante le tragedie, i sommovimenti e le regressioni provocati dai successivi movimenti di popoli che noi abbastanza impropriamente chiamiamo le invasioni barbariche. Nella parte occidentale dell’Impero, dopo il VI° secolo, la vita urbana e molti aspetti della civiltà classica si ridussero quasi a nulla. Tuttavia non scomparvero, e la vita civile dell’eredità greco/romana, rinforzata da nuovi apporti – il fresco vigore delle genti germaniche, l’influenza pervasiva del cristianesimo – lentamente riapparve e prese nuove, anche più forti, radici. Fu infine l’Impero Romano che costituì la premessa e pose le condizioni per l’espansione e l’affermazione universale del cristianesimo, forse dopo esserne stata la vittima, come sostenne il Gibbon, e fornì alla Chiesa il modello di struttura organizzativa che le è efficacemente servito per due millenni.

             Cosa ha assicurato il successo del modello romano, la sua persistente influenza nel mondo, il suo contributo alla civiltà? Anzitutto l’idea dell’unità del mondo che poteva e doveva avere un reggitore unico, a cui si potevano applicare, nel rispetto delle diversità, istituzioni e principi universali che avrebbero assicurato pace e prosperità. Strumenti per questi fini, la legge e la capacità di governo. Nessun popolo aveva prima di Roma elaborato un sistema di leggi così complesso e pervasivo, così saggio, acuto e umano, come quello romano, che poté in modo del tutto appropriato essere definito ratio scripta. Il diritto romano, che ebbe la sua conclusiva compilazione nel Digesto ordinato dall’Imperatore Giustiniano nel VI° secolo d.C., e che sopravvisse in tale forma ai secoli bui, è certamente uno dei più alti monumenti dello spirito umano, e rappresenta parte sostanziale, ancora feconda e vitale, del contributo di Roma, dei Romani, degli Italiani, alla civiltà mondiale. Mai del tutto abbandonato – il diritto romano rimase vigente come legge personale dei popoli dominati nei regni barbarici dell’Europa e fu alla base del diritto della Chiesa – è stato ripreso e studiato nelle nuove Università, a partire da quella di Bologna nel XII° secolo, applicato costantemente nei Paesi europei di diritto civile, recepito nei Paesi germanici; costituì la base dei codici legislativi di numerosi Paesi, il maggiore dei quali fu il Code Napoléon, e fu adottato da importanti Paesi estranei alla tradizione romanistica, Russia, Giappone, Turchia i quali, quando vollero dotarsi di leggi moderne, presero a modello i codici di Paesi che alla tradizione romanistica si erano ispirati. Anche la common law dei Paesi anglosassoni, che ebbe origine ed evoluzione autonome, fu grandemente influenzata dal diritto romano attraverso gli apporti normanni, il diritto canonico e la lex mercatoria. Ancora oggi, la componente più forte dell’impostazione giuridica del mondo (non solo di quello occidentale) ha le sue salde radici nel diritto elaborato due millenni fa nella penisola italica.

             Nel campo della filosofia e dell’arte, senza riuscire a ripetere quel miracolo di creatività per cui il mondo ellenico in pochi secoli pensò il pensabile, Roma fornì gli archetipi alla poesia, la tragedia e la commedia (Cesare, Cicerone, Virgilio, Orazio, Catullo, Ovidio, Tito Livio, Tacito, Seneca, Agostino). Nell’architettura e nelle arti figurative in genere, i Romani dettero contributi sostanziali con testimonianze insuperate nella ritrattistica, nel bassorilievo, la pittura muraria, il mosaico.

             Soprattutto, i Romani furono infaticabili e impareggiabili costruttori, intenti principalmente a dotare l’Impero di strutture civili. Le strade permanenti che congiungevano a Roma e fra di loro le più lontane Province, i ponti, gli acquedotti, i centri urbani, i templi, tutti caratterizzati dalla solidità della muratura, della pietra e del marmo, e dall’uso sapiente dell’arco e della cupola, costruiti per la pubblica utilità, dignitosi e solenni, edificati per durare non secoli ma millenni, sopravvissero in tutti gli angoli dell’antico Impero alle innumeri vicende distruttive, alcuni ancora adibiti all’originario impiego, come il ponte di Salamanca, l’acquedotto di Segovia, gli anfiteatri. L’architettura romana, attraverso la reviviscenza e rielaborazione nel Rinascimento e nel Neoclassico, ha improntato di sé la cultura edificativa e l’aspetto urbano di tutto il mondo occidentale (e non solo di quello).

             C’è chi obietta che gli italiani di oggi non sono discendenti diretti dei romani. È impostazione fallace. Gli apporti degli invasori barbarici e arabi, pur culturalmente importanti, sono stati quantitativamente modesti. Si calcola che al culmine dell’Impero, l’Italia abbia avuto da 6 a 8 milioni di abitanti, gli ostrogoti, i goti, i longobardi, gli arabi non ammontarono mai a più di qualche centinaio di migliaia.

  1. Il Cristianesimo. Una funzione storica fondamentale svolta da Roma fu quella di essere stata all’origine del cristianesimo e di averne permesso la diffusione e l’affermazione in un ambito territoriale ampio e politicamente unitario, da cui si sarebbe irraggiato in tutto il mondo. Gli uomini di fede dovrebbero interrogarsi sul disegno provvidenziale che fece nascere il Redentore in una località posta al centro dell’Impero romano e in un momento in cui l’estensione e la potenza dell’Impero stesso erano al loro culmine. La predicazione di Paolo, che era cittadino romano, scriveva in greco e parlava greco e latino, sarebbe stata molto meno efficace in un contesto politico e culturale frammentato. L’Impero Romano, che all’inizio (e con lunghi intervalli) reagì contro la nuova religione che con esso rivaleggiava nella pretesa universalistica, alla fine si arrese, la adottò con l’editto di Milano, e la impose in tutto l’ecumene centrato sul Mediterraneo, da dove mossero fervidi evangelizzatori a diffondere il Verbo presso le genti germaniche, slave, e oltre.

             La Chiesa si ispirò all’Impero nella sua struttura legale e organizzativa, e persino nella terminologia, nei riti e nelle architetture (le chiese basilicali ricalcano la struttura del principale edificio pubblico dell’era imperiale, la basilica). Il latino, lingua della Chiesa, rimase per diciotto secoli lingua universale anche della scienza, e veicolo attraverso il quale tutti i dotti del mondo potevano comunicare. Da poco, purtroppo, la Chiesa ha abbandonato il latino, che però sopravvive, con gli apporti germanici e arabi, nell’italiano, che è il latino parlato oggi con l’abbandono delle declinazioni, e nelle altre lingue romanze. Anche nelle lingue germaniche – tedesco e inglese – le parole di origine latina rappresentano una grande percentuale del lessico. Significativo è l’apporto di parole di origine latina in altre lingue ampiamente diffuse (russo). Italiani di nascita o di cultura furono, oltre che la grande maggioranza dei Pontefici, molte figure fra le più rappresentative nella santità e nelle scienze teologiche (Ambrogio, Agostino, Benedetto, Francesco, Chiara, Tommaso d’Aquino).

             Nel lungo traghetto del mondo occidentale attraverso il Medioevo, la Chiesa, e gli italiani che ne rappresentarono sempre l’ossatura sia nel bene che nel male, salvarono il passato e lo consegnarono all’Evo moderno.

  1. Esplorazioni geografiche. Quando, alla fine del Medioevo, il mondo intero si aprì allo spirito di intrapresa e all’ansia di conoscenza, furono italiani i maggiori protagonisti: viaggiatori, mercanti, missionari, navigatori. Marco Polo svelò per primo l’Oriente più lontano all’Europa, Giovanni dal Pian del Carpine andò in missione presso i Tartari, i fratelli Vivaldi, genovesi, e Lanzarotto Maroncello, seguiti dai portoghesi condotti da Nicoloso da Recco e dal fiorentino Agostino del Tegghio dei Corbieri, scoprirono le Canarie (fine XII°/principio XIV° secolo) e vi stabilirono una colonia (1410-1339). Ugolino e Guido Vivaldi tentarono per primi, alla fine del 1300, un viaggio transoceanico per raggiungere l’India, non si sa se dirigendosi verso Ovest, o verso Sud per circumnavigare l’Africa. Non tornarono. Antoniotto da Noli detto Usodimare e Alvise Ca’ da Mosto, veneziano, scoprirono le isole del Capo Verde e si spinsero nel Golfo di Guinea. Il genovese Cristoforo Colombo scoprì l’America, non importa se credeva di essere arrivato in Asia. Giovanni Caboto, veneziano, finanziato dai mercanti di Bristol, fece nel 1497 un viaggio verso le Indie lungo una rotta più a Nord di quella di Colombo. Sbarcò nel Maine (o nella Nova Scotia), toccando Terranova. Nel 1498 salpò con cinque navi per un secondo viaggio, da cui non ritornò. Fra il 1497 e il 1502, il fiorentino Amerigo Vespucci, navigando prima per la Spagna e poi per il Portogallo, esplorò la costa settentrionale e orientale del Sudamerica, e giunse finalmente alla convinzione che si trattava di un nuovo continente che doveva a sua volta essere separato dall’Asia da un oceano. Fu per questo, e non tanto per i suoi viaggi, che il Waldseemüller propose che il Sudamerica fosse chiamato America, nome poi esteso per volontà popolare anche alla parte settentrionale del continente. Nel 1508 e 1509, Sebastiano Caboto, figlio di Giovanni, dopo avere toccato l’Islanda e la Groenlandia arrivò in Labrador, scoprì probabilmente la Baia di Hudson che ritenne costituisse il passaggio a Nord-Ovest per il Pacifico, seguì la costa nordamericana fino all’altezza della Virginia, prima di tornare in Inghilterra. Giovanni da Verazzano, nel 1524, al servizio del Re di Francia, esplorò per primo la costa orientale degli Stati Uniti fra la Florida e il Canada, entrando nella Baia di New York, e si affacciò sul fiume Hudson. Nel 1526/1530, Caboto, al servizio della Spagna, cercò il passaggio a Sud, ma non andò oltre il Rio de la Plata. Il vicentino Pigafetta, storico di bordo di Magellano, completò il giro intorno al mondo e consegnò alla storia la cronaca del viaggio con il suo diario.

              Niente di tutto ciò andò a diretto beneficio dell’Italia, che dopo la fioritura e lo splendore economico e artistico del periodo comunale e di quello delle Signorie si avviò, a cavallo fra il XVI° e il XVIII° secolo, verso un periodo di decadenza e di dominazioni straniere che non le permisero per lungo tempo di avere alcun ruolo politico su scala mondiale.

  1. Rinascimento. Nei primi cinque secoli del secondo millennio, l’Italia fu la protagonista culturale e artistica del mondo occidentale. Si manifestarono in Italia i prodromi di quella esplosione liberatoria dello spirito umano che è stato il Rinascimento, e fu in Italia che si ebbero le sue più alte realizzazioni. L’Europa seguì con un secolo di ritardo e, salvo meravigliose eccezioni come l’architettura gotica del Settentrione, la poesia trobadorica e la musica franco-fiamminga, si ispirò all’Italia e si lasciò trasformare dal suo esempio. Prestissimo, all’inizio del XIV° secolo, la poesia italiana toccò con Dante vette mai più raggiunte, dette con Petrarca un modello per tutta la poesia intimistica europea dei secoli successivi, e con Boccaccio il modello per la narrativa. L’Ariosto fornì con l’Orlando Furioso l’esemplare insuperato di poema cavalleresco, e il Machiavelli scrisse, fra tante altre mirabili prose, il primo realistico trattato sulla politica o arte di governo. Il Castiglione con il Cortegiano e il Della Casa con il Galateo codificarono l’eleganza del vivere.

             Furono opera degli italiani dei grandi Comuni mercantili e delle città marinare del Medio Evo alcuni degli istituti e strumenti decisivi per lo sviluppo dell’industria e dei traffici, come molti dei contratti bancari, il credito lombardo, il concetto dello star del credere, l’impostazione del moderno diritto fallimentare, il contratto di assicurazione marittima (ordinanza pisana del 1318, legge genovese del 1369), la lettera di cambio sviluppata in Toscana ai primi del ‘300 che la tradizione attribuisce al Mercante di Prato Francesco Datini, la contabilità a partita doppia codificata dal matematico francescano Luca Pacioli, amico di Leonardo.

             Cento città d’Italia si munirono di solide mura e si adornarono di edifici pubblici, religiosi e privati, armoniosi e leggiadri. La severa architettura romanica e gotica – quest’ultima già ingentilita in Italia rispetto agli esempi d’oltrealpe – evolsero per opera di geniali architetti (Brunelleschi, Solari, Coducci, Bramante, Michelangelo, Vignola, Bernini, Borromini), in palazzi e templi che si richiamano ai canoni classici, ricreandoli e rinnovando l’aspetto delle città, delle ville, dei giardini. Fornirono l’esempio al resto d’Europa e a tutto il mondo. Che sarebbe il mondo senza quanto è stato costruito in ogni dove sotto l’influenza del Palladio?

             Le arti figurative del rinascimento italiano furono anch’esse protagoniste, con Giotto, Massaccio, Piero della Francesca, Beato Angelico, Signorelli, Perugino, Raffaello, Leonardo, Michelangelo, i Carracci, Caravaggio, Giambellino, Veronese, Tintoretto e Tiziano, Tiepolo e Canaletto. Anche nel campo della scultura, gli italiani sono all’avanguardia in Europa, con Jacopo della Quercia, Donatello, Brunelleschi, Michelangelo, Bernini. Maestri grandi e scuole eccellenti nacquero anche altrove, ma il viaggio in Italia restò a lungo necessità per ogni artista che intendeva completare la sua formazione. Le mode artistiche e l’attività degli artisti italiani si sparsero per tutta Europa e lasciarono impronte indelebili.

  1. La musica. La base della notazione musicale venne posta, nell’XI° secolo, dal frate toscano Guittone d’Arezzo, e la terminologia della scrittura musicale è rimasta italiana, in tutto il mondo. Al cantus planus della Chiesa del primo millennio, l’Italia dette un prevalente contributo con il canto ambrosiano e quello gregoriano. Ai grandi esponenti nordici della musica polifonica dopo il 1300, l’Italia contrappose compositori geniali e innovativi (Palestrina, Gabrieli, Luca Marenzio, Carlo Gesualdo da Venosa, Claudio Monteverdi, Carissimi). L’Italia inventò l’opera, con la Camerata Fiorentina e le due Euridice del Peri e del Rinuccini (1600 e 1602), e con il grande Monteverdi dell’Orfeo e dell’Incoronazione di Poppea. L’opera, attraverso tutto il ‘600 e il ‘700, fu la forma musicale italiana per eccellenza, salvo i grandi nomi di Händel e Gluck, e quello grandissimo di Mozart le cui opere più importanti furono comunque composte, per l’eterno piacere dei posteri, sui deliziosi e musicalissimi libretti italiani di Lorenzo Da Ponte. Nell’Ottocento, il belcanto italiano si affermò nella splendida, prolifica triade di Rossini, Bellini e Donizetti,  con il degno epigono Giacomo Puccini. Su tutti torreggiò Giuseppe Verdi che, come disse il Poeta, “pianse e amò per tutti”, in capolavori che ogni giorno, in qualche parte del mondo, toccano il cuore degli uomini. (Unico grande compositore che rivaleggiò con Verdi fu Richard Wagner).

             Anche se il trionfale successo dell’opera deviò nel secolo scorso l’interesse degli italiani dalla musica strumentale, essa non esaurì l’apporto italiano alla musica mondiale. Alcune delle principali forme musicali furono create o sviluppate nel Novecento da italiani: l’oratorio, la cantata, la sonata, il concerto grosso, molti furono i grandi compositori (Frescobaldi, Corelli, Sammartini, Scarlatti, Vivaldi, Paganini). Fu un italiano, il Cristofori, l’inventore del principe degli strumenti, il pianoforte. Gli strumenti ad arco furono fissati nella forma definitiva e in esemplari di qualità insuperabile da liutai lombardi: Gaspare da Salò, Giuseppe Guarneri del Gesù, Antonio Stradivari, i fratelli Amati. In ogni epoca, furono italiani alcuni fra i  più grandi esecutori e interpreti.

                7.            Conclusione. Stendhal fece propria la frase che in Italia la pianta uomo è sempre cresciuta vigorosamente e ha dato abbondanza di frutti. Oggi, l’Italia  soffre, come tutta Europa, di abulia farcita di servile frenesia imitativa di banali modelli esterni, e di mania di sottomissione. Dovrebbe invece imporre il proprio retaggio di civiltà, a incominciare con il ripudio dello smodato e fastidioso deturpamento della sua lingua, completa e armoniosa.

Informazioni personali

Ruvigliana, Canton Ticino, Svizzera
Avvocato iscritto agli Albi di Montreal e New York (ammesso al Southern District of New York e alla United States Supreme Court). Esercita la professione legale a Roma. È stato il responsabile della funzione legale di grandi società industriali (BASF Corporation, Montedison, Parmalat). Ha insegnato materie giuridiche ed economiche, ed è autore di numerosi articoli e libri (in maggior parte editi da CEDAM). È Ufficiale in congedo dell’Aeronautica Militare italiana. Vive a Ruvigliana in Svizzera