NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 4 MARZO 2019

https://www.doppiozero.com/materiali/recensioni/lesegesi-il-vangelo-secondo-philip-k-dick

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

4 MARZO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Bisogna avere sempre l’aria utile quando non sei ricco.

LOUIS-FERINAND CÉLINE, Viaggio al termine della notte, Corbaccio, 1992, Pag. 126

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

 

La democrazia rappresentativa è morta da tempo, ma fanno tutti finta di niente

Contro il governo italiano, Fazio scatena il nemico Macron  1

Twin Towers, 15.000 morti. Stop ai sussidi per i moribondi 1

ONG MINACCIANO ITALIA: “A METÀ MARZO TORNIAMO” – VIDEO. 1

LA SINISTRA TENTA DI AFFONDARE IL GOVERNO GIALLO VERDE CON IL CONCORSO DEI POTERI FORTI 1

Tangenti a Ischia: spuntano Kyenge, Zingaretti e Sposetti 1

Che tempo che fa, Fabio Fazio fa lo spot a Emmanuel Macron: ecco cosa gli ha domandato 1            

Fabio Fazio, interrogazione parlamentare contro la continua presenza di Roberto Saviano              

Stato maggiore russo svela lo sviluppo della strategia USA “Cavallo di Troia”

Il grande imbroglio sul Venezuela 1

L’Esegesi: il vangelo secondo Philip K. Dick 1

Svelati i servizi segreti del Vaticano 1

Intervista a Walter Miglio. Troppe cose non tornano nella Perizia di Priore su Ustica 1

Macron e la malizia che scambia l’antisionismo con l’antisemitismo 1

Ius soli: se Sartori critica Kyenge su meticciato e competenze 1

Guerre, ingerenze e business: tutte le contraddizioni degli “aiuti umanitari” 1

Lo studio che inchioda la Germania: solo Berlino ha guadagnato dall’euro 1

La Spagna è ripartita grazie a deficit e debito 1

BREVE STORIA DELL’EVOLUZIONE DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO ED EFFETTI SULLA GIUSTIZIA SOCIALE. 1

La Banca d’Italia 1

NON CESSA L’ATTACCO DELLE TOGHE ROSSE AL GOVERNO. 1

BASTA CON I MAGISTRATI CHE FANNO POLITICA. 1

Diciotti, Ong e migranti, “deriva xenofoba e razzista”. 1           

IL PROGRAMMA DI KYENGE: “CAMBIARE COMPOSIZIONE ETNICA DEL POPOLO ITALIANO” 1

Il reddito di cittadinanza del governo tra luci e ombre 1

Incutere 1

Il montante disprezzo degli americani verso i miliardari 1           

Guida alla montante vergogna chiamata elezioni europee

Primarie: cosa sono e quando nascono. 1

Zingaretti: cronaca di un grande bluff 1

L’Italia nella dottrina Trump 1

L’Agenda Digitale: blockchain, smart contract e deliri punto zero. 1

“ERAVAMO ARRIVATI ANCHE AL PCI, POI L’INCHIESTA È STATA FERMATA DAI SERVIZI SEGRETI DEVIATI” 1

 

 

 

EDITORIALE

La democrazia rappresentativa è morta da tempo, ma tutti fanno finta di niente

Manlio Lo Presti – 4 marzo 20189

La cinica affermazione “se le elezioni fossero efficaci, le avrebbero abolite” è oggi più veritiera rispetto al passato. Un sistema democratico veramente funzionante è da sempre avversato dalle oligarchie che tentano di rimuoverlo con la scusa della globalizzazione (motivo formale/ufficiale) per avere mano libera speculando e lucrando fra le differenze dei sistemi politici ed economici (motivo VERO).

La mondializzazione ha avuto come primo effetto quello di creare una grave crisi della rappresentanza come la conosciamo oggi, con la popolazione che va a votare alle urne, con procedure rigide, trasparenti, controllate e sottoposte al controllo delle opposizioni. E nonostante questi paletti, talvolta vengono rilevati brogli! Vengono eletti i parlamentari che svolgono il loro ruolo basato sul mandato di rappresentanza consacrato dal voto popolare, appunto. Per rettificare o denunciare difformità o abusi del mandato con voto, era previsto l’utilizzo del referendum, successivamente sottoposto a regole sempre più stringenti fino ad eliminarne l’efficacia.

Con la globalizzazione, si è esportato il sistema politico USA dove i partiti sono dei club guidati dal capo carismatico o da un ristrettissimo ed oscuro direttorio.

Un altro artificio di ingegneria elettorale è stata l’introduzione del c.d. “maggioritario” che prevede un premio di maggioranza numerico in Parlamento al gruppo politico che ha preso più voti (in sintesi: con 5 contendenti, consente ad un gruppo con il 20% di avere oltre il 50% di parlamentari). Il premio di maggioranza è un’altra operazione che vanifica le scelte popolari più visibili con il sistema proporzionale che crea tuttavia maggioranze instabili, frutto spesso di coalizioni).

Se a questi meccanismi limitativi o distorsivi della volontà popolare aggiungiamo l’assenza di una previsione di legge che determini una soglia minima di percentuale di votanti rispetto al totale degli aventi diritto desumibili da liste anagrafiche aggiornate e certificate. Una soglia sotto la quale quindi, la votazione è inefficace per scarsità di votanti. L’assenza di questo paletto rende legittime le votazioni del 2 percento della popolazione. Ciò significa che è formalmente possibile prendere il potere con una manciata di voti nonostante la immensa diserzione delle urne. L’assenza di un limite minimo consente agli apparati elettorali di controllare un minore numero di votanti rispetto alle masse di una volta! Consiglio di leggere un libro del Nobel portoghese José Saramago, Saggio sulla lucidità dove l’Autore narra la infausta ipotesi che le urne siano disertate da tutta la popolazione creando conseguenze complesse …

Questo accentramento delle preferenze elettorali è stato accelerato dalle procedure elettroniche diffuse dalla rete internet mondiale che ha contribuito, e continua a farlo, alla progressiva eliminazione del voto popolare consentendo un più facile controllo e manipolazione di gruppi di votanti di minore entità.

Le procedure informatiche che stanno modificando i modelli di rappresentanza politica, la selezione dei deputati e l’accesso al voto sono:

1) il televoto (utilizzato da trasmissioni commerciali e di intrattenimento, con concorrenti che si spellano fra di loro e che sono sospinti in alto o in basso da masse di voti telefonici rispetto alle votazioni palesi durante le trasmissioni), è stato più volte utilizzato in politica dalla piattaforma Rousseau del Movimento 5 stelle: una sorta di referendum elettronico realizzato via web. Le procedure di questa piattaforma non sono verificabili da un istituto di qualità autonomo che può emettere una certificazione pubblica e a prova penale. Non si conoscono gli effettivi partecipanti al voto, che comunque sono sempre pochissimi rispetto alla platea elettorale che ha votato alle urne statali.

2) le primarie. Una procedura importata dal sistema politico USA che presenta molti punti oscuri. Non esiste una lista certificata da istituzioni terze. Non si conosce l’esatto numero dei votanti che possono ripetere il voto andando in più punti/gazebo. La tessera di partito non è un requisito esclusivo e limitante! Può votare chiunque: non iscritti dai 16 anni in poi, residenti e non residenti in Italia. I conteggi sono opachi come la procedura sopra descritta.

3) Blockchain. Si tratta di una procedura informatica consistente in un algoritmo formato da una serie di processi informatici che si integrano progressivamente tra loro, con la tendenza a includere e/o colonizzare ed asservire altre procedure autonome. Si tratta di un sistema che renderebbe del tutto inefficace la manifestazione della normale volontà elettorale della popolazione che viene sezionata in infiniti segmenti di marketing comportamentale che ne prevede a priori ogni decisione sociale.

Richiamando e parafrasando un’opera di Lenin, blockchain rappresenta la “fase suprema” del televoto e del “primarismo”.

TUTTO CIO PREMESSO

Le mature e stanche democrazie occidentali stanno avanzando a grandi passi verso un modello di rappresentanza determinato da un algoritmo tecnetronico. Un algoritmo che si evolve per autoapprendimento armillare costituendo un pericolo mortale per la piena e libera partecipazione dei cittadini alla vita pubblica oramai gestita dalla megamacchina iperprevisionale sul modello della psicopolizia del precrimine ipotizzata nel terrificante film MINORITY REPORT.

P.Q.M.

 

Il sistema “MAGGIORITARIO-TELEVOTO-PRIMARIE-BOCKCHAIN” ha lo scopo, previsto negli anni Settanta dal PRD di Gelli, di eliminare il più possibile in Occidente la volontà popolare e i modelli di rappresentanza politica per andare, in tempi non troppo lunghi, verso una sovragestione totalitaria determinata da un ALGORITMO TECNETRONICO incontrollabile, grazie all’autoapprendimento e all’autoespansione di processo che culminerà infine alla eliminazione degli umani quando risulteranno essere un ostacolo al funzionamento ininterrotto e autoreferenziale della Megamacchina.

 

Ne riparleremo

 

 

 

IN EVIDENZA

Contro il governo italiano, Fazio scatena il nemico Macron

Scritto il 04/3/19

Otto francesi su dieci lo prenderebbero cordialmente a calci nel sedere, invece Fabio Fazio si sloga il collo per annuire ginnicamente ad ogni singola parola pronunciata da sua santità Emmanuel Macron, nella non-intervista in cui il conduttore ha fatto più che mai da stuoino, in prima serata su RaiUno. Obiettivo dell’operazione: il nemico dell’Italia, per una volta travestito da amicone del Belpaese (e sodale di Sergio Mattarella, esplicitamente citato), ha tentato di conquistare gli italiani per spingerli a mollare il governo italiano, cioè il “vomitevole” Salvini e l’odiato Di Maio, quello che flirta apertamente coi Gilet Gialli in vista delle europee. A proposito: nella inevitabile domandina sui Gilet Jaunes, Fazio ha incorporato indebitamente il tema dell’antisemitismo: uscita di sicurezza immediatamente imboccata dal Presidentino, che ha potuto largheggiare in solenni insegnamenti morali, come se i Gilet Gialli non esistessero nemmeno. Tra inchini e sorrisi, Fabio Fazio ha letteralmente oscurato il presidente francese, trattato come una specie di rockstar cui strappare comunque un autografo, nonostante l’evidente declino. Una kermesse teatrale, a prescindere dalle non-risposte fornite alle non-domande. Il Trattato di Aquisgrana? Sappiano, gli italiani, che se la Francia fa accordi con la Germania scavalcando l’Ue lo fa per il bene dell’Italia. Così la vera star – Fazio – ha surclassato l’ectoplasma Macron, ormai ridotto a “morto che cammina” della politica francese.

Nel saggio “Gli stregoni della notizia”, Marcello Foa – fortemente osteggiato proprio dall’Amico dell’Italia nella sua ascesa alla presidenza della Rai – ha messo all’indice i vizi capitali del giornalismo odierno, che troppo spesso rinuncia a fare informazione ripiegando pavidamente sul gossip e sulla propaganda ispirata dai grandi decisori. Forse però non immaginava, Foa, che la televisione di Stato potesse scendere così in basso, offrendo – al potere europeo attualmente più ostile al nostro paese – un palcoscenico privilegiato per esibirsi, mentendo spudoratamente su tutto, senza uno straccio di contraddittorio. Abbiamo un problema, segnala Guido da Landriano su “Scenari Economici”: nell’informazione politica, il Tg1 parla al 60% del defunto Pd e della moribonda Forza Italia, lasciano meno del 15% di spazio ai 5 Stelle e meno del 5% alla Lega. Visto che adesso presiede la Rai, Marcello Foa – l’ex vittima di Macron – non potrebbe battere un colpo? Sempre sul newsmagazine creato da Antonio Maria Rinaldi, Francesco Carraro propone di studiare il “fazismo”, un vero proprio «prodotto ideologico», che quindi si può definire un «complesso di pregiudizi, tic, luoghi comuni, mappe mentali, filtri interpretativi, indotti filosofici, culturali e intellettuali nati per rispecchiare (e giustificare) la struttura dei rapporti di forza economico-sociali, tra le classi».

In base a questa impostazione, sostiene Carraro, al di sopra della “sottostruttura” delle dinamiche sociali «si erge la sovrastruttura delle idee che consolidano, e legittimano, la prima». Oggi, la “sottostruttura” è chiarissima e si concreta «nel trionfo (definitivo?) delle élite finanziarie (rappresentate soprattutto dagli oligopoli bancari e assicurativi) su un’unica, sterminata classe di uomini-massa». Questa situazione «conduce a un precipitato di carattere politico-istituzionale sotto forma di nuovi metodi di governo (quale, ad esempio, l’euro) e plance di comando (quale, ad esempio, il ginepraio di burocrazie a-democratiche dell’attuale architettura Ue)». Ma seleziona anche «una ideologia di riferimento e una classe intellettuale in grado di veicolarla grazie alle bocche di fuoco dei media di regime». Questa intellighenzia «è vocata, per inesorabile inerzia, ad assecondare i padroni del vapore», scrive Carraro. «Da tutto ciò germina, tra l’altro, il “fazismo” e la sua prolifica propensione a farsi megafono del potere costituito». Tipiche le “lezioni” tenute a “Che tempo che fa” da Carlo Cottarelli, maestro indiscusso «della civiltà fondata sul complesso di colpa del debito pubblico e sul culto dell’austerity, sull’efficientissima manutenzione della macchina dello spread».

Ancor più eclatante, aggiunge Carraro, è stata la chiacchierata con Macron, «l’uomo di Stato che per eccellenza incarna l’istrionica attitudine dei manovratori dietro le quinte», inventando «ingannevoli pifferai di Hamelin ad uso delle masse disorientate». Poi, persino le masse fiutano la fregatura e arrivano i Gilet Gialli. Gli ultimi – anzi, gli unici – a non accorgersi della natura ideologica dei propri pensieri e delle proprie azioni sono gli stessi ideologi di punta dell’Ancien Régime, chiosa Carraro: «Nella loro acritica custodia dello status quo

 

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Twin Towers, 15.000 morti. Stop ai sussidi per i moribondi

Scritto il 04/3/19

Se vi chiedessero “quante persone sono morte nell’attacco alle Torri Gemelle?”, la maggioranza di voi risponderebbe: circa 3.000. Invece la cifra è di almeno 5 volte superiore, spiega Massimo Mazzucco. «Sono già oltre 15.000 le persone morte in seguito all’attacco delle Torri Gemelle, se si contano anche tutte quelle morte di cancro negli anni successivi, per aver respirato l’amianto che era contenuto nella struttura dei due grattacieli».

 

Per tutte queste persone – soccorritori, pompieri, poliziotti, normali cittadini – il governo americano aveva stanziato circa 7 miliardi di dollari, che avrebbero dovuto ricompensare le vittime e i loro parenti nel corso degli anni. «Ma ora – vergogna dentro la vergogna – il fondo ha comunicato che i soldi stanno per finire, e che da oggi i rimborsi verranno dimezzati per tutti i nuovi malati», scrive Mazzucco, sul blog “Luogo Comune”.

In due accurati documentari, “Inganno globale” (trasmesso anche da Canale 5) e “La nuova Pearl Harbor”, Mazzucco ha sbriciolato la versione ufficiale sull’attentato: le Twin Towers non possono essere crollate per l’impatto degli aerei, sono state sicuramente “demolite” in modo deliberato. Una verità tuttora inaccettabile, per moltissimi: come potrebbero mai, gli Stati Uniti, procurarsi da soli una devastazione del genere?

La risposta è che i mandanti della strage del secolo – che ha aperto il terzo millennio – non sarebbero stati gli Usa, ma una struttura-ombra annidata nei gangli del Deep State e capeggiata dall’allora vicepresidente Dick Cheney. Una struttura super-segreta, capace di produrre indagini-farsa dopo aver allontanato funzionari Fbi che si erano insospettiti. E in grado di “accecare” la difesa aerea della superpotenza inserendo un videogame negli schermi radar, quella mattina, in cui – per la prima e unica volta nella storia – c’erano solo due intercettori a difendere il cielo della East Coast: oltre 700 caccia erano tutti impegnati in esercitazioni concomitanti, lontanissimo da New York. Nel saggio “La guerra infinita”, Giulietto Chiesa punta il dito contro l’élite neocon firmataria del Pnac: tre anni prima della strage, il Piano per il Nuovo Secolo Americano prevedeva – nero su bianco – l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, all’indomani del provvidenziale casus belli. In un altro saggio, “Massoni”, Gioele Magaldi è ancora più

 

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ONG MINACCIANO ITALIA: “A METÀ MARZO TORNIAMO” – VIDEO

2 marzo 2019

In attesa della manifestazione di oggi per la sostituzione etnica, a Milano parlano i trafficanti umanitari delle Ong

La prezzemolina di SeaWatch si augura di tornare in mare a metà marzo:

VIDEO QUI: http://vs.ansa.it/sito/video_mp4_export/i20190302131922276.mp4?_=1

In realtà la nave è bloccata a Marsiglia ed è molto probabile gli olandesi le tolgano la bandiera.

Bizzarra la tesi dei centri sociali di Mediterranea.

Bizzarro. Come hanno spiegato i servizi segreti, invece, i trafficanti sono in crisi da quando le Ong non ci sono quasi più. Piuttosto ovvio: non possono più caricare gommoni sgonfi per poche

Continua qui: https://voxnews.info/2019/03/02/ong-minacciano-litalia-a-meta-marzo-torniamo-video/

 

 

 

 

LA SINISTRA TENTA DI AFFONDARE IL GOVERNO GIALLO VERDE CON IL CONCORSO DEI POTERI FORTI

di Elena Quidello –  1 Marzo 2019

 

Possiamo immaginare che siano milioni gli italiani che in questo drammatico momento storico per l’Italia e per l’Europa (vedi prossime elezioni 2019) si stiano chiedendo perché tanto accanimento da parte dell’apparato mediatico e del ceto giornalistico “politicamente corretto” nei confronti di un Governo che, sin dal suo inizio, ha dato prova di voler attuare il programma che è stato votato dalla grande maggioranza dei cittadini italiani.

Questo governo, malgrado le sue contraddizioni, ha dimostrato di voler garantire efficienza e di solidarietà verso tutte le categorie sociali ed in particolare verso quelle più svantaggiate e cadute in miseria per effetto delle politiche liberiste dei governi della sinistra. Si tratterà di vedere se i risultati saranno quelli che sono stati promessi e che molti si aspettano.

Tutti ormai sanno che l’Italia, da quando ha fatto l’ingresso nella moneta unica ha subito l’inizio di un calvario scandito da ripetitive cadute sotto il segno di una croce sempre più pesante da supportare, tanto che sembrava essersi rassegnata ad un infelice destino: quello cioè di essere colonia sottomessa non solo agli interessi della Germania piglia tutto, ma anche a quelli del più forte potere finanziario transnazionale, lo stesso che per tutto il ventesimo secolo ha prodotto le sue infinite guerre nel mondo ed aveva lanciato il suo messaggio che a governare e a comandare questo pianeta c’è un solo ‘Dio’. Il terribile ‘Dio’ del denaro che, tuttavia, sa ricompensare gli speculatori e gettare nella disperazione la gente comune.

L’Italia rischia di subire anche l’invasione delle mafie di importazione, come quella nigeriana e la diffusione dell’Islam fanatico, quello che galoppa nei numeri, nelle mafie e nei progetti politici tanto da aver creato un partito islamico con cui sbaragliare prima o poi tutti i partiti nativi italiani.

Una regola questa che ovviamente, vale anche per l’intera UE dove, gli oligarchi di Bruxelles ha disposto che, chiunque difenda i propri confini deve essere sanzionato, come è accaduto all’ l’Ungheria di Orban nel sett. 2018, (vedi mozione dell’olandese Judith Sargentini a difesa dell’immigrazione forzata). Sembra che prima o poi la stessa procedura sarà avviata per l’Italia dove l’occulta ‘regia’ dei soliti poteri transnazionali preme per una guerra totale al leader della lega Salvini scatenandogli contro una sinistra rabbiosa ed irresponsabile che soffia su un inesistente odio razziale pericoloso per lo stesso ordine pubblico.

Chiunque abbia seguito le attività di questo Governo giallo/verde e abbia avuto modo di constatare l’esuberante ma sempre composto comportamento di Matteo Salvini nei confronti dei propri rivali politici avrà certamente compreso che quel ‘buon senso’ che Salvini predicava e predica come mezzo virtuoso di conduzione politica non lo ha applicato solo a se stesso e al suo operato ma anche e soprattutto nei confronti dei suoi rivali politici. Come Ministro degli interni, nessuno potrebbe mai affermare che Salvini, denominato affettuosamente dai suoi seguaci ‘Capitano’ per la tenacia e la volontà di tuffarsi nelle imprese politicamente più criticate dalla opposizione, si sia macchiato di un peccato tanto vile quanto quello di offendere, insultare, o denigrare un suo avversario politico. Apprezzabile, dignitosa e umanamente partecipata è stata, nella trasmissione di Floris: ‘Di Martedì’,12/02/2019, la risposta di Salvini alla dolorosa vicenda famigliare di Matteo Renzi. Di contro, il comportamento dei politici del Pd, che con la loro insistente volontà di voler imporre al paese la loro politica dittatoriale su temi come immigrazione, Islam e Jus soli nonostante gli elettori abbiano votato sfavorevolmente non è mai stato equilibrato e tollerante nei confronti del loro rivale Salvini che subisce le più umilianti mortificazioni da un partito che si definisce democratico, ma incapace di promuovere e rispettare il libero pensiero e quindi la volontà popolare.
La sinistra pare abbia dimenticato quanti e quali problemi questo nostro paese deve ancora risolvere; ha dimenticato, ma sarebbe più giusto dire, finge di aver dimenticato che siamo, sull’orlo di una ulteriore crisi economica mondiale (probabilmente anche questa manipolata) a seguito della quale nell’Unione Europea , in particolare in Italia, scatterebbe un altro tipo di ‘bail in ‘ che questa volta si chiamerebbe ‘ Moratorium Tool ’cioè a dire che, qualora un fondo monetario creato dai vari istituti di credito non fosse sufficiente per salvare una banca dalla crisi, in quella banca verrebbero bloccati tutti i conti correnti, il prelievo di danaro e i pagamenti per i correntisti e nel giro di 48 ore la stessa banca potrebbe prelevare il danaro dai conti dei suoi correntisti anche se i depositi sono inferiori a 100 mila euro.

 

Il trio del PD alle primarie

Dunque, questo problema, insieme al più spaventevole programma di guerra totale che gli Usa hanno già pianificato per il 2019 – 2024 per distruggere quei nemici (Cina, Iran, Russia), colpevoli di non accettare il dominio unipolare USA e di non avere una Banca Rothschild nei loro paesi o di essere diventati competitivi in campo economico e militare, non spaventano affatto il ceto politico della sinistra globalista, mentre, al contrario, lo stesso ceto politico della sinistra e della destra berlusconiana sembra sia ossessionato dal successo di un innocuo Salvini. Lui che viene incriminato con l’accusa di aver trattenuto gli immigrati sulla nave Sea watch, in attesa che arrivassero le comunicazioni dai paesi che si sarebbero offerti di ospitarli. Per questa assurda quanto surreale vicenda, la sinistra compatta, con la complicità dei magistrati politicizzati, chiede punizione severa, processo immediato e magari galera per alto tradimento nonostante il popolo dei social dei 5stelle si sia espresso contro qualsiasi procedimento. Di recente anche un personaggetto come la ineffabile Boschi (a Di Martedì 26/2/19) ha cavalcato la stessa ipocrita accusa contro Salvini dichiarando che il Ministro avrebbe cercato di evitare il processo.

Elena Boschi vede la pagliuzza negli occhi di Salvini e non sa vedere la trave che è negli occhi dei giudici di sinistra. Il Pd deve averle bendato gli occhi perché la Boschi non è più in grado di discernere tra il bene e il male. Giocare con le parole quando l’Italia è diventata un terreno fertile di libera delinquenza, di disumana bestialità, piena di assassini a piede libero, di stupratori e di aggressori psicopatici che sgozzano per strada senza ragione o perché mossi da odio religioso e da insano fondamentalismo .. di fronte a tutto questo orrore che ha reso l’Italia un paese ingovernabile ma pronto ad accogliere senza un gemito di protesta

 

https://www.controinformazione.info/la-sinistra-tenta-di-affondare-il-governo-giallo-verde-con-il-concorso-dei-poteri-forti/

 

 

 

 

 

Tangenti a Ischia: spuntano Kyenge, Zingaretti e Sposetti

Nelle carte di Henry John Woodcock c’è dentro mezzo Partito democratico. Ecco tutti i politici finanziati dalla cooperativa rossa

Sergio Rame – Mar, 31/03/2015

 

Nelle carte di Henry John Woodcock c’è dentro mezzo Partito democratico.

 

Nessuno è indagato. Eppure, in un modo o nell’altro, sono molti i personaggi di spicco del Nazareno su cui la procura di Napoli ha messo gli occhi per i rapporti che in questi anni hanno intessuto con la Cpl Concordia, la cooperativa rossa che “oliava” con il sindaco di Ischia Giuseppe Ferrandino con tangenti e favori.

 

Quello di Massimo D’Alema è il nome che ieri ha fatto più rumore. Nelle carte dell’inchiesta della procura di Napoli sulla metanizzazione di Ischia sono finiti i tre bonifici da 20mila euro ciascuno alla fondazione “Italianieuropei”.

 

Nella lista dei finanziamenti erogati dalla cooperativa Cpl Concordia ci sono, però, anche altre donazioni illustri. Come prescrive la legge, sono tutte registrate regolarmente negli uffici della tesoreria della Camera dei deputati.

 

Ecco dunque:

 

–      i 2mila euro protocollati il 5 agosto del 2014 e destinati all’ex ministro per

 

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/politica/tangenti-ischia-spuntano-kyenge-zingaretti-e-sposetti-1111617.html

 

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Che tempo che fa, Fabio Fazio fa lo spot a Emmanuel Macron: ecco cosa gli ha domandato

2 marzo 2019 di Carlo Nicolato

Scusate l’italiano non consono, ma che c’azzecca Fabio Fazio con il presidente francese Emmanuel Macron, detto Zeus? Nulla, se non fosse che forse il conduttore di “Che tempo che fa” essendo un rinomato giornalista Piano, Fazio sarà rinomato ma giornalista fino a prova contraria non è, essendosi fatto cancellare nel 2016 dall’ albo dei pubblicisti per prestare la sua faccia e il suo nome alla campagna pubblicitaria di Telecom Italia. Quindi che ci faceva all’ Eliseo di fronte a Macron impettito, in quella foto che lo stesso Fazio ha pubblicato su Twitter?

Lo dice lui stesso annunciando, e fugando ogni dubbio che nel frattempo avesse per caso preso pure il posto di Mattarella, che domenica, cioè domani, la sua trasmissione «ha l’onore di intervistare il presidente della Repubblica francese». A memoria noi ci rammentiamo di giornalisti italiani veri che senza timore reverenziale porgevano il microfono o la penna a capi di Stato e perfino tiranni, la Fallaci con l’ Ayatollah Khomeini ad esempio, perfino Minà con Fidel Castro, ma mai ci saremmo aspettati che l’ex imitatore di Pronto Raffaella varcasse senza peraltro i titoli necessari le soglie dell’ Eliseo per intervistare il più odiato dei presidenti d’ Oltralpe.

Ovviamente dai tempi di Raffaella Fazio ne ha fatta di strada e se adesso ospita Saviano un giorno sì e un giorno no, gli resterà pure un po’ di spazio per il presidente della «democrazia millenaria». E poi da Saviano a Macron forse il passo è più breve di quanto non sembri, entrambi infatti sono nemici giurati del governo italiano in carica, entrambi forse concordano che l’Italia sia un Paese «vomitevole», come una volta il giovane Zeus fuori dalla grazia di Dio ebbe a definirlo. Anche Saviano in fondo osserva lo Stivale da un attico di Manhattan e l’impressione che ne ricava da quella levatura deve essere ben misera.

L’ Italia di Fazio invece è quella filtrata da un emolumento di 2,2 milioni di euro che la Rai-Radiotelevisione italiana gli elargisce a stagione per condurre la nota trasmissione in onda sul primo canale, il cui costo complessivo a stagione ammonta a qualcosa tipo 73 milioni di euro. Nella spesa totale deve essere rientrato anche il prezzo per la gita a Parigi con annessa intervista a Macron, ma questi sono particolari secondari ai quali siamo abituati.

Piuttosto sarebbe interessante scoprire quali saranno le succulenti domande che il conduttore ardirà porgere a le président. Anzi, vista la foto già scattata e il commento apparso su Le Figaro, le domande per la verità sono già state poste e ciò che lascia trapelare il giornale francese ha ben poco di succulento: legami di amicizia tra Francia e Italia, in particolare della relazione personale di Macron con l’Italia

 

Continua qui:

https://www.liberoquotidiano.it/news/spettacoli/13435824/che-tempo-che-fa-fabio-fazio-emmanuel-macron-rai-1-le-figaro-anticipa-risposte.html

 

 

 

 

 

 

Fabio Fazio, interrogazione parlamentare contro la continua presenza di Roberto Saviano

28 febbraio 2019

 

Fabio Fazio è sotto accusa per gli ospiti di Che tempo che fa, la sua trasmissione di Raiuno. Un esponente di Fratelli d’Italia solleva la questione, dopo che Giorgia Meloni si era già espressa da Barbara d’Urso contro le “lezioni di migranti” che Roberto Saviano impartirebbe al pubblico a casa.

 

Il capogruppo in Vigilanza Federico Mollicone ha presentato un’interrogazione parlamentare in cui ha espresso il suo disappunto sulla mancanza di pluralità degli ospiti della trasmissione e di attuare “un sistematico

 

Continua qui:

https://www.liberoquotidiano.it/news/spettacoli/13435165/che-tempo-che-fa-fabio-fazio-ospite-roberto-saviano-interrogazione-parlamentare-fdi.html

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Stato Maggiore russo svela lo sviluppo della strategia USA “Cavallo di Troia”

2 Marzo 2019

Il Pentagono ha iniziato a sviluppare la nuova strategia di guerra “Cavallo di Troia”, ha detto il Capo dello Stato Maggiore delle Forze Armate e Primo ViceMinistro dell’Esercito della Difesa Generale Valery Gerasimov.

Ha parlato della strategia “Cavallo di Troia” in una conferenza sullo sviluppo della strategia militare.

“La sua essenza sta nell’uso attivo del potenziale di protesta della “quinta colonna” nell’interesse di destabilizzare la situazione, con attacchi congiunti dell’OMC contro le strutture più importanti”, ha detto Gerasimov.

Il capo dello stato maggiore ha sottolineato che la Russia è pronta a prevenire qualsiasi strategia del genere.

“Negli ultimi anni, gli scienziati militari, insieme allo Stato maggiore, hanno sviluppato approcci concettuali per neutralizzare le azioni aggressive dei potenziali avversari”, ha affermato.

Secondo il generale, la risposta russa si basa su una “strategia di difesa attiva”, che (dato il carattere difensivo della dottrina militare russa) prevede misure per neutralizzare proattivamente le minacce alla sicurezza dello stato.

Ha osservato che è proprio la logica di queste misure in fase di sviluppo che dovrebbero costituire le attività scientifiche degli scienziati militari, e ora questo è uno dei settori prioritari per garantire la sicurezza dello Stato.

“Dobbiamo essere davanti al nemico nello sviluppo della strategia militare, fare un passo avanti”.

La nuova strategia del Pentagono è stata annunciata la scorsa settimana dal Capo di Stato Maggiore

 

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Il grande imbroglio sul Venezuela

Il caso del Venezuela si configura nei termini di una gigantesca truffa informativa che ci oltraggia ogni giorno con notizie false, omissive e distorte su ciò che accade in quel paese

 

26 febbraio 2019 di Pino Arlacchi*

Ho appena terminato uno studio della crisi del Venezuela basato su documenti ONU e di centri di ricerca indipendenti.

 

Mi è stato difficile mantenere la calma mentre davanti ai miei occhi si componeva una narrativa opposta a quella corrente. Il caso del Venezuela si configura nei termini di una gigantesca truffa informativa che ci oltraggia ogni giorno con notizie false, omissive e distorte su ciò che accade in quel paese.

 

Sono le barbare sanzioni americane inflitte dal 2015 in poi approfittando del crollo del prezzo del petrolio, e cioè della maggiore fonte di entrate pubbliche del Venezuela, e non le politiche sbagliate dei governi Chavez-Maduro a detenere la massima colpa del dramma odierno sofferto da 32 milioni di persone.

 

L’economia del Venezuela è crollata a causa del blocco delle importazioni dovuto all’impossibilità di usare il dollaro per pagarle dopo l’imposizione delle sanzioni da parte prima di Obama e poi di Trump.

 

Gli ospedali del Venezuela sono rimasti senza medicine perché le banche internazionali si rifiutano di accettare i relativi pagamenti in dollari da parte del governo Maduro.

 

E così sta accadendo per il cibo e per le risorse necessarie a far funzionare la macchina produttiva.

 

L’opera viene completata dall’accaparramento di beni e dal mercato nero dominati dai gruppi mafiosi locali protetti e incoraggiati dall’ opposizione e dalla longa manus del governo USA.

 

C’è poi una mafia valutaria che ha distrutto la moneta locale, il bolivar, alimentando una iperinflazione senza riscontro nei fondamentali dell’economia. Mafia protetta anch’essa da chi vuole far crollare il governo legittimo e consegnare

 

Continua qui: https://megachip.globalist.it/guerra-e-verita/2019/02/26/il-grande-imbroglio-sul-venezuela-2037976.html

 

 

 

 

 

 

CULTURA

L’Esegesi: il vangelo secondo Philip K. Dick

Antonio Lucci – 4 GENNAIO 2016

Sono passati poco meno di 42 anni da quel febbraio del 1974 che segnò in maniera indelebile una svolta decisiva nella produzione letteraria e filosofica, ma soprattutto nella vita personale, di quello che è stato con ogni probabilità (assieme a Isaac Asimov) il più grande romanziere di fantascienza del secolo scorso: Philip K. Dick. Durante quel mese di febbraio, infatti, l’autore di romanzi di fantascienza forse più saccheggiato della storia del cinema (suoi i romanzi e racconti alla base di Blade Runner e Total Recall, ma pure di Minority ReportNext per fare solo qualche nome) avrà un’esperienza a dir poco straordinaria, che secondo le categorie linguistiche correnti potrebbe essere definita solo in due modi: illuminazione o psicosi. Nei giorni immediatamente successivi all’uscita del suo romanzo Scorrete lacrime, disse il poliziotto, Dick, provato dai postumi di un’estrazione di denti, si faceva prescrivere degli antidolorifici dal proprio medico. Qualche ora dopo aver fatto ordinare dalla moglie una consegna di farmaci a domicilio, sentendo suonare il campanello della porta di casa Dick andò ad aprire: ecco apparire l’ennesima “black haired girl” della sua vita, un’affascinante commessa della farmacia, andata a consegnargli le medicine. Per farla trattenere qualche minuto, e perché affascinato in maniera quasi innaturale dal ciondolo a forma di pesce stilizzato che pendeva dalla sua catenina, Dick domandò alla ragazza che cosa questo rappresentasse. Si trattava del pesce acrostico, il simbolo a forma di pesce stilizzato utilizzato dai primi cristiani per indicare il nome di Cristo in maniera criptata (IΧΘΥΣ, il nome “pesce” in greco antico, è, infatti, una parola le cui iniziali formavano l’acrostico Ἰησοὺς Χριστὸς ΘεοῦΥἱὸς ΣωτήρGesù Cristo Salvatore Figlio di Dio), all’epoca delle persecuzioni.

 

Dopo questa breve chiarificazione, fornitagli dalla ragazza, Dick fu colpito da quella che può essere definita solamente nei termini di un’illuminazione. Come se il pesce acrostico fosse la chiave di un’anamnesi platonica in senso letterale – del riconoscimento di una verità da sempre saputa, eppure celata nei meandri della mente, della memoria e dell’inconscio – Dick da quel giorno, per settimane, passò intere notti investito da fasci di colori, da ricordi di un antico passato mai stato presente, da frammenti di messaggi in lingue antiche (in particolare greco e latino), da nozioni e dottrine prima di allora sconosciute. Dick cercherà costantemente, per tutto il resto della sua vita, di dare un senso a quegli eventi, arrivando a scrivere un enorme corpus di appunti, riflessioni, considerazioni, lettere, aforismi, in cui egli stesso cerca un’esegesi, un’autoesegesi, di se stesso e di quell’esperienza. I documenti che i curatori del lascito di Dick hanno offerto nel 2011 al pubblico internazionale in inglese sotto il titolo di Exegesis, e che di recente l’editore Fanucci – che in Italia ha pubblicato tutta la produzione romanzesca dickiana – ha meritoriamente fatto tradurre, rappresentano la formidabile testimonianza di quell’esperienza sconvolgente. Le paure, le ossessioni, le paranoie, le riflessioni, i deliri di grandezza e la disperazione di Dick fuoriescono da questo tentativo filosofico titanico di comprensione di un fenomeno che, come detto, secondo le categorie interpretative proprie del nostro universo linguistico e concettuale moderno può essere definito solo da due parole-chiave: “illuminazione” e “psicosi”.

 

L’esperienza di Dick, e l’incredibile lavoro (auto)esegetico tramite il quale essa ci è giunta, ci pongono di fronte a una questione che tocca i confini del nostro universo linguistico, e quindi – se prendiamo come valida l’asserzione del Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein secondo cui «i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo» – i confini del nostro mondo cognitivo e concettuale. Quali parole possono descrivere, nel nostro universo linguistico, un’esperienza come quella avvenuta a Dick, oppure come quella – celeberrima – del presidente Schreber, a cui tra gli altri sia Sigmund Freud che Jacques Lacan hanno dedicato tanto spazio nelle proprie opere? Il vocabolario oscilla tra i termini “delirio”, “psicosi”, “nevrosi”: diagnosi, definizioni cliniche, determinazioni di malattie dell’anima. Qualsiasi tentativo di definizione che utilizzi un altro tipo di lessico si avvicina al polo del religioso e del metafisico: “illuminazione”, “esperienza mistica”, “visitazione”. Uno dei problemi maggiori per la comprensione storico-culturale dei fenomeni religiosi dell’antichità risiede proprio in questo tipo di problema linguistico: i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo. E questi limiti si fanno particolarmente evidenti laddove è in questione un’esperienza, come quella che Dick ebbe nel 1974, che sfugge in gran parte alle categorie espressive e descrittive che ci sono proprie.

 

Dick stesso si trovò, nel suo tentativo di spiegare e di spiegarsi la propria esperienza, sospeso su questo fragile ponticello teso tra illuminazione e psicosi. Di questa oscillazione tra due poli recano traccia molti luoghi delle Exegesis: qui spesso trovano spazio, giustapposte, due consapevolezze incompatibili, ma al contempo paradossalmente coesistenti: la consapevolezza tutta moderna – oggettiva – di non poter fare altro che ascrivere a un disturbo psichico esperienze di un certo tipo, e la certezza soggettiva del valore veritativo della propria regressione all’epoca della tardoantichità. Psicosi e illuminazione. Contro la logica dualista – bianco o nero, si o no, vero o falso, giusto o sbagliato, innocente o colpevole – su cui si fonda tutta l’ontologica occidentale, l’esperienza di Dick si pone su di un piano di impossibile compresenza. La tragica consapevolezza di questa composizione di realtà contraddittorie attraversa tutto il corpus delle Exegesis dickiane. Ed è forse alla ricerca di una soluzione di questo dualismo espressivo che Dick ha elaborato una duplice risposta ai propri interrogativi esistenziali: da un lato la messa in forma narrativa della propria esperienza, attraverso la scrittura di romanzi profondamente legati al Marzo ’74 (che diventeranno poi la trilogia di VALIS, l’ultima grande opera di Dick), dall’altro la continua autoesegesi privata, durata fino alla morte.

 

Ancora una volta: i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo.

 

 

In un mondo profondamente segnato dalle ricorrenze calendaristiche cristiane, pur nella sua frazione secolarizzata, il mese di Febbraio del 1974 rappresenta il possibile anno zero di una particolarissima religione cosmica alternativa, con un testo sacro, le Exegesis, un profeta, Philip K. Dick, una serie di testi divulgativi – di vangeli – , i romanzi che compongono la trilogia di VALIS (sigla per Vaste Active Living Intelligence System, il nome che Dick diede all’entità che secondo lui si era messa in contatto con la sua mente) … e un solo fedele, lo stesso Dick. Se il nome di Philip K. Dick oggi non affianca quello di Cristo, di Maometto o di Gautama l’Illuminato è perché egli, nelle Exegesis, parla un linguaggio a noi non più comprensibile, una lingua antica, troppo antica, che forse agli abitanti dell’anno 100 d.C. sarebbe stata comprensibile, e persino fonte di ispirazione, credenza e illuminazione, ma che nel lettore contemporaneo suscita solo un moto di stupore, al massimo di curiosità per la singolarità delle fantasie e le visioni di una mente sconvolta, o tutt’al più – nelle branche più liberali delle scienze letterarie e dei Cultural Studies – un interesse per le sorprendenti forme espressive e tournures filosofiche utilizzate.

 

Dick, per spiegare e per spiegarsi la propria peculiare esperienza, si riferisce in più punti della sua produzione letteraria ad un frammento del filosofo greco Eraclito, che recita: «La trama nascosta è più forte di quella manifesta». Il mondo che noi tutti vediamo, e in cui viviamo, sarebbe dunque solo un mondo apparente, un flusso illusorio, che cela la trama nascosta, quella vera, “più forte”, ma al contempo nascosta ai più. È questa la struttura del paradossale universo di VALIS: un universo in cui a una realtà immobile, immutabile, “più forte” e più vera, fa da schermo il mondo allucinatorio di un caleidoscopico divenire. È in questa struttura che possono andare paradossalmente insieme Eraclito e Parmenide, il divenire e l’essere, spesso accostati nel corpus delle Exegesis: immutabilità dell’essere ed eterno fluire vengono accostati in una costruzione monista, in cui il divenire è reale in quanto allucinatorio mondo in cui tutti viviamo, e al contempo è reale l’immutabilità dell’essere, ferma, atemporale, al di sotto del velo eracliteo. Ed è in questo universo profondamente monista, ma da cui non è affatto escluso il cambiamento, che ha luogo Il Vangelo secondo Dick. Questi si inserisce in questo universo in qualità di profeta, seguendone però le leggi messianiche del tutto peculiari: una rivelazione che si afferma nel rimanere nascosta, nel non affermarsi, nel non divenire universale religione aperta a tutti; questa è la «debole forza messianica» della rivelazione dickiana, per utilizzare una bella espressione di Walter Benjamin.

 

E questa debole forza messianica è del tutto organica al modo in cui si dà nell’universo ZEBRA, uno degli altri nomi di VALIS: come indica l’accostamento all’animale che vive nella savana, che fa della dissimulazione della sua presenza attraverso il mimetismo la propria caratteristica principale, la vera trama è mimetizzata, e così deve essere anche la sua rivelazione. Per questo di Eraclito parla anche il folle protagonista del romanzo Valis, che porta l’assurdo nome di Horselover Fat, una deformazione del nome e del cognome dello stesso Dick (Philip, che nella sua etimologia greca viene da filos, “amico” [lover], e hippos, “cavallo” [horse] e Dick, che in tedesco significa “grasso” [fat]) poco prima di finire rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Dick, da buon profeta di ZEBRA, si nasconde in quanto apostolo dietro i suoi molti alter ego cartacei e dietro i loro patetici disturbi mentali (arrivando persino a sdoppiarsi, o meglio a tripartirsi, in Radio Libera Albemuth, dove compare egli stesso, col suo vero nome e cognome, come co-protagonista, ma dove anche il protagonista Nicholas Brady è in realtà Dick, come appare evidente confrontando le esperienze riportate nella prima parte del romanzo da Brady e quelle descritte da Dick nella sua corrispondenza privata nella sezione I delle Exegesis), dissimula il suo messaggio come una creazione di fantasia – di science fiction – e la sua credibilità dietro una dissacrante ironia di fondo (Fat finisce in manicomio), unita a una certa dose di cinismo narrativo. Ma, come detto, la trama nascosta è più forte della trama evidente, e Dick, come spesso sostiene nelle Exegesis, rilegge tutta la sua produzione, precedente e naturalmente successiva al Febbraio 1974, in funzione di quell’evento. In questo senso la diffusione dell’opera dickiana diventa un’opera apostolica, e la lettura dei testi dell’autore non un intrattenimento pop, come la letteratura di fantascienza ha sempre voluto essere, ma un’opera di evangelizzazione criptata, zebrata, destinata alle grandi masse. Come tutti i veri eroi dei suoi romanzi, da Joe Chip di Ubik a quel Timothy Archer che sarà il protagonista dell’ultimo volume della trilogia di Valis, Dick è un eroe debole, un profeta debole, che però, malgrado tutto, ci ha lasciato il suo messaggio, il quale, che noi lo decriptiamo

 

 

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CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Svelati i servizi segreti del Vaticano

Questa pagina è stata pubblicata più di undici anni fa: i contenuti potrebbero non essere più accurati. Buona lettura!

Ciò di cui mi accingo a parlarvi non lo troverete su Google né sulle enciclopedie, e il motivo è semplice: si tratta di una delle strutture di servizi segreti più segreta al mondo. I servizi segreti del Vaticano.

Si chiama Istituto Gesuitico di Studi Vaghi (IGESVA) e la sede principale è in via dei Cherubini 32, a Roma.

L’Istituto è forse il miglior esempio di agenzia d’intelligence che esista, perché da un lato non ha nessun vincolo democratico quindi non è soggetto a trasparenza, e dall’altro possiede risorse illimitate. Ne avevate mai sentito parlare? Appunto…
In realtà perfino dentro il Vaticano sono davvero pochi a conoscerne l’esistenza: il papa, cui al momento della nomina viene svelato l’intero dossier da parte del segretario di stato. Il direttore dell’Istituto, la cui nomina viene ogni volta rimessa in mano al nuovo papa; attualmente, pure se non è ufficiale (non lo è mai per statuto), il nome del suo direttore è da vari decenni quello di mons. Novacek. E infine alcuni pochissimi alti prelati scelti dal papa per coadiuvarlo nei rapporti con l’Istituto.
Di che si occupa l’Igesva? I compiti istituzionali sono di spionaggio e controspionaggio, articolati in diverse branche della struttura. Tuttavia, nel corso della storia le sue mansioni sono andate ben aldilà di ciò che si potrebbe dichiarare pubblicamente. Il nome era stato scelto non senza ironia da qualche alto prelato dotato di umorismo, ma in realtà c’è ben poco di spiritoso nella struttura che si è voluta creare e che risale ai primi anni Settanta, sulla scia delle vecchie scuole gesuitiche rivolte ai problemi della guerra fredda.
Guardandolo dall’esterno il suo monumentale palazzo, antico come il clero, appare orribile, volutamente trascurato, ma una volta dentro si scoprono ambienti enormi dai soffitti affrescati, fra pareti di mattoni a vista perfettamente restaurate, sotto archi a tutto sesto o a crociera. Le sale rivestite di librerie e archivi, e quelle più alte attraversate a metà da complicati ballatoi da

 

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Intervista a Walter Miglio. Troppe cose non tornano nella Perizia di Priore su Ustica

di Michele Metta

Walter Miglio è persona assai affabile e cortese. Ora, è in pensione; ma ha costruito aerei per larga parte della propria vita, occupandosi perciò pure, quindi, della messa a punto del bilanciamento in volo. Ecco perché oggi può dire la sua, come con alto senso civico ha deciso di fare, su un nodo fondamentale dell’inchiesta di Priore su Ustica. Sto parlando della Perizia ordinata dal magistrato allora titolare delle indagini sull’inabissamento del velivolo Itavia avvenuto, come ben noto, nell’agosto del 1980. Perizia inusuale, poiché, per un verso, constata l’effettiva presenza a bordo, e precisamente nella stiva, di uranio, ma poi, per altro verso, la liquida come appunto dovuta all’esigenza d’equilibrare l’assetto del mezzo.

Buongiorno, Walter. E grazie davvero per aver accettato l’intervista. Partirei, per favore, proprio dai tuoi trascorsi professionali, affinché i lettori possano subito constatare che parli assolutamente con cognizione di causa.

Ok. Ero meccanico. Lasciami aggiungere: uno di quelli che ci mettevano l’anima. Fui assunto in SIAI Marchetti nel 1977. Al principio, lavorai qualche mese in lattoneria. Era definita così perché si formavano le lamiere – latta – e si costruivano tutti i particolari del velivolo. Oramai, non esiste più: i materiali compositi hanno sostituito la lamiera. Poi, ho passato diversi anni all’attrezzatura, per quindi approdare ai montaggi finali, terminando la mia vita lavorativa – gli ultimi dieci anni – nei reparti sperimentali, dove si costruiva il prototipo. Preciso che diventai nei primi anni ’80 un dipendente dell’Agusta, perché questa aveva assorbito la SIAI, e d’essere così passato pure alla produzione dell’ala rotante: elicotteri, per intenderci.

Detto in altre parole, è grazie al tuo rimboccarti le maniche che quei mezzi salivano su in cielo. È qualcosa di nobilissimo e che richiede bravura infinita. Mettendo assieme quanto da te raccontato finora, credo tu abbia preso parte a progetti assai rilevanti. Con SIAI e Agusta, stiamo infatti parlando di due giganti. È così?

Sì, senza dubbio.

Capisco. Ecco perché sai così bene come davvero si bilancia un aereo.

Esatto. Ecco perché mi sento di affermare che ciò che è emerso dalla Perizia è particolarmente strano …

Dimmi pure cosa più esattamente intendi.

Che ci sia stato materiale radioattivo nella stiva.

Certo. Nel senso che, nella tua esperienza, non è verosimile che quella presenza sia giustificabile con l’esigenza di bilanciare l’aereo. È questo quel che vuoi dire?

Assolutamente sì. Ho condotto personalmente quel tipo d’operazione, e ho sempre usato ballast di piombo o tungsteno. E poi, il bilanciamento si fa o sul tipo delle semi-ali, o nel poppino, dove un minimo peso incide parecchio.

Puoi, per favore, spiegare a un lettore profano cosa sono le semi-ali e il poppino? Si tratta di parti presenti anche sugli aerei di linea, giusto?

Sì. I primi ingegneri che si occuparono di questa nuova scienza provenivano dalla marina, e quindi usarono gli stessi termini marinareschi. Le semi-ali formano l’assieme dell’ala, e il poppino è l’estremità della deriva, la quale, a sua volta, sta nella zona inferiore della coda dell’aereo.

Quindi, logica vuole siano quelli, e non altri, i luoghi preposti, perché adatti con poco sforzo a riequilibrare l’assetto dell’aereo. Ho compreso bene?

Esattamente.

Cosa che, viceversa, non avverrebbe se scegliessimo di fare la stessa cosa, ma utilizzando la stiva. Sarebbe molto più difficoltoso. E, comunque, una pratica che non è quella universalmente applicata.

Certo. Prima di tutto, perché, nella stiva, sono gli stessi bagagli imbarcati a creare il giusto bilanciamento. Vengono collocati in base a tabelle prestabilite.

Comprendo. E comunque, per quanto tu sappia, non è inoltre assolutamente una pratica né diffusa e nemmeno sensata usate uranio, soprattutto poi trattandosi di uranio impoverito. Giusto?

Sì, non si usano materiali come l’uranio; tantomeno quello impoverito.

Quindi, da quanto mi dici grazie alla tua lunghissima esperienza, l’unica ragionevole spiegazione è che quell’aereo effettivamente trasportasse uranio. Possiamo affermare questo? Uranio imbarcato nella stiva non certo per bilanciare l’aereo, detto in altre parole.

Si. Tra l’altro, l’uranio impoverito ha un peso specifico simile a quello del tungsteno, e quindi non vedo alcuna ragione di usarlo. Il tungsteno non è tossico; l’uranio impoverito, sì.

Altra ottima osservazione, vero. A meno, ovviamente, di un uso diverso da quello, spacciato, di un presunto bilanciamento.

E aggiungo: il bilanciamento di un velivolo viene fatto in fase di costruzione, e quello è e resta.

Ah. Be’, questo taglia la testa a toro definitivamente …

Esatto: altri bilanciamenti si fanno distribuendo i bagagli e le persone, se il volo non è a pieno carico. Lo stesso impianto carburante è pensato in modo che si svuotino prima alcune sacche rispetto ad altre, tramite pompe di travaso.

Le tue osservazioni rafforzano un’ipotesi molto inquietante: si scelse un aereo passeggeri giocando sulla pelle delle persone a bordo. Una sporca scommessa fatta cinicamente: non possono buttare giù un aereo civile per bloccare il trasporto illegale di materiale fissile.

 

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https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-intervista_a_walter_miglio_troppe_cose_non_tornano_nella_perizia_di_priore_su_ustica/5496_27311/

 

 

 

 

 

Macron e la malizia che scambia l’antisionismo con l’antisemitismo

4 Marzo 2019 DI JONATHN COOK

 

Fino a che punto l’approccio della comunità internazionale verso Israele abbia invertito la sua strada nell’ultimo mezzo secolo, lo si può misurare guardando semplicemente le sorti che ha seguito una sola parola: Sionismo. Nel 1975 all’assemblea generale delle Nazioni Unite, gran parte del mondo si mise contro Stati Uniti ed Europa dichiarando che il sionismo, l’ideologia alla base di Israele, “è una forma di razzismo e di discriminazione razziale”.

Gli occidentali in genere restarono scioccati. Il Sionismo, che gli avevano raccontato fino a quel momento, era un movimento di liberazione che serviva al popolo ebraico per liberarsi, dopo secoli di oppressioni e di massacri subiti. Con la sua creazione, di Israele, si erano semplicemente risarciti i terribili torti subiti e culminati negli orrori dell’Olocausto. Ma il sionismo sembrava molto diverso agli occhi di quei paesi che, in tutto il mondo, avevano vissuto secoli di colonialismo europeo e poi, più recentemente, di imperialismo USA. La lunga storia dei crimini contro gli ebrei che hanno portato alla creazione di Israele ha avuto luogo principalmente in Europa. Eppure, sono stati Europa e Stati Uniti che hanno sponsorizzato e hanno spinto gli ebrei a insediarsi nella patria di un altro popolo, in una terra lontana dalle loro stesse rive. Per tutto il sud del mondo, le grandi epurazioni di palestinesi contro i nativi fatte dagli ebrei europei nel 1948 e nel 1967 hanno ricordato troppo quelle fatte dagli europei bianchi che contro le popolazioni indigene negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in Nuova Zelanda e in Sud Africa.

Un anacronismo coloniale

Nel 1975, all’epoca del voto alle Nazioni Unite, era già chiaro che Israele non aveva nessuna intenzione di restituire ai palestinesi i territori occupati che aveva conquistato otto anni prima. Piuttosto, Israele intendeva trincerare i territori occupati, mandando illegalmente la propria popolazione civile ad insediarsi nei territori palestinesi.

In gran parte del mondo, questi insediamenti ebraici sembravano un anacronismo, un ricordo dei  “pionieri-bianchi” che andavano alla conquista del far-west,  passando per terre apparentemente vuote degli Stati Uniti,  oppure di quei contadini bianchi che si impadronirono di vaste aree del Sud Africa e della Rhodesia come se quelle fossero state terre di loro appartenenza; o di quei ​​bianchi, appena arrivati in Australia, che rinchiusero gli aborigeni nelle riserve, facendoli diventare uno spettacolo per i turisti. La risoluzione ONU “sionismo è razzismo” è durata solo 16 anni – fino alla caduta dell’Unione Sovietica, quando gli USA sono diventati l’unica superpotenza mondiale. Dopo tante ritorsioni diplomatiche di Washington, incluse le promesse che Israele avrebbe intrapreso un processo di pace con i palestinesi, la Risoluzione 3379 fu definitivamente abrogata nel 1991. Decenni dopo, il pendolo sta oscillando in maniera vigorosa verso l’altra parte. Le élite di USA ed Europa sono passate da un atteggiamento che, un tempo diceva che il sionismo non è razzismo, ad un atteggiamento di attacco, con la presunzione che l’antisionismo – la posizione di gran parte della comunità internazionale di 44 anni fa – è sinonimo di razzismo. O, più specificamente, è sempre più accettata l’idea che l’antisionismo e l’antisemitismo siano due facce della stessa medaglia.

 

Un Sistema in stile Apartheid  

Questo trend si è consolidato la scorsa settimana quando Emmanuel Macron, il presidente, di centro, della Francia è  andato oltre la semplice reiterazione della sua ripetitiva confusione tra antisionismo e antisemitismo. Questa volta ha minacciato di mettere fuorilegge l’anti-Sionismo.

La confusione di Macron tra antisionismo e antisemitismo è palesemente sconsiderata. Antisemitismo significa odio per gli ebrei. È puro e semplice bigottismo. L’anti-Sionismo, invece, è una opposizione all’ideologia politica del sionismo, un movimento che insiste, in tutte le sue forme politiche, a dare priorità ai diritti degli ebrei in una patria che è stata creata su una terra occupata dai palestinesi, che già vivevano su quelle terre. L’antisionismo non significa razzismo contro gli ebrei, ma è opposizione al razzismo degli ebrei sionisti. Naturalmente, un antisionista può essere anche antisemitico, ma è più probabile che uno sia antisionista esclusivamente per ragioni razionali ed etiche. Questo punto è stato reso più chiaro la scorsa estate, quando il parlamento israeliano ha approvato una basic-law che definisce Israele come lo stato-nazione del popolo ebraico (PDF). Questa legge asserisce che tutti gli ebrei, anche quelli che non hanno nessun legame con Israele, godono del diritto all’autodeterminazione, quello che negano a ​​tutti i palestinesi, compreso quel quinto della popolazione di Israele che è palestinese e formalmente israeliana. In altre parole, questa legge ha creato due status in Israele – e implicitamente anche nei territori occupati – basati su un sistema di classificazione-etno-religiosa-imposta che conferisce a tutti gli ebrei dei diritti superiori a quelli dei palestinesi. In termini costituzionali, Israele sta esplicitamente mettendo in atto un sistema legale e politico di apartheid, ancora più ampio di quello che esisteva in Sud Africa. Per lo meno, chi governava ai tempi dell’apartheid in Sud Africa non ha mai affermato che quella era la patria di tutti i bianchi.

 

Criminalizzare il BDS

La minaccia di Macron di mettere al bando l’antisionismo è la logica estensione del comportamento di Europa e USA per penalizzare chi sostiene il BDS, il nascente movimento di solidarietà internazionale con i palestinesi che chiede il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele. Molti membri del movimento BDS, sebbene non tutti, sono antisionisti ed in parte sono anche ebrei anti-sionisti. Il movimento non solo scavalca i decenni di complicità delle élites occidentali, ma mette in evidenza la portata di questa complicità, per questo il BDS risulta tanto inviso a quelle élite.

Ora però la Francia si è spinta oltre  criminalizzando il BDS come forma di discriminazione economica. In questo modo confonde uno stato –Israele – con un gruppo etnico, gli ebrei – esattamente come fanno gli antisemiti.  Questo tipo di legislazione potrebbe essere assimilato, per ipotesi, al comportamento che potrebbe aver assunto la Francia negli anni ’80, se non avesse accettato il boicottaggio del Sud Africa per la sua apartheid, con la motivazione che questo avrebbe discriminato i bianchi.

Le Lobby israeliane in azione

Comunque la Francia è la prima a muoversi, ma non è la sola, negli USA, almeno 26 stati hanno già emanato leggi per punire o sanzionare persone o organizzazioni che vogliono il boicottaggio. Stessa cosa stanno per fare altri 13 stati. Ma nessuno sembra preoccupato di violare il tanto amato Primo Emendamento Americano e di fare un’eccezione al diritto alla libertà di espressione, solo in questo caso, quello di Israele. Questo mese anche il Senato USA si è buttato nella mischia approvando un disegno di legge – un bill   che un disegno di legge per spingere i singoli Stati a infliggere punizioni economiche a chi mette in atto il boicottaggio contro Israele. Queste vittorie contro il movimento non violento dei BDS sono il risultato di poderosi e malvagi sforzi fatti dalle lobby israeliane che lavorano dietro le quinte per far confondere l’anti-sionismo con l’anti-semitismo. Così mentre il rispetto per Israele è precipitato in occidente per effetto del passaggio sui social media, di innumerevoli video che mostrano la violenza dell’esercito israeliano e dei coloni, ripresi con i telefonini, dove si vede anche gente che muore di fame a Gaza, le lobby di Israele si stanno muovendo per far diventare sempre più difficile riuscire a parlare di questo argomento.

Ridefinizione dell’antisemitismo

L’accettazione diffusa in occidente di una ridefinizione dell’antisemitismo che intenzionalmente lo confonde con l’antisionismo è stato come un colpo di stato. L’ impronta di Israele si trova in tutto il lavoro presentato dall’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA, non sorprende quindi che la lunga e vaga definizione di antisemitismo elaborata dalla IHRA sia stata corredata da 11 esempi, sette dei quali fanno riferimento a Israele.

Un esempio – quello che afferma che in Israele esista una “spinta al razzismo” fa intendere che i 72 paesi-membri dell’ONU che nel 1975 votarono per la risoluzione “Sionismo è razzismo” e i 32 che si astennero, erano dei paesi antisemiti, anche se non volevano dichiararlo. I governi occidentali, le autorità locali, i partiti politici e gli enti pubblici ora stanno affrettandosi tutti ad accettare la definizione dell’IHRA. Il risultato è un timore crescente tra gli occidentali su quello che si può – o non si può – dire su Israele senza essere accusati di antisemitismo. Questo era lo scopo. Se la gente ha paura che gli altri la considerino antisemita per aver criticato Israele, la prossima volta starà zitta e così Israele avrà più margine di manovra per continuare a commettere i suoi crimini contro i Palestinesi.

 

L’Immagine dell’“Ebreo che odia se stesso’

Se Macron e l’HIRA avessero ragione – cioè che antisionismo e antisemitismo non sono distinguibili – allora dovremmo accettare anche qualche altra scomoda conclusione. Una sarebbe che i palestinesi dovrebbero essere condannati in modo univoco come antisemiti perché chiedono il loro diritto all’autodeterminazione, cioè, sarebbe impossibile per i palestinesi pretendere di avere gli stessi diritti degli ebrei nella loro stessa patria, senza che questo venga chiamato razzismo. Benvenuti nel paese di Alice che guarda attraverso lo specchio. Altra conclusione potrebbe essere che una buona arte degli ebrei di tutto il mondo, quelli che si oppongono all’autodeterminazione di Israele come stato ebraico, sono anche loro degli antisemiti, perché affetti da un odio irrazionale contro i loro fratelli ebrei di Israele. Questo è il modello dell’“ebreo che odia se stesso”, quello che Israele ha a lungo perseguito per screditare tutte le critiche mosse dagli altri ebrei. Secondo questo punto di vista, quegli ebrei che vogliono che i palestinesi godano degli stessi diritti degli ebrei devono essere considerati razzisti, anzi sono razzisti contro se stessi. E se gli sforzi di Macron per criminalizzare l’anti-sionismo si dimostrassero fruttuosi, questo significherebbe che sia palestinesi che ebrei potrebbero essere puniti – forse persino messi in galera – se pretendessero l’uguaglianza tra palestinesi ed ebrei in Israele. Altrettanto ridicolo suona questo ragionamento che condanna la disapprovazione dell’antisemitismo presentato in modo così schietto e comunque subito accettato in Europa e negli Stati Uniti.

La portata di questa pazzia si è rivelata in tutta la sua evidenza nella decisione della Bank für Sozialwirtschaft, o Banca per l’Economia Sociale, di chiudere il conto di un gruppo ebraico antisionista, Jewish Voice for a Just Peace in Medio Oriente, per aver dato il suo appoggi al boicottaggio di Israele. Era la prima volta che una banca tedesca chiudeva un conto di un’organizzazione ebraica dai tempi dei nazisti. La banca ha preso questa decisione dopo una denuncia che affermava la Jewish Voice era antisemita, inviata dal Centro Simon Wiesenthal, un gruppo che maschera il suo feroce sostegno a Israele dietro una campagna per i diritti degli ebrei.

 

Cancellare sinistra e estrema destra 

L’antipatia di Macron nei confronti dell’anti-sionismo – condivisa da molti altri che cercano di confonderlo con l’antisemitismo – ha una causa esplicita ed un’altra nascosta, ma entrambe sono collegate alla crisi politica che sta vivendo: dopo due anni al potere, è il presidente più impopolare nella storia della repubblica. Secondo Macron, l’ascesa dell’anti-sionismo, o meglio dell’opposizione a Israele, sta ingrossando le fila di chi vuole colpire gli ebrei in Francia, sia attaccandoli con scarabocchi di svastiche sulle tombe degli ebrei, sia inquinando la dialettica, in particolare sui mezzi di comunicazione sociale. Due gruppi che, sia lui che  le Lobby Franco-giudaiche, hanno identificato come cuore del problema, si tratta dei musulmani francesi, spesso quelli appena immigrati, che sono visti come gente che importa gli stessi atteggiamenti razzisti che hanno i mediorientali nei confronti degli ebrei e della sinistra storica che è la prima a sostenere il BDS.

Benché sia molto piccolo il numero di musulmani francesi che ha preso posizioni estremiste, la maggior parte di loro prova ostilità nei confronti di Israele per il suo ruolo che destabilizza e opprime i palestinesi. Stesso sentimento che domina anche tra gli attivisti BDS. Ma il pensiero di Macron e delle lobby è che questi due gruppi antisionisti siano in realtà strettamente allineati con i gruppi antisemiti di estrema destra e con i neonazisti, a prescindere dalle loro ovvie differenze nell’ideologia e nell’atteggiamento nei confronti della violenza. La nebbia attraverso cui Macron vede l’anti-sionismo e l’antisemitismo serve a seminare il dubbio su quali siano effettivamente le ovvie distinzioni tra queste tre diverse ideologie elettorali.

La destrezza di Macron

La destrezza di Macron segue un ordine del giorno ad uso personale e particolarmente specifico, che emerge chiaramente dal modo improprio – usato come se fosse un’arma – di scagliare insulti di antisemitismo in atto sia in Europa che negli Stati Uniti.

Macron si trova di fronte a una rivolta popolare detta dei Gilet-Gialli, o Gilets Jaunes, che sta bloccando le strade francesi da molti mesi e queste proteste stanno facendo  traballare il suo governo. Come altre recenti insurrezioni popolari, come il movimento Occupy, i Gilet gialli non hanno un leader ed è difficile decifrare le loro richieste. Rappresentano più uno stato d’animo, una spasmodica insoddisfazione per un sistema politico che-non-si può-toccare da quando ci fu un tracollo finanziario una decina di anni fa, quando è apparso ormai chiaro a tutti che era guasto e irrecuperabile. I Gilet Gialli incarnano una ricerca disperata di attaccare il loro carro a una nuova stella politica che abbia una visione diversa e più giusta su come riorganizzate le nostre società. Il fatto che il movimento sia disarticolato è la sua forza e la sua minaccia. Quelli frustrati dalle politiche di austerità, quelli arrabbiati contro una élite politica e finanziaria troppo arrogante e insensibile, quelli che vogliono tornare a un più chiaro senso di franchezza, tutti possono cercare rifugio sotto quella bandiera.

Ma allo stesso modo ha anche permesso a Macron e alla élite francese di buttare sui Gilet Gialli la copa di tutti i malesseri per cercare di demonizzare il movimento. Un portavoce del movimento nega,  ma vista l’ondata crescente di movimenti nazionalisti e di estrema destra in tutta Europa, la scelta  di chiamare i gilet gialli antisemiti è stata una opportunità alla quale il bellicoso presidente francese non ha saputo resistere.

Macron ha presentato gli attivisti di sinistra e dell’anti-razzismo che sostengono il BDS come se fossero tutti in combutta con i neonazisti, proprio come i gilet gialli con i nazionalisti bianchi di estrema destra e una gran parte dei media francesi hanno volentieri e felicemente riciclato questa cretinata.

L’amore per l’autorità di chi si mette al Centro    

Per chi ritenesse che i leader di centro come Macron agiscano non per puro interesse politico ma per una preoccupazione che vuole sradicare i pregiudizi e proteggere una comunità più debole, vale la pena fare qualche valutazione sugli atteggiamenti politici globali. L’anno scorso il New York Times ha pubblicato un commento di David Adler che dimostrava che, contrariamente a quanto pensa la gente, si collocano al centro  – in generale – quelle persone  che sono meno sensibili verso la democrazia, di quante ce ne siano all’estrema sinistra e all’estrema destra. Sono persone meno attente ai diritti civili e alle ”libere ed eque elezioni”. Queste tendenze risultano particolarmente pronunciate negli USA, Gran Bretagna, Francia, Australia e in Nuova Zelanda, ma sono evidenti anche in molte altre democrazie liberali occidentali. Inoltre, nella maggior parte dei paesi occidentali, inclusa la Francia, la voglia dell’uomo forte e dell’autoritarismo è molto più forte al centro che non all’estrema sinistra. Stessa cosa in UK e USA dove le figure autoritarie piacciono più al centro che non all’estrema-destra.

Adler conclude: “Il sostegno per “elezioni libere ed eque” scende nel centro politico in ogni singolo paese preso per campione. La dimensione del gap è sorprendente. Nel caso degli USA, meno della metà delle persone di centro considera le elezioni come essenziali. … I centristi … sembrano preferire un governo forte ed efficiente piuttosto che politiche democratiche disordinate “.

 

La stretta mortale dei lobbisti  

E’ per questo forse che non sorprende che i leader di centro come Macron siano tra i più pronti ad evitare confronti equi e aperti, a buttar fango sugli avversari e a non voler trovare le differenze ideologiche tra quelli alla loro sinistra e quelli alla loro destra. E allo stesso modo, chi appoggia il centrismo ha maggior probabilità di bersi tutte le accuse anche le più infondate di antisemitismo, pur di mantenere il suo status quo che percepisce come un vantaggioso per se stesso.

Questo processo si è visto chiaramente negli UK e negli Stati Uniti negli ultimi tempi. Per decenni a Washington, quelli di centro hanno dominato la politica, schierandosi su entrambi i lati di una presunta divisione politica ed uno dei punti che hanno goduto di un forte appoggio bipartisan negli Stati Uniti è il sostegno a Israele. La ragione di questo stretto consenso di Washington su tutta una serie di questioni, incluso Israele, è la morsa sul processo politico americano che arriva dai soldi delle corporation e dalle Lobby. Le lobby preferiscono lavorare nell’oscurità, esercitando la loro influenza lontane dall’occhio della gente. Nel caso di Israele, però, le lobby sono diventate sempre più visibili anche agli estranei per la loro difesa aperta di Israele che appare sempre più difficile da sostenere, dato che gli abusi commessi sui Palestinesi ormai si possono facilmente vedere documentati sui social media. Cosa che, a sua volta, ha stimolato la crescita del movimento BDS e una nuova, seppur piccola, ondata di reazione politica.

Ilhan Omar attaccata

Ilhan Omar, una donna musulmana membro del Congresso, ha dimostrato come il sistema dell’establishment cerchi di addomesticare le matricole ribelli, infatti dopo aver mandato un twitt in cui commentava un fatto ovvio, cioè che la lobby filoisraeliana AI-PAC – come altre lobby – usano i loro soldi per rinforzare l’ortodossia politica di Washington nei campi in cui coltiva i propri interessi. O come ha scritto lei: “Tutto ruota intorno ai Benjamins“, un modo di dire per indicare le banconote da $ 100, quelle con l’immagine di Benjamin Franklin.

Subito è stata sommersa da una valanga di proteste per il suo commento, che doveva essere una prova di antisemitismo. Tutte le critiche venivano dal cosiddetto ampio spettro politico, dai grandi del suo stesso partito democratico fino al presidente Trump. Alla fine, stanca per le troppe critiche, si è scusata, giustificando questa sua decisione e dicendo che spetta agli ebrei decidere cosa sia antisemita. In un’epoca di politica dell’identità dilagante, questo sembra plausibile in modo superfluo. Ma in realtà non ha nessun senso. Anche se una netta maggioranza di ebrei in effetti pensa che le critiche a Israele o alle sue lobby siano un sintomo di antisemitismo – ipotesi altamente discutibile – questo non significa che abbiano un qualche diritto speciale o esclusivo per poterlo affermare.

I palestinesi sono la vittima di Israele e questo è stato documentato anche troppo. Nessuno ha il diritto di rivendicare la propria superiorità morale perché in passato il suo popolo è stato vittima di razzismo se usa questa stessa altitudine per ostacolare una indagine sui crimini compiuti, in questo caso da Israele contro i palestinesi. Non pensarla in questo modo sarebbe voler dare priorità alla difesa degli ebrei, anche in presenza di un loro eventuale comportamento razzista e contro la prova concreta di razzismo perpetrato contro i palestinesi. Ma per essere più precisi, queste scuse fatte dalla Omar accettano il concetto che gli ebrei che gridano più forte – cioè quelli che hanno più mezzi e più soldi degli altri – rappresentano tutti gli ebrei. Questa accettazione rende le élite degli ebrei americani organizzati – il cui vigoroso sostegno per Israele si è dimostrato incrollabile anche quando il PM israeliano Benjamin Netanyahu ha spinto il paese su posizioni di estrema destra – arbitri unici del pensiero di tutti gli ebrei. In effetti, va ancora oltre: Consente che le lobby di Israele siano loro stesse a decidere se esista, o se non esiste, una lobby israeliana. Consente alla lobby di proteggersi, nascondendosi completamente dalla vista della gente e di far giunger la sua influenza in modo ancor più radicato e velato.

La Omar è rimasta sola.  Altri importanti critici di Israele, spesso neri, si sono trovati al centro di accuse di antisemitismo solo per aver rivolto delle critiche a Israele, tra cui recentemente Marc Lamont Hill e Angela Davis. Uno stillicidio di accuse segue la Omar ogni volta che parla, definendola “antisemita”, con l’obiettivo di assicurarsi che lei cominci a autocensurarsi, a diventare “moderata” come lo sono i suoi colleghi politici, e ad aderire ad un consenso bipartisan che consente a Israele di andare avanti e continuare con i suoi abusi contro i palestinesi. Se non si allineerà, ci si può aspettare, che sarà finita politicamente, buttata fuori dalla burocrazia del suo stesso partito o dagli elettori.

Corbyn sulla difensiva

Questo processo è molto più avanzato in Inghilterra, con una campagna concertata per più di tre anni, per stigmatizzare il comportamento di Jeremy Corbyn, con accuse di antisemitismo, da quando – cioè – è diventato leader del partito laburista. Si può considerare che Corbyn costituisca un ritorno alla tradizione socialista – che in Gran Bretagna, fu annientata con l’avvento di Margaret Thatcher nei primi anni ’80 – e che sia un fedele sostenitore della causa palestinese. Di fatto, sembrerebbe una grave anomalia: un politico europeo con velleità di potere che dà priorità ai diritti dei Palestinesi alla giustificazione della politica israeliana che opprime i palestinesi. La lobby israeliana ha molto da temere da quest’uomo che potrebbe far cambiare il clima politico europeo verso Israele.

Negli ultimi decenni, nel Regno Unito, il partito conservatore al potere si è spostato implacabilmente verso destra, lasciando occupare al partito laburista il posto al centro del parlamento, quello che si era scolpito negli anni ’90, Tony Blair, durante la sua leadership. Benché goda di un enorme sostegno tra i membri del Labour che lo hanno portato alla leadership, Corbyn è in guerra con la maggior parte dei suoi parlamentari. Quelli di centro che hanno felicemente usato l’antisemitismo come arma per combattere dall’interno Corbyn e le centinaia di migliaia di suoi seguaci

 

Continua qui:

https://comedonchisciotte.org/macron-macron-e-la-malizia-che-scambia-lantisionismo-con-lantisemitismola-malizia-e-lantisionismo-preso-per-antisemitismo-apre-la-strada-e-i-leader-occidentali-scambiano-con-malizia-antisionismo-p/

 

 

 

 

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Ius soli: se Sartori critica Kyenge su meticciato e competenze

18 Giugno 2013 – Rita Guma

Cécile Kyenge non è intoccabile, e nemmeno Giovanni Sartori, perciò vorrei esprimere qualche critica al commento del politologo sulla ministra all’integrazione e cooperazione. Ho infatti sempre letto con piacere Sartori, per i suoi argomenti rigorosi e la chiarezza espositiva, ma non lo riconosco nel commento che il Corriere ha voluto pubblicare in una posizione più defilata che l’editoriale, dimostrando che la Kyenge può essere criticata e che Sartori può esprimere la sua opinione, ma che un editoriale dovrebbe usare toni diversi e diversi argomenti.

Sartori, infatti, adotta nei confronti della dott.ssa Kyenge un tono irridente. Scrive il politologo: “Cosa ne sa di «integrazione», di ius soli e correlativamente di ius sanguinis? Dubito molto che abbia letto il mio libro Pluralismo, Multiculturalismo e Estranei, e anche un mio recente editoriale su questo giornale nel quale proponevo per gli immigrati con le carte in ordine una residenza permanente trasmissibile ai figli. Era una proposta di buonsenso, ma forse per questo ignorata da tutti.“.

La nostra oculista ha sentenziato che siamo tutti meticci” prosegue Sartori “…. Se lo Stato italiano le dà i soldi si compri un dizionarietto, e scoprirà che meticcio significa persona nata da genitore di razze (etnie) diverse… Ma la più bella di tutte è che la nostra presunta esperta di immigrazione dà per scontato che i ragazzini africani e arabi nati in Italia sono eo ipso cittadini «integrati». Questa è da premio Nobel”. Sinceramente non ritrovo lo stile del Sartori che ho tante volte ammirato. Peraltro, non sono d’accordo nemmeno nel merito delle valutazioni.

Sul riferimento di Kyenge al paese meticcio, ricordo infatti che Corrado Alvaro scriveva: “In questi anni di meticciato, per Roma occorre fare attenzione. Le sue classi sono in continua trasformazione, l’inserimento degli elementi

Continua qui: https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/18/ius-soli-se-sartori-critica-kyenge-su-meticciato-e-competenze/629178/

 

 

 

Guerre, ingerenze e business: tutte le contraddizioni degli “aiuti umanitari”

Di Giuseppe Gagliano – 3 Marzo 2019

 

Roma, 3 mar – Nonostante le nostre democrazie siano apparentemente pluraliste e democratiche, continuano tuttavia ad essere profondamente intrise di una logica conflittuale basata sull’identificazione dell’amico e del nemico. Ciò non deve sorprendere dal momento che anche le democrazie – come i regimi non democratici – hanno bisogno per salvaguardare la propria identità – durante i periodi di guerra e quelli di insorgenza interna – di fare riferimento ad una logica di tipo binario. Infatti, spesso, questa logica binaria viene utilizzata per legittimare una sistematica repressione interna nei confronti degli oppositori che vengono accusati di essere disfattisti, di mancanza di senso patriottico o addirittura vengono identificati come veri e propri nemici interni dello Stato. A dimostrazione di quanto affermato, basti pensare alla propaganda posta in essere dai cosiddetti Stati democratici nei confronti di Milosevic, Saddam Hussein e Bin Laden.

Restiamo umani (e speculatori)

Un’altra illusione delle nostre democrazie è relativa a quella della tutela dei diritti umani attraverso gli aiuti umanitari, tutela che sovente si è trasformata in una operazione non militare a fini bellici.

In primo luogo, gli aiuti umanitari sono diventati un business internazionale e le Ong

Continua qui: https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/contraddizioni-business-aiuti-umanitari-106744/

 

 

 

 

ECONOMIA

Lo studio che inchioda la Germania: solo Berlino ha guadagnato dall’euro

 

 

LORENZO VITA – 25 febbraio 2019

Mai come in questi tempi, l’euro è stato messo in discussione. I movimenti critici nei confronti della moneta unica e nel mondo in cui è stata gestita, sono cresciuti in maniera esponenziale. E anche se non tutti sono dichiaratamente a favore dell’uscita dall’euro, sono in molti a chiedere un cambio di passo. Così, ed è evidente, la moneta unica non funziona. E lo dimostrano ormai innumerevoli studi che hanno sancito più volte una critica definitiva nei confronti del sogno di molti difensori dell’Ue.

L’euro può anche non essere stato un errore, come affermano i suoi difensori. Ma il fatto che sia un’emanazione e un’arma della politica economica della Germania è una realtà di fatto. Tanto che adesso sono numerosi i think tank e i centri studi che affermano che Berlino sia l’unica ad aver realmente guadagnato da questo sistema.

Come riporta l’Huffington Post, il Cep (Centrum für Europäische Politik) di Friburgo ha pubblicato un report molto dettagliato su vincitori e vinti a vent’anni dalla sua istituzione della moneta. E quello che ne scaturisce, è che ci sono solo due Paesi ad aver tratto profitto dalla moneta unica: Germania e Olanda. E se a dirlo è un centro studi tedesco, va da sé che non lo si può accusare di essere avverso alla Germania.

I dati sono eloquenti. Tra il 1999 e il 2017, la Germania ha guadagnato circa 1900 miliardi di euro, ovvero circa 23mila euro per abitante. E a parte l’Olanda, per il resto nessun Paese ha tratto realmente beneficio da questa moneta. Anzi, le altre due potenze europee, Italia e Francia, hanno assistito a un netto calo della crescita e della competitività. Per Parigi si parla di una perdita di 3600 miliardi di euro, mentre per l’Italia addirittura di 4300 miliardi. Numeri che, divisi in base ai cittadini, indicano che si sono persi 56mila euro pro capita in Francia e 74mila euro in Italia.

Il problema dell’euro, come scritto da Huffington Post, riguarda in particolare la competitività e le disuguaglianze sociali. Quello della competitività, in particolare, è un problema che sembra non solo irrisolto ma anche (attualmente) irrisolvibile poiché, a detta del Cep, “i singoli paesi non possono più svalutare la propria valuta per rimanere competitivi a livello internazionale”. Una perdita di competitività che ha condotto “a una minore crescita economica, a un aumento della disoccupazione e al calo delle entrate fiscali. La Grecia e l’Italia, in particolare, stanno attualmente attraversando gravi difficoltà a causa del fatto che non sono in grado di svalutare la propria valuta”.

Lo studio si fonda su analisi di come sarebbe stato alto il Pil pro capite in assenza dell’euro

Continua qui: http://www.occhidellaguerra.it/studio-cep-euro-germania/

 

 

 

 

La Spagna è ripartita grazie a deficit e debito

di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su Libero, 27/02/2019

Gli esperti del think tank tedesco Cep su “vincitori (Germania e Olanda) e i vinti (Italia e Francia)” della moneta unica“ hanno provato a quantificare quanto sarebbe stato alto il Pil se i Paesi non avessero introdotto l’euro. La Germania, dal 1999 al 2017 ha guadagnato complessivamente 1.893 miliardi di euro, pari a circa 23.116 euro per abitante. Anche i Paesi Bassi hanno guadagnato circa 346 miliardi, e cioè 21mila euro pro capite. Nella maggior parte degli altri Stati si sono registrate invece delle perdite: in Italia, lo Stato che più ne ha risentito, addirittura di 4.300 miliardi, una cifra strabiliante.

Lo studio, di cui ha parlato ieri Libero, viene attaccato dai professori di economia pro-euro perché la metodologia usata è di immaginare che l’economia italiana sia un misto di quella di paesi fuori dalla zona euro e poi usare la crescita media del Pil del “mix” di paesi simili all’Italia per stimare come sarebbe andata fuori dall’euro.

Proviamo a spiegare in modo più intuitivo cosa è successo. E’ un fatto che i paesi fuori dall’euro, in Europa come in Asia come in America siano cresciuti di più di quelli nell’eurozona e nel caso dell’Italia, che è collassata in una depressione perdendo il 20% della produzione industriale e l’8% circa del reddito procapite, la differenza è clamorosa. I paesi di riferimento usati nello studio per simulare come sarebbe andata l’Italia fuori dall’euro sono paesi che hanno in comune l’aver speso molto, paesi come lo Uk e l’Australia nei quali la spesa per consumi e per costruzioni (legata al boom immobiliare) ha trainato l’economia, anche a costo di andare in deficit cronico con l’estero e di avere valute deboli. Inoltre, sono paesi che hanno raddoppiato il debito pubblico dopo la crisi di Lehman del 2008 per tappare i buchi e anche salvare le proprie banche.

IL CASO SPAGNOLO

Ma non c’è bisogno di andare fuori dalla Ue per trovare chi ha fatto quasi lo stesso. Il report mostra che mentre l’Italia ha avuto una perdita colossale di reddito pro capite e Pil nei 20 anni dell’euro la Spagna invece non ha avuto complessivamente danni.

Rivolgiamoci allora agli economisti spagnoli per capire. Alcuni di questi notano che la chiave è nell’incremento della spesa per consumi che in Spagna si è ripresa molto bene. Parliamo ad esempio di un incremento annuale del 4% negli ultimi tre anni, mentre l’Italia oscilla tra un 1,5% e 2% l’anno. Dato che nelle economie occidentali la spesa per consumi è più del 70% della variazione del Pil, questo spiega largamente, più dell’export e degli investimenti, il fatto che il Pil della Spagna stia ancora crescendo intorno al 2%, meglio anche della Germania

Continua qui: https://paolobecchi.wordpress.com/2019/02/28/la-spagna-e-ripartita-grazie-a-deficit-e-debito/

 

 

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

BREVE STORIA DELL’EVOLUZIONE DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO ED EFFETTI SULLA GIUSTIZIA SOCIALE

 

Post di Antonio Martino

 

27 febbraio 2019

 

La crisi del sistema bancario italiano costituisce una delle principali evidenze del sistema-euro applicato all’economia nazionale. Difatti, sulla gestione del credito si sono viste succedere tutte le sfumature che colorano il triste quadro degli ultimi trent’anni: fascinazione monetarista, obbedienza cieca e assoluta ai diktat di Bruxelles, svendita del patrimonio pubblico per servire il gretto capitale nazionale, incompetenza e malafede nella direzione degli istituti, asservimento completo alle direttive europee fino all’assurdo del bail-in introdotto a rotta di collo per benmeritare agli occhi dei padroni della colonia Italia.

 

In questa sede non si vuole analizzare il problema economico- ormai acclarato e da altri e ben più competenti in materia sviscerato nei dettagli-, bensì si cerca di evidenziare un’alternativa di struttura che possa evitare a quello che fu uno dei pilastri della crescita italiana la fine comatosa e la svendita assoluta.

 

 

  1. Essere stati per essere

 

Una breve panoramica storica per inquadrare nella giusta prospettiva l’analisi.

 

Il sistema bancario italiano, faticosamente emerso durante la fase di sviluppo giolittiano all’alba del Novecento, si ispirò per influenza di quel capitale al modello cd. Renano, cioè la banca mista-universale: chiaro esempio, la Banca Commerciale Italiana nata a Milano nel 1894 su iniziativa tedesca. Questo tipo di istituto aveva le seguenti caratteristiche (da wikipedia):

 

  • Autorizzato ad operare sia nel breve (esercizio del credito) che nel medio-lungo periodo (attività finanziarie e di investimento);

 

  • Autorizzato a svolgere attività in due modi: mediante servizio del credito e mediante concessione di quote partecipative nelle imprese.

 

Ci interessa evidenziare la commistione tra capitale industriale- sempre caratterizzato in Italia da asfissia di liquidità azionaria- e quello bancario, creato per l’appunto allo scopo di garantire flussi di cassa e immobilizzi alla grande industria nascente.

 

Nel dettaglio, “Lo statuto di una banca mista prevedeva che tale istituto potesse compiere operazioni di diversa durata temporale; ciò significa che esse potevano quindi raccogliere depositi, che erano operazioni a breve in quanto i risparmi erano ritirabili in qualsiasi momento, ed indirizzare tali depositi ad attività di credito industriale, operazione di lungo termine che prevedeva durate di dieci o più anni per i rendimenti.”

 

Questo scarto tra operazioni a breve (risparmiatori) e immobilizzi (credito industriale) presentava evidenti criticità. In base al ciclo economico, infatti, la difficoltà di rientro delle imprese avrebbe creato notevoli difficoltà alle esigenze di liquidità dei depositanti. A ciò si aggiunga il cruciale problema del controllo incrociato: maggiore era la esposizione dell’istituto nell’azienda, più grande diveniva la commistione tra banca e industria, fino a non distinguere più creditore e debitore in un gioco perverso di scatole cinesi e scalate di borsa. E’ il caso dell’Ansaldo dei fratelli Perrone; indebitati con la Banca italiana di sconto, forti dell’immenso potere dell’azienda durante la Grande guerra, essi avevano ottenuto il controllo della loro creditrice senza colpo ferire (la vigilanza bancaria, allora come oggi, era del tutto inefficace…e inefficiente). Colpiti dalla crisi di riconversione postbellica, il gruppo tentò di ottenere ancora capitali dalla Comit con un tentativo di scalata azionaria non riuscito. Il risultato fu il fallimento dell’Ansaldo e il crollo della Bis: le partecipazioni industriali furono trasferite al Consorzio per la Sovvenzione sui valori industriali, antenato dell’IRI. Per i risparmiatori il rimborso medio fu tra il 65 e il 75% grazie all’intervento di una cordata di istituti pubblici.

 

Il caso Perrone è soltanto un esempio tra i tanti di quel periodo. I confini tra capitale industriale e finanziario erano rotti: le partecipazioni di comit, credito italiano e banco di Roma al sistema produttivo italiano assommavano al 1930 a 12 miliardi in bilancio per circa 14 miliardi di raccolta. I nodi della banca mista vengono al pettine: la crisi di Wall Street e la grande depressione mandano sostanzialmente in bancarotta tutte le future b.i.n.

 

Il governo fascista affida la risoluzione del problema a un gruppo di tecnici raccolti attorno alla figura di Alberto Beneduce, tra i quali ruolo decisivo avrà Donato Menichella. Questa “covata”, si badi bene, lascia del tutto fuori dal progetto di riforma Banca d’Italia e la sua burocrazia, con il pieno avallo di Mussolini e del Ministro delle finanze Jung. Con tre distinte convenzioni la triade comit-credit-banco di roma cedono allo stato il capitale azionario e relative partecipazioni industriali: in sostanza, pur rimanendo società di diritto privato esse vengono “irizzate” e sottoposte al controllo dello stato.

 

Il risultato normativo è il R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375. “Disposizioni per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia.”, basato su un lungo lavoro di preparazione che ci permette di cogliere appieno la mutata finalità della banca nell’economia italiana. Citiamo per evidenziare il cambio di passo una relazione interna all’IRI:

 

“…quello che è certo è che nel credito troviamo l’unico strumento veramente efficace col quale sia possibile regolare e dirigere, secondo i bisogni della Nazione, lo sviluppo della sua economia. Il credito è quindi funzione dello Stato: si tratta di ripartire la utilizzazione di una ricchezza che perde il suo carattere privatistico, in quanto

 

è la raccolta di una enorme massa di cittadini a favore di determinate categorie di attività economica: nessun diritto individuale può giustificare in questo campo la assoluta libertà.”

 

Il punto dirimente viene affrontato subito dopo: Funzione preminente dello Stato è oggi dirigere e indirizzare lo sviluppo economico del Paese (…) i capitali monetari non applicati direttamente al lavoro e non sottoposti al rischio produttivo devono rendere meno. Ne conseguirà una spinta all’applicazione diretta alle produzioni, ossia una espansione dell’attività di lavoro.” (da La legge bancaria. A cura di Mario Porzio, Il Mulino 1981, pag. 321).

 

 

Pur essendo all’apogeo del regime fascista, il trait d’union con la concezione pubblicistica del credito e del risparmio espressa in Costituzione è evidente, così come cruciale risulta l’affermazione circa la eutanasia della rendita a mezzo diminuzione del tasso di interesse. Con questo passaggio l’Italia si dota di un sistema creditizio in grandissima parte pubblico, incardinato come segue:

 

–        banche d’interesse nazionale (Comit, Credit, Banco di Roma): società per azioni, detenute dall’IRI;

 

–        istituto di credito di diritto pubblico (banco di Napoli, di Sicilia, di Sardegna, Monte dei Paschi, San Paolo, BNL): controllati direttamente dal Tesoro;

 

–        casse di risparmio: controllate dal Tesoro;

 

–        aziende di credito: possono essere private, come la Banca Nazionale dell’Agricoltura;

 

A queste si accompagnano le banche popolari e i monti di pegno, gli “istituti Beneduce” (Crediop, ICIPU), il risparmio postale gestito da Cdp. Sugli istituti di credito a medio termine (il più importante sarà Mediobanca, seguito dal Medio credito centrale e altri) non ci dilunghiamo in questa sede.

 

E’ importante in questa fase ricordare come la l.b. prevedesse un organo di controllo, Ispettorato per la Difesa del Risparmio e per l’Esercizio del Credito, dotato di importanti poteri coattivi, prontamente cassato nel 1944 sotto la spinta di Banca d’Italia, gelosa delle sue prerogative in merito. L’istituto di emissione, sulla scorta della riforma in oggetto, vede la sua natura trasformarsi in istituto di diritto pubblico cui capitale sociale è partecipato a vario titolo da banche (pubbliche) e casse di risparmio. In questa fase, sulla scia della guerra d’Etiopia e la fine del gold standard, la possibilità di finanziamento del Tesoro presso l’istituto di emissione è praticamente illimitata: sarà il sempre pronto Einaudi nel 1947 a far reintrodurre il limite dello scoperto in conto corrente, fedele al suo terrore del torchio gemente.

  1. Lo stato banchiere

 

I vantaggi di avere la piena disponibilità del sistema creditizio per uno Stato che vuole intervenire

 

nell’attività economica sono innegabili. Si può infatti obbligare il sistema ad assorbire una quota voluta di titoli di debito pubblico al tasso politico deciso dal Governo; si può determinare la riserva obbligatoria per manovrare la liquidità monetaria; si possono indirizzare i capitali su settori strategici; si gestisce direttamente il mercato valutario.

 

In questo senso, tutta la Prima Repubblica è dominata dalla banca pubblica. Il capitale finanziario è sottoposto a una forte repressione, essendo il mercato borsistico quasi inesistente, mentre il risparmio popolare è intercettato in larga parte dall’amministrazione postale e dalle casse di risparmio. Volente o nolente, il miglior impiego della rendita diviene l’attività produttiva, con i riflessi positivi del caso e confermando quanto voluto in sede di riforma da Menichella e soci.

 

Il “mercato” bancario è fortemente regolamentato. La cd. “foresta pietrificata” vede una regolazione minuziosa circa l’apertura di nuovi sportelli, la fusione e la costituzione di nuovi istituti, la gestione delle masse monetarie. La banca diventa un servizio pubblico di alto livello: si hanno clienti, non consumatori. Gli istituti non ragionano in termini di profitto o di creazione di valore, perché non hanno investitori da remunerare o dividendi da distribuire: la partecipazione estera al sistema bancario è pressoché irrilevante. Come sempre, è la leva europea a scardinare uno degli ordinamenti più efficienti del Mondo: i fallimenti bancari nel periodo 1945-1990 possono grosso modo ricondursi ai casi Sindona e Calvi, ambiti straordinari e assai oscuri. Mettere i soldi in banca diviene un sinonimo di sicurezza e di fiducia nell’Italia del risparmio e della crescita.

 

Naturalmente, doveva venire l’Europa a scardinare tutto.

 

 

 

  1. Voglio essere Gordon Gekko

 

La prima direttiva CEE è del 1977 (77/780/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1977), in cui si introducono concetti del tutto alieni alla realtà italiana. Si inizia a parlare di banca come impresa (art. 1), di concorrenza e produttività, di aumento dell’offerta dei servizi. Non a caso, la direttiva viene recepita in Italia solo nel 1985 (D.P.R. 27 giugno 1985, n. 350), in un contesto politico ed economico assai mutato. Si confronti a titolo d’esempio l’articolo d’apertura del decreto citato:

 

 

“L’attività di raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e di esercizio del credito ha carattere d’impresa, indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli enti che la esercitano.”

 

 

 

Con quello della legge bancaria:

 

“La raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l’esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico regolate dalle norme della presente legge.”

 

Da qui in poi il combinato disposto tra ingerenza comunitaria, insipienza della classe politica nazionale, crisi della Prima Repubblica, caos monetario del 1992, apriranno la strada al disastroso processo di privatizzazione.

 

Nel dettaglio, la convergenza prevista dalla seconda direttiva (89/646/CEE del Consiglio, del 15 dicembre 1989) e dagli accordi di Basilea (BASILEA I) impone la trasformazione degli istituti di credito di diritto pubblico in società per azioni: è la famigerata legge Amato (L. 218/1990). La trasformazione in spa produce una serie di sconquassi inevitabili, tra cui la sottocapitalizzazione dei banchi meridionali, la difficoltà debitoria di gran parte degli stessi (venuta a mancare la garanzia di stato); il difficile percorso di trasformazione vedrà la scomparsa di istituti di credito secolari e ben localizzati nel territorio (banco di Sicilia, banco di Napoli), la progressiva dispersione di esperienze peculiari sula via del capitale estero (BNL), la fine ingloriosa (MPS). Le casse di risparmio finiranno inglobate in processi di fusione tendenti a distruggere la radicazione territoriale e il legame fondante con le realtà di riferimento: su tutti, domineranno le fondazioni bancarie, creazioni incomplete e oggetto di numerose controversie.

 

La tabula rasa diviene completa con la dismissione del patrimonio IRI e la privatizzazione delle tre B.I.N., tra il 1994 e il 1995, a quotazioni largamente inferiori al valore di mercato. Ricordiamo che in Germania non fu affatto necessario privarsi del sistema creditizio pubblico per entrare nell’euro, così come il processo di concentrazione delle banche francesi non ha visto intromissioni estere.

 

La grande ipocrisia del liberismo ha così permesso la distruzione del patrimonio bancario pubblico in nome di una concorrenza mai vista, considerato il grado di concentrazione oligopolistica del mercato italiano, retto da due colossi, e impoveritosi in maniera impressionante di presenza nel territorio a favore di una progressiva e inarrestabile “commercializzazione” dell’attività: dalla banca di diritto pubblico alla banca-assicurazione il passo è stato breve e brutale.

 

Inutile poi ribadire le conseguenze dell’euro e della crisi del 2008 su un sistema oramai basato su spa private più attente all’estrazione del valore che al servizio alla clientela. In cinque anni sono falliti più istituti che nei cinquant’anni precedenti: basta (e avanza) per capire la traiettoria.

 

 

 

  1. Stato banchiere o banchieri-stato

 

La carrellata storica, incompleta e parziale, serviva a mostrare come in un passato non troppo lontano è esistita un’alternativa pubblica- efficace ed efficiente- che ha tutelato meglio e più a lungo il risparmio e i risparmiatori. I fatti degli ultimi anni evidenziano come il potere delle banche- capitale finanziario- è tale in un’economia liberale che per forza di cose influenza l’andamento del governo e dell’economia ben più a fondo dei partiti e

 

Continua qui: http://orizzonte48.blogspot.com/2019/02/breve-storia-dellevoluzione-del-sistema.html

 

 

 

 

 

 

La Banca d’Italia

1 Marzo 2019 DI GIOVANNI ZIBORDI

 

 “Banca d’Italia e Consob andrebbero azzerati, altro che cambiare una o due persone. Azzerati” ha detto sabato Matteo Salvini a Vicenza, davanti alla platea di risparmiatori della Popolare Vicenza e Di Maio nella stessa occasione “Chiediamo discontinuità e quindi non possiamo confermare le stesse persone che sono state nel direttorio di Bankitalia…” Sono dichiarazioni bellicose a cui non viene dato seguito, come quelle riguardo alla revoca della concessione ad Autostrade dei 5Stelle dopo il crollo del Ponte Morandi?

Nel caso di Autostrade c’erano dei vincoli contrattuali a cui Di Maio e compagni non aveva pensato bene prima di parlare, mentre nel caso di Bankitalia il governo può invece decidere la revoca dei vertici senza problemi e qui anche Salvini si è sbilanciato.

Come era prevedibile il ministro Tria ha subito parlato a difesa di Bankitalia ed è partita la raffica di editoriali e commenti a difesa della famosa “indipendenza” di Banca d’Italia, senza la quale l’Italia rischierebbe di avere…. scandali come quelli di Monte Paschi-Antonveneta in cui sparisce una decina di miliardi e lo Stato deve mettere 5 miliardi, fallimenti come quelli delle banche Etruria, Marche, Vicenza ecc. in cui lo stato deve rimborsare i risparmiatori e poi un crollo del credito di 200 miliardi…e la cessione “selvaggia” di quasi 150 miliardi di crediti deteriorati a fondi speculativi esteri di cui parla ad esempio proprio oggi un reportage di Myria Longo sul Sole24ore.

Se con “l’indipendenza” di Bankitalia abbiamo avuto questa serie senza fine di disastri, non è chiaro come un maggiore controllo e responsabilità verso il parlamento possa peggiorare le cose.

Questa è allora un’occasione allora per parlare di questo undicesimo comandamento che si è aggiunto ai primi dieci, “Non Avrai Altro Dio al di fuori della Banca Centrale” cioè tu governo, parlamento e la società che rappresentate lascerete il potere vero (in economia) alla Banca Centrale e non vi azzardate neanche a criticarla.

Di Maio e Salvini si riferivano nel loro attacco, al non aver vigilato e aver lasciato fallire alcune piccole banche italiane, ma in altre circostanze sia la Lega che il M5Shanno criticato anche la Banca Centrale Europea, ad esempio perché lasciava che lo “spread” si allargasse contro l’Italia e di recente la Lega ha anche sollevato la questione se l’oro di Bankitalia sia ancora sotto il suo controllo o sia finito sotto la BCE

Come si sa, con l’euro le funzioni più importanti sono state tolte ora però a Bankitalia, sia sul lato della moneta che della supervisione delle banche, per cui ad es nel caso della Carige la decisione su come ristrutturarla è arrivata dalla BCE. In questo senso che rimuovere i vertici di Bankitalia può essere un gesto importante, ma che non cambia molto l’equilibrio di potere, come avverrebbe in altri paesi fuori dall’eurozona.

Se parliamo della Banca Centrale in generale in eurozona la maggioranza dei poteri sono passati alla BCE che poi delega a Bankitalia alcune cose come il QE cioè l’acquisto di Btp sul mercato, tanto è vero che alcuni critici paragonano ora Bankitalia ad un mega centro studi con centinaia di alti funzionari molto ben pagati che però hanno sempre meno cose di cui occuparsi (a questo proposito e parlando di sprechi, l’enorme budget di miliardi della BCE a Francoforte, non ha fatto diminuire il budget delle singole Banche Centrali nazionali moltiplicando i posti da dirigente anche se le funzioni che si assolvono sono le stesse)-

Tornando a Salvini e Di Maio questo sabato hanno violato il primo comandamento della politica economica “Non Avrai Altro Dio al di fuori della Banca Centrale” con corollario: “Non Nominerai il Nome della Banca Centrale e del suo Governatore invano” (e non lo criticherai) Questo credo prevede che la Banca Centrale nella sua saggezza e totale “indipendenza” faccia funzionare il sistema bancario e fornisca la liquidità che manca all’economia tramite complesse politiche con nomi tipo SSP, TLTRO e QE che da soli scoraggiano il politico medio per non parlare del cittadino medio dall’interferire.

Nella realtà, dietro la facciata, hai un gruppo di funzionari che provengono da una carriera nei ministeri e nel settore bancario i quali hanno il potere di emettere centinaia di miliardi di euro che creano dal nulla con il computer e a loro discrezione possono usarli per sostenere o meno le banche in crisi o per comprare o meno BTP. Devono anche vigilare sul credito che le banche erogano e questo gli hanno rimproverato Salvini e Di Maio ma nella realtà gli scandali dovuti a malagestione delle banche sono stati globali e di dimensioni colossali e nessuna Banca Centrale salvo forse quella del Canada è rimasta indenne. L’Italia è entrata però nelle classifiche mondiali con i miliardi di euro spariti intorno a Monte Paschi e l’acquisizione di Antonveneta (da 9 a 12 miliardi secondo le stime), una vicenda che ha visto anche la defenestrazione

 

Continua qui: http://cobraf.com/forum/forum/banche-e-assic-238/topic/monte-dei-pascoli-di-siena-e-banca-marche-21100/?post=1089109#1089109

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

NON CESSA L’ATTACCO DELLE TOGHE ROSSE AL GOVERNO

BASTA CON I MAGISTRATI CHE FANNO POLITICA

MARZO 2, 2019 DI WP_9552535

Da non crederci! Abbiamo visto magistrati sfilare con i No Global, abbiamo scoperto magistrati che intervengono ai congressi della CGIL, e altri che attaccano il governo a suon di avvisi di garanzia. Ora arriva Mariarosaria Guglielmi che, aprendo il congresso di Magistratura democratica a Roma, ha accusato il governo gialloverde dei peggiori crimini. È davvero l’ora di finirla con la deriva che da decenni trascina l’ordinamento giudiziario in mezzo a ogni partita ideologica; è l’ora di dire basta agli schieramenti di parte, che ne sviliscono e ne mortificano l’immagine e il ruolo. E basta anche con la sovraesposizione mediatica di cui godono alcuni magistrati, che troppo spesso si rivela un piano inclinato che li fa scivolare verso la politica politicata.

Torniamo all’invettiva, quella fatta dalla segretaria delle toghe rosse, che rinfaccia a Matteo Salvini e a Luigi Di Maio di portare il Paese “verso un nuovo assetto normativo e culturale fortemente regressivo per i diritti e per le garanzie e verso una manomissione dei principi dello Stato di diritto che priva la giurisdizione del suo ruolo di garanzia e di terzietà”. La relazione della Guglielmini è infarcita di posizioni ideologiche, e lancia oscuri messaggi che male fanno sperare in un autentico ritorno di certa magistratura a più miti posizioni, più consone a chi deve amministrare la legge. Dalle politiche per contrastare l’immigrazione clandestina alle misure a sostegno della vita, Magistratura democratica impallina i principali provvedimenti approvati dall’attuale esecutivo. “In pochi mesi il volto del nostro Paese è cambiato – è l’allarme lanciato dalla Guglielmini – e sembra essersi interrotto il percorso che ha condotto sin qui la nostra democrazia”. Dopo le elezioni del 4 marzo 2018,

Continua qui:

http://www.storiepoliziapenitenziaria.it/2019/03/02/non-cessa-lattacco-delle-toghe-rosse-al-governo-basta-con-i-magistrati-che-fanno-politica/

 

 

 

 

Diciotti, Ong e migranti, “deriva xenofoba e razzista”.

Nero su bianco: manifesto delle toghe contro Salvini

1 marzo 2019

 

Una “deriva xenofoba e razzista“, dichiarazioni “di stampo eversivo”. Dopo l’Anm, è Magistratura democratica (il sindacato “rosso” delle toghe) a scagliarsi contro Matteo Salvini e il governo andando ben oltre i rilievi di tipo tecnico sull’operato dei ministeri dell’Interno o della Giustizia.

 

“La costruzione di nuove soggettività di tipo identitario – spiega la segretaria generale Mariarosaria Guglielmi nella sua relazione al Congresso di MD – è parte rilevante della strategia del populismo e dei neonazionalismi, che, alimentando strumentalmente la percezione dell’invasione da parte degli stranieri, ha innescato anche nel nostro Paese una deriva xenofoba e razzista,

 

Continua qui:

https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13435538/diciotti-magistratura-democratica-ong-migranti-matteo-salvini-xenofobo-razzista.html

 

 

 

 

IL PROGRAMMA DI KYENGE: “CAMBIARE COMPOSIZIONE ETNICA DEL POPOLO ITALIANO”

2 marzo 2019

Qual è il programma di Kashetu Kyenge per il popolo italiano? La sua sostituzione etnica.

Lo spiegò, piuttosto chiaramente, in un’intervista alla radiotelevisione romanda – Svizzera – nel programma “La Matinale” dello scorso anno

VIDEO QUI: https://voxnews.info/2019/03/02/il-programma-di-kyenge-cambiare-composizione-etnica-del-popolo-italiano/

Kyenge parlò in modo chiaro di sostituzione etnica: “Il popolo italiano ha

Continua qui: https://voxnews.info/2019/03/02/il-programma-di-kyenge-cambiare-composizione-etnica-del-popolo-italiano/

 

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Il reddito di cittadinanza del governo tra luci e ombre

Giulio Marcon – 18 Febbraio 2019

 

Il Reddito di Cittadinanza è un provvedimento molto atteso, uno strumento importante di lotta alla povertà che può avere impatti significativi. Ma c’è il rischio che possa fallire a causa di incongruenze nelle finalità, scelte sbagliate nell’erogazione, confusione nel funzionamento, contraddizioni negli aspetti organizzativi.

Il Reddito di Cittadinanza di cui si discute il decreto in questi giorni alla Camera è un provvedimento atteso, di cui si sentiva il bisogno da tanto tempo. È uno strumento importante di lotta alla povertà che può avere un impatto significativo nella riduzione della povertà e nel favorire l’inclusione sociale. È un provvedimento che contiene molti elementi di novità, con luci e ombre.

Le luci

In primo luogo, di fronte all’enorme aumento delle persone che vivono in condizioni di povertà assoluta (passate da 2 milioni e 427mila del 2007 a oltre 5 milioni e 58mila del 2018), uno strumento organico e più ampio possibile di contrasto alla povertà era ed è fondamentale.

È quindi merito di questo governo averlo ideato e varato. Siamo in ritardo rispetto a moltissimi paesi dell’Unione Europea e solo negli ultimi anni l’Italia ha cercato di darsi degli strumenti come il SIA (Sostegno per l’Inclusione Attiva) e il REI (Reddito di Inclusione): primi passi comunque necessari, ma insufficienti, poco finanziati e poco organici.

In secondo luogo – altro elemento positivo – va registrato lo stanziamento significativo di oltre 7 miliardi di euro nel 2019: un aumento consistente di oltre 4 miliardi di euro rispetto agli stanziamenti per la lotta alla povertà degli anni precedenti. La quantità, se gestita bene, può fare la qualità. La mole di risorse in più può essere un fattore determinante nel ridurre l’ampiezza della povertà nel nostro Paese, che tende a crescere – nonostante la piccola ripresa di questi ultimi anni – ogni anno che passa.

Solo queste due prime considerazioni basterebbero a far giudicare demenziale la proposta di alcune forze politiche di raccogliere le firme per indire un referendum abrogativo del provvedimento. Le battute e le polemiche sul “divano” sono fuori luogo e offensive verso i poveri.

Parimenti, è una totale sciocchezza augurarsi – solo per motivi di polemica politica – che il provvedimento fallisca. Sarebbe un danno per i poveri e una pietra per i prossimi anni su ogni altra proposta che riprenda l’idea di uno strumento organico di lotta alla povertà come appunto il reddito di cittadinanza.

Invece di fare i “gufi”, per usare un’espressione di un passato presidente del Consiglio, le forze politiche si impegnino a migliorare il provvedimento alle Camere. Ci auguriamo, dunque, che il Reddito di Cittadinanza abbia successo, possa funzionare e aiutare milioni di poveri a uscire da una condizione di sofferenza e disagio sociale.

Le ombre

Il rischio che il Reddito di Cittadinanza possa fallire o incontrare molti problemi è molto serio. Ci sono incongruenze nelle finalità e nella filosofia del provvedimento, errori e scelte sbagliate nell’erogazione del beneficio economico, confusione nella modalità di funzionamento, contraddizioni negli aspetti organizzativi più specifici.

Primo. È un ibrido. Nel decreto il provvedimento viene definito, in ordine di citazione, come uno strumento delle politiche attive del lavoro, di lotta alla povertà e di riduzione delle diseguaglianze. In realtà, non fa nessuna delle tre cose – a voler essere buoni – fino in fondo.

Il “reddito di cittadinanza” non è una politica attiva del lavoro. Riporre la speranza che le politiche attive del lavoro siano in mano a 6 mila navigator è una vera ingenuità: bisognerebbe invece puntare sugli investimenti (pubblici), che la Legge di Bilancio del 2019 riduce.

In secondo luogo, la povertà non si sconfigge (solo) grazie al lavoro: non dimentichiamoci che in Italia ci sono centinaia di migliaia di lavoratori poveri: 12 su 100. Nella simulazione dell’ISTAT si prevede che ben 428mila saranno i lavoratori beneficiari del Reddito di Cittadinanza. Il provvedimento e le prese di posizioni degli esponenti del governo in questi mesi fanno emergere una tesi: che la povertà sia semplicemente (o anche prevalentemente) un problema di reddito. Non è così. La povertà e un problema multidimensionale che investe diversi ambiti: educativo, abitativo, territoriale. Una politica complessiva e coordinata di lotta alla povertà non c’è. E non è solo responsabilità dell’ultimo governo. E la riduzione delle diseguaglianze ha bisogno di tutt’altri strumenti. Come ricordava il socialista Richard Henry Tawney “quello che i ricchi chiamano il problema della povertà, per i poveri è il problema della ricchezza”. Solo con una politica fiscale progressiva, con l’innalzamento dei salari e con un welfare rafforzato le diseguaglianze potranno essere ridotte veramente e in modo permanente.

Secondo. Con il provvedimento aumenta la copertura delle persone in stato di povertà assoluta, ma non così tanto come l’entità del finanziamento lascerebbe sperare. I conti non tornano. Secondo il governo sono 5 milioni (dichiarazioni del vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio alla presentazione della Card) le persone che utilizzeranno la cardper i benefici del provvedimento, ma la Relazione tecnica del provvedimento parla di poco più di 3,5 milioni di beneficiari. Per l’ISTAT sono 2,7 milioni, per l’INPS 2,4 milioni e per l’Ufficio Parlamentare di Bilancio la stima è simile a quella della Relazione tecnica.

 

Tabella 1. Beneficiari e costi del reddito di cittadinanza

Individui Famiglie Costo
Governo 5 milioni
Relazione tecnica 3,5 milioni 1,3 milioni 7,5 miliardi
Istat 2,7 milioni 1,3 milioni 6,6 miliardi
Inps 2,4 milioni 1,2 milioni 8,5 miliardi
Ufficio Parlamentare di Bilancio 3,6 milioni 1,3 milioni 7,8 miliardi

 

Le persone in povertà assoluta sono 5 milioni e 58mila: con il REI venivano coperti inizialmente 1,8 milioni di poveri, che arrivavano a 2,5 milioni con la Legge di Bilancio del 2018. Ricapitolando, non abbiamo un vero Reddito di Cittadinanza, non lo avranno quelli che si trovano in stato di povertà relativa (9 milioni e 368mila persone) e nemmeno tutti quelli che si trovano in stato di povertà assoluta (5 milioni e 58mila persone). Questi ultimi sono coloro che non hanno abbastanza soldi per pagarsi i servizi fondamentali e far fronte ai bisogni primari. Le aspettative verso il Reddito di Cittadinanza si sono molto ridotte nel corso dell’elaborazione del provvedimento. È un REI un po’ più consistente (e questo va bene), con un nome nuovo – per motivi di marketing – ma con regole nuove e reinventate, tutte da sperimentare. Si ricomincia da capo.

Terzo. Centrale per il provvedimento è il lavoro. L’indispensabile riforma dei Centri per l’Impiego (CPI) avrà tempi lunghissimi ed è imprevedibile negli esiti. È probabile che la parte più importante del provvedimento – quella centrata appunto sul lavoro – non funzioni: almeno non nei tempi auspicati. Ancora non si sa come saranno assunti (comunque come precari) e formati i 6 mila navigator che si aggiungeranno ai 650 precari che già lavorano all’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche del Lavoro). I navigator sono una sorta di tutor e facilitatori: ma se il lavoro non c’è, c’è poco da facilitare. Ed essendo precari, se dovessero trovare un buon lavoro, magari lo terranno per sé invece di offrirlo ai fruitori del provvedimento.

È inoltre nota la disposizione delle tre offerte (la prima entro il raggio di 100 km, la seconda entro i 250 km, la terza in tutta Italia): nel decreto si dice che la proposta di lavoro deve essere “congrua”. Ma cos’è la congruità? Il provvedimento si rifà al decreto n. 150 del 2015 in cui si definisce congrua un’offerta di lavoro il cui salario sia superiore di almeno il 20% l’indennità percepita precedentemente.

Quindi, se prendi un reddito di cittadinanza di 780 euro, si tratta di almeno 930 euro, mentre se avevi un reddito di cittadinanza di 600 euro, si parla di almeno di 720 euro. Ma se devi spostarti da Cuneo a Torino (siamo sotto i 100 km), l’abbonamento mensile per il treno costa 120 euro e poi al lavoro (fuori casa) dovrai pure mangiare: un panino, una bottiglietta d’acqua e un caffè fanno 5 euro al giorno. Quindi, altri 100 euro al mese. E se hai una bambina di 4 anni e sei separato/a e non hai i nonni che la accudiscano? E se il contratto

Continua qui: http://sbilanciamoci.info/il-reddito-di-cittadinanza-del-governo-tra-luci-e-ombre/

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

Incutere

in-cù-te-re (io in-cù-to)

SIGN Provocare, suscitare

voce dotta recuperata dal latino incùtere ‘lanciare contro’, composto di in- ‘dentro’ e quàtere ‘scuotere’.

Si legge che sinonimi di ‘incutere’ sono ispirare, suscitare, instillare, infondere. Ma è un’approssimazione davvero grossolana, perché si tratta di una parola tanto più violenta.

È un verbo che appartiene alla famiglia dello scuotere, del percuotere, del discutere, della concussione – insomma, dei figli del latino quàtere. Viene costruito letteralmente come uno ‘scuotere dentro’, che mantiene il senso di un percuotere, ma prende anche e soprattutto il significato di un ‘lanciare contro’. E qui c’è il passo d’intelligenza poetica, per cui ci serviremo di un’immagine metaforica: se io lancio una pietra contro la campana, è la campana che suona. Ma io non ne ho suscitatorisvegliato il suono, non ho creato le condizioni per cui spontaneamente iniziasse a vibrare. Quel suono l’ho provocato, l’ho causato direttamente con la mia viva forza, l’ho picchiato io. E l’incutere

Continua qui: https://unaparolaalgiorno.it/significato/I/incutere

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Il montante disprezzo degli americani verso i miliardari

2 Marzo 2019 DI ERIC ZUESSE

 

Il titolo di del filmato Youtube “Tucker: Leaders show no obligation to American voters” [Tucker: i leaders non mostrano alcun obbligo verso chi li vota, ndr] relativo alla trasmissione Fox News dello scorso 2 Gennaio che registrava il monologo di Tucker Carlson [seguitissimo commentatore politico di Fox News, ndr], segnano uno svolta storica nella cultura politica americana.

Fox, voce storica del Republican Party, in quel video definisce la classe dirigente americana – che controlla entrambi partiti – come “mercenari” che curano solo i propri interessi e attacca tanto la dottrina libertaria che conservatrice (le due ideologie su cui si fonda il partito repubblicano dopo Lincoln). Nel filmato Carlson afferma che solo i soldi governano e che la democrazia in America oggi è solo nominale, non reale.

Gli attuali 3747 commenti in calce al filmato riflettono la rivoluzione in corso che oggi sta rapidamente cambiando l’ideologia americana. Un utente Youtube clicca il pulsante “Best” (si è d’accordo al 100%), ed ecco che salta fuori il commento maggiormente condiviso seguito da risposte altrettanto condivise seguite a loro volta da ulteriori commenti altamente condivisi (la mole di commenti riflette l’animo particolare di questi frequentatori):

Colony Three: “In qualità di sostenitore di Bernie Sanders [come politico indipendente si posiziona alla sinistra dei Democratici, ndr] mi stupisco di essere d’accordo all’80% di quanto è stato qui affermato. Non esistiamo per servire i mercati, i mercati esistono per servire noi, invece. Ben detto!
Risposta- Samuel Adam: Mi hai incuriosito- cos’è il 20% che invece non approvi?”

Colony Three: “Samuel Adam, credo che le uniche due cose su cui non sono d’accordo è che le donne che guadagnino più degli uomini rappresentino necessariamente un problema. Credo invece che il vero problema sia il fatto che tanto uomini che donne che lavorano a tempo pieno non ce la facciano ad arrivare a fine mese. Inoltre, vorrei che Tucker fosse più specifico quando parla di “socialismo” perché, accidenti, il socialismo venezuelano è terribile. Quando parliamo di socialismo tra amici intendiamo le democrazie sociali della Norvegia, Germania, Australia, Giappone e Canada.

Detto questo sono convinto che Carlson sia un grande commentatore per Fox News, non nasconde nulla e pensa con la sua testa. Ho molti amici repubblicani che hanno lo stesso risentimento verso le élites e su come controllano la società. I media amano descrivere gli USA come irrimediabilmente divisi, ma non è vero.”

Samuel Adam: “Molto interessante. Penso che nonostante io abbia votato Trump e tu Sanders, se dovessimo fare un diagramma delle nostre posizioni troveremmo molte sovrapposizioni. Sono d’accordo che non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato se una donna guadagna più di un uomo, se c’è stato un accordo tra individui/partner. Riguardo al “socialismo” penso che dove maggiormente falliscono i repubblicani conservatori sia quando diventano giudici e giuria su questioni morali/etiche quali povertà e disuguaglianza. Detto questo la cultura americana ha definitivamente bisogno di allontanarsi da atteggiamenti egoistici, iperindividualisti e libertari e tornare, magari, alla mentalità precedente di creare innanzitutto comunità ed unione. Magari qualcuno potrebbe chiamare questo socialismo, non so.

Sei molto più ottimista di me. Ma riesco a vedere una rivoluzione in cui chi come me ha seguito il movimento populista di Trump possa marciare assieme ai sostenitori di Bernie per reclamare la parte buona della nostra storia, imparare dagli errori e avviarsi verso una America Riformata.”

Ecco le parole più pregnanti (921 su un totale di 2694) di Carlson nel suo monologo di 15 minuti: “Lo scopo dell’America e tanto più semplice quanto più sfuggevole della mera prosperità. E’ la felicità. Servono molti ingredienti per essere felici: dignità, scopo, self-control e indipendenza. Ma soprattutto profonde relazioni con le altre persone. Questo è ciò che vogliamo per i nostri figli. Questo è ciò che i nostri leaders dovrebbero volere per noi, se solo interessasse loro.

Ma a loro non gliene può fregare di meno. Siamo governati da una banda di mercenari che sentono di non avere alcun obbligo a lungo termine verso chi governano. Sono venditori porta a porta. Insegnanti precari. Sono solo figure di passaggio. Non hanno alcun ruolo in questo gioco, e lo si vede per bene. Non ce la fanno a risolvere i nostri problemi. Neanche si impegnano per capirli, i nostri problemi.

Una della più grosse bugie che i nostri leaders raccontano è che si può separare l’economia da qualsiasi cosa interessi davvero. L’economia è al centro del dibattito pubblico. La famiglia, la fede e la cultura invece sono questioni personali. Entrambi i partiti ne sono convinti.

I membri della nostra classe media o medio alta con buona istruzione sono attualmente la colonna portante dei democratici che in genere si dipingono come fiscalmente responsabili e socialmente moderati. In altre parole, seguono la filosofia libertaria. Non si interessano a come vivi fintanto che paghi le bollette e fai funzionare il mercato. Non riescono a vedere la connessione tra le vite di milioni di persone e lo stato di salute della nostra economia o, per dirla in altre parole, la capacità della nazione di pagare le proprie bollette. Per quello che li riguarda sono due categorie completamente separate.

I conservatori sociali nel frattempo discutono partendo da prospettive opposte e ciò nonostante arrivano a conclusioni sorprendentemente simili. Il problema vero, vi diranno, è che la famiglia americana sta collassando. Nulla può essere sistemato finché non sistemiamo questa faccenda. Alla fine, proprio come i libertariani che affermano di opporvisi, molti conservatori sociali considerano i mercati sacrosanti. L’idea che le famiglie siano devastate dai mercati non passa neanche per l’anticamera del loro cervello. Si rifiutano di considerarla. Mettere in dubbio le qualità dei mercati equivale all’apostasia.

Entrambi gli schieramenti non comprendono il punto più ovvio: cultura ed economia sono inseparabili. Alcuni sistemi economici permettono alle famiglie di prosperare. Famiglie che prosperano rendono floridi i mercati. Queste cose non si possono separare. Una volta lo si poteva negare, ma oggi non più. Le prove sono schiaccianti. Come lo sappiamo? Prendete in esame le città dell’interno [Midwest ad esempio, zona depressa- Ndr] …

E osservate come sia successa virtualmente la stessa cosa decenni dopo a popolazioni totalmente differenti. Per molti verso oggi l’America rurale assomiglia a Detroit.

E’ una contraddizione stridente perché gli abitanti dell’America rurale non sembrano avere molto in comune con chi vive nelle città dell’interno. Sono gruppi di persone con culture, tradizioni e orientamenti politici differenti. Generalmente hanno anche un diverso colore della pelle, dato che chi abita in campagna è generalmente un conservatore bianco […]

Ecco una risposta importante: il salario dei maschi è diminuito. Il settore manifatturiero dove erano impiegati gli uomini è sparito nel corso di una generazione. Tutto ciò che è rimasto in molti posti sono le scuole e gli ospedali dove sono impiegate tradizionalmente le donne. In molti posti le donne improvvisamente guadagnano più degli uomini.

Adesso prima che applaudiate per questa vittoria del femminismo, considerate gli effetti. Parecchi studi dimostrano che quando gli uomini guadagnano meno delle donne, queste ultime in genere non li vogliono sposare. Forse dovrebbero sposarli comunque, ma non lo fanno. Nel contesto nazionale questo causa una flessione del numero dei matrimoni, un picco delle nascite di figli illegittimi ed la serie completa di disastri che ne conseguono: più droghe, più alcool, più problemi con la giustizia e meno famiglie che si formano alla prossima generazione.

Non sono speculazioni. Non è propaganda da qualche setta religiosa. E’ scienza sociale. Sappiamo che è tutto vero, ed i ricchi lo sanno meglio di altri. Ecco perché si sposano prima di fare figli. Quel modello funziona. Ma oggi più di ieri il matrimonio è un lusso che solo l’America ricca si può permettere.

Ma nonostante lo si sappia, e questa è la parte più sconcertante che fa arrabbiare, queste stesse persone ricche e sposate che virtualmente prendono le decisioni per l’intera società, non stanno facendo nulla per aiutare chi ha meno soldi a restare sposati. I ricchi sono felici di combattere la malaria in Congo, ma non ad aumentare le paghe degli uomini a Dayton o Detroit. Pazzesco.

La chiamerei negligenza su larga scala. Entrambi i partiti ignorano la crisi dei matrimoni. I nostri leaders decerebrati si comportano come se fossimo ancora nel 1961 e come se il problema più grosso che devono affrontare le famiglie americane fosse il sessismo che impedisce a milioni di casalinghe di fare investimenti oppure di entrare nel consiglio di amministrazione di Facebook.

Per la nostra classe dirigente aumentare gli investimenti bancari è sempre la risposta giusta. Ci insegnano che è più virtuoso essere devoti a qualche multinazionale senz’anima piuttosto che crescere bene i propri figli.

Sheryl Sandberg di Facebook ha scritto un libro intero al riguardo, spiegando come il nostro primo impegno è verso gli azionisti, mentre i figli vengono dopo. Nessuna sorpresa: Sandberg è una delle maggiori azioniste americane ed è questo tipo di propaganda che l’ha resa ricca.

Siamo governati da una banda di mercenari che sentono di non avere alcun obbligo a lungo termine verso chi è governato. Sono venditori porta a porta. Insegnanti precari. Sono solo figure di passaggio. Non hanno alcun ruolo in questo gioco, e lo si vede per bene.

Quello che impressiona sono le risposte. Non abbiamo discusso sul perché Sandberg abbia scritto quello che ha scritto. Non le abbiamo riso in faccia per le assurdità che dice. I nostri media l’hanno celebrata come leader di un movimento di liberazione. Il suo libro “Lean in” è diventato un best seller. Come se mettere al primo porto gli interessi di una multinazionale significasse liberazione. Non c’è nessuna liberazione, solo schiavitù. I repubblicani dovrebbero dirlo chiaro e tondo.

E dovrebbero anche scagliarsi contro gli aspetti più loschi del nostro sistema finanziario. Non tutti gli affari sono un bene”.

Nel sito Fox News i commenti provengono virtualmente solo da repubblicani e non sono molto contenti di cosa dice Carlson. Anche Youtube segue questo trend. I commenti sono più centrati sui conflitti interni al partito repubblicano piuttosto che sul benessere nazionale. Così si è perso il punto centrale sollevato da Carlson. La pagina web di Fox News che presenta tanto il video che la trascrizione del segmento è intitolata “Tucker Calson: Mitt Romney sta sostenendo lo status quo. Ma per chiunque altro c’è da infuriarsi”. [Romney era il candidato alle presidenziali del 2012, fu sconfitto da Obama, ndr]

Nella successiva lista di commenti (3359 in questo momento) ce ne sono tre di particolarmente votati:

MotoJoe: “Non è stata la Russia a farmi votare per Trump. Piuttosto darei la colpa a Mitt Romney e a Hilary Clinton.”

Time4achangenow: “Il miglior articolo che Tucker abbia mai scritto. La “palude” è il vero problema e Mitt ci mette del proprio.”

UngaBunga: “Non è questa la seconda volta che Romney pugnala Trump alle spalle? Questo unito al fatto di non essere stato capace di battere Obama non ne fa un buon senatore repubblicano, secondo me.”

Ad ogni modo Carlson ha attaccato tanto la dottrina libertaria che conservatrice, così come i tradizionalisti puri (che accettano qualsiasi idea della loro religione) ed i libertariani puri (che accettano qualsiasi idea che la religione dei mercati offra- cioè la fede nel capitalismo). Carlson ha citato le scoperte delle scienze sociali come assolutamente certe. Essere repubblicani e leggere o ascoltare il suo monologo senza riuscire a riconoscere che è stata demolita la tua ideologia, è talmente incredibile che solo i lobotomizzati possono mantenere inalterato il proprio bagaglio ideologico – sia esso di natura conservatrice o libertaria, o una somma delle due.

Sorprendentemente i repubblicani non hanno preso questo monologo come un insulto personale, a parte pochi.

Quanto sostenuto da Calrson sarebbe in massima parte sostenuto dalla sinistra americana, inclusi i molti sostenitori di origine ispanica o africana che da sempre votano democratico.

Il 18 Gennaio Bill van Auken al World Socialist Web Site se ne esce con il titolo: “Giornalista della Iranian TV nata negli USA incarcerata senza accuse” e descrive l’accaduto definendo quella persona American Black: “Marzieh Hashemi, reporter di PressTV, la televisione nazionale iraniana in lingua inglese, è stata arrestata domenica nell’aeroporto di St.Louis, trasferita a Washington in catene ed è tuttora trattenuta senza alcuna accusa. Non ci sono dichiarazioni pubbliche da parte del Dipartimento di Giustizia o dell’FBI.

 

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/il-montante-disprezzo-degli-americani-verso-i-miliardari/

 

 

 

POLITICA

GUIDA ALLA VERGOGNA CHIAMATA ELEZIONI EUROPEE.

Votare per un Parlamento i cui legislatori non possono fare le leggi, e i cui legislatori devono lottare come assassini se vogliono opporsi a potentissime leggi fatte da gente che nessuno elegge– cioè votare alle elezioni per il Parlamento Europeo – è rendersi complici intenzionali di una dittatura.

Se non lo sapevate, ora lo saprete leggendo queste righe.

Poi le scuse stanno a zero, italiani.

 

*(Nota: solo un pelo tecnico in un paio di punti, il resto spiegato a zia Marta)

La gran massa di quelli che oggi vi stanno dicendo che una rimonta Populista Euroscettica alle europee di maggio sarà esplosiva contro la bieca autocratica UE di Bruxelles, è così ripartita:

Il 2% sono consapevoli falsari.

Il 98% sono inconsapevoli cretini.

Se la mattina del 27 maggio 2019 il più potente burocrate d’Europa, Martin Selmayr, vedrà su Sky News il faccione raggiante di Salvini ‘che non lo tiene più nessuno’, scrollerà le spalle e penserà “Vabbè, una rogna in più”. Mica altro, perché la sua Europa verrà solo di un poco infastidita. Mica altro.

Va detto subito il perché, e s’inizia da qui: il Parlamento Europeo è il più farsesco demenziale baraccone mai pensato dalla Storia politica umana. Credere che dall’interno di un carrozzone impantanato come questo, un’eventuale fronte anti Bruxelles possa iniziare a sparare cannonate micidiali fin dalla mattina del 27 maggio, è da fessi, o da falsari come Salvini, Bannon, il 5Stelle e i loro soci in UE.

Spiego tutto qui.

  1. Votare per dei vigliacchi.

I parlamentari europei che delegano la stesura di leggi sovranazionali – cioè più potenti di quelle scritte dai singoli Paesi e sovente anticostituzionali per loro – ai burocrati non eletti della Commissione Europea di Bruxelles, non sono solo dementi, sono anche dei vigliacchi. Il “principio di comodità” è ciò che li guida. E’ comodo sedersi a Strasburgo, intascare un grasso salario, e poi al limite dara la colpa a Bruxelles per i danni micidiali che certe sue leggi ci fa. Questo principio fu descritto nero su bianco, proprio alla luce del sole, da due accademici (Epstein e O’Halloaran) in uno studio della Cambridge University del 1999: “I legislatori hanno noti incentivi a delegare tutto il potere ai burocrati… fra cui il fatto di evitare di essere poi chiamati a rispondere ai cittadini per scelte dure e impopolari (tradotto: per le infami ‘riforme’ di lavoro e pensioni, e i tagli di spesa alla Juncker, nda)”. Serve dire altro?

  1. Dal poter far nulla, al poter fare quasi nulla!

Dal 1979 al 2007 i parlamentari europei sono stati talmente impotenti di fronte alla Commissione UE che uno si chiede cosa facessero tutto il giorno. La cosa divenne talmente oscena e grottesca che alla fine i super burocrati di Bruxelles decisero dal 2006, e poi l’anno dopo col Trattato di Lisbona, d’infilare dei ritocchini cosmetici che dessero l’impressione che il Parlamento potesse bloccargli le leggi. Coi nomi fighi di Regulatory Procedure With Scrutiny e di Art. 290 TFEU (la cosmesi deve sempre suonar fighissima) fu dato al Parlamento il potere di opporsi alle leggi della Commissione, così come poteva fare il Consiglio dei Ministri. Ma è una totale farsa, come spiegherò sotto. Quindi il Parlamento UE è passato dal poter fare nulla al poter fare quasi nulla.

  1. Prima farsa: I parlamentari contestano? Costa una fortuna, e i tempi gli sono nemici. Risultato: gliela danno su.

Il Trattato di Lisbona, che di fatto regola tutto il funzionamento dell’UE, ha reso il costo in denaro e in mezzi di una contestazione del Parlamento contro la Commissione quasi inaffrontabili. Le leggi della Commissione sono di proposito scritte da oltre 300 tecnocrati con intrichi legali asfissianti, per cui il parlamentare UE se volesse capirci il minimo dovrebbe pagare uno staff di tecnici a costi altissimi, ma non solo. Deve poi avere ulteriori mezzi per “istruire” un’intera Commissione Parlamentare sul tema che vuole criticare, e tutto questo solo per iniziare ad agire. Infine, deve trovare ancora mezzi per formare una coalizione che sia d’accordo con lui/lei, e non basta: deve anche convincere la Conferenza dei Presidenti delle Commissioni.

Poi ci sono i tempi: 4 mesi per 1) organizzare tutto quanto detto prima 2) fare uno spossante lavoro di lobby pro-contestazione con tutti i partiti del Parlamento UE 3) e rifare tutto daccapo in seno al Consiglio dei Ministri, che per legge deve essere poi d’accordo. Scaduti i 4 mesi, il parlamentare UE s’attacca al tram…

Il peso, i costi e gli ostacoli di una contestazione contro una legge della Commissione sono quasi sempre maggiori dei benefici… meglio per il parlamentare una forma di baratto in privato con Bruxelles”, scriveva nel 2017 il College of Europe, Bruges, riportato allora sul The Economist. In altre parole: meglio dargliela su come Parlamento UE, e tentare il mercato dei polli in privato. (si veda anche sotto)

Ecco i risultati di questo demenziale e democraticamente osceno meccanismo per cui un parlamentare eletto deve svenarsi per contestare burocrati non eletti: dal 2009 al 2017, su 545 leggi proposte dalla Commissione, il Parlamento UE di fatto ne ha contestate l’1,1%. Il resto, e sono tutte leggi più potenti di quelle italiane, è passato liscio come l’olio. Mettiamo pure che i Populisti Euroscettici prendano buoni numeri a maggio: è straovvio da quanto detto sopra che avranno una vita infernale per anche solo mantenere una frazione di ciò che oggi sbraitano agli elettori, della serie “A maggio gli facciamo fare le valige! Spacchiamo tutto!”. E questo anche per altri seri motivi, eccoli.

  1. Seconda farsa: Contestano? Ecco la lista dei permessi che gli ci vogliono.

Quindi, il prode parlamentare UE che vorrebbe bloccare una super-legge della Commissione deve avere una barca di soldi, dei tecnici pazzeschi, convincere un mare di altri parlamentari e partiti e commissioni solo per iniziare ad agire. Ma per arrivare a una conclusione di successo deve poi anche sconfiggere i seguenti veti: il possibile veto della Commissione Parlamentare interessata; un possibile veto che viene da conflitti di giurisdizione fra le Commissioni, cioè gli dicono “sta roba non è legalmente di tua competenza e levati dalle balle”; un veto se poi, dopo tutta sta gimcana, il parlamentare non ottiene la maggioranza assoluta di tutto il Parlamento UE e non ottiene anche l’ok del 55% del Consiglio dei Ministri (cioè di tutti gli Stati UE). Giuro, non è teatro Pirandelliano, è come funziona sto delirio chiamato Parlamento UE.

  1. Terza farsa: parlamentari evirati costretti a fare i lobbysti, e spesso di nascosto.

Michael Kaeding è ‘Professore Jean Monnet’ di politica europea (per chi ha letto il mio Il Più Grande Crimine il nome Monnet dice tutto, Nda) all’università Duisburg-Essen, oltre a ricoprire un’altra decina d’incarichi nelle maggiori Think Tanks d’Europa. Sì, è un super tecnocrate UE, D.O.P. direi, proprio l’opposto di un Euroscettico, ok? Ci siamo scritti di recente su questo tema, e lui è stato incredibilmente trasparente: “Guardi Barnard che l’ho dichiarato pubblicamente in diversi studi, e le cito dai miei testi. Per il fatto che la Commissione Europea, che fa tutte le leggi, è consapevole di avere una legittimità democratica piuttosto attenuata, cerca sempre di non arrivare allo scontro coi parlamentari europei…” – “Esiste un potere di fatto dove il singolo parlamentare baratta con la Commissione su certe leggi, piuttosto che tentare uno scontro. Il problema è che questi negoziati non sempre sono trasparenti, o addirittura sono difficili da scoprire”.

 

In altre parole: il parlamentare UE ha in pratica zero poteri di realisticamente bloccare le leggi fatte dagli autocrati di Bruxelles, come ampiamente provato sopra, e allora può sempre tentare di fare il lobbysta nell’ombra. Ma anche un super tecnocrate come Kaeding arriva a chiedersi: “Come funzionano ste trattative informali fra parlamentari UE e la Commissione? E poi davvero hanno effetto? Rendono la Commissione più democratica agli occhi dei cittadini?”.

 

  1. Altra balla: il Parlamento UE può bocciare sia la Commissione che il suo Presidente.

Questa è surreale: il Parlamento UE può in effetti bocciare sia la nomina del Presidente della Commissione UE, sia la lista dei Commissari UE. Poi cosa succede? Che – come di fatto successe dietro le quinte anche con Jean Claude Juncker – Presidente e Commissari vengono ripresentati quasi identici, o, al meglio, con cosmetiche correzioni per salvare la faccia ai parlamentari contestatari. Poi cosa succede? Che se un ipotetico Parlamento UE ‘machizzato’ dai salviniani non accetta il salva-faccia, esso risboccia il tutto. Allora che succede? Succede che si entra nel labirinto chiamato Crisi Costituzionale secondo il Trattato di Lisbona, il quale come già dissi anni fa è di fatto la nuova Costituzione UE introdotta di nascosto nel 2007, dopo la bocciatura francese e olandese della prima Costituzione proposta (bocciata perché “socialmente frigida”).

E allora chi la risolve la crisi costituzionale sopra descritta? Il Parlamento UE? Ma non facciamo ridere. Il Consiglio Europeo? Ma non facciamo ridere, esso ha consegnato dispute di sto genere a oltre 2.800 pagine di codicilli indecifrabili scritti da tecnocrati nel 2007 (Trattato di Lisbona), e da cui si desume, secondo studiosi come Jens Peter Bonde, che la crisi verrebbe a quel punto messa nelle mani della Corte Europea di Giustizia, che è ancor meno eletta della Commissione UE. Risultato: la bocciatura del Parlamento UE in oggetto vale, se davvero si arriva al muro contro muro, come le banconote Bolivar di Maduro oggi. Devo spiegare?

  1. Infine, il punto di tutti i punti. E anche qui il Parlamento UE è zero.

Le leggi della Commissione UE ficcano il naso dappertutto, dagli omogeneizzati alle regole d’accesso alle comunicazioni satellitari; da come devono essere fatte le lampade al neon a cos’è la cioccolata; fino alla tua privacy e a come irrigare un campo, ecc. Ma ciò che questa Europa ha portato di più devastante sulla più bella e democratica Costituzione del mondo, la nostra, sono i Trattati. Finora in tutto quest’articolo abbiamo parlato del (di fatto) grottesco/inesistente potere del Parlamento UE di opporsi alle leggi sovranazionali della Commissione. Esse sono chiamate “Leggi Secondarie”.

La “Legge Primaria” in Europa sono quei Trattati, come Maastricht, Lisbona, o il devastante Fiscal Compact (quello che ci ha imposto nella Costituzione di Calamandrei la distruzione del suo senso più profondo, cioè l’equità sociale, assieme all’abolizione dei poteri di spesa sovrana del Parlamento di Roma, mica nulla).

Lottare per, come si usa dire, ‘andare in Europa’, cioè prendere numeri nel Parlamento UE, è anche in questo caso, e soprattutto in questo caso, una colossale presa per il culo del pubblico, perché  il parlamentare europeo ha lo stesso potere di cambiare o di eliminare i devastanti Trattati Neoliberisti europei – cioè quelli economici che contano perché si parla di Spesa di Stato per le nostre vite, malattie, lavoro, pensioni o giovani e della nostra Costituzione – ha lo stesso potere, dicevo, che ha la tachipirina nella cura dell’ictus.

Ecco come stanno le cose. Il Trattato di Lisbona, con l’Art. 48 TEU, sancisce che per modificare un

Continua qui: https://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=2136

 

 

 

 

Primarie: cosa sono e quando nascono

7 marzo 2016

 

Le elezioni primarie sono ormai diventate parte integrante del dibattito politico italiano; per i pochi che ancora non sapessero di cosa si parla, le primarie sono uno strumento democratico relativamente giovane mutuato dalla politica americana.

Tale tipologia di consultazione è stata adottata nel nostro Paese per la prima volta nel 2005 e, per lo più, viene utilizzata dalle forze politiche che gravitano attorno all’area di centrosinistra anche se ultimamente pure il centrodestra ha iniziato a strizzare l’occhio a questo strumento di scelta dei candidati.

Ma vediamo di fare chiarezza. Per prima cosa, è necessario fare presente che le primarie sono state create per consentire ai cittadini di prendere parte alla scelta dei candidati che, solo in seguito, potranno partecipare alle consultazioni elettorali ufficiali.

In buona sostanza, dunque, si tratta di un filtro finalizzato a limitare la discrezionalità del partito nella scelta degli individui che andranno a ricoprire cariche pubbliche.

Strumento democratico dal sistema politico americano

Senza alcun dubbio, per il sistema politico italiano le elezioni primarie hanno rappresentato un punto di svolta oltre che di riflessione. Prima dell’introduzione di questo strumento democratico i candidati venivano scelti sulla base di un iter che non prevedeva la partecipazione diretta dei cittadini. Quindi a monte dai partiti.

Le elezioni primarie sono state ideate negli Stati Uniti d’America sul finire dell’800 e devono la loro esistenza ai partiti progressisti. Proprio per questa ragione, anche in Italia hanno trovato una dimensione concreta nell’area di centrosinistra che via ha fatto ricorso più volte.

Non ultima la scelta del sindaco di Roma per le elezioni del 2016, che ha visto il Pd mettere in atto le primarie per decidere il proprio candidato alla poltrona del Campidoglio. Primarie vinte poi da Roberto Giachetti.

Storia delle Primarie in Italia: in principio fu Prodi

Malgrado ciò come detto, nel corso del tempo anche le forze politiche appartenenti all’area di centrodestra hanno tentato di introdurre questo strumento partecipativo per la scelta dei loro candidati.

Ovviamente, negli anni, le primarie hanno subito molte trasformazioni. Utilizzate in Europa ed in vari stati del mondo, in Italia le elezioni primarie sono state introdotte per la prima volta da Romano Prodi ed Arturo Parisi nel 2005 in occasione delle elezioni regionali.

Il primo vero banco di prova per le primarie, però, risale al 16 ottobre del medesimo anno. In quella data l’Unione invitò gli elettori ad esprimersi riguardo al candidato per le elezioni politiche dell’anno 2006.

I cittadini ebbero la possibilità di comprendere l’importanza di esprimere la propria opinione in merito al candidato da scegliere. A vincere le elezioni fu Romano Prodi che, tra l’altro, risultò vincitore anche nella consultazione elettorale e rimase in carica fino al 2008.

Le Primarie nel centrodestra

E per quanto riguarda i partiti di centrodestra? Come anticipato, anche le forze politiche appartenenti all’area di centrodestra hanno tentato di intraprendere la strada delle elezioni primarie seppur con risultati non troppo soddisfacenti.

Il primo ad aver inoltrato la richiesta di effettuare le elezioni primarie era stato Marco Follini nel 2006. La sua richiesta, però, non fu accettata dalla maggioranza della coalizione.

Un nuovo tentativo è stato fatto, poi, da Angelino Alfano in vista della consultazione del 2013. In tal caso, le primarie non furono considerate necessarie data la ricandidatura di Silvio Berlusconi.

Anche la Lega Nord nel 2013 ha deciso di ricorrere alle primarie ma con una restrizione ben precisa

 

Continua qui: https://www.laveracronaca.com/politica/cosa-sono-le-primarie/

 

 

 

 

 

 

Zingaretti: cronaca di un grande bluff

marzo 3, 2019 di Lorenzo Vagni

L’esito delle primarie del Partito Democratico segnerà la certa vittoria di Nicola Zingaretti. Il Presidente della Regione Lazio batterà largamente i propri avversari Martina e Giachetti divenendo nuovo segretario del PD.

La campagna elettorale condotta nei mesi scorsi da Zingaretti aveva come obiettivo quello di accreditarlo come volto nuovo alla guida del partito e come possibile artefice di una svolta a sinistra del PD. Una simile retorica è stata possibile grazie alla strategia attuata da Zingaretti, pressoché durante tutta la propria carriera politica, mantenendo un atteggiamento di apparente distacco dalle politiche di governo del PD, limitandosi a ricoprire esclusivamente la veste di amministratore locale. Se da una parte tale strategia aveva contribuito a relegarlo finora ai margini della politica nazionale, dall’altra ha permesso a Zingaretti di presentarsi all’opinione pubblica come figura non compromessa con le politiche filo-padronali e antipopolari promosse dal proprio partito al governo del Paese, e ha gettato quindi le basi per la sua vittoria contro avversari (Martina e Giachetti) che, al contrario, risultavano pienamente corresponsabili di queste politiche.

Sembrerebbe quindi legittimo chiedersi se la segreteria di Zingaretti potrebbe rappresentare un cambiamento sostanziale nel Partito Democratico o se, al contrario, non dimostri una mera continuità con il passato, al netto di alcune differenze del tutto marginali.

Chi è Zingaretti?

Iscrittosi in gioventù al PCI, al suo scioglimento nel 1991 diventa il primo segretario della Sinistra Giovanile, l’organizzazione dei giovani del PDS, fino al 1995, anno in cui viene nominato presidente dell’Unione Internazionale della Gioventù Socialista e vicepresidente dell’Internazionale Socialista, entrambe cariche che mantiene fino al 1997. Nel frattempo inizia il suo percorso nella politica romana, venendo eletto nel 1992 al Consiglio Comunale di Roma. Dal 1998 al 2000 è responsabile delle relazioni internazionali dei DS, per poi essere eletto segretario del partito a Roma. Dal 2004 al 2009 è eurodeputato, per poi tornare a svolgere il ruolo di amministratore locale, ricoprendo dal 2008 al 2012 l’incarico di presidente della Provincia di Roma e dal 2013 quello di presidente del Lazio.

La politica locale: la sanità

Durante gli anni in cui ricopre incarichi locali, si è reso fautore di una progressiva politica di tagli alla sanità. In nome della razionalizzazione delle spese, la giunta Zingaretti ha effettuato riduzioni di strutture, personale, posti letto, reparti, primariati e distretti sanitari, nonché tagli alle spese relative a beni e servizi sanitari. Negli ultimi 8 anni (di cui va però ricordato che i primi 3 afferiscono alla presidenza di Renata Polverini) la Regione Lazio ha perso 16 ospedali (tra i più grandi il Policlinico Casilino, privatizzato proprio dalla giunta di centrosinistra), 3600 posti letto e il 14% del personale. Buona parte di questi tagli sono stati effettuati applicando pedissequamente le indicazioni della spending review dei governi succedutisi negli anni, non praticando in tal senso alcuna discontinuità con tali politiche. Per contenere le ricadute causate da questi tagli, Zingaretti ha costituito a partire dal 2014 le “Case della Salute”, ossia dei presidi sanitari su cui convogliare i casi meno urgenti, che i pronto soccorso non erano più in grado di gestire, in modo da decongestionare gli ospedali. Queste strutture dovevano avere una funzione palliativa a fronte della mancanza di interventi reali sulla sanità pubblica.

Un reportage della trasmissione Piazzapulita del gennaio 2018 evidenziava come lo stesso personale medico riteneva la creazione di tali strutture un’operazione dagli scarsi vantaggi e puramente propagandistica[1]. D’altro canto i dati testimoniano non solo come durante gli anni di presidenza di Zingaretti le liste d’attesa per una visita, e di conseguenza i relativi tempi, si siano accresciute fino a superare il limite indicato dalla legge, ma anche secondo un recente studio, il Lazio si posizioni al secondo posto per tempo di attesa nei pronto soccorso, superato soltanto dalle Marche[2]. Secondo lo stesso studio, il Lazio, alla luce delle inefficienze nel sistema sanitario, si colloca al secondo posto dopo la Campania per la mobilità passiva, ovvero la propensione dei propri residenti a curarsi presso strutture di un’altra regione.

Nonostante questa situazione di difficoltà per la sanità pubblica, nel 2014 Zingaretti si schierò a difesa delle clinche private, facendosi portavoce con l’allora ministro Beatrice Lorenzin delle richieste dell’AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata) circa la modifica di alcuni provvedimenti in procinto di emanazione da parte del governo.

I tagli praticati non riguardano soltanto la sanità, ma anche molte società partecipate. Zingaretti si è reso artefice di dismissione di quote, privatizzazione e scioglimento di molte di queste società, praticando tagli da centinaia di milioni di euro, al punto da suscitare nel 2014 la soddisfazione dell’allora commissario per la spending review, Carlo Cottarelli. La svendita del patrimonio regionale ha coinvolto anche gli immobili: emblematica in tal senso è stata nei primi mesi del 2018 la privatizzazione, con il beneplacito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a Roma di un edificio storico rinascimentale, Palazzo Nardini, ceduto con una base d’asta assolutamente modica e mettendolo in vendita come potenziale struttura turistico-ricettiva di lusso; alcuni comitati definirono la privatizzazione dell’edificio “un’operazione speculativa di alto livello“.

Costruttori e speculazione edilizia

Proprio riguardo la speculazione edilizia, la giunta Zingaretti non solo non ha mai costituito un argine a tale pratica, ma ha altresì promulgato norme atte a favorirne l’ulteriore proliferazione. Tra i provvedimenti peggiori in tal senso vi è la legge numero 7 del 22 ottobre 2018[3], che, riguardo la procedura di approvazione dei piani nelle aree naturali protette, ha introdotto un limite temporale di 7 mesi oltre il quale una proposta di piano edilizio viene approvata d’ufficio per silenzio-assenso; questa delibera rappresenta un enorme regalo alla speculazione, nonché un incentivo ad ulteriori cementificazioni e consumo di suolo. Un’altra legge che rappresenta un favore ai costruttori, che a Roma costituiscono uno dei settori più influenti della grande borghesia, è la numero 7 del 18 luglio 2017[4], che garantisce, la possibilità di demolire e ricostruire edifici con un premio di cubatura del 20%.

D’altronde Zingaretti non ha mai avuto intenzione di disconoscere gli interessi privati della speculazione edilizia a Roma. Paradigmatico è il fatto che ai tempi della segreteria dei DS a Roma si fece promotore di una cena di finanziamento a cui parteciparono alti dirigenti del partito, tra cui Walter Veltroni e Piero Fassino, e una delegazione di costruttori, di cui alcuni sono nomi di spicco dei “palazzinari” romani (Francesco Gaetano Caltagirone e Pietro Mezzaroma in primis), elogiati in quell’occasione dallo stesso Zingaretti come esempio di “sensibilità democratica”. Durante la presidenza della Provincia di Roma fu tra i primi a congratularsi con Eugenio Batelli per la sua elezione a capo dell’ACER (Associazione Costruttori Edili di Roma e Provincia).

Altro esempio di progetto sostenuto con forza da Zingaretti era quello delle Olimpiadi nella Capitale, ipotizzate per il 2020 o per il 2024, del cui comitato promotore era a capo Luca Cordero di Montezemolo, con il quale lo stesso Zingaretti aveva mostrato convergenza circa la necessità di costruire nuove infrastrutture per tale evento, e ignorando la follia speculativa manifestatasi a Roma già in occasione dei Mondiali di Nuoto del 2009.

Recentemente invece è tornata sotto i riflettori la questione della nuova sede della ex Provincia di Roma. Il grattacielo del costruttore Parnasi al Torrino, acquistato dalla Provincia di Roma – ora divenuta Città Metropolitana –  ai tempi della presidenza Zingaretti, è tornato nel mirino della Corte dei Conti. Durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, nella sua relazione, il Procuratore della Corte dei Conti del Lazio Andrea Lupi ha parlato di un danno di oltre 200 milioni di euro da parte dell’ex Provincia di Roma per l’acquisto della sede di via Ribotta, con tanto di istruttoria in atto per accertare i responsabili.

Dalla parte delle imprese

La sua vicinanza agli interessi delle imprese si riflette anche su alcuni provvedimenti riguardo l’istruzione: un esempio di ciò è la sponsorizzazione, durante la presidenza della Provincia di Roma, presso l’Università di Roma Tre di un’iniziativa chiamata Innovation Lab, che prevedeva l’ingresso nell’ateneo di grandi imprese (tra cui Vodafone, Barilla, Coca-Cola, Philips, McDonald’s), le quali prendevano visione di progetti redatti dagli studenti, finanziando quelli che giudicavano ad esse vantaggiosi; questo denota il sostegno di un modello di istruzione piegato agli interessi di profitto delle imprese, anziché su quelli degli studenti e della collettività.

Contro Renzi, ma anche no

Zingaretti ha spesso evitato di prendere posizioni su questioni di politica nazionale, ma nei rari casi in cui lo ha fatto è stato in completa uniformità con la linea del PD, anche di quello “renziano”. Nel 2016 sostenne il “Sì” in occasione del referendum costituzionale. L’unica differenza con Matteo Renzi risiede nella visione di continuità con il centro-sinistra degli anni 2000, ossia all’esperienza ulivista, a cui Zingaretti si richiama più apertamente che non Renzi. Anche a livello di alleanze, Zingaretti non disdegna aperture verso moderati e cattolici, essendo stato promotore attivo della fusione tra i DS e La Margherita nel PD, ed avendo lavorato per l’alleanza con l’UDC in occasione delle elezioni amministrative del 2013. Persino in campo internazionale una tale apertura “a destra” fu promossa da Zingaretti, che si spese per l’apertura da parte del Partito Socialista Europeo, un partito già di per sé profondamente partecipe delle politiche borghesi, ai partiti non socialisti. Anche riguardo una visione di classe, Zingaretti non nasconde la propria vicinanza alla borghesia, avendo dichiarato quale suo obiettivo «unificare in un medesimo schieramento i ceti popolari e più deboli con le forze migliori dell’imprenditoria», come a voler ratificare la volontà di promuovere un progetto politico incentrato certamente non sugli interessi dei primi.

La politica internazionale

In politica internazionale la posizioni di Zingaretti sono del tutto allineate a quelle degli interessi imperialistici di UE e USA. Proprio riguardo i rapporti con l’Unione Europea, non solo ha sempre abbracciato il progetto dell’UE, definendo ad esempio la moneta unica «una sfida enorme, che ebbe successo», ma è un convinto sostenitore della necessità di “più Europa”, ossia di una maggiore integrazione.

Emblematico è inoltre il fatto che, pur sostenendo ufficialmente il processo di pace tra Israele e Palestina, nei fatti si sia sempre schierato dalla parte del primo ogniqualvolta si sia aperta la discussione circa il sionismo e l’occupazione dei territori palestinesi. Anche in occasione della recente crisi in Venezuela, Zingaretti ha fatto propria la posizione dei settori più aggressivi dell’imperialismo

Continua qui: http://www.lariscossa.com/2019/03/03/zingaretti-cronaca-un-grande-bluff/

 

 

 

 

 

L’Italia nella dottrina Trump

www.lintellettualedissidente.it

Non saranno la TAV, il caso Diciotti, tantomeno i risultati delle elezioni regionali ed europee a far cadere il governo Lega-M5S. Lo scontro tra i due partiti è una grandissima fake news propagandata dai principali mezzi di informazione a sostegno di un’opposizione parlamentare anestetizzata da una dialettica tutta interna all’alleanza tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. La separazione, dopo tutti i compromessi sulle nomine, con la progressiva occupazione del potere e un vero e proprio consenso plebiscitario, non conviene a nessuno. Entrambi lo sanno perfettamente: più passa il tempo, più azzerano qualsiasi forma oppositiva. Il futuro dell’Italia è pentastellato, nel senso che, domani, quando Forza Italia e Partito Democratico scenderanno sotto la doppia cifra percentuale, potranno spartirsi l’intera Italia secondo i principi dettati dalla nuova geografia elettorale del Paese.

Inoltre, e potremmo dire soprattutto, il futuro del governo (e delle opposizioni) è strettamente legato alla rielezione di Donald Trump – il quale aveva già fatto sapere di volersi ricandidare – alle presidenziali del 2020. Se il Tycoon vince, ci sono buone possibilità che l’alleanza Lega-M5S duri più di quanto molti si aspettano. Per capire il corso nazionale occorre studiare le meccaniche globali. In questo momento storico la Casa Bianca ha interesse nello sfaldamento del nostro continente e fa leva sui movimenti più o meno populisti (dalla Brexit passando per la protesta dei Gilets Jaunes, compreso il nostro governo) per mantenere il rapporto di subalternità geopolitica dell’Europa e indebolire l’odioso asse franco-tedesca, che nel frattempo si rafforza in una prospettiva “alter-americana”.

Col patto di Aquisgrana firmato poche settimane fa, Parigi e Berlino, hanno fatto sapere di voler esercitare congiuntamente il mandato alla presidenza del Consiglio di Sicurezza con l’obiettivo di avvicinare le loro politiche estere e forse anche quelle di difesa. Non a caso durante la conferenza di Varsavia organizzata da Washington per formare un asse anti-Iran, a differenza dell’Italia che ha deciso di partecipare con  il ministro agli Esteri Enzo Moavero Milanesi, sono mancati i rappresentanti di Francia e Germania, nonché l’Alto Rappresentante per la Politica Estera Ue Federica Mogherini.

Lo scontro tra sovranisti ed europeisti nel cortile di casa imperiale risulta

Continua qui: https://www.lintellettualedissidente.it/editoriale/italia-nella-dottrina-trump-usa/

 

 

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

L’Agenda Digitale: blockchain, smart contract e deliri punto zero.

 

(post di Bazar – II parte)

I° parte qui: https://www.dettiescritti.com/notiziario-stampa/notiziario-stampa-detti-e-scritti-21-febbraio-2019/

 

  1. I contratti stupidi chiamati “intelligenti”

 

 

 

«Facciamo un esempio: supponiamo che l’automobile sia pagata a rate. Se l’acquirente dovesse “bucare” una rata, grazie alla tecnologia blockchain il contratto “intelligente” non consentirebbe più l’uso dell’auto, la quale verrebbe bloccata a distanza, fino alla regolarizzazione dei pagamenti.» beppegrillo.it

 

Vediamo come viene spiegata questa tecnologia dalla nostra fonte di riferimento:

 

«Un token è un asset digitale basato sulla blockchain che può essere scambiato tra due parti senza che sia necessaria l’azione di un intermediario. Un token può essere visto come un insieme di informazioni digitali che è in grado di conferire un diritto di proprietà ad un soggetto sull’insieme stesso di informazioni che sono registrate su una blockchain e che possono essere trasferite tramite un protocollo. […]

 

I token creati grazie a Ethereum hanno differenti attributi che permettono la gestione di smart contracts allo scopo di fissare in modo sempre più vincolante e sicuro l’accordo tra le parti.»

 

I “contratti intelligenti” – cioè “smart contracts” – sono così “intelligenti” che non permettono di far nulla che richiederebbe l’intelligenza umana se non blindare le obbligazioni tra parti contraenti: il discorso sociologico è simile a quello fatto in precedenza.

 

La retorica privatista non seduca: in un ordinamento a Costituzione democratico-sociale “solo una cieca credenza nelle massime individualiste consente […] di differenziare in modo certo dal diritto pubblico” (A. SommaDiritto comunitario vs. diritto comune europeo, Giappichelli, Torino, 2003, pag. 39) il diritto privato.

 

Quindi la privatizzazione delle funzioni statali, ossia l’automatizzazione di procedure sanzionatorie o premiali in funzione della conformità che può essere imposta dalla parte forte “statualizzata” al soggetto debole, con espulsione dell’intervento di controllo di corrispondenza al diritto, anche costituzionale, esercitato dal giudice, ha una portata intrinsecamente eversiva.

 

6.1 «Smart Contract fa riferimento a degli standard di comportamento e di accesso a determinati servizi e viene messo a disposizione, accettato e implementato come forma di sviluppo di servizi tradizionali»

 

Gli “standard di comportamento” possono essere tanto quelli di un avvenuto pagamento per usufruire di un particolare prodotto o servizio, oppure qualsiasi altra prassi (come, ad esempio, l’essersi vaccinati) che vincolerebbe “l’accesso a determinati servizi” (ad esempio al godimento di servizi sociali).

 

«Stop alla frammentazione dei sistemi informativi: servono strumenti nuovi.» – Tuona la «Direzione generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute». Chiaramente usare un archivio per funzioni anagrafiche sublockchain, e, magari, attivarci poi degli smart contract, è una tentazione a cui un sistema, per vocazione totalitario come quello capitalistico-liberale, difficilmente potrà resistere.

 

In questo video il prof. Oliver Hart – premio Nobel per le ricerche condotte sulla contrattualistica –  è piuttostotranchant:

 

https://www.youtube.com/watch?v=Ee_3Nvl-lGE

 

In sintesi: si può pensare che questa tecnologia possa «automatizzare alcune cose» come, ad esempio, «alcuni contratti di assicurazione», ma, ovviamente, questa non serve a risolvere quei problemi contrattuali complessi che preoccupano le relazioni economiche più importanti; ovvero l’automazione non dà un aiuto sul come scrivere i contratti, ovverosia su quali contenuti perfezionare.

 

Quindi questi “contratti intelligenti” non servono a redigere contratti intelligenti: allo scopo l’automazione è pressoché inutile.

 

A che servono, quindi?

 

Sicuramente a rendere automatiche, e quindi indiscutibili, una serie di obbligazioni con condizionalità utili a disciplinare il comportamento secondo dettati normativi imposti unilateralmente.

 

6.2 «Token di classe 3 – Si tratta in questo caso di token che possono svolgere una funzione mista. Sono token che rappresentano diritti di comproprietà ovvero che rappresentano una proprietà ma conferiscono anche diritti diversi, come ad esempio il diritto di voto, o diritti di tipo economico per i rappresentanti legali o soci di una società, etc. In questa tipologia di token il titolare non ha un diritto esercitabile direttamente verso l’emittente del titolo o verso un terzo.»

 

Il diritto di voto visto come un diritto di “comproprietà” è innanzitutto una manifestazione di invasione del diritto privato nella regolazione del sistema elettorale: il più importante dei diritti politici è il diritto di voto, e il suffragio universale è il fondamento delle democrazie moderne.

 

Le votazioni – qualcuno dirà – sono uno strumento decisionale che può essere usato in tantissime situazioni e che – a parte alcune forme di sondaggistica on line – non necessitano di particolari apparati tecnologici. Inoltre, è scientificamente dimostrato che il voto elettronico è intrinsecamente insicuro.

 

Eppure c’è chi si è lanciato a promuovere questa tecnologia in nome della sua capacità di rendere “più pulito” – altro ideologema neoliberista – il processo elettorale.

 

6.3 «La emissione e la gestione di ‘Token etichettati’ o Token+ o anche Labelled Token (LB) è una procedura che associa ai Token una serie di metadata per i quali lo scambio è condotto su un mercato secondario: […] è singolarmente e univocamente etichettato ed è dotato di metadati associati;

  1. non è frazionabile;
  2. ‘esiste’ in forma digitale sulla blockchain;
  3. può essere seguito anche singolarmente nel suo percorso/storia di ‘catena di proprietà’;
  4. può essere gestito con modalità diverse per singola etichetta in funzione del significato/valore dei token»

Il far west di possibilità che si aprono non lasciano presagire nulla di buono per chi ha una minima coscienza dei problemi socioeconomici che investono, da decenni, la stragrande maggioranza delle nazioni del pianeta e che non trovano certo una soluzione nella tecnica: la soluzione – non si finirà mai di sottolinearlo – rimane sempre e solo politica.

 

La tecnologia, essendo pensata e promossa in una società oppressiva e nichilista come quella neoliberale, può solo portare al parossismo totalitario un sistema sommamente ingiusto, blindandolo dai contraccolpi degli immensi costi umani e sociali che impone.

 

La tecnologia viene usata per poter creare un’infrastruttura in grado di supportare istituzioni totalitariamente repressive e, tramite l’occhiuta sorveglianza propria di un panopticon globale, questa è in grado di controllare l’energia esplosiva della sofferenza sociale.

 

«le Permissioned Ledger rispondono alle necessità di un aggiornamento diffuso su più attori che possono operare in modo indipendente, ma con un controllo limitato a coloro che sono autorizzati. Le Permissioned Ledgerpermettono poi di definire speciali regole per l’accesso e la visibilità di tutti i dati. In altre parole, le Permissioned Ledger introducono nella blockchain un concetto di Governance e di definizione di regole di comportamento

 

Il fulcro rimane poi la possibilità per privati – e per strutture statali privatizzate – di gestire anche tecnicamente, nel modo più unilaterale possibile, il rapporto coi loro portatori di interesse.

Una corporation potrà automatizzare procedure con cui disciplinare automaticamente i portatori di interesse

Continua qui: http://orizzonte48.blogspot.com/2019/02/lagenda-digitale-blockchain-smart.html

 

 

 

STORIA

“ERAVAMO ARRIVATI ANCHE AL PCI, POI L’INCHIESTA È STATA FERMATA DAI SERVIZI SEGRETI DEVIATI”

DI PIETRO DA’ LA SUA VERSIONE SU MANI PULITE: “IL COPASIR DICE CHE L’INCHIESTA È STATA FERMATA DA UNA OPERAZIONE DEI SERVIZI SU ORDINE DI ALTISSIME CARICHE DELLO STATO. CRAXI E’ STATO CONDANNATO PERCHE’…”

Da www.radiocusanocampus.it

23 febbraio 2017                 RILETTURA

 

Antonio Di Pietro è intervenuto questa mattina ai microfoni di Radio Cusano Campus, l’emittente dell’Università degli Studi Niccolò Cusano, nel corso di ECG, format condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio.

 

L’ex magistrato ha detto la sua sulla questione ‘stadio della Roma’: “Voglio bene a Beppe Grillo e agli amici del Movimento Cinque Stelle, ma non si può volere tutto e organizzarsi per ottenere nulla. La possibilità di fare lo stadio c’è, dire che bisogna farlo da un’altra parte non c’azzecca niente. Per la prima volta esprimo delle riserve sugli amici del Movimento Cinque Stelle”.

 

Su Michele Emiliano: “L’ho conosciuto da magistrato, eravamo magistrati insieme, quando l’ho conosciuto era un centravanti di sfondamento, adesso invece si è messo a fare il mediano, capisci a me. La sua è stata una scelta di opportunità, ora mia ha creato un problema in più, ora chi devo votare? Io Emiliano sul piano personale lo voterei, poi bisogna vedere con chi si sposa…Di Emiliano tutto si può dire meno che sia uno stupido, per lui è un momento delicato, devo ancora capire se il suo è stato un atto di opportunità o di opportunismo

 

Continua qui: http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/eravamo-arrivati-anche-pci-poi-inchiesta-stata-fermata-servizi-142098.htm

 

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