RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 16 MAGGIO 2022

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 16 MAGGIO 2022

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

FLUTTUAZIONI

Le nostre vite appaiono e scompaiono, i nostri gesti appaiono e scompaiono, i nostri sorrisi, fotogrammi di spensieratezza, i nostri amori, piccole grandi storie di emozioni, le nostre ire, sfoghi o anche massacri del nostro ego ferito…tutto, ma proprio tutto, appare e scompare, come il Bene e il Male, in un’altalena fluttuante nella grande conca dell’Universo… quindi assaporiamo la fulgida immediatezza della nostra esistenza

Francesca Sifola
scrittrice
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SOMMARIO

MACRON CEDE IL PASSO A DRAGHI
La Russia verrà dichiarata “minaccia diretta” dalla Nato
PROGRAMMA DI SVILUPPO ARMI CHIMICHE
Open Arms, Matteo Salvini e “il video decisivo inspiegabilmente sparito dal fascicolo”
MAI DIMENTICARE !!!!!!!
ALPINI E MOLESTIE
L’EUROCONTEST 2022 DI TORINO RACCONTA QUEST’ANNO LA MORTE  DEL VECCHIO CONTINENTE
NON È UN CASO, MORO. Docufilm in 2 puntate (148 minuti)
Sono cresciuta prevalentemente coi ragazzi.
ALPINI  ALLA  MAYFLOWER
E se la società liquida fosse un buco nell’acqua?
QUEL PUTIN MALATO GRAVE
La sanità nell’era Moratti
RECORD DI DENATALITÀ
ITALIANI BRAVA GENTE
L’economia di guerra nello stato d’emergenza
Perché gli Stati Uniti potrebbero restare a corto di armi
AZOVSTAL COME FORT ALAMO
Cosa c’entra la guerra in Ucraina con il Corno d’Africa
Zelensky e i problemi interni con il reggimento Azov. Le ultime voci sul presidente: “Rischia di essere travolto”
Viaggio all’interno della coscienza
ATTUALITÀ DELLA DOTTRINA PITAGORICA E DEI VERSI AUREI: ALCUNI PARALLELISMI IMPORTANTI
Querele bavaglio: l’UE si muove in difesa della libertà d’informazione
Crisi alimentare, l’India vieta l’export di grano
LIBERTÀ DI STAMPA E TUTELA DELLA PRIVACY
Dott. Stramezzi: ho appena deciso con i miei legali, di presentarmi domani, da solo, davanti a 15 colleghi Giudici
Auto, c’è un nuovo obbligo ricordate? Avete tempo fino a giugno poi vi fermano la macchina
Open Arms, Salvini scagionato dal teste dell’accusa? Ma il pm… retroscena e scandalo: cosa è successo davvero in aula
Open Arms, il medico salito a bordo conferma che nessuno dei 147 clandestini era in pericolo di vita
MA COME MAI ? 
EUROFESTIVAL ITALIANO PARLATO IN INGLESE
Disoccupati, ma non cercano
Finlandia e Svezia nella Nato? Ecco cosa può chiedere in cambio Erdogan
Se l’Ucraina sta vincendo
Nave spia cinese vicina a coste Australia
Russiagate, Hillary Clinton rischia di fine nei guai per queste mail
Genuflessa agli Usa e senza identità: l’Ue è un destino storicamente inevitabile?
Controcorrente, Maria Giovanna Maglie e la verità su Zelensky: “Non è in grado nemmeno di…”
Rand Paul ritarda il voto sul pacchetto da 40 miliardi di dollari per l’Ucraina, chiede la supervisione della spesa
“Scoperto un nuovo menticidio del Cdc sui vaccini e le varianti” + “CDC: No Documents Supporting Claim Vaccines Don’t Cause Variants”
RUOLO CRUCIALE DELL’ITALIA

 

 

IN EVIDENZA

MACRON CEDE IL PASSO A DRAGHI

Macron cede il passo a Draghi L’esposizione filo Nato in Usa

Emmanuel Macron è il leader occidentale ed europeo che pare intrattenga un credibile filo diretto con Vladimir Putin. In queste ultime ore Macron ha virato con le proprie dichiarazioni dalla linea dura imposta dal ventriloquo del presidente Joe Biden (al secolo Jens Stoltenberg, di professione segretario Nato). Macron ha, in scarsi due mesi, sentito Putin più volte. E i toni del presidente della Federazione Russa sono stati pacati ma duri e sofferti. Avrebbe detto in più occasioni a Macron: “Voi occidentali avete creduto di poter usare l’Ucraina come la maison de la putain, dove si può fare di tutto su un popolo, umiliandolo e sfruttandolo”. “La maison de la putain” che in russo suona “дом шлюхи” e probabilmente si pronuncia “dom shlyukhi” (dom è casa e il resto s’immagina).

La posizione di Macron è oggi la seguente: “Non si può offendere e umiliare la Russia. Una tregua e una pace condivisa non s’ottengono umiliando una delle parti in causa”: parole che, se pronunciate dal premier ungherese Viktor Orbán, verrebbero tacciate di posizione filorussa. Ma quale motivazione potrebbe aver spinto Macron sulle posizioni d’equidistanza atlantica? C’è una considerazione pratica, ovvero che Putin starebbe restituendo alla Francia circa una decina di prigionieri con cittadinanza francese (un misto di contractor, medici, ricercatori e pseudo manager di multinazionali), e poi che il presidente della Federazione Russa avrebbe dimostrato a Macron l’uso dell’Ucraina che facevano Pentagono e multinazionali.

Una sorta di supermercato occidentale che andrebbe dall’uso industriale dell’utero in affitto, con annesse sperimentazioni genetiche, al commercio internazionale di organi garantiti dagli stessi colossi della scienza medica che hanno scartato i Paesi africani dall’elenco dei “Paesi utili al commercio di ricambi umani”, e per via dell’alta percentuale di patologie endemiche soprattutto nel centro Africa. Corre voce Macron abbia ascoltato e compreso, soprattutto quando il discorso sarebbe virato sul blocco occidentale dei beni agli oligarchi. Infatti, Vladimir Putin ha detto e dimostrato di essere il primo a fustigare l’oligarca che commette crimini (ricordate il caso dei banchieri arrestati dieci anni fa?) e quindi avrebbe ricordato a Macron che anche la Francia e gli Usa contano un nutrito numero di famiglie influenti, solo che in Occidente li appellano come filantropi.

Non ci sono conferme sul fatto che Putin potrebbe aver rammentato a Macron i nomi dei banchieri francesi che si sono spartiti i fondi sovrani di Gheddafi, e all’indomani della morte del rais libico, quando c’era certezza che nessuno avrebbe avuto l’autorevolezza internazionale di reclamare i nutriti fondi (oro, commodity petrolifere, diritti opzionali e titoli di grandi asset francesi). Ricordiamo che oggi la Russia e la Turchia contendono la Libia alla Francia. Ma torniamo al fatto che l’incontro con Biden del 10 maggio 2020 lo abbia fatto Mario Draghi e non Emmanuel Macron. Un po’ perché quest’ultimo ha ormai compreso che la Vecchia Europa non può andare in guerra, e caricarsi i costi delle sanzioni, per salvare Hunter Biden (figlio del presidente degli Stati Uniti) coinvolto dalle multinazionali Usa come tramite nella corruzione di vertici dello stato ucraino. E anche perché la Francia è sempre la nazione che vuole essere capofila nella difesa di diritti umani e libertà, e la documentazione in mano a Valdimir Putin dimostrerebbe il coinvolgimento di multinazionali e Pentagono in pratiche vietate in Occidente.

Cosa indigna Macron

È bene ricordare come lo scorso 23 aprile 2021 la stessa ambasciata degli Stati Uniti abbia riconosciuto che su suolo ucraino insistono laboratori biologici, costruiti dalle multinazionali americane, che operano sotto il controllo del Pentagono: la dichiarazione dei diplomatici Usa era arrivata dopo una lettera di alcuni parlamentari ucraini circa la minaccia per la salute della popolazione costituita dai centri di ricerca farmaceutica. Gli americani negavano la pericolosità, affermando che il lavoro scientifico sarebbe svolto a scopi esclusivamente pacifici. L’agenzia di stampa ucraina “Strana” ha raccontato questa storia. Ma vediamo cosa chiedevano i deputati della Rada (camera parlamentare ucraina). Ad aprile 2021 i parlamentari Viktor Medvedchuk e Renat Kuzmin della “Piattaforma d’opposizione per la vita” scrivevano ai quattro vertici dell’Ucraina (presidente Zelensky, il primo ministro Denys Shmyhal, il capo della Sbu Ivan Bakanov e il ministro della Salute Maksym Stepanov) perché riferissero in parlamento circa gli scopi dei laboratori delle multinazionali Usa.

Medvedchuk e Kuzmin riportavano nel loro appello quanto appreso da giornali e agenzie serbe e bulgare, e in merito agli investimenti degli Stati Uniti nei 400 laboratori batteriologici planetari, di cui ben 15 in Ucraina e di grandi dimensioni. Nei laboratori vi lavorava esclusivamente personale Usa, e venivano finanziati del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. I laboratori si trovano uno a Odessa, uno a Vinnytsia, uno a Uzhgorod, tre a Leopoli, tre a Kiev, uno a Kherson, forse due a Ternopil e uno in Crimea e a Lugansk. I deputati sostenevano che il funzionamento dei biolaboratori americani in Ucraina sarebbe iniziato durante la presidenza di Viktor Yushchenko e il premierato Yulia Tymoshenko. All’epoca venivano siglati accordi di cooperazione tra il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e il ministero della Sanità ucraino. Obiettivo? Sviluppo delle tecnologie di proliferazione: come crescita del tessuto corporeo con sperimentazione cellulare e coltivazione di agenti patogeni con relativo utilizzo per lo sviluppo di armi biologiche.

“Il lavoro nei laboratori viene svolto nell’ambito del programma di esperimenti biologici. Il budget è di 2,1 miliardi di dollari e è finanziato dalla Defense Threat Reduction Agency americana. Anche il Centro scientifico e tecnico in Ucraina, un’organizzazione internazionale finanziata dalle autorità americane e il cui personale ha immunità diplomatica, è stato coinvolto in questa attività. Questa organizzazione è impegnata nel finanziamento di progetti per la creazione di armi di distruzione di massa”, hanno scritto Medvedchuk e Kuzmin.

I deputati hanno anche dimostrato che, dopo il lancio dei biolaboratori in Ucraina, ci sono stati vari focolai di malattie infettive. “A Ternopil nel 2009 si diffuse un virus che causava polmonite emorragica – scrivono Medvedchuk e Kuzmin –. Le vittime, tutte ucraine, furono 450. Nel 2011 si verificò un focolaio di colera in Ucraina, sono morte 33 persone. Tre anni dopo, a 800 cittadini venne diagnosticato il colera, un anno dopo vennero registrati più di 100 casi di colera a Nikolaev”.

Dissenso nella Rada

I deputati Medvedchuk e Kuzmin scrivono che “nel gennaio 2016, 20 soldati sono morti a Kharkov, a causa di un virus simile all’influenza, e oltre 200 sono stati ricoverati in ospedale. Due mesi dopo, sono stati registrati 364 morti in Ucraina per un’influenza suina dello stesso ceppo della pandemia globale del 2009”. Quindi raccontano che nel 2017 a Nikolaev si è verificato un focolaio di epatite A. “E nell’estate dello stesso anno ci sono stati focolai simili di infezione a Zaporozhye e Odessa e, in autunno, a Kharkov”.

“Nel 2010-2012, cioè, già sotto Viktor Yanukovych, il governo ucraino ha avviato controlli per verificare se i laboratori rispettassero tutte le misure di sicurezza – riportano gli atti parlamentari a firma Medvedchuk e Kuzmin –. Di conseguenza, sono state identificate numerose grossolane mancanze che potrebbero portare alla fuoriuscita di ceppi di infezioni pericolose. È stato persino registrato il fatto che la ventilazione per estrazione si trova di fronte ai locali di un asilo”.

Quindi i deputati scrivono che nel 2013 il presidente Viktor Yanukovych ha interrotto la cooperazione con gli Stati Uniti. Ma nel 2014 saliva al potere Petro Poroshenko che subito la riprendeva: non dimentichiamo che circolava voce che le multinazionali Usa avrebbero corrotto elementi del governo ucraino dell’epoca. “È probabile che Yanukovych abbia perso il potere con la partecipazione attiva del governo degli Stati Uniti proprio a causa del suo rifiuto di collaborare con il Pentagono”, suggeriscono i deputati di “Piattaforma d’opposizione – per la vita”.

“È possibile che le attività segrete e opache di pericolosi soggetti estranei sul territorio ucraino abbiano il compito di testare le azioni di virus e batteri sui corpi degli ucraini”, si domandano i deputati. Kuzmin porta avanti da anni la lotta contro i laboratori delle multinazionali Usa in Ucraina. “È noto che la Convenzione di Ginevra del 1972 proibisce la produzione di armi batteriologiche, e per questo motivo l’esercito americano non le produce negli Stati Uniti – spiegava Renat Kuzmin su Facebook nel 2018 –. Perché farlo, visto che ci sono così tanti eccellenti siti di test nel mondo come in Ucraina o in Georgia, dove è possibile produrre e testare virus mortali sulla popolazione locale?

Basta creare un laboratorio militare, dargli un nome innocuo, come Stazione epidemiologica sanitaria e assegnargli un supervisore”. Kuzmin ha raccolto le prove circa le sperimentazioni delle multinazionali Usa condotte in molti Paesi dell’ex Unione Sovietica. Anche le rivelazioni dell’ex ministro della Sicurezza della Georgia Igor Giorgadze vanno in questa direzione. Nel 2018, un anno prima della pandemia da Covid, Giorgadze dichiarava “l’American Lugar Center, che si trova a Tbilisi, ha testato sui cittadini georgiani il farmaco sofosbuvir, prodotto dalla società americana Gilead Sciences: la conseguenza? Sono stati uccisi 73 volontari”. E non c’è stato alcun risarcimento alle famiglie, perché le cavie umane avevano firmato e accettato il protocollo di cessione corporea.

Il 22 aprile 2021 l’ambasciata degli Stati Uniti in Ucraina accusava genericamente il deputato Kuzmin di “disinformazione russa”, senza però rispondere sull’operato dei laboratori. Poi l’Ambasciata Usa confermava che i programmi biologici in Ucraina, sostenendo che “sono supervisionati dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti”, lasciando intendere che questo significherebbe tranquillità per la popolazione ucraina. Di fatto, Pentagono e multinazionali Usa impongono la loro politica al governo di Kiev: il loro obiettivo sarebbe garantire lo stoccaggio sicuro di agenti patogeni e tossine, “in modo che possano essere condotte ricerche pacifiche e sviluppo di vaccini” aggiunge la diplomazia Usa in Ucraina.

“Stiamo anche lavorando con i nostri partner ucraini per sviluppare la capacità dell’Ucraina di rilevare focolai causati da agenti patogeni pericolosi prima che rappresentino una minaccia per la sicurezza o la stabilità”, scrive l’ambasciata americana in Ucraina. I diplomatici Usa sostengono che la sicurezza lavorerebbe perché gli agenti pericolosi “non cadano nelle mani sbagliate”, quindi elencano le agenzie ucraine specifiche con cui interagiscono: ministero della Sanità dell’Ucraina, Servizio statale per la Sicurezza alimentare e la Protezione dei consumatori dell’Ucraina, Accademia nazionale di Scienze agrarie e ministero della Difesa dell’Ucraina. Quindi il Dipartimento di Stato Usa scrive al partito d’opposizione ucraino che “tale cooperazione americano-ucraina è necessaria per la pace e la prosperità globali, riducendo i rischi associati alle armi chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari”.

Ma per Renat Kuzmin è solo propaganda Usa, a conti fatti ci sono poche informazioni sui laboratori biologici americani in Ucraina. Così Kuzmin ricorda come i giornalisti serbi e bulgari abbiano pubblicato documenti che dimostrano come il Pentagono abbia finanziato i laboratori di Kharkov e Dnepropetrovsk (ex Servizio sanitario ed epidemiologico), al primo inviando 1,5 milioni di dollari e al secondo due milioni dal 2010 al 2012. Qui scatta in non tracciabile, ovvero decine di milioni di dollari che Hunter Biden (a contratto con Defense Threat Reduction Agency) avrebbe trasportato illegalmente in Ucraina, e prove di questi trasbordi dovrebbero essere presentate dall’accusa nel processo che si aprirà negli Usa l’8 novembre 2020. Così Emmanuel Macron ha optato per una sorta di terzietà, lasciando il vessillo europeo filo Nato nelle generose mani di Mario Draghi.

FONTE: https://www.opinione.it/politica/2022/05/10/ruggiero-capone_ucraina-macron-draghi-putin-biden-stoltenberg/

La Russia verrà dichiarata “minaccia diretta” dalla Nato

Da Lisbona a Madrid: la penisola iberica destinata a diventare crocevia dei rapporti tra Nato e Russia dei prossimi anni. Se nella capitale portoghese nel 2010 il summit dell’Alleanza Atlantica ha sancito l’inserimento di Mosca nella lista dei “partner”, il vertice di giugno convocato nella capitale spagnola potrebbe invece porre la federazione russa nel novero dei territori da cui aspettarsi una “minaccia diretta“. L’indiscrezione è stata rilanciata nelle scorse ore dal network Usa Bloomberg. Citando un funzionario della Nato, è stata giudicata come probabile l’ipotesi di considerare Mosca come minaccia nella dichiarazione finale della prossima riunione di Madrid, la stessa dove dovrebbe diventare ufficiale l’ingresso di Svezia e Finlandia nel club atlantico.

Da Pratica di Mare alle attuali minacce: come sono cambiati i rapporti tra occidente e Russia

Con la fine della guerra fredda i rapporti tra gli Stati Uniti e la neonata federazione russa, che ha preso l’eredità della defunta Unione Sovietica, sono andati progressivamente a intensificarsi. Questo ha fatto in modo che all’ostilità tra Nato e Mosca si sostituisse una collaborazione sancita poi da diverse tappe di avvicinamento, come quella di Parigi del 1997, in cui è stato istituito il consiglio congiunto permanente Nato-Russia. Si è poi arrivati al patto di Pratica di Mare del maggio 2002. Momenti che hanno significato una certa continuità nella tabella di avvicinamento tra le parti un tempo divise dalla Cortina di Ferro. Se nel momento dell’accordo Parigi al Cremlino vi era Boris Eltsin, nella base Nato alle porte di Roma cinque anni più tardi invece a firmare i patti era presente invece Vladimir Putin. Anche questo segno di una continuità nel progetto di collaborazione tra le due parti, indipendente dall’amministrazione in carica a Mosca.

Una fonte della Nato ha fatto sapere al network Bloomberg che i capi di Stato e di governo dell’Alleanza sono intenzionati a considerare la Russia come una minaccia diretta. Ossia come un attore internazionale da cui difendersi e con cui non collaborare. Ci sarebbe già un accordo di massima in tal senso da sottoscrivere poi al prossimo summit di Madrid. La guerra in Ucraina e le tensioni degli ultimi otto anni avrebbero spinto quindi la Nato a cancellare quel rapporto di partenariato sancito a Lisbona 12 anni fa.

Cosa potrebbe comportare la dichiarazione attesa a Madrid?

Se l’indiscrezione dovesse essere confermata, il summit nella capitale spagnola non avrebbe solo un significato politico. Non si tratterebbe cioè solo di un tratto di penna con cui cancellare la dicitura “partner” accanto alla bandiera della federazione russa. Significherebbe, in primo luogo, concepire Mosca come un attore da cui difendersi. E quindi concentrare sforzi economici, militari e di difesa per il contenimento della Russia. Ovviamente il risvolto politico della vicenda sarebbe rappresentato da un allontanamento delle parti sotto il profilo diplomatico. Circostanza che varrebbe anche su questioni, come quelle legate al terrorismo internazionale, ritenute di interesse comune.

Ad ogni modo, il passo che dovrebbe essere sancito a Madrid potrebbe non avere un carattere definitivo e immutabile. Sempre secondo la fonte di Bloomberg, nella dichiarazione finale del summit Nato di giugno verrà lasciato spazio a un cambiamento futuro dello status dei rapporti con Mosca qualora le condizioni lo renderanno possibile. Vale a dire che, nei prossimi anni, Mosca potrebbe sempre tornare a essere partner.

FONTE: https://it.insideover.com/guerra/la-russia-verra-dichiarata-minaccia-diretta-dalla-nato.html

 

 

 

PROGRAMMA DI SVILUPPO ARMI CHIMICHE

L’ambasciata russa in Italia ci fornisce una grafica molto interessante relativa al programma di sviluppo di armi chimiche e batteriologiche in Ucraina.
La prima cosa che colpisce di questo schema è che il Cremlino non ha indugiato sui nomi dei responsabili di tale programma, scrivendo a chiare lettere i nomi di Barack Obama, Hillary Clinton e George Soros come ideologhi del piano per sterminare la popolazione russa.
L’altro elemento interessante è che la Russia ha deciso di trasmettere questo messaggio attraverso la sua ambasciata in Italia. La Russia comunica al governo segreto di Washington che sa i nomi di coloro che hanno ordito questo piano criminali, ma al tempo stesso comunica anche che giocherà la sua partita contro l’Euro-Atlantismo qui in Italia.
La nostra Penisola è il tallone d’Achille dell’UE e della NATO.
Non esiste un Paese geopoliticamente e spiritualmente più importante dell’Italia.
Tutti gli equilibri saranno cambiati a Roma.

Open Arms, Matteo Salvini e “il video decisivo inspiegabilmente sparito dal fascicolo”

14 maggio 2022

Un “mistero” nel processo Open Arms che vede imputato Matteo Salvini, leader della Lega ed ex ministro degli Interni: un video smentisce la Ong spagnola, ma dal fascicolo sarebbero sparite due carte decisive. A denunciarlo fonti della difesa dello stesso Salvini.

Ci sarebbe un filmato inedito che potrebbe ribaltare il processo a favore del leghista, che rischia fino a 15 anni di carcere per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per essersi opposto allo sbarco di immigrati dalla ong Open Arms nell’agosto 2019. Durante la testimonianza di venerdì, in qualità di direttore del servizio immigrazione e della polizia delle frontiere del Viminale, il dottor Fabrizio Mancini ha rivelato l’esistenza di un video che immortalerebbe il primo intervento della Ong: è il primo agosto 2019, in acque SAR libiche la nave avvicina un barchino che, sottolinea Mancini, in verità non era in condizioni di pericolo, come dimostrato da alcune immagini girate grazie a un sommergibile italiano che si trovava in zona. Eppure la Ong era intervenuta senza avvertire le autorità o lanciare allarmi, giustificandosi con l’urgenza di portare in salvo le persone. Il video smentisce questa ricostruzione: sarebbe stato trasmesso alla Procura di Roma e a tutte le Procure siciliane “ma  – inspiegabilmente – non è nel fascicolo del processo”, accusano le fonti della difesa, guidata da Giulia Bongiorno.

Un mistero che si somma a un altro giallo: manca anche una carta di grande interesse per la difesa di Salvini. Si tratta della comunicazione di notizia di reato redatta dalla Guardia di Finanza in cui si ipotizzava il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in capo al Comandante della Open Arms e al capo missione, come riferito dal capitano delle Fiamme Gialle Edoardo Anedda all’udienza del 17 dicembre 2021. Nemmeno questo documento, a quanto filtra dagli avvocati di Salvini, è nel fascicolo, nonostante contenesse informazioni rilevanti sull’attività della Ong. “Più si scava e più emergono dettagli e notizie inquietanti”, è la chiosa della Bongiorno in vista della prossima udienza, in programma il 17 giugno.

FONTE: https://www.liberoquotidiano.it/news/giustizia/31586496/open-arms-matteo-salvini-video-decisivo-sparito-fascicolo-inchiesta.html

 

 

 

MAI DIMENTICARE !!!!!!!
Sisto Ceci 11 05 2022
Niguarda – Milano 11 maggio 2013. Mada Kabobo prende un piccone e UCCIDE selvaggiamente tre passanti , e li deruba di portafogli e cellulari.
Kabobo era entrato CLANDESTINAMENTE IN ITALIA e non era stato espulso.
A 9 anni dalla loro tragica scomparsa ricordiamo le VITTIME DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA E DELLE MANCATE ESPULSIONI.
FONTE: https://www.facebook.com/sisto.ceci/posts/5455517434563400

 

 

 

ALPINI E MOLESTIE
Rita Lazzaro 13 05 2022
Notizie delle molestie sessuali avvenute a Milano ne abbiamo?
Notizie della famiglia di Saman ne abbiamo?
Notizie delle donne musulmane segregate in casa, che escono in giardino quando “marito permettere”, ne abbiamo?
Notizie del fenomeno della sposa bambina, che serpeggia in Italia, ne abbiamo?
Notizie di chi stuprò e uccise Pamela e Desirée ne abbiamo?
Notizie di pedofili e pedopornografi ne abbiamo?
O si è ancora alla c@ccia all’alpino viso pallido che, anziché cantare bella ciauuu, disse semplicemente “bella” ?
La prossima volta ditelo cantando, sciocchini…
FONTE: https://www.facebook.com/100012280962259/posts/1521120861640598/

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

L’EUROCONTEST 2022 DI TORINO RACCONTA QUEST’ANNO LA MORTE  DEL VECCHIO CONTINENTE
Tonio de Pascali 13 05 2022
Non vedo il festival europeo della canzone da quando vinse Gigliola Cinquetti.
E mi pare che oggi si chiami pure diversamente.
Solo sprazzi di pochi secondi ogni anno, giusto il tempo di capire come s’è ridotta l’Europa: una cinquantina di nazioni partecipanti dove Malta e San Marino godono degli stessi diritti, che so, di nazioni come l’Inghilterra e l’Italia che da decenni costituiscono l’asse portante della musica continentale.
Un po’ come l’Unione europea. dove nazioni del calibro di Cipro e  Malta hanno gli stessi poteri e gli stessi diritti della Germania o della Francia.
Un po’ come l’Unione europea, dove le attenzioni comuni, mentre il continente e il pianeta cadono a pezzi, sono rivolte esclusivamente agli interessi della comunità gay ed lgbt ed all’inclusione degli immigrati.
Un po’ come l’Unione europea dove, anche se l’Inghilterra è andata via, la lingua più parlata a Bruxelles è sempre l’inglese.
Un po’ come l’Unione europea, dove la smania di includere sta snaturando la matrice culturale e religiosa del Vecchio continente.
Un po’ come l’Unione europea, dove si strizza l’occhio a tutti i Paesi dell’ex Unione sovietica – qualcuno mi spieghi che c’azzecca l’Uzbekistan o il Kazakistan o il Tagikistan con l’Europa – solo per quel progetto, in collusione con la Nato, di accerchiare ed isolare la Russia.
Un po’ come l’Unione europea, dove ospitando band mongole del lontano Gobi – delle nazioni dell’ex Urss – che blaterano un inglese improbabile con balletti e giochi di luce per distogliere l’attenzione da ogni spessore musicale, ricorda l’attenzione da parte di Bruxelles alla lunghezza standard del cetriolo o della banana nel commercio tra Stati.
Un po’ come l’Unione europea – ed in tutto l’Occidente, va detto – dove un tempo l’Urss poteva minacciare il pianeta coi suoi missili nucleari ma alle manifestazioni culturali e sportive partecipava lo stesso – la Russia è stata bandita anche dall’uso dei cessi pubblici.
Un po’ come l’Unione europea, che ha abbandonato la cultura continentale per darsi ad un coacervo di satanismo e di violenza camuffata. Un esempio? Achille Lauro, un deficiente apprezzato in tutti i consessi che contano, che, pur di farlo esibire, l’hanno fatto partecipare per San Marino.
Il festival, come la Ue, s’è allontanato dai cittadini europei e dai progetti originari divenendo un baraccone dove il di tutto di più all’insegna del politically correct  nasconde la pochezza dell’anima.
Come Sanremo si sa già chi deve vincere, si ricordi la vittoria del Moleskine lo scorso anno, e quest’anno, indovinate un po’ la vittoria dell’Ucraina appare la più probabile.
E’ finita.
FONTE: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1210177726186367&id=100015824534248

 

 

NON È UN CASO, MORO. Docufilm in 2 puntate (148 minuti)

1. La verità, finalmente, sul delitto Moro!

“NON È UN CASO, MORO”

è un Docufilm autoprodotto che si propone di raccontare tutta la verità, finalmente, sul delitto Moro.

Scritto e diretto da Tommaso Minniti, tratto dai libri inchiesta di Paolo Cucchiarelli e con le musiche originali di Johannes Bickler.

Il film in due puntate narra la storia inaudita dei 55 giorni che bloccarono per sempre l’Italia al 9 maggio 1978, lo fa ricomponendo un delicatissimo mosaico con assoluta coerenza probatoria e veridicità storica.

La vicenda sembrerà come nuova, sconosciuta, perché messa sotto una luce diversa e rivelata in modo sorprendente attraverso la ricerca delle vere prigioni del Presidente, lo scoperchiamento della dinamica dell’uccisione, l’identificazione delle forze  internazionali in campo. Il tutto sostenuto da testimonianze inedite e incontrovertibili di protagonisti dell’epoca: l’On. Claudio Signorile e Mons. Fabio Fabbri.

NON È UN CASO, MORO è anche un film che ricostruisce, come in un vecchio super8, le sequenze negate, ovvero i momenti di questa storia rimossi dall’immaginario collettivo, perché omessi, mistificati, sepolti. Tutto ciò che non è stato mai detto sul delitto Moro, il documentario mostra con coraggio.

Prove alla mano, si dice che in via Fani c’era l’intelligence americana, che lo Stato italiano seppe fin da subito dove era nascosto Moro e che l’uccisione fu decisa proprio mentre il Presidente stava per essere liberato.

Ancora dopo oltre quarant’anni, l’Italia non sa in che modo la propria storia sia scivolata dalle vette della Costituente, all’abisso tragicomico contemporaneo; il film aiuterà a capirlo. Ricompone infatti le fasi salienti del delitto più illustre della nostra epoca, che segna anche la fine prematura della Repubblica Italiana.

Questo lavoro è un punto di ripartenza necessario per chiunque voglia ricostruire la dignità e il ruolo del nostro Paese, sul fondamento della verità.

Tommaso Minniti                                           

Regista e attore

Paolo Cucchiarelli   

Giornalista e autore dei libri inchiesta: “Morte di un Presidente” ( vedasi:  https://www.ibs.it/morte-di-presidente-quello-che-libro-paolo-cucchiarelli/e/9788862200127 )  e “L’ultima notte di Aldo Moro”

Johannes Bickler      

Musicista e compositore

 
Riferimento:
 
 
 
 
 
1B. Recensioni:
 
 
 
2. Sunto storico a livello di “Big Picture”:
 
 
Breve commento finale.
 
Magari già ne è già al corrente di questo nuovo Docufilm su Moro, ma non si sa mai!
 
PS beccato su ImolaOggi:
 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Sono cresciuta prevalentemente coi ragazzi.
Rita Lazzaro
Ho sempre visto il mondo femminile troppo pettegolo e competitivo, il che mi mette ansia, angoscia o semplicemente mi rompe le sfere del drago. Almeno gran parte delle volte è così.
Non per nulla, mio padre ha sempre detto ca “sugnu muasculu mancatu”…(un maschio mancato)
Purtroppo no per la forza fisica, forse si riferisce al “mio essere dolce e aggraziata”
Detto questo, da Donna, considero vergognoso considerare molestia un complimento anche po’ spinto, che può degenerare nel volgare e in questo caso, giusto fare i dovuti distinguo.
La frase volgare dovrebbe essere molestia quando contiene riferimenti sessuali ad esempio e magari con tanto di aggravante perché ti trovi in un luogo dove non sei nelle condizioni di poterti difendere.
“Gnocc@”, fig@, et similia sono frasi che se dette con un certo tono fanno anche sorridere, se accompagnate da gesti sgradevoli e incommentabili ecco, anche in quel caso, si potrebbe parlare di molestia sessuale.
Personalmente, anche tra amici, il commento volgare è scappato, ma sono sopravvissuta. Confesso “è stata dura” ma ce l’ho fatta.
E adesso mi raccomando, fracassateci le palle con la parolina di troppo anziché sul fatto che, ad esempio, una toccata di cu*o sia considerata violenza sessuale anziché molestia sessuale.
Fate il confronto psicofisico tra una donna che è stata palpeggiat@ e una che è stata violentata. Forza paladine senza macchia e senza paura.
Indugnstevi piuttosto, del fatto che non abbiamo una definizione a livello normativo di “molestia” sessuale, Indugatevi di un art 609 bis Cp e 4 bis di una legge 354/75  che rendono la vittima doppi tale, o del datore di lavoro che non butta fuori a c@lci in c*lo chi infastidisce o molesta le sue bariste e lavoratrici.
E anche questa volta, la puttanat@ femminista avanzò e ve lo dice una che ha rischiato più di una volta e fortunatamente ha solo rischiato e forse per questo sa il giusto distinguo anche se sarebbe sufficiente il mero buon senso.
Sipario
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1520777531674931&id=100012280962259
ALPINI  ALLA  MAYFLOWER
Bruno Sacchini 13 05 2022
Arrivano a Rimini ottanta battaglioni di alpini che, nella loro goliardia pennuta, oltre a farsi un’ombra o magari mille, rivolgono robusti apprezzamenti a fanciulle del posto all’insegna di: “Ma che belle gambe che hai!”
Laddove la diretta interessata, invece di compiacersi per un complimento che, da che mondo è mondo e Rimini è Rimini, non ha mai turbato nessuno, quella invece querela il corpo d’armata essendosi sentita “stuprata”.
Subconscio Freudianamente realizzato?
Peut-etre.
Intanto però, tra la curva sud di chi condanna il leghismo machista calato giù di Padania a srazzare come neanche il battaglione Azov da una parte e la romagnolità cazzona di chi si schiera senza se e senza ma coi valligiani dall’altra, nessuno riesce a cogliere la sostanza della questione.
Cioè la pruderie moralista di chi non sa far altro che dividere il mondo, giudiziariamente e militarmente, tra buoni e cattivi, politicamente corretti da una parte e schifosi dall’altra.
Siano questi i novax colpevoli d’un contagio che s’attacca a tutti ma la colpa è loro e soltanto loro, siano i filoputinisti colpevoli d’avanzare qualche dubbio che in Ucraina si combatta sul serio tra buoni e cattivi, siano gli alpini barbari e invasori d’un summer resort dove divertimentificio, piacere e sballo organizzato sono da sempre il brand della Riminesità.
Aperto a tutti, ma non agli alpini: verboten!
Curiosa eterogenesi dei fini d’una sinistra che tra ddl Zan e impaciugamento gender s’è sempre compiaciuta della propria trasgressività ma adesso niente, pu’ pu’, tutti puritani alla Mayflower che più bacchettoni e clericali di così non si può.
Schifo, schifo, schifo.
Ovvero idiozia, idiozia, idiozia.
O no?
FONTE: https://www.facebook.com/100007822153136/posts/3137961466474561/
E se la società liquida fosse un buco nell’acqua?
Marcello Veneziani
Il mondo è entrato nel terzo millennio con una sola idea chiave, fluida e ossessiva, globale e inafferrabile: la modernità liquida. Vent’anni fa, alla fine dello scorso millennio, un sociologo venuto dall’est, Zygmunt Bauman, pubblicò il suo saggio Modernità liquida, tradotto nel passaggio di millennio in mezzo mondo, e in Italia da Laterza. Cominciò un tormentone, prima intellettuale poi mediatico, sull’avvento globale della liquidità, a cui presto si aggiunsero ulteriori corollari sfornati da Bauman in altrettanti libri: società liquida, amore liquido, vita liquida, arte liquida, sorveglianza liquida, paura liquida e via liquefacendo. Un mantra insistente da cui non ci siamo liberati e che nessuno mette in discussione. Perfino l’attrice bisessuale Kristen Stewart, presenta il suo nuovo film lgbt, dicendo di “credere nel sesso fluido”. Bauman è uno dei rari autori letti e citati da Papa Bergoglio, soprattutto a proposito delle vite di scarto, liquidate dalla società egoista: la riduzione della fede cristiana a sociologia comporta come sua conseguenza la sostituzione del pensiero, della teologia e della filosofia, con la sociologia pop, magari radical, come fu quella di Bauman. Scappa qualche ironia su questo nuovo san Gennaro laico col suo miracolo della liquefazione universale.
Che vuol dire modernità liquida? Che è finito non solo il granitico mondo antico ma anche l’epoca solida del progresso; siamo entrati in una fase magmatica, inafferrabile nei suoi rapporti, postmoderna, in cui tutto scivola e il fluire divora ogni persistenza, ogni permanenza, ogni rigidità. Diluvio universale, anzi globale. I rapporti umani e i legami sociali si fanno liquidi e mutevoli, le convinzioni e le identità si fanno labili e fluenti, e via dicendo; le frontiere, i confini spariscono sommersi dalle onde liquide. La liquidità è ovunque (eccetto nell’economia, dove scarseggia).
Potremmo liquidarla come una scoperta dell’ovvio, antica come il cucco, se pensiamo all’acqua come mito universale delle religioni, al principio universale di Talete e ad Eraclito (panta rei, tutto scorre); e insieme banale come la scoperta dell’acqua calda, perché al predominio del divenire sull’essere solido ci avevano pensato da secoli i pensatori della prima modernità. Il predominio della storicità sull’eternità era il segnale di un primato del fluire. Il romanticismo fu l’avvento del liquido in opposizione al solido mondo classico. Marx ed Engels nel loro Manifesto, già a metà Ottocento andavano oltre e consideravano non liquidi ma “volatilizzati” i rapporti sociali un tempo consolidati, con le loro tradizioni e le loro ferree norme: “Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, col loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di stabile”.
Che la liquidità attenga all’umano, sia principio di vita e sua essenza, lo dice peraltro la nostra stessa composizione biologica: l’uomo è fatto in prevalenza di acqua, in una proporzione quasi analoga al nostro pianeta, costituito per sette decimi d’acqua. E questa corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo insegna molto più della teoria liquida di Bauman. Su questo tema ha scritto pagine penetranti Gaston Bachelard; in questi giorni è da segnalare il pamphlet di Massimo Donà “Dell’acqua” (La nave di Teseo).
Ma l’uso della liquidità come alibi onnicomprensivo per giustificare ogni infedeltà, ogni mutazione, ogni sconfinamento, non rende ragione dei percorsi molto più complessi del nostro tempo. Che non possono ridursi all’avvento dello stato liquido. Si possono dunque porre almeno tre ordini di obiezioni al dogma della liquidità.
La prima è che se si resta dentro uno schema chimico o puramente lineare, dopo lo stato solido e lo stato liquido c’è lo stato gassoso ed è dunque tempo di dichiarare superata la modernità liquida per parlare dell’avvento di una condizione aeriforme, più confacente del resto al predominio dell’etere e alle impalpabili onde elettromagnetiche.
La seconda obiezione è che la liquidità non coincide con l’oblio assoluto e la negazione di tutte le forme, perché esiste, come ci spiega la biologia molecolare, anche la memoria dell’acqua, che mantiene l’impronta delle sostanze con cui è venuta in contatto. C’è il Lete, l’acqua dell’oblio ma c’è anche l’acqua della memoria, il fiume che gli antichi chiamavano Eunoè e che scorre vicino al Lete. C’è la risacca dei ritorni, l’acqua che riporta figure, luoghi, tempi perduti. C’è pure qualcosa di negativo che resiste alla liquidità: ad esempio la plastica nei nostri mari, non biodegradabile né solubile nelle acque.
La terza obiezione è che nonostante lo stato fluttuante, liquido e gassoso delle nostre relazioni, c’è qualcosa di solido che resta e si chiama Natura. C’è qualcosa che resiste alla liquidità o riemerge come una terra sommersa: questo è pure il tempo delle identità riscoperte, delle patrie, delle nazioni ritrovate, delle sovranità, dei territori, dei confini. Identità solide, coriacee.
Oltre la natura c’è un’energia, c’è un vento che spira e che gli antichi chiamavano spirito, c’è un’anima che è soffio vitale. E noi siamo fatti d’acqua, di carne, di ossa; e di mente, di spirito, di memoria. Molto di noi finisce, molto di noi si trasforma, qualcosa di noi persiste. Sotto le acque di Bauman riemergono i fondali di Heidegger. Infine, una società liquida ha bisogno di contenitori che ne evitino lo spargimento e la dispersione. Più una società o una vita è liquida e più ha bisogno di recipienti e canali, cioè di senso del limite. E se la società liquida fosse un buco nell’acqua?
FONTE: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/e-se-la-societa-liquida-fosse-un-buco-nellacqua/

 

 

 

QUEL PUTIN MALATO GRAVE
Tonio De pascali – 13 05 2022
C’è Biden che :
– cammina tremolante
– gli tremano le mani
– dimentica quello che deve dire nei discorsi e negli incontri ufficiali
– si volta a dare la mano a salutare un interlocutore inesistente
– scorreggia davanti al Papa in occasione dell’incontro ufficiale
– si inzacchera i pantaloni di cacca davanti a tutti dopo aver scorreggiato davanti al Papa
– sorride sempre a tutti come tutti gli anziani vittime di demenza
Tutto questo davanti a milioni di persone
E certa gente continua a parlare delle gravi – ed ipotetiche – patologie di Putin?
FONTE: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1210370269500446&id=100015824534248

 

 

BELPAESE DA SALVARE

La sanità nell’era Moratti. 

Vittorio Agnoletto 12 05 2022
E’ accaduto ieri.
Una mamma chiama il Centro Prenotazioni dell’Ospedale pubblico Niguarda per eseguire una batteria di test neuropsicologici al proprio figlio disabile; il medico ha inserito la priorità D, quindi entro 30 giorni per le visite, 60 giorni per gli esami. L’operatrice del call center risponde che la prima data disponibile è a giugno 2023, tra tredici mesi.
Se si pagano 307 euro, chiamando il Centro Prenotazione per le visite private del medesimo ospedale, gli stessi esami si possono fare privatamente tra tre giorni, sempre a Niguarda dove, ha precisato l’operatore, vengono fatti tutti i pomeriggi!
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=545648537124269&id=100050373824857

 

 

 

 

RECORD DI DENATALITÀ
Redpillatore 13 05 2022
Ogni anno esce puntuale questa stessa notizia: record di denatalità. Le istituzioni ne parlano sempre con preoccupazione, ma si ostinano a non voler vedere le reali cause del problema: siamo una società fortemente edonistica ed opulenta, dove le donne passano gli anni più fertili a imbottirsi di contraccettivi, a cercare il principe azzurro (chiamiamolo così) su Tinder, a godersi una vita fatta di viaggi e ristoranti, e a studiare per fare una carriera che le renderà solamente più pretenziose riguardo alla scelta del partner
e ridurrà il numero di uomini papabili per mettere su famiglia.
Per funzionare, una società ha bisogno di persone che si accoppino in un certo modo, secondo un sistema rigidamente monogamico.
La liberazione sessuale e la selezione sessuale femminile ipergamica creano solamente degli harem dove pochi uomini detengono il monopolio della riproduzione e gli altri sgobbano per mandare avanti la baracca. Paesi come la Norvegia, dove ormai un quarto degli uomini quarantenni è senza figli e paga tasse esagerate per mantenere i figli che pochi uomini hanno da donne
diverse, senza che ciò sia sufficiente a raggiungere un tasso di natalità positivo (nonostante peraltro la prolificità dei vari Adbul e Aziz) ,evidentemente non bastano per far comprendere che il problema non è la mancanza di welfare. Finché non si capiranno queste basilari dinamiche biologiche/sociali inutile lamentarsi che stiamo morendo come società.
La verità è che il nostro modello sociale e culturale è in fallimento da decenni. La denatalità e la sostituzione etnica sono solamente i sintomi più evidenti.
EDIT
L’esultare per la propria autoestinzione giustificandola con il fatto che al mondo siamo già troppi è un altro sintomo della patologia occidentale, che ormai ha intaccato anche le aree del cervello deputate all’istinto di sopravvivenza.

 

 

 

ITALIANI BRAVA GENTE
Sisto Ceci 15 05 2022

E noi non dobbiamo abbattere i cinghiali che scorrazzano liberamente dentro le nostre citta’ per non offendere, ettepareva , gli animalisti : la peste suina che colpisce i cinghiali ,si trasmette ai maiali e ha raggiunto prima , in Piemonte , poi in Liguria , ora anche nel Lazio , fin dentro i parchi di Roma , vedi l’Insugherata , i 120 casi .Se continua così ci sarà, a strettissimo giro letteralmente una ecatombe di 9 milioni di maiali , una filiera di lavoro per 100.000 addetti e 20 miliardi di fatturato , tutti i prodotti DOP e DOC fuori legge e l’esportazione dei nostri prodotti tipici azzerata , già da gennaio abbiamo accusato una caduta del 20% delle vendite sui mercati esteri , e per non abbattere qualche migliaio di cinghiali , dovremo abbattere 9 milioni di maiali …. e ma dobbiamo rispettare il credo animalista, vuoi mettere ? la stessa logica che non ci fa’ trivellare per estrarre il petrolio e il gas , perché dobbiamo rispettare il credo ambientalista , in genere gli uni, animalisti e gli altri ,ambientalisti coincidono, e regaliamo miliardi alla nostra concorrenza e paghiamo bollette astronomiche .In Piemonte già sono cominciati gli abbattimenti di massa , la prima zona rossa in Italia , se continua così tra poco in tutta Italia …..e noi dobbiamo rispettare il credo ecologista e ambientalista …per morire di fame.

Bello eh?
FONTE: https://www.facebook.com/100003155916615/posts/5455386811243129/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

L’economia di guerra nello stato d’emergenza

di Visconte Grisi

Capitalismo, pandemia, controllo sociale. L’economia di guerra nello stato di emergenza (1)

1. Capitalismo, pandemia, controllo sociale

In un libro uscito subito dopo il primo lockdown pandemico del 2020, dal titolo Lo spillover del profitto, denunciavamo “il linguaggio da tempo di guerra diventato subito virale nei mass media di regime (…) insieme al ritorno di una retorica patriottarda fuori tempo”, prendendo poi in considerazione alcuni fenomeni che potevano far ritornare alla mente situazioni tipiche di una economia di guerra. Citavamo, ad esempio, “la riconversione industriale in alcune fabbriche per la produzione di merci non più reperibili sul mercato nazionale, come le mascherine o i respiratori (…) la limitazione, certo notevole anche se limitata nel tempo, dei consumi interni, fatta eccezione per il settore alimentare e farmaceutico (…) l’aumento del risparmio privato, che diviene perciò obiettivo privilegiato sia dei fondi di investimento che delle emissioni dei titoli di stato”.[1] A tutto ciò si sarebbe aggiunto, poco tempo dopo, la speculazione sui prezzi dei generi di prima necessità, il coprifuoco di fatto, abbellito con il termine esotico di lockdown e l’introduzione di un lasciapassare per accedere a quasi tutte le attività, compresa quella lavorativa, anche qui camuffato con un termine falsamente ecologico, cioè il green pass.

L’origine della pandemia è da ricercarsi nel modello di sviluppo capitalistico, che comporta deforestazioni, grandi monoculture, allevamenti intensivi e distruzione dell’ambiente naturale e che ha così provocato lo “spillover”, cioè il salto di specie del virus. Il capitalismo quindi non può rimuovere le cause di questa pandemia o di altre che seguiranno. L’arrivo di questa pandemia era, inoltre, largamente prevedibile in anticipo solo osservando la catena di epidemie che si sono succedute dall’inizio del secolo, dalla SARS1 del 2003 alle influenze suina, aviaria, Mers ecc.

Stando così le cose l’unica possibilità che rimane al capitalismo è quella di trasformare la pandemia in endemia, per gestirla e trarne profitto. Ciò rende possibile continuare la produzione, e quindi l’accumulazione di profitti. I vaccini oggi esistenti sono decisamente interni a questa logica in quanto, per le loro caratteristiche, sono efficaci per evitare le forme gravi della malattia ma non per arrestare del tutto la diffusione del contagio. Un capitolo a parte meriterebbe poi il disastro provocato dallo smantellamento della medicina pubblica e, in particolare, della medicina di territorio e delle cure domiciliari, argomenti che abbiamo già a lungo trattato.[2] In questa sede vogliamo solo ricordare che una efficiente medicina del territorio avrebbe evitato moltissimi decessi e contribuito a non intasare i reparti di terapia intensiva nella prima fase dell’epidemia.

Torniamo alla questione dell’economia di guerra e ai suoi successivi sviluppi. Nel 2020 concludevamo “che, nonostante i fenomeni prima descritti, la situazione attuale non è quella di un’economia di guerra. Per lo meno non ancora. L’evoluzione verso una economia di guerra è una delle possibilità”, anche se esprimevamo qualche dubbio su una sua certa progressione automatica, che invece non era per niente assicurata. Quella conclusione era basata, già allora, sull’andamento della questione energetica.

Il blocco o il rallentamento della produzione a livello mondiale aveva provocato immediatamente il crollo della domanda di petrolio e del conseguente prezzo del greggio al barile. Tutto ciò contrastava con il fatto che in una economia di guerra la domanda di petrolio dovrebbe crescere, e molto, per sostenere lo sforzo produttivo bellico e le esigenze logistiche degli eserciti. Già dopo la crisi finanziaria del 2008 e la successiva recessione economica tutti i paesi produttori nel 2015/16 erano stati costretti a ridurre la produzione di greggio ma, poi, l’emergenza da pandemia aveva fatto precipitare la crisi già in corso. Le grandi corporation multinazionali del petrolio e del gas, in feroce concorrenza fra loro, non avevano naturalmente alcuna intenzione di mollare la presa sui loro profitti e puntavano a una – piuttosto dubbia in verità – ripresa della domanda e della produzione. Già allora però i guadagni più cospicui si realizzavano sul mercato finanziario: il crollo del prezzo del greggio aveva provocato immediatamente una impennata del prezzo dei derivati che funzionano come polizze di assicurazione contro il fallimento.

L’ipotesi più forte formulata in quel momento era stata quindi che la gestione della pandemia da coronavirus potesse costituire una simulazione di una situazione di guerra, ovvero un surrogato della guerra permanente che si era svolta finora in aree capitalistiche semiperiferiche, come il Medio Oriente, parti dell’Africa o l’Afghanistan e che coinvolgeva invece ora i paesi capitalisticamente sviluppati. Un surrogato che è contemporaneamente troppo e troppo poco: troppo per i sacrifici sociali che comporta e troppo poco per risolvere la crisi capitalistica. Dalla crisi dei mutui subprime del 2008 e dalla successiva recessione l’accumulazione capitalistica faceva già fatica a riprendersi e. ora, la pandemia stava dando un colpo molto duro alle speranze di ripresa. Quello che sembrava strano però è il fatto che i vari governi pensavano di trattare questa crisi come una normale crisi ciclica, a cui inevitabilmente sarebbe seguito un periodo di crescita, magica parola di cui tutti si riempiono la bocca.

Nel 2021 quindi la reazione capitalistica alla crisi è consistita ancora nel mettere in campo eccezionali stimoli monetari nella speranza di far ripartire l’economia reale: costo del denaro prossimo allo zero, quantitative easing, ogni sorta di garanzie sui prestiti, incentivi fiscali alle imprese. A questo fine le banche centrali stanno iniettando nel sistema enormi flussi di liquidità che, secondo le teorie monetariste alla moda, dovrebbero stimolare gli investimenti. Si scomoda addirittura il ricordo del Piano Marshall del secondo dopoguerra che avrebbe dato il là ai trenta anni gloriosi, ovvero alla golden age capitalistica degli anni 50/60.

È inutile però farsi illusioni: il Recovery Fund non è il Piano Marshall, oggi la situazione è completamente diversa. La Teoria Monetaria Moderna (MMT) negli ultimi anni è diventata di moda tra molti economisti di sinistra: secondo i teorici della MMT l’emissione di moneta in deficit da parte dello Stato si traduce immediatamente in investimenti produttivi ed in nuova occupazione, in realtà però il sistema non funziona così. I capitalisti privati sono disposti a prendere in prestito dalle banche il capitale monetario, anche se a tassi agevolati, solo se dall’investimento possono ricavare un profitto superiore o, quanto meno, uguale al saggio medio. “Ciò che governa un’economia capitalista (…) è la profittabilità degli investimenti dei capitalisti, che guida la crescita e l’occupazione, non le dimensioni del deficit pubblico.”[3]

Qui arriviamo al Recovery Fund e agli investimenti promessi che hanno scatenato i più diversi appetiti, in una specie di assalto alla diligenza da parte di tutti i gruppi o le lobby sociali e politiche – ciò che è veramente all’origine della grande ammucchiata nel governo Draghi. Parliamo quindi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che prometteva per i prossimi cinque anni un rilancio dell’accumulazione capitalistica, quindi la fuoriuscita dalla crisi e l’avvio di una nuova fase di grande sviluppo economico.

Uno dei punti del piano prevede il finanziamento da parte dello Stato di grandi opere pubbliche e di nuove infrastrutture: si tratterebbe quindi di un ritorno a politiche neokeynesiane di “sostegno della domanda” attraverso ingenti opere pubbliche finanziate in deficit. Le infrastrutture e le grandi opere pubbliche costituiscono da noi il tradizionale terreno di pascolo per appalti e subappalti, legami oscuri fra imprese private e pubblica amministrazione con il relativo contorno di intermediari e faccendieri. L’aumento dell’occupazione che, in qualche modo, queste grandi opere inducono è in netto contrasto con le devastazioni ambientali e lo stravolgimento dei territori che esse producono, come è risultato già evidente in Val Susa con il TAV Torino-Lione e con la TAP nel territorio di Melendugno in Puglia.

La sanità pubblica rimane comunque la cenerentola del PNRR, che prevede un finanziamento totale per la sanità di 20,23 miliardi, cioè un misero 8% del totale, quantificabile in circa 250 miliardi.[3] Ciò è tanto più preoccupante se consideriamo che il Documento di Economia e Finanza (DEF) per il 2021, approvato il 22/4 dai due rami del Parlamento, conferma i tagli alla Sanità Pubblica per il triennio 2022-24 per un totale di circa 7 miliardi, oltre ad aprire la strada a una legge per attuare l’autonomia regionale differenziata. Dei 20,23 miliardi previsti la maggior parte, cioè 11,23 miliardi, saranno destinati all’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero, il che conferma la tendenza ospedalocentrica della Sanità, che già è stata all’origine di tanti problemi nel corso della pandemia, puntare sulla centralità dell’ospedale all’interno della struttura sanitaria è però senz’altro funzionale alla concentrazione dei profitti capitalistici nel settore, mentre per la medicina del territorio la misera cifra rimasta per gli investimenti è di 9 miliardi, che dovrebbero servire per la costruzione di “Case e Ospedali di Comunità” e per l’assistenza domiciliare. In conclusione niente lascia intravedere una inversione di tendenza rispetto alla massiccia privatizzazione della sanità e alla trasformazione della malattia in fonte di profitto, come ben si vede anche nella campagna vaccinale in corso, in cui le grandi multinazionali farmaceutiche che hanno acquisito i brevetti dei vaccini fanno il bello e il cattivo tempo.[4]

Siamo così arrivati quindi a uno dei punti forti del PNRR, cioè alla transizione ecologica e qui ritorna prepotentemente la questione energetica. Chiariamo subito che le varie forme di energia rinnovabile, dal solare all’eolico, sono già oggetto di investimenti e di profitti da parte di svariate aziende private; è possibile che questi investimenti crescano nel prossimo futuro ma è difficile che possano soppiantare, in un futuro prevedibile, le fonti estrattive, dal petrolio al gas. In un articolo scritto pochi giorni prima dello scoppio della guerra in Ucraina e pubblicato su Umanità Nova con il titolo “Il Gas ed i Venti di Guerra”, Daniele Ratti affronta lucidamente questo tema. Dice Daniele: “Relazioni internazionali ed energia sono fattori che si condizionano a vicenda: l’energia da componente economica si trasforma inevitabilmente in geopolitica modificando gli equilibri globali e nei “venti di guerra” di queste settimane il ruolo centrale spetta al gas.” Quindi “se il gas è anche arma geopolitica” rappresenta anche “il conto che la dipendenza energetica europea deve pagare a Mosca”.[5]

Nell’articolo si indicano tre soluzioni che, al momento consentirebbero di reagire al ricatto energetico russo. “La prima è la ricerca di nuovi giacimenti al di fuori dell’area di influenza di Mosca; la seconda è l’utilizzo del gas nella forma liquida (GNL); l’ultima, tutta da verificare, lo sviluppo delle fonti energetiche alternative.” Riguardo alla prima soluzione vengono citati il giacimento egiziano di Zohr (ENI è stata la protagonista della scoperta) e il consorzio East Med per lo sfruttamento del bacino di gas compreso tra Cipro e Israele. A ciò potremmo aggiungere un aumento delle importazioni di gas dall’Algeria o dall’Azerbaigian (vedi TAP), lo sfruttamento di alcuni giacimenti nell’Adriatico, mettiamoci pure la riapertura di alcune centrali a carbone e, dulcis in fundo, il ricorso alle centrali nucleari tanto caldeggiato dal ministro Cingolani. La seconda soluzione riguarda lo shale gas prodotto, soprattutto negli USA, con la tecnica del fracking che ha costi di produzione più elevati rispetto ai concorrenti e quindi ha bisogno di mercati mondiali in crescita per raggiungere almeno il profitto medio, oltre a provocare enormi danni ambientali. Inoltre lo shale gas viene commercializzato in forma liquida, il che comporta ulteriori costi e problemi di logistica rispetto ai gasdotti. Stando così le cose la tanto sbandierata transizione ecologica sembra rinviata a data da destinarsi, per usare un eufemismo.

Appunto però la terza soluzione riguarda la ricerca di nuove fonti energetiche rinnovabili, dall’eolico al fotovoltaico, e inoltre “una nuova organizzazione della produzione e distribuzione dell’energia, dove il digitale ne è la componente principale”. Qui la transizione ecologica si interseca e si fonde con l’altro punto cardine del PNRR e cioè con la transizione digitale. Citiamo ancora dall’articolo: “Si passa dallo ‘stato centralizzato’ dell’energia ad un ‘federalismo energetico’: la ricerca è orientata alla creazione di ridotte unità produttive (indipendentemente dalla fonte energetica) (…) di piccole unità energetiche (anche con combustibile nucleare). Tali unità oltre che consumare ciò che producono, immetteranno in rete il surplus e la direzione dei flussi energetici sarà quindi bidirezionale. Per governare questo processo l’azione del digitale è fondamentale. Lo strumento digitale saprà modulare, di volta in volta, la direzione dei flussi energetici dal centro alla periferia e viceversa ottimizzando la domanda e l’offerta – forzando il concetto, per renderlo ancora più comprensibile, si potrà realizzare il KM zero energetico.” Non ho dubbi sulla possibilità di realizzare con tecnologie informatiche queste meraviglie ma mi viene da pensare che una tale sofisticata organizzazione del lavoro richieda una elevata socializzazione delle forze produttive e un livello di pianificazione che, a prima vista, mi sembrano fuori dalla portata del modo di produzione capitalistico.

 

2. Dove vanno le belle promesse

Lo scoppio della guerra fra Russia e Ucraina ha fatto quasi cadere nel dimenticatoio tutte le belle promesse di grande sviluppo economico contenute nel PNRR, provocando anzi una accelerazione vertiginosa della crisi. Ancora prima dello scoppio della guerra dicevamo: “L’ipotesi più probabile dunque è che la pandemia permanente possa costituire l’innesco di una grande e duratura recessione con tutte le relative conseguenze di disoccupazione di massa e impoverimento delle classi lavoratrici (…) Per completare il quadro manca solo un ulteriore crollo finanziario, dopo quello del 2008, ma le premesse ci sono tutte visto il mastodontico indebitamento sia pubblico che, soprattutto, privato.”

Intanto era già partito un altro elemento fondamentale dell’economia di guerra, vale a dire il vistoso aumento di prezzo delle materie prime con la conseguente ripresa dell’inflazione. L’aumento di prezzo interessava naturalmente il petrolio, il gas naturale o il carbone, di cui peraltro esiste oggi nel mondo una grande sovrapproduzione ma, ancora di più, alcune materie prime necessarie alla cosiddetta transizione green e a quella digitale. Parliamo di rame, litio (batterie), silicio (microchip), cobalto (tecnologie digitali), metalli rari ecc. “A questi vistosi aumenti concorrono diverse cause: dalle difficoltà di estrazione che comportano enormi devastazioni ambientali con l’utilizzo anche di lavoro minorile in Congo e altrove, all’aumento a dismisura dei costi di trasporto, per finire con le immancabili speculazioni finanziarie sulle materie prime e sui titoli derivati (futures) a esse legati. Questa combinazione fra stagnazione e inflazione potrebbe ricordare la grande crisi degli anni 70, dopo la famosa “crisi petrolifera” del 73, quando, per descrivere la nuova situazione economica venne coniato il termine, poi diventato corrente, di “stagflazione”.[6]

Lo scoppio della guerra ha naturalmente portato all’estremo questi fenomeni, compresa una inflazione galoppante che coinvolge ora anche i generi di prima necessità, con il conseguente taglio di fatto dei salari dei lavoratori, oltre all’aumento stratosferico delle bollette energetiche. Il riferimento naturalmente è alla “grande depressione” degli anni 30 del secolo scorso, tanto è vero che, a questo punto, sorge spontanea una domanda: la guerra e le distruzioni in Ucraina possono costituire i prodromi di una terza guerra mondiale? Certamente, anche se da diversi anni ormai si sente parlare di “terza guerra mondiale a pezzi”, di “guerra per procura” ecc., questa volta il ricorso a una terza guerra mondiale per risolvere la crisi è reso molto problematico dall’entità delle distruzioni che un tale evento comporterebbe. “Questo ragionamento poggia su una analisi classica della guerra intesa come risoluzione della crisi capitalistica, come ben dimostrato dalle due guerre mondiali del Novecento. Il meccanismo di risoluzione della crisi attraverso la guerra si basa schematicamente su due effetti esplosivi dello scontro bellico:

1) una distruzione ingente di forze produttive, quindi di capitale sovraccumulato che aveva dato origine alla crisi, e di forza lavoro in eccesso;

2) l’emergere nel conflitto di uno stato/nazione (o imperialismo) egemone nella ricostruzione postbellica e nella nuova fase di accumulazione capitalistica.”

Questa ultima affermazione non va intesa però in un senso puramente militare. In un articolo scritto nel 1940 dal titolo “La Guerra è Permanente” Paul Mattick afferma: “Analogamente, la guerra che sarebbe necessaria alla riorganizzazione richiesta dal capitalismo per continuare ad esistere, può pretendere energie che il capitalismo non è più in grado di fornire”.[7] Mattick non parla quindi di stato o nazione o imperialismo ma del capitalismo nel suo complesso, se abbia o no la forza di riavviare un nuovo ciclo di rapida accumulazione. Certamente nel 1940 gli Stati Uniti erano in grado di mettere insieme le forze necessarie al rovesciamento della situazione di crisi, forze che andavano dalla potenza militare a un apparato industriale decisamente superiore, all’organizzazione del lavoro fordista a una composizione sociale decisamente più dinamica di quella prevalente nella vecchia Europa. Tutto ciò ha portato alla sconfitta del regime nazionalsocialista della Germania e al cambio di egemonia mondiale rispetto a quella inglese basata sul sistema coloniale, cioè sulla rapina delle ricchezze delle colonie, dando origine al periodo della trentennale golden age del capitalismo e al mondo bipolare che abbiamo conosciuto.

Attualmente nessuna delle potenze in gioco sembra in grado di produrre questo immane sforzo: non gli Stati Uniti che rimangono comunque i più forti sul piano militare ma deboli sul piano industriale dopo decenni di delocalizzazioni, la cui egemonia mondiale si fonda ormai sul capitale finanziario; non l’Unione Europea, debole sul piano militare e in preda alle solite divisioni, con una industria tecnologicamente avanzata che ha bisogno dei mercati mondiali di gamma medio/alta; non la Russia che accoppia alla potenza militare ereditata dall’URSS una economia basata quasi esclusivamente sull’esportazione delle materie prime; non la Cina ancora indietro sul piano militare e tesa ad espandersi sul piano commerciale lungo le varie “vie della seta” e con problemi di sviluppo interno ancora non risolti. Le prime mosse dopo l’azzardo di Putin in Ucraina sembrano confermare questa ipotesi, con gli Stati Uniti aggressivi a parole ma cauti nei fatti, la Cina che attende sorniona l’evolversi degli avvenimenti e l’Unione Europea con smanie interventiste che servono per giustificare una politica di riarmo.

Esiste poi un altro elemento, vale a dire la fuoriuscita dalla fase precedente che ha caratterizzato gli ultimi decenni impropriamente definita “globalizzazione”. Credo però che bisogna operare una distinzione fra creazione del mercato mondiale, che è una caratteristica permanente e ineliminabile del modo di produzione capitalistico, pur con le sue diverse fasi, e la cosiddetta “globalizzazione”, intesa come la risposta data dal capitale alla crisi degli anni ’70 e alla relativa caduta del saggio di profitto, con le sue caratteristiche specifiche che oggi sono entrate in una fase di crisi. Una risposta che ha portato attraverso processi di concentrazione globale, di megafusioni transnazionali e acquisizioni all’estero, al formarsi delle grandi multinazionali senza patria in concorrenza fra di loro per il controllo del mercato mondiale. Tanto per fare un esempio il settore agro-alimentare è in mano a tre colossi multinazionali: Dow-Dupont, ChemChina-Syngenta e Bayer-Monsanto che controllano il 63/69% del mercato e il 75% del business dei pesticidi e diserbanti.[8] Non solo, il formarsi delle grandi multinazionali ha determinato una nuova e, forse, inedita divisione internazionale del lavoro basata sul controllo delle nuove tecnologie e sulle differenze, a livello mondiale, del costo del lavoro.

È noto che già prima della guerra si erano verificate gravi disfunzioni in importanti filiere produttive per la mancanza o la carenza dei chips (microprocessori di computer) e di altri semilavorati che viaggiano lungo le catene produttive delocalizzate. La guerra in corso ha accentuato in maniera estrema questi processi. Ad esempio in Germania BMW e Volkswagen rischiano di dover fermare la produzione di automobili per la mancanza di cavi elettrici in quanto avevano delocalizzato l’imbracatura di questi cavi ad aziende con stabilimenti in Ucraina.[9] Fin dagli anni 90 la grande industria automobilistica tedesca, al seguito dell’espansione della UE e della Nato verso est, ha delocalizzato in questi paesi le lavorazioni a basso valore aggiunto, mantenendo in patria quelle ad alta tecnologia con personale specializzato. Ora tutto questo rischia di saltare. Altro esempio: “il 27 febbraio scorso una nave avrebbe dovuto caricare nel porto d’Azov 30 mila quintali di grano tenero ma non è mai partita. A bordo c’era il carico acquistato dal pastificio Divella”. Lo stesso pastificio, per rifornirsi da altri canali ha pagato il 35% in più aumentando il prezzo della farina per pasticceria di circa il 15%. Situazioni simili si verificano per il mais, per i semi oleosi (girasole) e per i fertilizzanti.[10] Le speculazioni sul prezzo dei generi alimentari e sull’energia già stanno portando ad aumenti straordinari dei prezzi al consumo che spingono a interventi di calmiere da parte dello Stato, come già avvenuto con la benzina, fino a far agitare lo spettro dei razionamenti.

Tuttavia mi sembra difficile riorientare la divisione internazionale del lavoro (con il conseguente commercio mondiale) affermatasi negli ultimi decenni per costringerla entro i limiti di blocchi geopolitici, come sostengono i sostenitori della “fine della globalizzazione”. Una situazione simile si verificò nei primi decenni del secolo scorso. Molti non ricordano che il primo decennio del 900, passato alla storia come “la belle epoque”, fu un periodo di grande sviluppo capitalistico, sicuramente il più grande rispetto ai precedenti: sviluppo tecnologico (elettricità, telefono, cinema, automobili ecc.), con scoperte che oggi noi diamo per scontate o addirittura superate; nascita dei grandi monopoli; crescita del capitale finanziario; intervento dello Stato nell’economia; grande sviluppo del commercio internazionale (oggi noi diremmo “globalizzazione” ma, più correttamente, si dovrebbe dire creazione del mercato mondiale). La fine di questo ciclo capitalistico di sviluppo corrisponde al sorgere di protezionismi nazionalistici, dazi doganali ecc. che porteranno alla guerra. Come dice Mattick nel suo articolo, più che nei sistemi precedenti “la guerra capitalistica è direttamente causata dal sistema socioeconomico esistente. Nell’andamento ciclico del modo di produzione capitalistico una rapida accumulazione di capitale porta di conseguenza alla depressione e alla crisi, mentre il meccanismo stesso di risoluzione della crisi porta a una nuova fase di accumulazione e sviluppo. In maniera direttamente conseguente un periodo di pace capitalistica porta alla guerra e la guerra riapre a un nuovo periodo di pace.” È questa la storia del Novecento.

La situazione di oggi è però molto diversa. Nel 2014 i compagni di Clash City Workers nel loro libro Dove sono i nostri parlavano del fenomeno del “reshoring” cioè della tendenza al ritorno di alcuni settori produttivi nei paesi a capitalismo avanzato e in particolare negli USA. “È il caso del programma di attrazione di investimenti esteri ‘Select USA’ varato nel 2011 dall’amministrazione Obama che intende rappresentare il paese come destinazione produttiva senza pari e sostenere la campagna per una riscossa manifatturiera quale pilastro della ripresa economica (…) Emblematica di questo ‘nuovo’ scenario è la vociferata delocalizzazione di Foxconn – la famigerata multinazionale taiwanese che lavora soprattutto per la Apple e che in Cina ha stabilimenti di centinaia di migliaia di operai – nientemeno che negli USA : la ‘soluzione americana’ potrebbe richiamare il modello adottato da Marchionne con la Chrysler. Abbassando il costo del lavoro, per sostenere l’adeguamento e l’espansione degli organi produttivi (…) Per capirci: gli operai della Chrysler sono passati dai 30$ netti all’ora del pre-crisi ai 15$ del 2013”.[11] Il programma del “reshoring” era naturalmente al primo posto all’epoca della presidenza Trump. Trump convocò alla Casa Bianca i CEO di Ford, Fiat Chrysler (Sergio Marchionne) e di General Motors, promettendo una vasta “deregulation” in cambio del ritorno della produzione in USA e minacciando, in caso contrario, forti dazi doganali. La risposta dei CEO fu tiepida o ambigua, mettendo in evidenza la difficoltà delle multinazionali a rientrare in una visione “nazionale” dei loro interessi.

A meno che le sanzioni di guerra di Biden non riescano a fare quello che i dazi doganali di Trump non sono riusciti a portare a termine. Non parliamo qui dei punti vendita di McDonald’s che chiudono a Mosca o della vendita delle italiane borse di Gucci agli oligarchi russi e nemmeno della vendita di ville milionarie di Forte dei Marmi agli stessi oligarchi ma del gas liquido americano, quasi imposto da Biden ai dubbiosi alleati europei nel suo ultimo viaggio, anche se costa di più, ha un processo di estrazione più inquinante, deve essere trasportato via mare e necessita della costruzione di rigassificatori. A questo proposito Mattick dice: “Eppure la vittoria dei monopoli non potrà mai essere completa e la questione nazionale non scomparirà mai (…) Ma le classi dirigenti degli stati nazionali si sono storicamente sviluppate in una maniera che esclude la possibilità di una spartizione pacifica dello sfruttamento mondiale (…) Proprio questo processo, anzi, non fa altro che illustrare una volta di più la completa incapacità del capitalismo di portare a compimento un riassetto davvero razionale dell’economia mondiale (…) Il capitalismo, dopo aver creato il mercato mondiale, è incapace di garantire per sé stesso una spartizione pacifica dello sfruttamento mondiale e di controllare i reali bisogni della produzione mondiale, rappresentando quindi un vincolo per l’ulteriore sviluppo delle forze produttive umane (…) a meno che non venga creato un organo socio-economico per la regolamentazione cosciente dell’economia mondiale”. Ma anche questo sembra fuori dalla portata del modo di produzione capitalistico.

 

3. Sugli scenari futuri

La questione se la guerra in Ucraina potrà diventare l’inizio della terza guerra mondiale o rimanere un episodio della guerra permanente già in atto dipenderà dall’andamento della crisi capitalistica, iniziata ormai qualche decennio fa e ancora non risolta. Un episodio certamente doloroso per le distruzioni e le migliaia di vittime civili, emotivamente (e mediaticamente) più sentito di quanto avvenuto per la Siria o per la Libia in quanto più vicino a noi nel cuore dell’Europa. Se la crisi capitalistica in corso viene definita come una crisi ciclica dell’accumulazione, di cui è piena la storia del capitalismo, una sua soluzione attraverso una guerra generalizzata può essere una ipotesi sostenibile. Se la crisi in corso è però espressione del declino storico del modo di produzione capitalistico, pur con una sua accelerazione, l’ipotesi di una guerra generalizzata perde di vigore. Citiamo ancora Mattick:

“Nell’andamento ciclico del modo di produzione capitalistico una rapida accumulazione di capitale porta di conseguenza alla depressione e alla crisi, mentre il meccanismo stesso di risoluzione della crisi porta a una nuova fase di accumulazione e sviluppo. In maniera direttamente conseguente un periodo di pace capitalistica porta alla guerra e la guerra riapre a un nuovo periodo di pace. Cosa succede però se la depressione economica diviene permanente? Anche la guerra seguirà lo stesso andamento e quindi la guerra permanente è figlia della depressione economica permanente.” Mattick porta poi alle estreme conseguenze la sua analisi quando afferma: “Oggigiorno, si tratta solo di vedere se, nella misura in cui la depressione non sembra più poter ricostituire le basi di una nuova prosperità, la guerra stessa non abbia perduto la sua funzione classica di distruzione-ricostruzione indispensabile per innescare un processo di rapida accumulazione capitalistica e di pacifica prosperità postbellica”.

Un ragionamento che ci riporta a quanto dicevamo nel libro citato all’inizio a proposito della pandemia. “Nell’articolo che apre il libro Philippe Bourrinet comincia col sottolineare che, nel passato, le grandi pandemie hanno sempre segnato i grandi passaggi epocali o, diremmo noi, i cambiamenti del modo di produzione. Così è stato per la ‘peste di Giustiniano’ che devastò le coste del mar Mediterraneo dal 541 al 767, segnando la fine dell’impero romano. Ancor di più la peste del 1300, che fece circa 30 milioni di morti, cioè un quarto, se non un terzo della popolazione di allora, segnò il passaggio dal Medioevo all’epoca moderna, cioè dal feudalesimo al decollo del capitale commerciale. E infatti le grandi epidemie sono state sempre molto legate agli scambi economici e commerciali e anche legate strettamente alla guerra. La peste del 1300 venne portata dai Mongoli che posero sotto assedio la città di Caffa, una colonia genovese in Crimea. I genovesi, seguendo le loro rotte commerciali portarono il terribile bacillo in Europa e verso il nord, fino in Scandinavia. [ma] se allora furono necessari tre anni perché la peste passasse dalla Crimea alla Norvegia, oggi, all’epoca della globalizzazione del capitale (e del coronavirus…), si deve ragionare in termini di settimane”.[12] Quindi la domanda che viene posta implicitamente, ma anche esplicitamente, nel libro è la seguente: la pandemia di Covid 19 può segnare l’inizio della fine del modo di produzione capitalistico? Naturalmente non stiamo parlando del prossimo futuro, stiamo parlando dei tempi lunghi della storia, come diceva Braudel; quello che conta alla fine è però la prospettiva in cui ci si pone.

Per concludere, ancora un paio di elementi che caratterizzano una economia di guerra. La produzione di armi, di più o meno alto livello tecnologico, continuerà comunque a crescere a dismisura. Il complesso militare-industriale non rinuncerà facilmente a una sua particolare “riproduzione allargata”, anche perché al suo interno si svolge il grosso della ricerca scientifica e tecnologica, con le sue crescenti propaggini nelle università private e pubbliche. I droni e i missili, una volta fabbricati devono però essere impiegati per poterli poi di nuovo fabbricare, qualche capitalista deve realizzare i suoi profitti, anche se la produzione di armi in generale costituisce un consumo improduttivo di plusvalore per il capitale sociale, tanto più per il fatto che questa produzione viene comprata quasi per intero dallo Stato.

A questo proposito destano quindi stupore le affermazioni di Draghi relative alla cosiddetta “Bussola Strategica per la Difesa Europea”, quando parla di una ripresa economica trainata dalla produzione di armi. Si riferisce evidentemente alle ordinazioni che possono arrivare alla media e piccola industria italiana dalla nostrana Leonardo Finmeccanica o, più ancora, dal progettato riarmo tedesco. A questo proposito si parla della nascita del “Polo Imperialista Europeo”, mentre all’orizzonte si profila un nuovo PNRR europeo appositamente creato per supportare questa politica di riarmo. A questo serve anche la risoluzione, recentemente approvata dal parlamento italiano, di portare la spesa militare al 2% del PIL, come già richiesto da Trump nell’ambito del finanziamento della NATO. Naturalmente questo porterà a tagli alla spesa pubblica per il welfare (pensioni, sanità, istruzione ecc.), che sono comunque salario indiretto dei lavoratori: siamo comunque lontani dalla politica di riarmo praticata, ad esempio, dalla Germania nazionalsocialista.[13]

Infine dobbiamo ricordare che da due anni noi ci troviamo in uno stato d’emergenza che da praticamente mano libera al governo di legiferare attraverso decreti legge, uno stato d’emergenza giustificato finora con motivi sanitari e che ora viene prorogato a causa della guerra. A questo punto risulta sempre più difficile distinguere fra un regime definito come democratico e uno bollato come autocratico. Già all’inizio della pandemia avevamo previsto che si sarebbero imposte forme di governo autoritarie e decisioniste e sarebbe aumentata la militarizzazione del territorio e della società. A questo proposito vogliamo ricordare che nell’aprile 2003 la NATO ha pubblicato un rapporto di 140 pagine denominato “Urban Operations in the Year 2020” (UO 2020). Nel rapporto l’ipotesi di partenza è l’aumento esponenziale della popolazione mondiale entro l’anno 2020 e il contestuale spaventoso aumento dell’urbanizzazione, con il 70% di questa popolazione che vivrà all’interno delle città. Tutto ciò provocherà crescenti tensioni economico-sociali, alle quali si potrà far fronte – secondo il rapporto – solo con una presenza militare massiccia, spesso su periodi di tempo prolungati. Nell’UO 2020 si consiglia di iniziare gradualmente ad utilizzare l’esercito in funzione di ordine pubblico all’avvicinarsi della crisi mondiale ipotizzata per il 2020. Ebbene siamo arrivati al 2022 e gli scenari ipotizzati nel rapporto NATO si rivelano molto attuali e quindi la raccomandazione contenuta nell’ultima parte “sull’esercito in funzione di ordine pubblico”, già operante in Italia da diversi anni, ha subito una accelerazione proprio in occasione dell’emergenza coronavirus, segnando una ulteriore militarizzazione del territorio.

NOTE

[1] AA. VV., Lo Spillover del Profitto. Capitalismo, Guerre ed Epidemie, a cura di Calusca City Lights, Milano, Edizioni Colibrì, 2020 –“L’Economia di Guerra al Tempo del Coronavirus”.
[2] In un convegno tenuto a Milano nell’aprile 2014, organizzato dalla Rete Solidale di Lotta, sulla privatizzazione della sanità uno dei temi trattati è stato proprio la crisi della medicina generale e della medicina preventiva del territorio.
[3] vedi ROBERTS, Michael, “La Teoria della Moneta Moderna”, in folio.asterios, 2020.
[4 Vedi “Il P.N.R.R. e la medicina del territorio” nel Bollettino “TANTA SALUTE A TUTTI”, Milano, Gennaio 2022.
[5] RATTI, Daniele, “Il Gas ed i Venti di Guerra”, in Umanità Nova, n. 6 del 27/02/2022.
[6] GRISI, Visconte, “Arriva la Grande Depressione?”, in Umanità Nova n. 27 del 19/09/2021.
[7] MATTICK, Paul, “La Guerra è Permanente” – http://www.leftcom.org/it/articles/1940-01-01/la-guerra-è-permanente. Vedi anche un mio articolo con lo stesso titolo in Umanità Nova n. 29 del 28/10/2018.
[8] NOLAN, P. e ZHANG, J., “La Concorrenza Globale dopo la Crisi Finanziaria”, in Countdown 2, Studi sulla Crisi.
[9] SPAVENTA, Alessandro, “La guerra in Ucraina ferma la produzione di BMW e Volkswagen”, in notizie.tiscali.it del 21 marzo 2022.
[10] BORRILLO, Michelangelo e GABANELLI, Milena, “Pane, Mais, Concime: Abbiamo un Problema”, in Corriere della Sera, Lunedì 21 Marzo 2022.
[11] CLASH CITY WORKERS, Dove Sono i Nostri. Lavoro, Classe e Movimenti nell’Italia della Crisi, La Casa Usher, 2014.
[12] BOUTTINET, Philippe, “Capitalismo, Guerre ed Epidemie” in Lo spillover del profitto, op. cit.
[13] LIU, Larry, NATHAN, Otto, ROBINETT, Peter, HERBERT, Ulrich e HARRISON Mark, La politica economica del Nazionalsocialismo, Asterios, Settembre 2018.

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/23030-visconte-grisi-l-economia-di-guerra-nello-stato-d-emergenza.html

Perché gli Stati Uniti potrebbero restare a corto di armi

“Nelle mani degli eroi ucraini stanno facendo la differenza. È un qualcosa di cui possiamo essere orgogliosi. Molti genitori stanno chiamando i loro neonati Javelin o Javelina per il successo di queste armi”. Qualche giorno fa Joe Biden ha visitato la fabbrica della Lockheed Martin a Troy, in Alabama, la stessa che ha prodotto oltre 5mila sistemi anti-missile Javelin inviati all’Ucraina. “Il nostro Paese sarà quello che il popolo ha proclamato che debba essere, un arsenale della democrazia”, ha quindi aggiunto un raggiante Biden.

Il fatto è che nessuno si aspettava un flusso così crescente e ininterrotto di armi e munizioni diretto verso Kiev. Basti pensare che la produzione delle industrie nazionali rischia di non riuscire a stare al passo con le consegne. E che, dallo scorso 24 febbraio ad oggi, pure gli stock di armamenti nazionali degli Stati Uniti sono diminuiti a vista d’occhio, come conseguenza delle migliaia e migliaia di munizioni e strumenti militari di ogni tipo recapitati al governo ucraino, impegnato nel conflitto contro l’esercito russo.

Gli ultimi due pacchetti di aiuti militari annunciati da Biden (valore 150 milioni di dollari) e dal Pentagono (137 milioni) hanno aggiunto ulteriore carne al fuoco. Calcolatrice alla mano, la spesa bellica di Washington per sostenere il governo guidato da Volodymyr Zelensky ha già raggiunto quasi i 4 miliardi di dollari.

Le forniture Usa

In un primo momento le armi consegnate all’Ucraina dagli Stati Uniti erano destinate ad una chiara funzione difensiva, come i missili anti tank Javelin e gli anti aerei Stinger. Ben presto la guerra ha assunto ben altre tonalità, e le spedizioni si sono adattate ad una funzione offensiva.

Kiev ha ricevuto di tutto e di più. Ecco un brevissimo elenco: artiglieria pesante come gli obici Howitzer da 155 mm, sistemi di difesa anti aerea, missili a guida laser, blindati Humvees, droni di vario genere – da quelli da ricognizione tipo Puma a quelli kamikaze come gli Switchblade e i Phoenix Ghost (creati su misura dall’aviazione Usa per le esigenze delle forze armate ucraine).

Nelle forniture americane figurano anche mitragliatori non convenzionali (cioè non usati regolarmente dall’esercito statunitense), visori notturni, sistemi per le immagini termiche, sistemi di comunicazione tattica criptati, materiale medico e, importantissimi, servizi di immagini satellitari per individuare i movimenti del nemico. E poi munizioni, rifornimenti, giubbini antiproiettile, visori, radar e tanto altro ancora.

Problemi di approvvigionamento

Una così elevata esportazione di armi ha fatto emergere importanti problemi di approvvigionamento e produzione di strumenti bellici. Detto altrimenti, di questo passo le aziende statunitensi del settore rischiano di trovarsi a secco di armamenti. E non solo per la quantità di elementi consegnati a Kiev, ma anche per la penuria di materiali specifici necessari alla realizzazione degli equipaggiamenti richiesti dall’Ucraina.

Come ridimensionare la produzione per riempire le scorte, sempre più ridotte all’osso per via di una domanda che non accenna a calmarsi? È una domanda che si sono fatti tutti i produttori Usa, compreso Kathy Warden, amministratore delegato di Northrop Grumman. Warden, citato dal Financial Times, ha spiegato che il gruppo aerospaziale da lui guidato si aspetta una maggiore domanda per i suoi sistemi d’arma ma, al tempo stesso, i problemi della catena di approvvigionamento potrebbero ostacolare gli sforzi dello stesso gruppo volti ad espandere la produzione.

Stinger e Javelin: due casi emblematici

Le stime sono alquanto emblematiche, ma pare che un quarto delle scorte di Stinger degli Stati Uniti dovrebbe essere già finito in Ucraina. Il punto è che, fino a questo momento, lo Stinger veniva prodotto a livelli pressoché irrisori e trascurabili.

Esiste un solo cliente internazionale attivo – al momento è l’Ucraina – e Washington non ne acquista uno da ben 18 anni. Fino al 2023 o al 2024 non dovrebbero essere previsti ordini di grandi dimensioni, proprio perché lo stock di materiale per la loro produzione risulta essere limitato.

Un discorso analogo può essere fatto per i Javelin. La capacità di produzione per questi missili è di circa 2.100 unità all’anno. Lockheed e Raytheon, che li coproducono, puntano a far salire il tetto fino a 4.000 missili all’anno. Solo che per una svolta del genere potrebbero servire due anni.

Nodi da sciogliere

La guerra in Ucraina ha sostanzialmente esposto la catena di approvvigionamento della Difesa Usa ad una serie di vulnerabilità abbastanza preoccupanti. La fornitura statunitense di armi e munizioni a Kiev non potrà continuare a seguire questo passo, a meno che Washington non risolva prima alcuni nodi strategici e industriali per la cui risoluzione serviranno però anni e non settimane.

Intanto le industrie americane impegnate nel settore militare (e annesse) devono fare i conti con la citata carenza di manodopera e forza lavoro, poi con quella di materiali e componenti chiave. Ci sono poi da considerare nodi spinosi a livello più generale, tra cui una base di fornitori di armi troppo limitata, la necessità di velocizzare i tempi con cui l’industria Usa può produrre equipaggiamenti e sistemi militari e la non certo rilevante dipendenza da imprese parzialmente di proprietà straniera (soprattutto con capitale cinese).

“Siamo in un punto in cui siamo tutti d’accordo sul fatto che le vulnerabilità siano troppo significative”, ha affermato Elisabeth Reynolds, assistente speciale del presidente per la produzione e lo sviluppo economico presso il National Economic Council, durante un webinar sulla “Spesa per la difesa negli Stati Uniti”. organizzato dal think tank statunitense Brookings Institution e citato dal sito Shephardmedia.

Corsa contro il tempo

In questo particolare periodo storico, per gli Stati Uniti produrre alcuni tipi di munizioni e armamenti è diventata una vera e propria sfida. O meglio: una corsa contro il tempo, visto che l’obiettivo di Washington è rifornire Kiev di tutto il necessario per fronteggiare l’esercito russo.

Prima della guerra in Ucraina, Washington non aveva bisogno di un grande volume di munizioni e artiglieria. Ed è per questo che molte aziende, nel corso degli anni, hanno cessato le attività o smesso di produrre particolari equipaggiamenti perché non più richiesti in quantità rilevanti. Tra le altre aziende ancora operative, alcune sembrano essere eccessivamente dipendenti da materiali importati dalla Cina o, più in generale, dall’estero.

Lo scorso 15 febbraio, prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, il Dipartimento della Difesa Usa ha pubblicato un interessante rapporto intitolato State of Competition within the Defense Industrial Base (Stato della concorrenza all’interno della base industriale della Difesa). Nel documento, di 30 pagine, si accendono i riflettori su una sostanziale diminuzione del numero di produttori nelle principali categorie di sistemi d’arma.

Un fenomeno, questo, che si è acuito con il passare degli anni e che deve essere in qualche modo risolto affinché gli Usa possano aumentare la concorrenza interna, rafforzare la base di fornitori e mantenere la prontezza delle forze armate. Le proprie ma anche, considerando l’attuale invio di armamenti all’Ucraina, quelle di eventuali Paesi alleati.

Preoccupazioni crescenti

La sensazione è che gli Stati Uniti continueranno a consegnare armamenti all’Ucraina almeno fino a quando la situazione militare sul campo di battaglia non sarà tale da consentire a Kiev di sedersi ad un eventuale tavolo delle trattative con la Russia da una posizione di vantaggio. E però, come ha ben fotografato Associated Press, a Washington stanno emergendo preoccupazioni non di poco conto.

Mentre enormi C-17 carichi di Javelin, Stinger, obici e altro ancora decollano quasi quotidianamente dalle basi aeronautiche americane per rifornire l’esercito ucraino, ha preso forma una domanda delicatissima. Gli Stati Uniti sono in grado di sostenere spedizioni di armamenti verso Kiev con una simile cadenza mantenendo, al tempo stesso, le scorte necessarie di cui l’esercito Usa potrebbe aver bisogno nel caso in cui dovesse scoppiare un nuovo conflitto in Corea del NordIran o altrove?

In attesa di risposte certe, un anonimo funzionario della Casa Bianca ha spiegato che il Pentagono sta lavorando con gli appaltatori della Difesa per “per valutare lo stato di salute delle linee di produzione dei sistemi d’arma ed esaminare i colli di bottiglia in ogni componente e fase del processo di produzione”.

FONTE: https://it.insideover.com/difesa/perche-gli-stati-uniti-potrebbero-restare-a-corto-di-armi.html

 

 

AZOVSTAL COME FORT ALAMO
I TAGLIAGOLE UCRAINI NELLA LEGGENDA COME I BANDITI TEXANI

Tonio De Pascali 15 05 2022

L’assedio dei Russi ai tagliagole del battaglione Azov nel bunker dell’Azovstal ricorda, mutatis mutandis, quello di Fort Alamo, nel Texas, nel 1848.
Il Texas era al tempo uno Stato del Messico e gli statunitensi se n’erano praticamente impossessati con la forza facendone uno Stato autonomo.
La risposta dei messicani non si fece attendere e contrattaccarono chiudendo gli statunitensi nel piccolo fortilizio di Fort Alamo.
Anche lì, come a Mariupol, gli occupanti fecero uscire i familiari degli assediati e poi dettero vita alla carica finale con la quale tutti gli statunitensi furono uccisi.
Ora, il Messico era una una nazione sovrana cui apparteneva lo Stato del Texas.
Gli statunitensi vollero impossessarsene secondo la tipica logica yankee,
Quella che era un’appropriazione forzata da parte di avventurieri su ordine della potente massoneria statunitense divenne un’eroica e leggendaria resistenza contro i messicani cattivi che guarda caso erano invece i leggittimi padroni di casa. Resistenza che è parte fondante della storia e dell’anima dello Stato del Texas, oggi statunitense, resistenza divenuta leggendaria in ogni tempo ed in ogni luogo con quella logica imperialistica yankee pure testimoniata da numerosi film.
Con la stessa logica dell’altro secolo, oggi, i tagliagole criminali ucraini del battaglione Azov resistono ai russi nel bunker dell’acciaieria e tutto l’Occidente li ha trasformati in eroici guerrieri della resistenza ucraina contro il bieco Orso russo.
Paro paro come i falsi eroi e briganti yankee di Fort Alamo.
Che fecero una brutta fine.

FONTE: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1211683729369100&id=100015824534248

Cosa c’entra la guerra in Ucraina con il Corno d’Africa

La regione del Corno d’Africa sta attraversando il più grave periodo di siccità degli ultimi quarant’anni, secondo l’International Rescue Committee (Irc). L’Etiopia e la Somalia in particolare sono quelle più soggette e figurano entrambe nella Emergency Watchlist 2022 dell’Irc come paesi a rischio umanitario. La guerra in Ucraina ha dato un ulteriore botta ai due paesi a causa dell’aumento dei prezzi che ha causato. 

Siccità, carestia, fame

Il cambiamento climatico si sa, ha cambiato territori ed aspettative dell’intero globo e il Corno d’Africa è una delle zone che è stata più colpita. Qua la siccità ha prosciugato la maggior parte delle fonti d’acqua e di conseguenza i raccolti, già scarsi, e l’allevamento di bestiame sono diventati quasi impossibili. La terra è arida, e non solo nelle zone desertiche o storicamente aride, ma anche in zone prettamente pluviali e quindi più fertili dell’Etiopia e della Somalia. Secondo le nazioni unite la siccità ha obbligato più di 13 milioni di persone alla fame. In Somalia quasi un terzo della popolazione, che già vive sotto la soglia di povertà a causa della crisi economica, non riesce più a nutrirsi. L’Etiopia a causa della guerra con l’Eritrea nella regione del Tigray, a nord del paese, ha milioni di persone da dover sfamare attraverso aiuti umanitari, nonostante la mancanza di mezzi. Qua l’insicurezza alimentare è più diffusa che mai negli ultimi sei anni. Si teme che la continua siccità possa portare a una perdita di vite enorme come accadde nel 2011 quando uscire 260.000 persone solo in Somalia. Il surriscaldamento globale sta peggiorando enormemente il fenomeno della siccità poiché la regione è soggetta  a variazioni di temperature troppo frequentemente alternando periodi di siccità a periodi piovosi da un decennio a un altro. Le temperature diventano estreme e i periodi di pioggia portano a catastrofi naturali con inondazioni inusuali e catastrofiche per il territorio. 

Ricordiamo anche l’evento devastante dell’infestazione di locuste a inizio 2020 provenienti dalla penisola araba che distrusse 300.000 tonnellate di cereali e centinaia di migliaia di ettari di terra coltivata. Anche la mano umana ha contribuito a ridurre le attività agricole della popolazione: la guerra civile in Etiopia e l’intensificarsi del conflitto etnico in Sudan hanno tutti contribuito alla distruzione di fattorie, all’esaurimento dei raccolti e a un peggioramento della crisi alimentare. Gli stati interessati non hanno i mezzi finanziari e tecnici per salvaguardare il territorio e per far fronte alla perdita degli agricoltori e dei pastori. I budget dipendono dagli aiuti internazionali. La regione ha quindi un disperato bisogno di aiuti internazionali ma l’ONU ha annunciato che solo il 3% dei 6 miliardi di dollari saranno stanziati a Etiopia, Somalia e Sud Sudan mentre il World Food Program ha annunciato di aver bisogno di 470 milioni di dollari entro settembre per sopperire alla carestia, soprattutto in Somalia.

Gli effetti della guerra in Ucraina

Le catene di approvvigionamento alimentare e ali aiuti internazionali erano già stati ridotti all’osso con la pandemia da Covid-19 e ora con lo scoppio della guerra in Ucraina e con il conseguente aumento dei prezzi del cibo, la situazione è diventata catastrofica. I programmi di aiuti si sono ridotti e il World Food Program ha dovuto drasticamente ridurre i pacchetti di aiuti ai rifugiati in Medio Oriente e in Africa Orientale. Quest’ultima dipende quasi completamente da grano, soia e orzo ucraino e russo: importa 84% del suo grano, dei quali 725 DALLA Russia e 18% dall’Ucraina. L’Eritrea ne dipende interamente.

 

Altra onerosa conseguenza è quella dell’aumento dei prezzi che obbliga una grande fetta della popolazione alla fame e gli agricoltori a non poter più sostenere i costi di produzione. In Somalia il carburante è aumentato del 30%, 20 litri di olio sono passati da 32 a 55 dollari e il costo dei fagioli è raddoppiato. Il prezzo del pane, uno dei mezzi di sostentamento della popolazione, è raddoppiato dall’inizio dell’invasione russa e le importazioni di grano sono diminuiti del 60% secondo l’Islamic Relief. I paesi si ritrovano così a elemosinare aiuti umanitari che scarseggiavano già dall’inizio della guerra e il World Food Program ha annunciato che a causa dell’inflazione il prezzo dei pacchetti è aumentato del 23% (36% in Somalia e 66% in Etiopia) portando così l’organizzazione a decidere a chi destinare i pacchetti, facendo compromessi. 

Il problema che affligge questi paesi più di quelli in Medio Oriente e Nord Africa è quello dell’incapacità dei governi di far fronte all’emergenza. In un intervista realizzata da Voa News a Peter Kamalingin, capo del programma Pan Africa di Oxfam International, si evince che gli stati in questione hanno dovuto far fronte a un crescente problema di debito pubblico e che almeno due terzi delle spese vengono impiegato proprio in questo. Ciò significa che poco o niente rimane per gli investimenti o per gli aiuti ad agricoltori e piccoli imprenditori adesso in difficoltà a causa della guerra in Ucraina. I governi non investono in niente ed il carico arriva sulle spalle delle famiglie che con l’aumento dei prezzi si ritrova a non saper cosa mettere in tavola.

FONTE: https://it.insideover.com/guerra/cosa-centra-la-guerra-in-ucraina-con-il-corno-dafrica.html

 

 

Zelensky e i problemi interni con il reggimento Azov. Le ultime voci sul presidente: “Rischia di essere travolto”

“Comincia ad avere problemi interni con il reggimento Azov”. A sganciare la bomba sulla complicatissima situazione interna che rischia di travolgere il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky è stato il direttore di Limes a “Otto e Mezzo”, che il 12 maggio ospite di Lilly Gruber, ha spiegato come il premier inizi ad avere problemi interni con il reggimento Azov che resiste stoicamente nell’acciaieria Azovstal di Mariupol assediata da settimane dai russi. Dopo l’intervento di Zelensky alla tv italiana Caracciolo sintetizza bene di fronte a una conduttrice sbigottita: “Non gli sono piaciute le dichiarazioni di Draghi, comincia ad avere problemi interni con il reggimento Azov. La situazione rischia di inasprirsi di più”. Una strada questa che sembrerebbe ormai senza ritorno.

Zelensky sta trattando per la liberazione dell’acciaieria Azovstal dopo l’evacuazione dei civili ma “sono in corso trattative molto complesse” ha fatto sapere il presidente ucraino in evidente difficolta. “Stiamo facendo il possibile per evacuare ciascuno dei nostri difensori” ha sottolineato spiegando però che la prima fase riguarda le persone gravemente ferite”.

Intanto il presidente della Finlandia Sauli Niinisto chiama direttamente Vladimir Putin per informarlo della volontà del suo Paese di aderire dalla Nato. Il leader di Helsinki, in una conversazione definita “franca”, spiega al presidente russo come l’invasione dell’Ucraina abbia “alterato” la situazione di sicurezza del suo Paese. La risposta di Putin è chiara: per il Cremlino si tratta di “un errore” perché “non ci sono minacce” a Helsinki. Una decisione che – a dire di Mosca – potrebbe avere un impatto “negativo” sulle relazioni bilaterali. I due presidenti convengono tuttavia di voler “evitare tensioni”, ma i segnali sembrerebbero andare nel senso opposto. La Russia infatti interrompe le forniture di gas a Helsinki ed effettua una esercitazione militare nel Baltico. Nei prossimi giorni ci si attende poi una “reazione politica”, come annuncia il vice ministro degli Esteri russo, Alexander Grushko.

L’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato – secondo la teoria portata avanti dal Cremlino – sarebbe un altro passo verso quella che il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, definisce “guerra totale e ibrida” da parte dell’Occidente nei confronti della Russia. “?È difficile prevedere quanto durerà tutto questo, ma è chiaro che le conseguenze saranno sentite da tutti, nessuno escluso – dichiara – abbiamo fatto di tutto per evitare un confronto diretto, ma visto che la sfida è stata lanciata, ovviamente, l’accettiamo”. Lavrov torna poi sulla “campagna di russofobia che non ricordiamo nemmeno negli anni più bui della Guerra fredda”.

Sul campo intanto le forze armate di Mosca continuano a faticare. Kiev fa notare come i russi si stiano ritirando da Kharkiv e annuncia la controffensiva a Izyum. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, raggiunto nella capitale dalla visita di una delegazione del Senato Usa guidata dal repubblicano Mitch McConnell, parla di “oltre mille insediamenti” riconquistati mentre restano “complesse” le trattative per l’evacuazione di civili e militari asserragliati nell’acciaieria Azovstal.

L’andamento del conflitto sul terreno galvanizza i militari di Kiev che si lanciano in previsioni sul futuro. “La guerra finirà entro l’anno – dice il capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov – il momento cruciale sarà la seconda parte di agosto”. Non più solo difesa ma anche attacco per “riprendere tutti i territori in mano ai russi”. Uno scenario che congela le trattative diplomatiche, come confermato dallo stesso Putin nel colloquio con il presidente finlandese. “I negoziati sono effettivamente sospesi perché Kiev non è interessata a un dialogo serio”, le sue parole.

FONTE: https://www.iltempo.it/esteri/2022/05/14/news/ultime-notizie-ucraina-russia-zelensky-problemi-interni-battaglione-azov-nato-finlandia-chiama-putin-31595451/

 

 

 

CULTURA

Viaggio all’interno della coscienza

 

 

 

ATTUALITÀ DELLA DOTTRINA PITAGORICA E DEI VERSI AUREI: ALCUNI PARALLELISMI IMPORTANTI
N. R. Ottaviano 11 05 2022
Pitagora di Samo visse all’incirca dal 580 al 495 a.C. Fu uno dei maggiori Maestri dell’umanità ,trascorse molti anni in Egitto dove venne iniziato ai Misteri e probabilmente visitò anche l’India. Fondò la sua Scuola Iniziatica nella Magna Grecia, a Crotone, che fu però costretto ad abbandonare, trasferendosi a Metaponto, a causa dell’ostracismo del tiranno Policrate. Riguardo alla sua morte così si esprime il pitagorico Porfirio (232-305 d.C):
«Si dice che Pitagora abbia trovato la morte nella comunità di Metaponto, dopo essersi rifugiato nel piccolo tempio dedicato alle Muse, dove rimase quaranta giorni privo del necessario per vivere. Altri autori affermano che i suoi amici, nell’incendio della casa dove si trovavano riuniti, gettatisi nelle fiamme aprirono una via di uscita al maestro, formando con i loro corpi una sorta di ponte sul fuoco. Scampato dall’incendio Pitagora, raccontano ancora, si diede la morte, per il dolore di essere stato privato dei suoi amici.»
La Dottrina di Pitagora è stata essenziale per lo sviluppo spirituale dell’umanità ed è interessante notare che sia Il Buddha Gautama che Confucio furono praticamente suoi contemporanei. In quel V secolo avanti Cristo vennero dunque gettati, anche attraverso l’iniziale sviluppo in Grecia della filosofia del concetto, dei potenti semi spirituali che avrebbero mutato per sempre il corso del pensiero umano. Tutte le Scuole Iniziatiche d’Occidente sono, in diversa misura, “figlie” del Pitagorismo e considerano Pitagora un Maestro ed una Guida. La dottrina iniziatica pitagorica viene sintetizzata nei “Versi Aurei”,la cui prima estensione risale al I secolo a.C. ma la cui codificazione è attribuita a Pitagora stesso.Alcune versioni dei Versi Aurei che circolano sono piuttosto insoddisfacenti se non approssimative; proponiamo all’attenzione dei nostri lettori una traduzione fedele all’originale greco raccomandando una profonda meditazione di questo condensato di Sapienza.Il lettore attento saprà certamente scorgere i riferimenti a ben precise tecniche e dottrine ma vogliamo facilitarlo con alcuni richiami posti tra parentesi e in stampatello.A tali precetti si attengono, da tempo immemorabile TUTTI coloro che seguono realmente un Cammino di perfezione spirituale : che il lettore giudichi da sè quanto la sua esistenza sia in linea con ciò che i Versi Aurei raccomandano.
PREPARAZIONE
Gli Dei, gli Dei immortali, innanzitutto onora e rendi il culto che devi loro. Conserva poi la tua fede: Onora la memoria dei preclari Eroi benefattori e dei Geni semi-divini.
(N.B. LE SCUOLE INIZIATICHE TRADIZIONALI NON POSSONO AMMETTERE AL LORO INTERNO PERSONE CHE NON CREDONO NELL’ESSERE SUPREMO. PARIMENTI SI RICHIEDE AGLI ADEPTI DI COLTIVARE IL SENTIMENTO DELLA DEVOZIONE)
PURIFICAZIONE
Sii un buon figlio, un giusto fratello, tenero sposo e buon padre . Scegli per amico, l’amico della virtù; cedi ai suoi consigli, prendi la sua vita per esempio, non abbandonarlo mai anche se ti farà un piccolo torto. Se lo puoi s’intende: poiché una legge severa unisce la Potenza alla Necessità. Hai, pertanto, la possibilità di combattere e vincere le tue folli passioni: impara a dominarle. Sii sobrio, attivo e casto; evita la collera. Non compiere del male sia in pubblico che In privato; e soprattutto rispetta te stesso. Non parlare e non agire senza prima aver riflettuto: sii giusto. Ricordati che un potere invincibile ci ordina di morire; che i beni e gli onori facilmente acquisiti, si perdono anche facilmente.
( N.B.LO SVILUPPO DELLA FANTASIA MORALE E’INDISPENSABILE NEL CAMMINO INIZIATICO; AD ESSA SI GIUNGE ATTRAVERSO UNA CONDOTTA MORALMENTE INECCEPIBILE: UN PASSO NELLA CONOSCENZA TRE PASSI NELLA MORALITA’)
E quanto ai mali che il Destino porta con sé, giudicali per quello che sono: sopportali; e cerca, per quanto ti è possibile, di addolcirne i tratti: ricorda che gli Dei non hanno mai abbandonato i saggi neanche al peggiore dei mali.(ESERCIZIO DI POSITIVITA’).
Così come la verità anche l’errore ha i suoi amanti: Il filosofo approva o biasima con prudenza; e se l’errore trionfa si allontana ed attende.
(PRECETTO DI RITIRARSI NEL SILENZIO SE SI HA L’EVIDENZA CHE LE PERSONE SONO VITTIME DELL’ERRORE.E’INUTILE CERCARE DI FAR COMPRENDERE LA VERITÀ A CHI NON POSSIEDE ADEGUATI STRUMENTI DI COMPRENSIONE).
Ascolta e scolpisci bene nel tuo cuore le mie parole: chiudi gli occhi e le orecchie alla prevenzione;
(ESERCIZIO DI SPREGIUDICATEZZA)
temi sempre l’esempio altrui; pensa sempre da te stesso.
(INDIPENDENZA DI GIUDIZIO)
Consulta, delibera, e scegli liberamente. Lascia che il folle agisca senza cause e senza fini. Tu, invece, devi nel presente considerare l’avvenire. Non pretendere di saper fare ciò che non sai. Istruisciti: tutto sottostà alla costanza ed al tempo.
(SENSO DELL’IO E VALUTAZIONE OGGETTIVA DEI FATTI E DEGLI INDIVIDUI).
Veglia sulla tua salute: dispensa con misura, gli alimenti al corpo ed il riposo allo spirito. Rifuggi gli impegni che ti occupano troppo o troppo poco, poiché l’invidia, colpisce ugualmente sia l’uno che l’altro eccesso. Il lusso e l’avarizia hanno conseguenze simili.
(IGIENE DI VITA)
E considera ogni cosa dando la prima sede alla mente, ottima auriga.(ESERCIZIO DELLA CONCENTRAZIONE)
È necessario scegliere in tutte le cose il giusto mezzo: ricorda che in ogni cosa è ottima la moderazione .
(ESERCIZIO DI EQUANIMITA’).
PERFEZIONE Mai devi lasciarti cogliere dal sonno senza esserti prima chiesto: che cosa ho fatto oggi? Che cosa ho omesso? Dove mancai? Se hai fatto del male, astieniti in avvenire; se hai fatto del bene persevera.
( ESERCIZIO DI VISIONE RETROSPETTIVA DELLA GIORNATA).
Medita i miei consigli; amali; seguili tutti: essi sapranno condurti alle divine virtù. Te lo giuro per Colui che incise la Tetrade Sacra nei nostri cuori, immenso e puro simbolo, Sorgente della Natura, e modello degli Dei. Ma innanzi tutto, la tua anima, fedele al suo dovere, invochi con fervore questi Dei, poiché solo con il loro soccorso puoi compiere le opere che hai iniziato. Istruisciti per mezzo di loro, allora nulla t’ingannerà, sonderai l’essenza di tutti gli esseri; conoscerai il principio e la fine di tutto, saprai, se il Cielo lo vorrà, che la Natura, che è simile in tutte le cose, è pure la stessa in tutti i luoghi. In modo che illuminato sui tuoi veri diritti, Il tuo cuore non si pascerà più di vani desideri.
( PREGHIERA, TEURGIA)
Vedrai che i mali che divorano gli uomini, non sono altro che il frutto della loro scelta; e che questi infelici cercano lontano da loro i beni dei quali essi stessi sono la sorgente. Pochi sanno essere felici; gioco delle passioni, volta a volta sballottati da ondate contrarie, su di un Mare senza rive, essi rotolano accecati, senza potere né resistere né cedere alla tempesta. Dei! Voi li salverete aprendo i loro occhi… Ma no; spetta agli uomini, in quanto sono di razza divina, discernere l’errore e vedere la verità.
(DOTTRINA DEL KARMA).
La Natura li serve. Tu o uomo saggio e felice che sei già penetrato in essa, respira nel porto. Ma osserva le mie leggi, astenendoti dalle cose che la tua anima deve temere, distinguendole bene e lasciando regnare l’intelligenza sul corpo. E quando lascerai questo corpo mortale e ti involerai verso l’Etere, libero, ti accorgerai che non sei più un mortale, ma un Dio, immortale anche tu! (DOTTRINA DELLA REINTEGRAZIONE)
FONTE: https://www.facebook.com/NR.Ottaviano/posts/3224343247803486

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Querele bavaglio: l’UE si muove in difesa della libertà d’informazione

La Commissione europea ha recentemente adottato misure a protezione dei giornalisti e della loro attività di informazione. Con una direttiva ed una raccomandazione, ha posto sul tavolo europeo la lotta al fenomeno delle “SLAPP” (Strategic Lawsuits Against Public Participation), le azioni legali “bavaglio”. Si tratta questa volta di una iniziativa importante, perché indirizzata a fermare una subdola forma di molestia giudiziaria attuata con l’obbiettivo di intimidire e quindi fermare i giornalisti che hanno il coraggio di trattare tematiche di interesse pubblico che spesso vanno a ledere importanti interessi privati. In Italia, l’esempio tipico dell’azione legale “bavaglio” è la querela che colpisce, spesso in modo pretestuoso, non solo giornalisti, ma anche cittadini che divulgano informazioni su questioni di interesse generale, attivisti e organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti. Lo scopo della Commissione è duplice: tutelare la libertà d’espressione e di informazione, e assicurare che le vittime di SLAPP abbiano un adeguato accesso alla giustizia, in equilibrio con i diritti alla vita privata.

La direttiva proposta dalla Commissione riguarda la materia civile e fornisce concreti strumenti di contrasto al fenomeno, innanzitutto il rigetto anticipato. Gli organi giurisdizionali competenti potranno tempestivamente rigettare un procedimento avviato contro un giornalista, una persona o un’organizzazione, se chiaramente privo di fondamento o abusivo. E la medesima cosa potrà avvenire anche fra Stati, poiché la direttiva ha valore transfrontaliero. Se la sentenza di uno stato terzo origina da un procedimento abusivo contro una persona anche solo domiciliata in UE, gli Stati membri dovrebbero rifiutarne il riconoscimento.

Le SLAPP si caratterizzano per il profondo squilibrio di potere e risorse finanziarie fra le parti. Coloro che le mandano avanti non di rado prendono di mira i giornalisti anche con più di un’azione contemporaneamente, facendogli perdere a poco a poco tutte le risorse economiche. Per questo la Commissione ha proposto che se l’azione legale risulta abusiva, chi l’ha intentata dovrà provvedere a tutte le spese processuali, comprese quelle per gli onorari degli avvocati del convenuto. Inoltre la vittima dell’azione bagaglio avrà il diritto di richiedere un risarcimento integrale dei danni: sia materiali che immateriali. Sempre sul fronte economico si inserisce poi lo strumento delle sanzioni dissuasive, che gli organi giudiziari potranno infliggere per dissuadere dal mettere in atto le SLAPP.

La raccomandazione della Commissione funge invece da integrazione alla Direttiva. Ha lo scopo di incoraggiare gli Stati membri ad adeguare i propri quadri giuridici, in modo da affrontare le SLAPP anche a livello nazionale. In particolare, oltre all’introduzione nell’ ordinamento interno dello strumento del rigetto anticipato, chiede agli Stati membri di curare le proprie leggi in materia di diffamazione. È necessario verificare e garantire che non abbiano un impatto ingiustificato sulla libertà di espressione, sull’ambiente mediatico, che deve essere aperto, libero e pluralistico, e sulla partecipazione alla res publica. La raccomandazione richiede agli Stati anche di formare sulle SLAPP, sia i professionisti del diritto che i giornalisti. Ma anche i cittadini. Sottolinea l’esigenza di attuare campagne di informazione e sensibilizzazione, nonché di garantire forme di sostegno individuale e indipendente alle vittime. I dati sul fenomeno delle azioni legali bavaglio a livello nazionale dovranno essere raccolti e aggregati, e poi divulgati alla Commissione a partire dal 2023.

La Raccomandazione è uno strumento direttamente applicabile ed è già entrata in vigore il 27 aprile scorso. I singoli Stati membri dovranno riferire alla Commissione sulla sua attuazione nei 18 mesi a venire. La direttiva invece, prima di diventare atto legislativo UE a tutti gli effetti, dovrà essere discussa da Parlamento europeo e Consiglio, e poi adottata.

[di Andrea Giustini]

FONTE: https://www.lindipendente.online/2022/05/14/querele-bavaglio-lue-si-muove-in-difesa-della-liberta-dinformazione/

 

 

 

ECONOMIA

Crisi alimentare, l’India vieta l’export di grano. La ministra degli Esteri tedesca: “Portare in treno quello ucraino fino ai porti baltici”

Secondo il G7 ci sono 25 milioni di tonnellate di grano immagazzinate nel Paese che non possono uscire a causa del blocco navale imposto da Mosca, che insieme a Kiev fornisce di norma circa il 30% delle esportazioni mondiali del cereale e circa la metà di quelle di semi di girasole. La situazione è destinata ad aggravarsi moltissimo con la decisione dell’India, secondo esportatore mondiale, che solo a metà aprile si era detta pronta a “sfamare il mondo”. L’ondata di calore iniziata a fine aprile ha cambiato le cose
L’invasione russa dell’Ucraina e gli effetti a catena sui mercati delle materie prime alimentari rischiano di affamare il mondo. Secondo il G7 ci sono 25 milioni di tonnellate di grano immagazzinate nel Paese che non possono uscire a causa del blocco navale imposto da Mosca, che insieme a Kiev fornisce di norma circa il 30% delle esportazioni mondiali del cereale e circa la metà di quelle di semi di girasole. E la situazione è destinata ad aggravarsi moltissimo con la decisione dell’India di bloccare l’export di ogni tipo di grano, con effetto immediato, da oggi. Il Paese è il secondo esportatore mondiale e solo a metà aprile il ministro al Commercio e Industria Piyush Goyal aveva fatto sapere che gli agricoltori locali erano “pronti a sfamare il mondo”. Ma l’ondata di calore iniziata a fine aprile ha cambiato lo scenario, riducendo i raccolti e facendo salire i prezzi.
Trovare una soluzione alla “guerra del grano” è diventata una priorità per i ministri del G7 riuniti a Berlino. La tedesca Annalena Baerbock ha spiegato che, per aggirare il blocco russo all’export via nave del grano ucraino si sta studiando la possibilità di trasportarlo in treno fino ai porti baltici. “Problemi con le diverse larghezze delle rotaie hanno escluso il trasporto su larga scala attraverso la Romania“, ha spiegato Baerbock. “Quindi ora si sta valutando se è possibile far arrivare il treno fino ai porti baltici, per l’esportazione”. Normalmente, tra 5 e 6 tonnellate di grano ucraino al mese verrebbero consegnate via mare. “Con il trasporto su rotaia, è chiaro che si ottiene molto meno grano per l’esportazione”, ma “ogni tonnellata consegnata può aiutare un po’ a tenere sotto controllo la crisi alimentare“. Fino ad ora “una parte è stata trasportata via treno, soprattutto attraverso la Romania, ma si è creato un collo di bottiglia, perché Ucraina e Romania hanno scambi ferroviari diversi”, ha detto la ministra.

Intanto però è arrivato l’annuncio del governo indiano, che davanti a un‘inflazione salita all’8,38% e prezzi al dettaglio ai massimi da otto anni ha preso le sue contromisure. Lo stop alle esportazioni segna una brusca svolta rispetto a orientamenti anche molto recenti. Ancora a metà febbraio, il Ministero all’Agricoltura aveva previsto che il raccolto della stagione avrebbe toccato il record di 111,3 milioni di tonnellate e che le esportazioni sarebbero decollate a 10 milioni di tonnellate, in particolare verso altri paesi in via di sviluppo come l’Indonesia, le Filippine e la Thailandia.

L’effetto domino è dietro l’angolo. La carenza di grano sta facendo volare il prezzo del riso, che secondo le analisi della Coldiretti ha fatto registrare un balzo del 21% nell’ultimo anno. Il consumo mondiale nel 2022 raggiungerà il record degli ultimi dieci anni con quasi 521 milioni di tonnellate, in aumento di oltre 9 milioni rispetto all’anno precedente.

FONTE: https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/05/14/crisi-alimentare-lindia-vieta-lexport-di-grano-la-ministra-degli-esteri-tedesca-portare-in-treno-quello-ucraino-fino-ai-porti-baltici/6591701/

 

 

GIUSTIZIA E NORME

LIBERTÀ DI STAMPA E TUTELA DELLA PRIVACY

Libertà di stampa e tutela della privacyMolto spesso sentiamo delle notizie che vanno oltre l’informazione strettamente necessaria di un fatto, si trascende verso un pettegolezzo nella migliore delle ipotesi o addirittura verso l’offesa e la violazione completa della privacy individuale. A causa della degenerazione della cultura nazional-popolare verso un forma mentis da “Grande fratello”, grazie alla quale tutti vogliono sapere tutto di ognuno, in una sorta di dipendenza patologica da “voyeur”, a volte si può incorrere in illeciti, sia civili che penali. La stessa libertà di stampa, giustamente garantita e tutelata dalla nostra Carta costituzionale, può essere lo strumento con cui si determina questo deplorevole comportamento, quando essa viene esercitata oltrepassando i limiti del rispetto della libertà individuale, al punto da causare danni non solo patrimoniali, ma anche morali e nello specifico biologici, a coloro che risultano vittime di tale condotta. L’approfondito studio di questa problematica postula l’analisi delle normative di riferimento e dei loro risvolti concreti nella vita reale, in riferimento alla loro effettiva applicazione. Al secondo comma dell’articolo 21 della Costituzione italiana si statuisce che “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Invero, il diritto di cronaca rappresenta una specificazione della libertà di manifestare il proprio pensiero, in quanto il cronista oltre a diffondere le notizie, le interpreta e le commenta a beneficio dei suoi lettori o ascoltatori. I fatti riportati dal giornalista sono sempre riportati secondo un’opinione personale e mai in modo neutrale. L’attività del giornalista per quanto sia tutelata dai dettami costituzionali non può non incontrare dei limiti a garanzia della dignità della persona e non solo. Il diritto di cronaca presenta per esempio, dei limiti interni in riferimento alla rilevanza pubblico-sociale, alla verità obiettiva dei fatti narrati, oltre che riguardo alla forma utilizzata per la diegesi che non deve mai oltrepassare il limite di un linguaggio consono e non offensivo. Inoltre, la succitata cronaca è soggetta a dei limiti esterni per la tutela di rilevanti interessi nazionali, come ad esempio la tutela dell’attività dell’amministrazione della giustizia in generale e della tutela del segreto dell’attività giudiziaria in particolare, oltre al fatto che non deve ledere il segreto di Stato.

Un altro limite fondamentale dell’attività giornalistica è quello imposto dal diritto alla tutela dei dati sensibili del cittadino. Non a caso l’articolo 2 della legge 69/1963 dell’ordinamento della professione di giornalista, sotto la rubrica “Diritti e doveri” stabilisce il principio: “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”. Il 1 gennaio del 2021 è entrato in vigore il Testo Unico dei Doveri del Giornalista e all’articolo 2 , rubricato “fondamenti deontologici”, il quale afferma che il giornalista” rispetta i diritti fondamentali delle persone e osserva le norme di legge poste a loro salvaguardia”.

Mentre al primo comma dell’articolo 6 delle “Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”, che sono contenute all’interno dell’Allegato 1 del Provvedimento n. 491 del 29 novembre del 2018 del Garante per la protezione dei dati personali, si afferma che “Salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine”. In sostanza, urge trovare un bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto alla tutela dei dati sensibili, definiti dalla normativa dell’Unione europea come “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica o identificabile”.

L’unico modo per realizzare il suddetto bilanciamento è attenersi al concetto di essenzialità dell’informazione”, affinché il diritto di cronaca venga esercitato in modo lecito sia riguardo ai casi di suo interesse e sia riguardo alle modalità con cui si declina la diffusione delle informazioni che riguardano un individuo. Nell’attuale società in cui in ogni modo e con i più svariati strumenti tecnologici ed informatici si tende continuamente a varcare il limite del rispetto del diritto alla tutela dei dati sensibili individuali, diventa necessario ed indispensabile tanto concretizzare il bilanciamento, sopra esposto, tra il diritto di cronaca e il rispetto della privacy altrui, quanto l’effettivo monitoraggio che ciò accada realmente, a cominciare dal Garante della privacy, altrimenti verrà compromessa non solo la libertà individuale, ma anche lo stesso stato di diritto, a vantaggio di un modus agendi illiberale e incostituzionale.

Audacter calumniare, semper aliquid haeret

FONTE: https://www.opinione.it/politica/2022/05/09/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_articolo-21-costituzione-italiana-articolo-2-legge-691963/

 

 

Dott. Stramezzi: ho appena deciso con i miei legali, di presentarmi domani, da solo, davanti a 15 colleghi Giudici per controbattere alle 12 gravi accuse addebitatemi dalla Commissione Disciplinare dell’Ordine per radiarmi

Perché farò questa imprudenza?

Dott. Stramezzi: Perché se essere un Medico che ha curato e guarito oltre 6000 pazienti, gratuitamente, rischiando la vita, lavorando 14 ore al giorno per oltre due anni, subendo perquisizioni, indagini, interrogatori, vessazioni e insulti non è considerato dall’Ordine essere un buon Medico, fedele al Giuramento di Ippocrate, fanno molto bene a radiarmi.

Ma non per punirmi. Per proteggermi dal loro concetto di “nuovo” Medico.

E perché io non mi riconosco più nell’Ordine, che diventa un braccio del potere, invece che ricordarsi cosa dovrebbe essere un Medico.

Perché senza i legali?

Perché essi stessi mi hanno detto che loro non sarebbero mai in grado di trasmettere la mia passione, il mio spirito di sacrificio e la mia umanità.

Vogliono che i colleghi si guardino allo specchio, ascoltando le mie parole. È l’unica possibilità che ho di salvarmi e continuare a curare. Toccare le loro coscienze e i loro cuori. di Andrea Stramezzi

FONTE: https://raffaelepalermonews.com/dott-stramezzi-mi-presentero-da-solo-davanti-a-15-colleghi-giudici/

 

 

 

Auto, c’è un nuovo obbligo ricordate? Avete tempo fino a giugno poi vi fermano la macchina

auto nuovo obbligo
Foto © AdobeStock

Attenti al nuovo obbligo con cui gli automobilisti dovranno fare a breve i conti. Ma di cosa si tratta e quali sono i possibili rischi e benefici? Ecco cosa c’è da aspettarsi.

A partire dal prossimo mese di luglio scatterà un nuovo obbligo che porterà, inevitabilmente, gli automobilisti a dover fare i conti con delle importanti novità. Entriamo quindi nei dettagli e vediamo tutto quello che c’è da sapere in merito.

A partire dal cibo, passando per le bollette, fino ad arrivare agli impegni di lavoro, sono davvero tante le cose da fare che richiedono il nostro massimo impegno. Non stupisce, quindi, che possa capitare a tutti di perdersi nei meandri burocratici, tanto da non sapere, ad esempio, di dover fare i conti con delle importanti novità.

Proprio in tale ambito, pertanto, interesserà sapere che a partire da luglio molti automobilisti dovranno fare i conti con un nuovo obbligo. Ma di cosa si tratta e quali sono i possibili rischi e benefici? Entriamo quindi nei dettagli e vediamo tutto quello che c’è da sapere in merito.

Auto, occhio al nuovo obbligo: tutto quello che c’è da sapere

Abbiamo già visto come sia importante prestare attenzione alle novità del Codice della strada in quanto vi sono alcuni errori che possono costare davvero molto caro. Se tutto questo non bastasse, sempre in tale ambito interesserà sapere che a partire da luglio molti automobilisti dovranno fare i conti con un nuovo obbligo. Ma di cosa si tratta?

Ebbene, in base a quanto deciso dal Parlamento Europeo, a partire dal mese di luglio 2022 sarà obbligatorio mettere la scatola nera sulla proprie auto. Entrando nei dettagli, a partire dal 6 luglio 2022 sarà obbligatorio sulle auto di nuova omologazione, mentre sarà obbligatorio sulle auto di nuova immatricolazione a partire dal 7 luglio 2024.

Una novità indubbiamente importante, con tale dispositivo che è in grado di registrare informazioni importanti come la velocità, l’attivazione o meno dei sistemi di sicurezza e la posizione di un veicolo. In questo modo, come è facile intuire, le Forze dell’Ordine potranno capire le dinamiche di un incidente e stabilire eventuali responsabilità.

Auto, occhio al nuovo obbligo della scatola nera

Ma quali conseguenze porterà con sé questo obbligo? Ebbene, innanzitutto si ipotizza che il prezzo delle vetture registrerà un leggero aumento. Questo proprio al fine di coprire i costi di installazione della scatola nera. Dall’altro canto potrebbe aiutare a ridurre i costi delle assicurazioni e il numero degli incidenti.

I dati registrati, infatti, potranno essere utilizzati, garantendo il pieno anonimato, anche dagli Stati membri dell’Unione Europea. In questo modo potranno verificare la sicurezza stradale ed attuare, ove necessario, delle nuove misure ad hoc. Il tutto garantendo la privacy degli automobilisti stessi. Allo stesso tempo non manca chi nutre timori in merito, soprattutto per quel che potrebbe succedere nel caso in cui tali dispositivi venissero utilizzare per  registrare i movimenti dei privati.

A tal proposito, comunque, è bene sapere che in base alle ultime notizie in merito la scatola nera non può essere in alcun modo disattivata e nemmeno manipolata. Questo proprio al fine di garantire la piena correttezza dei dati. Non resta quindi che attendere e vedere quali benefici e possibili rischi porterà effettivamente con sé l’obbligo della scatola nera.

FONTE: https://www.contocorrenteonline.it/2022/05/13/auto-scatola-nera/

 

 

 

 

Open Arms, Salvini scagionato dal teste dell’accusa? Ma il pm… retroscena e scandalo: cosa è successo davvero in aula

Salvatore Dama 15 maggio 2022

Succede un po’ di tutto al processo di Matteo Salvini, quello che vede il leader della Lega imputato con l’accusa di sequestro di persona nell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo. Black out elettrici. Liti tra pm e avvocati. Performance artistiche davanti al carcere. E un testimone chiamato dall’accusa che finisce per difendere l’operato dell’ex ministro dell’Interno. Venerdì mattina. Si celebra una nuova udienza del processo Open Arms, la nave spagnola con 147 migranti a bordo che, nell’agosto 2019, stazionò al largo di Lampedusa in attesa di chiarire quale fosse il porto dove sbarcare. Troppo tempo, secondo l’accusa, motivo per cui il Capitano è accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Salvini pubblica un selfie: «In quest’aula bunker si processano i mafiosi, oggi l’imputato sono io». Matteo non si pente: «Ho difeso i confini, l’onore e la sicurezza dell’Italia. Sono orgoglioso di averlo fatto e non vedo l’ora di tornare a farlo».

Nell’aula sono scintille tra accusa e difesa e l’udienza viene sospesa per alcuni minuti. Capita durante la testimonianza di Fabrizio Mancini. Il direttore del Servizio Immigrazione presso la Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Viminale sta rispondendo alle domande del pm relative ai tempi dello sbarco, ma mentre riferisce che, sia prima sia dopo il caso Open Arms, c’erano stati episodi simili («La procedura prevedeva l’attesa di qualche giorno perla redistribuzione europea»), il pm lo interrompe. Con «toni aggressivi», lamenta l’avvocato Giulia Bongiorno. Che succede? Che il teste dell’accusa finisce per dare ragione a Salvini. O, comunque, dalle sue parole si capisce che le ong facevano un po’ come volevano loro. Alcune di esse, riferisce Mancini, «andavano fuori dalle regole, avevano messo in piedi un sistema alternativo a quello ufficiale, molte volte non dandone nemmeno comunicazione alle autorità». Fino al 12 febbraio 2019, prosegue il testimone rispondendo alle domande dell’accusa, «era il Dipartimento per le libertà civili del Viminale a decidere quale porto assegnare alle imbarcazioni con a bordo i migranti. Dopo quella data la richiesta del Pos veniva veicolata anche direttamente al gabinetto del ministro dell’Interno».

Nel caso specifico di Open Arms, la decisione fu «della Direzione centrale immigrazione, o il mio direttore centrale, ma l’indicazione arrivava dal gabinetto del ministro dell’Interno». Un problema all’impianto elettrico porta a una nuova interruzione dell’udienza. Salta il sistema di amplificazione. Poi i lavori riprendono con altre testimonianze. Parla Anabel Montes, capo missione di Open Arms: «Dopo il secondo salvataggio del 2 agosto 2019, 69 persone che si aggiungevano ai 55 del giorno prima, Malta ha atteso prima di rispondere negativamente alla nostra richiesta di Pos. L’Italia ci comunicò che avrebbe trasmesso la comunicazione alle autorità competenti. Nel frattempo, stante il no di Malta, il porto più vicino era Lampedusa. Nel tragitto verso l’isola abbiamo ricevuto un decreto d’interdizione alle acque territoriali italiane, mai violato da parte nostra».

Secondo Matia Maria Di Natale, medico del Cisom, le condizioni dei migranti a bordo «erano precarie, erano ammassati», diversi presentavano ferite, «per armi da sparo, riferivano». Davanti all’aula bunker dell’Ucciardone va in scena una performance statica del movimento artistico-culturale Our Voice in cui l’ex ministro è rappresentato seduto su una sedia, mentre ai suoi piedi ci sono tre ragazzi seminudi, avvolti in un telo trasparente. Al termine dell’udienza Salvini rilascia dichiarazioni anche su altri temi. Sull’Ucraina («Spero che l’Europa sia promotrice di pace e non di invio di altre armi»), sul tema della denatalità («In Ungheria da qualche anno funziona la legge per la natalità, che si fonda su prestiti a tasso zero e mutui agevolati per chi si sposa e fa figli»), sui complicati rapporti all’interno della maggioranza: «Non mi interessano le beghe di M5s e Pd».

FONTE: https://www.liberoquotidiano.it/news/giustizia/31587816/opena-arms-matteo-salvini-scagionato-teste-accusa-pm-retroscena-cosa-successo-davvero-aula.html

 

 

 

IMMIGRAZIONI

Open Arms, il medico salito a bordo conferma che nessuno dei 147 clandestini era in pericolo di vita

venerdì 13 Maggio 12:40 – di Paolo Lami

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Nuova udienza del processo Open Arms nel quale il leader della Lega, Matteo Salvini, presente oggi nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone assieme al suo avvocatoGiulia Bongiorno, è accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver impedito, da ministro dell’Interno – questa l’accusa formulata dalla Procura – lo sbarco di 147 immigrati che la nave della Ong spagnola era andata a prendere davanti alle coste libiche.

Oggi sul banco dei testimoni, chiamata dalla difesa di Salvini, salirà, fra gli altri, Anabel Montes, la ex-capomissione dell’Ong Open Arms.

“Alle 9.30 inizia la prossima sessione del processo contro l’ex-ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini per sequestro di persone e abuso di potere vietando lo sbarco delle persone salvate in tre operazioni di salvataggio nel Mediterraneo centrale ad agosto 2019 – ha detto, entrando in aula, Anabel Montes che sembra non spiegarsi il motivo per il quale è stata convocata come testimone a difesa. – La sua difesa mi chiama a testimoniare come capo missione della ong Open Arms al momento dei fatti. Che nessun colpevole rimanga impunito”.

La prima testimone ascoltata nell’aula bunker del carcere Ucciardone è stata Katia Valeria Di Natalemedico dell’Ordine di Malta.

Poi sarà la volta di Fabrizio Mancini, Direttore del Servizio Immigrazione presso la Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell’Interno.

“I migranti erano tutti ammassati sulla nave, erano sotto un tendone e c’erano solo due bagni chimici. Alcuni erano affetti da infezioni e da scabbia“, sostiene la dottoressa Di Natale, salita a bordo quel giorno al seguito del procuratore di Agrigento di allora, Luigi Patronaggio che ha poi indagato Salvini.

“Inizialmente ci siamo confrontati con l’equipe di bordo, abbiamo fatto un breve giro sulla nave“, dice.

E alla domanda della pm Giorgia Righi su quali fossero le patologie riscontrate, la dottoressa replica: “Quello che abbiamo potuto valutare noi erano segni di parassitosi e infezioni della cute, per il resto non abbiamo potuto valutare, c’erano anche dei segni di scabbia“. Quindi nulla di grave da giustificare l’obbligo di sbarco in Italia per la quasi totalità degli immigrati.

“C’era anche una donna con delle ustioni pregresse e dei migranti con delle ferite, un signore aveva un ginocchio molto infiammato e ci è stato riferito dal medico di bordo che fosse stata provocata da un’arma da sparo“, aggiunge il medico. Insomma nessuno era in pericolo di vita. E la nave dell’Ong Open Arms, che aveva rifiutato il Pos, il Port of Safe da Malta, poteva tranquillamente dirigere verso la Spagna, paese di cui l’imbarcazione batteva bandiera, e che aveva offerto l’atterraggio in un Port of Safe.

Poco dopo nell’aula bunker dell’Ucciardone è toccato a Fabrizio Mancini, direttore del Servizio immigrazione del Ministero dell’Interno, chiarire come sono andate le cose.

Fino al 12 febbraio del 2019 era il Dipartimento per le Libertà civili del Viminale a decidere quale porto assegnare alle imbarcazioni con a bordo gli immigrati. “Ma – ricostruisce Mancini in aula – dal 12 febbraio, in seguito, a un incontro, la richiesta del Pos (Place of safety ndr) veniva veicolata direttamente al Gabinetto del ministro dell’Interno”.

Nell’agosto del 2019, quando si verificò il caso Open Arms, con 147 clandestini a bordo per quasi due settimane, “chi decideva l’assegnazione del Pos, i tempi e i luoghi?”, chiede il pm Geri Ferrara.

“Noi come direzione centrale immigrazione, o il mio direttore centrale, ma l’indicazione arrivava dal gabinetto del ministro – dice Mancini. – Quando sono arrivato, cioè la settimana prima, la procedura era quella. La procedura cambiò il 12 febbraio del 2019. Le procedure operative standard del 2015 che erano state messe in piedi per fronteggiare l’afflusso di immigrati che in quegli anni era stato considerevole, erano state determinate dalla necessità di dovere determinare il luogo di sbarco in relazione alla capacità di accoglienza dei migranti, una volta sbarcati – spiega il dirigente del Viminale. – Anche nel febbraio 2019 la richiesta di Pos veniva veicolata dalla Sala operativa ma girata al Dipartimenti Immigrazione, che poi attribuiva il luogo di sbarco”.

“Ma dal 12 febbraio del 2019, a seguito di un tavolo tecnico che si tenne con Capitaneria di porto, con GdfMarinaDipartimento libertà civili, i presenti decisero all’epoca che in relazione al fatto che il numero di sbarchi era notevolmente diminuito, di non veicolare più la richiesta direttamente al Dipartimento Libertà civili, ma la richiesta del Pos veniva veicolata direttamente al Gabinetto del ministro”.

“I numeri di sbarchi più bassi sono nel 2018, intorno ai 13 mila – dice ancora Mancini – nel 2019 il trend era lo stesso, se non anche qualcosa di meno. Invece nell’ultimo periodo dell’anno abbiamo avuto un cambiamento del trend degli sbarchi“.

FONTE: https://www.secoloditalia.it/2022/05/open-arms-il-medico-salito-a-bordo-conferma-che-nessuno-dei-147-clandestini-era-in-pericolo-di-vita/

 

 

 

MA COME MAI ? 
Sisto Ceci 13 05 2022
In margine all’invasione e ai soccorsi in mare, ma come mai:
TUTTI i gommoni sono in avaria, 
TUTTI i barconi imbarcano acqua, 
TUTTE le donne sono incinte, 
TUTTI i bambini hanno almeno  20 anni, TUTTE le navi delle  ONG capitano sempre lì, 
TUTTI i naufraghi in acqua hanno poi lo smartphone che, A TERRA ,funziona perfettamente , 
NESSUNO ha i documenti.
Ma non sarà che ci staranno prendendo TUTTI per il culo?

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

EUROFESTIVAL ITALIANO PARLATO IN INGLESE

Tonio De Pascali 14 05 2022

Bellissimo quest’Eurofestival edizione italiana.
Si svolge a Torino ma i presentatori , italiani, parlano in inglese,
La Rai traduce dallo studio in sottofondo.
Bellissimo quest’Eurofestival edizione italiana.
Ospiti i Moleskine, italiani, che cantano in inglese
Bellissimo quest’Eurofestival edizione italiana
Ma vergognatevi.
FONTE:https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1211074339430039&id=100015824534248

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Disoccupati, ma non cercano.
Ettore Lembo – 15/05/2022
Sembra inverosimile come notizia, ma non solo non lo e’, anzi diventa talmente scontata che si evita di parlarne, forse per non individuare nelle leggi varate da questi ultimi governi, il disastro compiuto. Disastro che sta abituando gli Italiani a non lavorare, e ad attendere la mancetta del governo.
Un ottimo sistema per i furbetti, quelli che la voglia di lavorare la utilizzano per fare i lavori in nero e raddoppiare le entrate?
Le riflessioni nascono da una notizia ANSA del 13 maggio 2022.
Lavoro: Italia da record per disoccupati che non cercano
Eurostat, 11,8% in 2021 a top Ue. 2/a per domanda insoddisfatta
L’Italia nel 2021 ha visto un tasso dell’11,8% di persone disponibili a lavorare ma non alla ricerca, contro al 4,1% dell’eurozona, al 3,7% dell’intera Ue e ai livelli più alti tra 34 Paesi europei considerati da Eurostat, l’ufficio di statistica dell’Unione europea.
Il dato emerge consultando l’aggiornamento Eurostat sulla domanda insoddisfatta di occupazione nel 2021 al 14% nell’Ue (14,9% nel 2020).
Qui l’Italia è al secondo posto nell’Ue, con una quota del 22,8% di domanda insoddisfatta di occupazione, alle spalle della Spagna (24,1%) e seguita a stretto giro dalla Grecia.
Pur se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, lavorare fa fatica e stanca.
Perché bisogna lavorare se lo stato comunque paga pur non lavorando?
Per di più se devi faticare per avere lo stessa cifra che viene elargita o poco meno, dallo Stato, tanto vale non lavorare.
O se proprio si vuole, basta farsi pagare in nero, in modo da avere una doppia entrata.
Questo e’ uno dei tanti ragionamenti che vengono fatti da chi si vede recapitare quello che viene definito il reddito di cittadinanza, e che molti considerano come quella legge che e’ servita a raccogliere consensi per quel partito che l’ha fortemente voluta.
Una forma di assistenzialismo per chi non lavora. Assistenzialismo che si e’ trasformato in istigazione alla pigrizia o del dolce fare nulla.
Dolce fare nulla che sembra che qualche partito voglia estendere a tutti.
Reclutamento di voti per le prossime elezioni, ammesso che se ne facciano?
Tutte le riflessioni sono consentite, ma i dati parlano. Diventa così importante non parlare di questo strano fenomeno e di questi indicibili dati, conseguenza di norme spacciate per solidarietà?
Povera dignità che misera fine che ha fatto.
FONTE:

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Finlandia e Svezia nella Nato? Ecco cosa può chiedere in cambio Erdogan

L’ingresso della Finlandia e della Svezia nell’Alleanza Atlantica appare come un eventualità ormai certa. Appare quasi impossibile, in questa fase del conflitto in Ucraina e con l’Occidente bene intenzionato a frenare le ambizioni di Vladimir Putin, che qualcuno si opponga per bloccare l’iter di adesione. Ma c’è chi continua a chiedere di ripensarci. Leader e lobby che chiedono una retromarcia per evitare che l’accesso di Helsinki e di Stoccolma nel blocco atlantico possa essere l’anticamera di una reazione ancora più dura da parte del Cremlino. E la Turchia, dopo uno strano silenzio, diventa il primo Paese (dopo l’exploit del presidente croato) a mostrare di non essere convinta di questo processo.

I dubbi della Turchia

Come riportato da AgiRecep Tayyip Erdogan ha detto che il suo Paese non ha “un’opinione positiva” sull’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, specialmente per la vicinanza di questi Stati alle forze curde, che Ankara considera come organizzazioni terroristiche. Erdogan ha anzi detto di “non volere che si ripeta lo stesso errore commesso con l’adesione della Grecia”. Un colpo estremamente duro che dimostra come da parte della Turchia ora si possa giocare al rialzo.

A questo proposito, è interessante che l’agenzia russa Tass abbia posto proprio oggi l’accento sulle dichiarazioni di un esperto turco, ex rappresentante commerciale anatolico in Russia, Aydin Sezer. Il ricercatore ha chiesto alla Turchia di “porre il veto all’ammissione di Finlandia e Svezia alla Nato per evitare rischi per la propria sicurezza”, ma che non ritenendo possibile questa ipotesi, l’alternativa più utile sarebbe “tentare di rallentare il processo”.

In questo caso, l’opinione pubblica turca potrebbe in parte essere d’accordo, soprattutto per i segmenti legati al nazionalismo di matrice eurasiatista. Già ai tempi del possibile blocco del Bosforo, una parte dello Stato e della politica turca si erano opposti al provvedimento per evitare una totale aderenza alle richieste della Nato. E del resto anche Erdogan, pur consapevole della sua fedeltà alla Nato, ha fatto intendere di non volere applicare in modo pedissequo le direttive atlantiche lasciando spiragli nel dialogo con Putin. Come dimostrato sul nodo sanzioni e sul blocco ai cieli turchi per gli aerei di linea russi.

Difficile che la Turchia possa scegliere la via dello scontro con gli Stati Uniti in questa fase della guerra, ma il fatto che Tass abbia scelto di rilanciare le dichiarazioni di questo analista il giorno in cui il leader turco si è espresso in questo modo è un segnale interessante. Il messaggio che passa è che Mosca riversa molta attenzione verso chiunque, all’interno del blocco atlantico, può frenare il processo di adesione dei due Paesi. Così come è stato per chi, specialmente in Europa orientale, ha imposto una serie di paletti all’embargo al petrolio e al gas russo. E in questo senso, la partita turca diventa sempre più complessa.

Erdogan dal canto suo ha tutto l’interesse a mostrarsi ancora una volta decisivo nello scacchiere ucraino. Da un lato, facendo questo lavoro di sponda, evita l’opposizione interna non così convinta della vicinanza a Washington e a Bruxelles. Dall’altro lato, rievocando un possibile veto in sede Nato, costringe di nuovo tutti a dialogare con Ankara rimettendola al centro delle trattative. Qualsiasi concessione in cambio di un’adesione scandinava data per certa sarebbe pubblicizzata come una vittoria diplomatica del “Sultano”. E il tavolo su cui gioca Erdogan è pieno di possibili dossier su cui ottenere delle garanzie, dalla Libia alla Siria, dal gas a possibili concessioni sui sistemi d’arma. In queste ore, il ministro degli Esteri Mevlüt Cavusoglu ha accusato gli Stati Uniti di legittimare le Ypg, le milizie curde in Siria, dopo avere estromesso le aree controllate dai curdi dagli effetti del Ceasr Act.

Infine, evitare una completa adesione all’Alleanza serve al governo turco per ergersi come mediatore in caso di accordi tra Kiev e Mosca. Una scelta quindi anche in chiave mediatica per evitare che dalla Russia possano dire di non considerare credibile un tramite che non comprende gli interessi di una delle parti del conflitto.

Le prime crepe dalla Croazia

Già a fine aprile aveva fatto scalpore la mossa del presidente croato, Zoran Milanovicche aveva detto di essere contrario all’ipotesi di ingresso della Finlandia nella Nato senza che fosse modificata prima la legge elettorale in Bosnia Erzegovina. Un’idea che lo stesso Milanovic ha confermato anche di recente dicendo, come riportato da Agenzia Nova, che che “lotterà” per evitare l’allargamento dell’alleanza. Le prime frasi di Milanovic provocarono già a fine aprile l’ira del ministro degli Esteri finlandese, Pekka Haavisto, con le scuse del governo di Zagabria che aveva comunque fatto presente che il presidente della repubblica non aveva voce in capitolo sulla richiesta da parte di un Paese di aderire all’Alleanza. Milanovic aveva posto l’accento sul fatto che Bulgaria e Romania non erano state autorizzate ad aderire a Schengen, Albania e Macedonia del Nord non potevano entrare nell’Unione europea, ma la Finlandia “può entrare a far parte della Nato dall’oggi al domani”.

Le dichiarazioni di Milanovic hanno rappresentato fino a oggi un unicum nello scenario politico continentale. In Croazia le sue parole sono state molto importanti anche per il peso elettorale che ha il capo dello Stato. Ma al netto della rilevanza interna, il dato che era stato sottolineato è che un presidente aveva espresso per la prima volta la sua netta contrarietà a quello che appare come un processo ineluttabile. Un unicum infranto solo dalle affermazioni di oggi di Erdogan.

Il Cremlino cerca sponde

Contrarietà che Mosca non può che condividere, visto che da tempo, anche con minacce di conflitto diretto e nucleare, cerca di far capire la sua estrema insoddisfazione per questa scelta. Una svolta che rappresenterebbe, specialmente nel caso della Finlandia, la fine di un’epoca basata su rapporti di forza ben definiti in seno all’Europa. La “finlandizzazione”, e cioè quella parola con cui era stata sintetizzata la scelta della neutralità come risultato di una guerra e di un accordo, era uno dei pilastri della sicurezza del continente e dei rapporti tra Russia e Occidente. La guerra in Ucraina ha spazzato via questo equilibrio con il primo carro armato russo che ha invaso il territorio appartenente a Kiev. Tuttavia, è chiaro che ad oggi l’ingresso di Helsinki, più di quello di Stoccolma, significa per la Russia il tramonto di un’era e soprattutto l’aggiunta di ulteriori confini condivisi con l’Alleanza Atlantica. E se qualcuno pensava a un modello Finlandia anche in chiave ucraina, il segnale per il Cremlino non può che essere negativo.

In questo momento, la sfida della Russia è di trovare ancora canali di dialogo all’interno dell’Occidente che evitino quella che strategicamente potrebbe essere una sconfitta diplomatica molto seria per Putin: due Paesi che si uniscono alla Nato di cui uno al suo confine settentrionale. Certo, è possibile che questo tentativo russo di parlare alla Turchia cada nel vuoto. L’Alleanza appare fortemente intenzionata a imprimere un’accelerazione a questo ingresso; Finlandia e Svezia, già da tempo partner della Nato, hanno mostrato tutto il loro interesse a infrangere il tabù della neutralità internazionale dopo la guerra in Ucraina. E Erdogan ha dimostrato di saper scendere a patti una volta manifestato il suo disappunto e ottenuto delle eque “ricompense” Tuttavia, è chiaro che eventuali freni al percorso di adesione sono possibili. E queste mosse turche servono a Mosca per cercare di dilazionare i termini della sfida portando a uno stallo utile al suo gioco.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/mosca-erdogan-contrario-finlandia-svezia-nato.html

 

 

 

Se l’Ucraina sta vincendo
Rosanna Spadini 15 05 2022
Se l’#Ucraina sta vincendo, perché gli Stati Uniti chiedono un cessate il fuoco? E perché il segretario alla Difesa americano Lloyd #Austin ha chiamato il ministro della Difesa della Federazione Russa Sergei #Shoigu? Come mai? Non ci viene detto a reti unificate fino all’ossessione che l’Ucraina sta vincendo la guerra? Che presto respingerà le forze russe oltre il confine? Ma forse l’operazione per “spezzare le reni alla Russia”, che Austin aveva annunciato pubblicamente due settimane fa, non sembra procedere per il meglio.
E poi da altre fonti, diverse da quelle del Grande Fratello, si dice che l’Ucraina stia perdendo fino a 15.000 uomini al mese, che il totale delle vittime ucraine, morti e feriti, sembra raggiungere cifre troppo alte per la tenuta dei vari fronti. Le armi fornite dagli Stati Uniti e da altri non sembrano essere sufficienti per sostenere la guerra. L’Ucraina ha solo 3 giorni di riserve di diesel e benzina. Le parti principali delle sue forze sono immobili e vengono circondate dalle forze russe. La loro situazione sembra essere senza speranza.
Forse è per questo che Austin ha alzato la cornetta ??
FONTE: https://www.facebook.com/100000545483769/posts/5735832426444883/

 

 

Nave spia cinese vicina a coste Australia

“Un atto di aggressione senza precedenti”. L’Australia ha definito così la manovra “inusuale” effettuata da un’unità navale cinese con capacità di intelligence, avvistata al largo delle coste occidentali del Paese nell’atto di entrare nella zona economica esclusiva di Canberra.

La notizia è stata data dal ministro della Difesa australiano, Peter Dutton, secondo cui la vicenda sarebbe avvenuta nelle scorse ore, a circa 250 miglia nautiche a nord-ovest della città di Broome. “Si tratta di un atto aggressivo, in particolare perché la nave è andata così tanto verso sud”, ha spiegato il ministro Dutton, aggiungendo che l’imbarcazione era stata monitorata già una settimana fa, senza tuttavia specificare quando è avvenuto il primo contatto visivo con il mezzo di Pechino.

L’intenzione della nave, ha spiegato Canberra, era quella di raccogliere informazioni, visto che si trovava in prossimità di installazioni militari e di intelligence sulla costa occidentale dell’Australia. Canberra, non a caso, ha fatto sapere di aver rintracciato la nave spia mentre passava davanti alla stazione di comunicazione navale Harold E Holt a Exmouth, utilizzata dai sottomarini australianistatunitensi e degli altri alleati.

La nave cinese avvistata da Canberra

Il dipartimento della Difesa ha affermato che la nave spia avvistata è la Haiwangxing, una nave dell’intelligence ausiliaria di classe Dongdiao, e che era già stata avvistata al largo delle coste australiane lo scorso anno.

L’Haiwangxing ha viaggiato lungo la costa occidentale dell’Australia fino alle vicinanze di Exmouth, prima di cambiare rotta e seguire la rotta verso est lungo la costa nord-occidentale.

“L’Australia rispetta il diritto di tutti gli stati di esercitare la libertà di navigazione e di sorvolo nelle acque internazionali e nello spazio aereo, proprio come ci aspettiamo che gli altri rispettino il nostro diritto di fare lo stesso”, ha affermato la Defence Force australiana in una nota. “La difesa continuerà a monitorare le operazioni della nave nei nostri approcci marittimi”, ha quindi concluso Canberra.

Tensione alle stelle

Le relazioni tra Australia e Cina sono andate deteriorandosi con il passare degli anni, tra battibecchi sul commercio, presunte violazioni dei diritti umani a Hong Kong e nello Xinjiang e la richiesta del governo australiano di avviare un’indagine indipendente sulle origini del coronavirus.

Nel recente passato, tra Canberra e Pechino non sono mancati episodi carichi di tensione. A febbraio, l’Australia ha accusato la Cina di comportamento “pericoloso e sconsiderato” dopo che una nave cinese ha puntato un laser su uno dei suoi aerei di sorveglianza. Pechino in quell’occasione ha negato ogni accusa.

L’anno scorso, Canberra ha affermato di aver monitorato le navi spia cinesi in due diverse circostanze. Una nave è stata scoperta mentre monitorava le esercitazioni congiunte Talisman Sabre tra Australia, Stati Uniti e altri alleati a luglio, mentre l’altra è entrata nella ZEE vicino a Darwin nel nord del Paese ad agosto, prima di navigare lungo la costa orientale fino a Sydney e poi in Nuova Zelanda.

Ricordiamo, inoltre, che a settembre Australia, Stati Uniti e Regno Unito hanno annunciato la formazione del nuovo patto di sicurezza Aukus, considerato dagli analisti un tentativo di rafforzare la forza militare regionale del blocco occidentale di fronte alla crescente presenza della Cina.

FONTE: https://it.insideover.com/guerra/nave-spia-cinese-vicina-a-coste-australia.html

 

 

Russiagate, Hillary Clinton rischia di fine nei guai per queste mail

Importante vittoria in tribunale per John Durham, il procuratore speciale che indaga sulle origini del Russiagate e sul presunto complotto ai danni dell’ex presidente Usa Donald Trump. Un giudice federale ha ordinato alla Fusion Gps, la società dietro al famigerato “dossier Steele” sul Russiagate, redatto dall’ex spia britannica Christopher Steele, di consegnare al procuratore speciale quasi due dozzine di e-mail che l’azienda ha scambiato con l’avvocato della campagna elettorale di Hillary Clinton, Michael Sussmann. Secondo il giudice federale di Washington DC, Christopher Cooper, Fusion Gps ha trattenuto in modo improprio 22 e-mail affermando che erano protette dal “segreto” avvocato-cliente.

Tesi smentita dal giudice Cooper secondo cui le e-mail, che consistono in gran parte in comunicazioni interne tra i dipendenti Fusion, “sembrano non essere state scritte in previsione di un contenzioso, ma piuttosto come parte del normale lavoro di relazione con i media“. Pertanto il giudice ha ordinato a Fusion Gps di consegnare le e-mail alla squadra di Durham nell’ambito del processo contro l’avvocato di Hillary Clinton. Steele lavorava per Fusion Gps, una società di investigazione privata che l’ex studio legale di Sussmann, Perkins Coie, aveva assunto per esaminare potenziali collegamenti tra la Campagna di Trump e la Russia. Marc Elias, un esperto in campagne elettorali e uno dei partner di Sussmann alla Perkins Coie, rappresentava la campagna di Clinton e assoldò Fusion Gps per indagare su Trump.

L’indagine contro l’avvocato di Hillary Clinton

Come scrive il Wall Street Journal, John Durham “ha già vinto”. In un deposito del tribunale risalente alla prima settimana di aprile, Durham ha diffuso nuove prove che sembrano inchiodare l’avvocato vicino all’ex Segretario di Stato, Michael Sussmann, accusato di aver rilasciato una falsa dichiarazione all’agente dell’Fbi, James Baker, durante un incontro risalente al settembre 2016. Sussmann, come già evidenziato da InsideOver, avrebbe omesso di rivelare i suoi veri clienti ai federali, che includevano la Clinton e la sua campagna presidenziale, quando si offrì di fornire al Bureau informazioni circa il rapporto tra il team di Trump e l’Alfa Bank, la più grande banca privata russa con sede a Mosca.

L’obiettivo di questa manipolazione era quello di tentare di incastrare Trump e provare, su più livelli, una falsa “collusione” fra lo stesso tycoon e la Federazione russa. L’ultimo deposito di Durham dimostrerebbe infatti che la sera prima dell’incontro l’avvocato di Clinton avrebbe inviato un messaggio a Baker, affermando: “Vengo da solo, non per conto di un cliente o di un’azienda, voglio aiutare il Bureau”. L’avvocato voleva dimostrare di agire per conto proprio, ma in realtà era sul libro paga di Clinton e della campagna del Partito democratico.

Le persone accusate da Durham

Sussmann è una delle tre persone accusate finora da Durham, che ha ottenuto una dichiarazione di colpevolezza da un avvocato dell’Fbi, Kevin Clinesmith, per aver mentito alla Corte Fisa (Foreign intelligence Surveillance Act) e aver inviato un’e-mail modificata al fine spiare l’ex funzionario della campagna di Trump, Carter Page. Quest’ultimo fu accusato di essere l’uomo dell’entourage di Trump più vicino al Cremlino e di aver incontrato, fra gli altri, Igor Sechin, amico di Putin, guida della petrolifera statale Rosneft, e Igor Diveykin, altro oligarca vicino al leader del Cremlino.

L’altro è Igor Danchenko, analista russo che vive negli Stati Uniti. Secondo quanto riportato dall’Economist, l’accusa sostiene che Danchenko abbia consapevolmente mentito all’Fbi circa le informazioni che ha passato all’ex spia britannica Steele. Finanziato in parte dalla Fusion Gps, dal Washington Free Beacon, dal Democratic National Committee e dalla campagna della Clinton, il dossier Steele contiene informazioni infondate secondo cui gli agenti dell’intelligence russa avrebbero filmato il presidente Trump con delle prostitute in un hotel di Mosca. Più Durham scava, e più la vicenda del Russiagare appare torbida e ricca di interrogativi. Il più importante è capire quanto la Clinton sia direttamente implicata in questa vicenda e se sia stata lei – o il suo entourage – a “orchestrare” un’indagine volta a delegittimare il suo avversario politico.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/russiagate-hillary-clinton-rischia-di-fine-nei-guai-per-queste-mail.html

 

 

Genuflessa agli Usa e senza identità: l’Ue è un destino storicamente inevitabile?

di Fosco Giannini*

720x410c50mjhyrdIl progetto scientifico di mitizzazione dell’Unione europea, in Italia e negli altri Paesi Ue, si è avvalso sia di uno spazio temporale lunghissmo che di mezzi propagandistici e volti all’organizzazione del consenso di massa di inedita e spregiudicata potenza. Dalle liturgie parlamentari ed istituzionali ai testi scolastici, dalla letteratura al cinema, dalla pubblicità all’arte, dalla politica ai media, ogni cassa di risonanza con capacità di propagazione di massa è stata accesa e resa funzionale alla costruzione della mitologia dell’Europa unita, alla trasformazione di un progetto unitario tanto artificioso e avulso dalla dialettica storica quanto feroce e antioperaio nella concreta proposta sociale, un progetto uscito come un coniglio dal cilindro del grande capitale e venduto sul mercato politico come spinta storica destinale e irreversibile, una pulsione (positivista) inarginabile.

Per gli interessi del movimento operaio complessivo europeo vi è sempre stata l’estrema necessità di smontare il Moloch ideologico vetero capitalista e pan liberista dell’Ue. Ora che l’Ue è servilmente allineata con gli Usa e con la NATO nella guerra contro la Russia tale necessità si fa ancor più stringente ed importante.

Abbiamo un estremo bisogno di decodificare i moti, tanto artificiali quanto malsani, che sovraintendono la costruzione dell’Ue, sia nell’intento di consegnare una coscienza di classe alla vasta area sociale che “dubita” della bontà dell’ “operazione Ue”, che nell’intento di costruire una vasta resistenza di massa al titanico tentativo che porta avanti il potere capitalistico sovranazionale europeo diretto a “razionalizzare” la costruzione dell’Ue, rendendo tale processo un “dato di natura” immodificabile, al quale ci si possa genuflettere come i primi esemplari del genere Homo si genuflettevano al fuoco.

Credo si possa strutturare un discorso (o meglio “il discorso”, come categoria politica e filosofica) sull’Ue ponendoci tre domande fondamentali:

– qual è, nell’essenza, la natura politica, storica, ideologica dell’Ue?

– L’Ue è un destino già scritto, storicamente inevitabile o la sua perduranza storica (o il suo fallimento e la sua rimozione dalla storia, à rebours) possono dipendere dagli interessi concreti del movimento operaio complessivo europeo, dai popoli e dagli Stati dell’Ue? In altre parole: se gli interessi dei lavoratori, dei popoli e degli Stati dell’Ue dovessero collidere – come collidono – con la natura dell’Ue, si dovrebbe o no lottare per porre fine all’esperienza storica dell’Ue? Per la stessa conquista della liceità politica e culturale dell’uscita di un Paese, di un popolo, di uno Stato dall’Ue?

– Esiste, allo stato delle cose, un’ autonomia, un’identità dell’Ue? Esiste un profilo identitario – politico, culturale, ideologico – che possa definire l’Ue come polo autonomo nel contesto euro-asiatico, planetario, geopolitico? L’Articolo 5 della Costituzione italiana (relativo all’indivisibilità della Repubblica Italiana) potrebbe essere applicato, senza dubbi alcuni, all’Ue? L’Ue avrebbe la densità storica, politica, culturale per poter essere descritta dall’Articolo 5 della Costituzione Italiana?

 

Prima questione, relativa all’essenza politica, storica e ideologica dell’Ue

Ci è particolarmente utile, a questo proposito, un articolo sul Mercato Comune Europeo (MEC) apparso su “L’Unità” del 28 luglio 1957 (anno del Trattato di Roma sul MEC).

Ricordando che il PCI di quella fase storica italiana fu l’unica forza politica ad opporsi all’integrazione liberista europea e che quella sua posizione di carattere antimperialista “racconta”, anche, della violenta mutazione genetica che sostenne il trapasso dal PCI “togliattiano” di quegli anni ’50 al PCI del “berlinguerismo” maturo (per non parlare dei tristi, successivi e attuali epigoni di destra ultra liberista del Partito che fu di Gramsci, Togliatti e Longo), va rimarcato come, nell’articolo de “L’Unità” citato, emerga un’analisi del MEC che potrebbe oggi essere totalmente utilizzata come griglia di lettura dell’Ue.

Come dire: ciò che è cambiato non è la natura economica, politica e ideologica dei processi di integrazione europei, ma radicalmente cambiata è la natura delle attuali organizzazioni politiche -a partire dal PD, il vero braccio armato dell’Ue e della NATO in Italia- che pretendono ancora di rappresentare gli interessi dei lavoratori e spacciarsi per forze “di sinistra”.

Scrive, tra l’altro, “L’Unità” del 28 luglio 1957:

“Al MEC hanno aderito Italia, Francia, Germania occidentale, Belgio, Olanda e Lussemburgo, vale a dire le nazioni della cosiddetta «piccola Europa». Questi sei paesi, attraverso il trattato, si impegnano: a eliminare i dazi doganali e le altre restrizioni riguardanti la circolazione delle merci tra gli aderenti, stabilendo in pari tempo tariffe doganali comuni per gli scambi con i paesi estranei al MEC; a realizzare la libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali nell’ambito dei sei paesi; al coordinamento e all’avvicinamento delle legislazioni nazionali in materia economica; alla creazione di un «fondo sociale europeo» da utilizzare per indennizzare i lavoratori licenziati in seguito alla smobilitazione delle fabbriche che possono essere chiuse in conseguenza del MEC; e infine all’istituzione di una banca europea per effettuare investimenti nei singoli paesi aderenti”.

E’ innanzitutto impressionante come “gli impegni” del Trattato sul MEC ricordati da “L’Unità” del ’57 siano pressochè sovrapponibili, nella loro natura di opzioni iperliberiste spacciate come politiche per lo sviluppo, alle proposte che, per il disegno economico, segnano tanta parte del Trattato di Lisbona, a volte persino attraverso un tessuto semantico quasi identico. Ma mentre verso le proposte – grondanti un sentimentalismo sociale finto socialdemocratico subito deturpato da una costante apologia dell’anarchia del mercato e della liberazione degli spiriti animali capitalistici – contenute nel Trattato di Lisbona, e naturalmente anche nel Trattato che lo precede, quello di Maastricht, va la totale adesione dell’intero arco delle forze politiche parlamentari italiane, così rispondeva, alle stesse proposizioni iperliberiste europee, il PCI del ’57, su “L’Unità”:

“L’elemento determinante del MEC è la necessità di rafforzare su un piano politico, oltre che economico, i grandi monopoli occidentali legati con quelli americani. Il MEC insomma è una manifestazione, sul terreno economico, della politica di divisione del mondo in blocchi, che sul piano militare si esprime con la NATO. Di fronte al fallimento dei tentativi di realizzare l’unità politica si è ripiegato sul tentativo di costituire un’unità economica. II promotore europeo del MEC, il ministro degli esteri belga Spaak, ha dichiarato con molta franchezza che il trattato è stato dettato dalla necessita di «non farsi risucchiare dal vuoto politico seguito al fallimento della CED». Dopo aver dato vita al MEC, Spaak è stato nominato segretario generale della NATO”.

Il PCI del ’57, cioè, riconosce nel Trattato di Roma per il MEC quella subordinazione economica e politica del grande capitale europeo all’imperialsino USA che portava la stessa Europa del MEC a subordinarsi alla NATO.

Non vi è anche in ciò un elemento totalmente sovrapponibile alle politiche attuali dell’Ue, compresa la sua subordinazione all’attuale Nato? E ciò non vuol forse dire che è la stessa, intrinseca modalità dell’integrazione del grande capitale transnazionale europeo a determinare la natura economica, politica, ideologica neo imperialista dell’Ue?

C’è qualche fatto storico che più di altri disvela la ferocia antisociale insita nel processo di costruzione dell’Ue, come “i fatti di Grecia” che vanno dal 2007/2008 sino ad ora?

La Troika europea, in quegli anni, impone ad Atene e ad Alexis Tsipras (tremebondo leader tanto socialdemocratico quanto parolaio di cui, inevitabilmente, si innamorano tutti i comunisti radical italiani, la sinistra arcobaleno, i bertinottiani e i post-bertinottiani d’Italia) “Tre piani” di rientro da quel terribile debito che la Grecia aveva contrattato con la BCE, “Tre piani” di “prestiti” miliardari che già in partenza sottendevano politiche di lacrime e sangue per il popolo greco, privatizzazioni gigantesche, cinghie strette, vera e ampia distruzione del welfare. Che provocarono, tra l’altro, numerosi suicidi tra la popolazione gettata nel lastrico, tra gli artigiani, i commercianri, i pensionati che all’alba s’aggiravano come topi umani tra i cassonetti di Atene, in cerca di rifiuti commestibili da riporre in quelle buste di plastica che tenevano nelle mani come una divisa della loro improvvisa miserabilità. Quando il 20 agosto del 2018 la Grecia esce ufficialmente dal “Terzo piano” di “aiuti” dell’Ue il quadro sociale ricorda – come cantava Francesco De Gregori – “il crollo di una diga”.

La disoccupazione, in quell’agosto 2018, è di circa il 22%; la metà dei giovani sotto i 24 anni non ha un lavoro e particolarmente colpita, sul piano occupazionale, è la generazione degli over 50; il salario medio di un lavoratore del settore privato è crollato a 500 euro mensili e lo stipendio medio generale è di 400 euro, mentre, per ordine della Troika, la contrattazione collettiva è totalmente abolita.

L’orrore delle politiche dell’Ue guidate dalla Germania della Merkel e dalla Banca Centrale Europea diretta da Mario Draghi contro il popolo e lo Stato della Grecia, è esattamente anticipato da “L’Unità” del ’57 nella sua parte relativa a “La situazione della manodopera”:

Il Trattato di Roma non garantisce ai lavoratori di ogni singolo paese aderente una situazione nuova, di maggior occupazione, di migliori salari, di sicurezza del posto di lavoro; questa riguarda in modo particolare i lavoratori italiani. II confronto tra i guadagni orari degli operai dell’industria dei sei paesi, mostra infatti l’Italia all’ultimo posto. È noto al contrario che nel nostro paese c’è una disoccupazione permanente di circa due milioni di lavoratori che non ha riscontro in alcuno degli altri paesi del MEC. La parte del trattato relativa alla «libera circolazione di lavoratori» è una di quelle che maggiormente interessano il nostro paese, ma non è stata stabilita a questo proposito una disciplina precisa…Le speranze di una sensibile diminuzione della nostra disoccupazione in seguito alla liberalizzazione prevista dal Trattato non possono essere convalidate in nessun modo. Inducono al pessimismo soprattutto i seguenti fatti: si prevede un aumento di produttività ma non una riduzione degli orari di lavoro, sarà richiesta mano d’opera specializzata ed altamente qualificata mentre quella italiana disoccupata si caratterizza proprio per la sua bassa qualificazione (sotto questo aspetto l’economia italiana corre addirittura il rischio di vedersi privata della mano d’opera migliore attraverso l’emigrazione degli operai specializzati). Inoltre la mano d’opera italiana entrerà in concorrenza sugli stessi mercati con la mano d’opera — a bassissimo costo — dei paesi d’oltre mare“.

“L’Unità” del ’57, peraltro, mette a fuoco uno dei punti cardinali della questione dell’integrazione europea, quella relativa alla liberalizzazione degli scambi, che segnando di sè anche i Tratatti di Maastricht e di Lisbona e presentandosi come l’innovazione per uno sviluppo democratico, rivela invece il cuore nero del liberismo da spiriti animali che è stato alla base sia della costituzione del MEC che dell’Ue.

Scrive “L’Unità” di allora:

IMEC prevede che in un periodo variante tra i 12 e i 15 anni le tariffe doganali in vigore negli scambi tra i paesi aderenti verranno progressivamente ridotte fino alla loro totale eliminazione. Lo schema programmatico di riduzione delle tariffe è quanto mai preciso e dettagliato e costituisce il punto centrale delle disposizioni del trattato. La stessa cosa si può dire per ciò che riguarda i contingenti cui sono ancora sottoposti gli scambi di merci tra i paesi della «comunità europea». L’eliminazione di queste tariffe provocherà una concorrenza molto più aspra tra le diverse ditte operanti nei paesi aderenti: se si esamina la struttura industriale e In potenza economica delle varie nazioni, si comprende che la posizione dell’Italia è in generale la più debole di tutte quante, tanto è vero che finora i dazi doganali italiani sono stati i più alti, proprio per proteggere la nostra produzione dalla più robusta concorrenza straniera (la media dei dazi doganali sul prodotti della media industria meccanica, che in Italia è superiore al 20 per cento del valore dei manufatti, in Germania scende a circa l’otto per cento).

A questo punto potrebbe sorgere la domanda: perché gli industriali non si oppongono al MEC. II fatto è che gli iniziatori del MEC sono stati i grossi monopoli industriali che all’interno del mercato comune avranno sufficiente forza per poter sviluppare i loro affari ai danni dei piccoli produttori, sia nazionali che degli altri paesi. La Fiat ad esempio, grazie agli investimenti americani, è riuscita a portare la sua produzione a un’efficienza tale da potere, con i suoi prodotti di massa, battere la concorrenza di tutte le altre case automobilistiche del mercato comune, in quanto è la più grande industria privata in questo campo. Essa inoltre, attraverso il MEC potrà partecipare in posizione solida alla creazione di una forte industria aereonautica europea, oggi praticamente inesistente, e alia spartizione di commesse belliche in questo settore. II coordinamento economico di cui si parla nel trattato si risolverà in pratica in intese sempre più strette tra i vari monopoli per la spartizione del mercato a scapito dei piccoli e medi produttori, sostituendo così alla protezione doganale una spartizione delle sfere di influenza tra i grandi monopoli. Inoltre la riduzione dei dazi avverrà con gradualità e criteri che favoriscano gli interessi dei grandi monopoli. promotori del MEC, ai danni delle Industrie non monopolistiche”.

Alla luce di ciò che è divenuta l’attuale Ue, questo de “L’Unità” del ’57 non è un sempice articolo: è una preveggenza.

La “libera circolazione dei capitali” è uno dei capisaldi dell’Ue nata dal Trattato di Maastricht. Ma anche per ciò che riguarda questa colonna ideologica dell’Europa schumpeteriana, dell’Ue segnata dalla “burrasca della distruzione cratrice” dell’ex Ministro delle Finanze del governo austriaco, vale la pena riproporre un passaggio dell’articolo de “L’Unità” del ’57:

La «Libera Circolazione dei capitali» significa che i monopoli di ognuno dei sei paesi sono liberi di trasferire i loro capitali da una zona all’altra scegliendo quella dove esistono le possibilità di realizzare maggiori profitti. Date le condizioni di inferiorità nelle quali si trova la nostra economia è possibile che, attraverso questa libera circolazione di capitali, vi sia nel nostro paese una penetrazione di tipo imperialistico di capitale straniero, soprattutto tedesco. In secondo luogo è possibile che si realizzi, da parte dei monopoli italiani, una fuga di capitali dall’Italia. Queste eventualità non sono corrette, ma al contrario accentuate dalla istituzione della cosiddetta Banca europea di investimenti. È stabilito infatti nel trattato che questo organismo finanziario funzioni come una comune banca la quale effettua investimenti non dove questi sono richiesti dalle esigenze di ogni singolo paese, ma bensì dove essi offrono più elevati profitti ai monopoli. Quali effetti ciò può avere per le possibilità di sviluppo del Mezzogiorno d’Italia è facilmente arguibile”.

La prima questione che abbiamo posto, dunque, (qual è l’essenziale natura ideologica, politica, economica dell’Ue) trova una risposta nell’ inconfutabile laison che storicamente prende corpo tra la costruzione del MEC e quella dell’Ue: un lungo e omogeneo processo di costruzione di un potere neo imperialista condotto dal capitale transnazionale europeo.

 

Seconda questione: l’Ue è un destino già scritto, storicamente inevitabile?

Il Trattato di Maastricht viene firmato il 7 febbraio del 1992. Occorre fare attenzione alle date: il 26 dicembre del 1991 viene ammainata dalle cupole del Cremlino la gloriosa bandiera sovietica. Gorbaciov tradisce il movimento comunista e antimperialista mondiale e consegna – per il tempo breve che passerà dalla fine sovietica alla ripresa del fronte antimperialista internazionale – il mondo alle forze imperialiste. Passa poco più di un mese dal suicidio dell’URSS e con la ratifica del Trattato di Maascricht nasce di fatto l’Ue.

C’è una accelerazione forsennata verso il tentativo di costituzione dell’Ue, del suo impianto istituzionale, politico, economico e ideologico. Perchè questa accelerazione? Nella risposta a tale quesito risiede buona parte della stessa risposta alla domanda relativa all’inevitabilità storica, o meno, della costruzione dell’Ue.

La “via Gorbaciov” all’autodissoluzione dell’URSS spinge Fukuyama a dichiarare, a nome dell’intero fronte capitalista mondiale, “la fine della storia”. Il capitalismo – asserisce Fukuyama- è natura e dunque immutabile e il socialismo è un’illusione ottica. A partire dalla scomparsa dell’immensa diga antimperialista rappresentata dall’Unione Sovietica le forze imperialiste e capitaliste vedono il mondo come un immenso e totale mercato da conquistare. Con le buone o con le cattive.

Anche il grande capitale transnazionale europeo ha la stessa visione di un intero mondo trasformato in uno sterminato e nuovo mercato. Occorre, in virtù di questa visione, attrezzarsi, partecipare alla lotta interimperialista e intercapitalista, conquistare i nuovi mercati battendo la concorrenza nordamericana e degli altri poli capitalistici mondiali.

Come può attrezzarsi, il grande capitale transnazionale europeo per questa nuova battaglia economica?

Nel modo capitalistico classico: si conquistano i mercati abbattendo il costo delle merci, abbattendo i costi sociali generali e avviando una nuova accumulazione capitalistica generale. Come si arriva a ciò? Abbattendo i diritti, i salari e lo stato sociale. Non in un solo Paese europeo, ma su scala europea.

Come giungere ad una pianificazione iperliberista sovranazionale funzionale agli interessi dello stesso capitale transnazionale europeo?

Attraverso la costituzione di un potere istituzionale sovranazionale in grado di svuotare di poteri gli Stati nazionali, in grado, dunque, di estendere sul piano continentale una “pianificazione” iperliberista capace di tagliare alle radici i residui lacci e lacciuoli lasciati dal retaggio socialdemocratico europeo diffuso, dando modo al grande capitale di avviare una vasta e lunga stagione iperliberista, antioperaia e antidemocratica.

Il prodotto di tutto ciò è l’Ue di Maastricht, che si dota di un parlamento-farsa, che non può nemmeno legiferare ed un Consiglio europeo quale vero cuore del nuovo potere sovranazionale, formato, a conferma e difesa della natura oltremodo verticistica dell’Ue, direttamente dagli esponenti del potere politico e borghese/capitalistico europeo.

La spinta del capitale transnazionale verso l’Ue non ha nulla a che vedere con un vero processo unitario sovranazionale basato sulle pulsioni della dialettica storica e della materialità degli eventi storici unificanti.

Gli stessi Stati Uniti d’America nascono attraverso la lunga lotta delle allora 13 colonie americane che nella seconda metà del ‘700 lottano unite contro l’imperialismo britannico che le domina. Sarà sulla base di quella lotta anticolonialista che le 13 colonie troveranno la loro coesione e la loro unità, un’unità dalle basi materiali che porta sia alla vittoria contro l’imperialismo britannico che alla Dichiarazione di Indipendenza, nel 1776, degli Stati Uniti d’America. Un nuovo Stato che si dota innanzitutto di un sistema fiscale nazionale dalla natura anche redistributiva: atto statuale primario che l’Ue non adotta mai, poichè la natura intrinseca dell’Ue non può nemmeno immaginare una redistribuzione della ricchezza che vada da Bruxelles verso le aree depresse dell’Ue, una redisribuzione della ricchezza da Berlino verso Atene. Ma, al contrario, la ricchezza deve trasmigrare da un’Atene alla fame ad una Berlino dalle grasse sembianze di un Grostz.

L’Ue è dunque una finzione storica. Non nasce da quella pulsione oggettiva – storica, ideologica, politica, economica- da cui prendono vita gli Stati Uniti d’America. Gli Stati ed i popoli europei non sono sospinti all’unità da eventi storici sovraordinatori. L’Ue è una contraffazione. Essa è un polo imperialista antistorico in contraddittoria ma feroce costruzione.

 

Seconda domanda: l’Ue è un destino storico immutabile ed inevitabile?

Per procedere nella riflessione: dopo aver constatato l’assenza di una pulsione storica oggettiva degli Stati europei ad unirsi, ora possiamo rimarcare il fatto che tale assenza sia anche il limite insito nel processo di costruzione dell’Ue. Il suo fattore interno impedente l’unità e disgregante della parziale unità.

Il passaggio dalla mitizzazione dell’Ue dei primi anni ’90 a questa prima metà degli anni 2.000, segnato da una forte empasse del processo unitario e da una nuova contraddizione interstatuale e intercapitalistica tra i diversi Stati europei, la dice lunga sulla fatiscienza storica dell’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa.

Nel Trattato di Mastricht del 1992 non vi è nessun articolo relativo alla possibilità che uno Stato membro dell’Ue possa liberarsi dalla gabbia dell’Ue, di poterne uscire.

Questo perchè? Perchè la fase successiva all’autodissoluzione “gorbacioviana” dell’URSS, alla conseguente apertura dei mercati mondiali e all’autolelezione del costituendo polo capitalistico sovranazionale europeo a nuovo “concorrente” per la conquista dei mercati mondiali riemersi, produce un’euforia pan-europea che sfocia in una generale mitizzazione dell’Ue.

La nascente mitologia dell’Ue non può, dunque, permettere che appaiano falle nel suo processo costitutivo. La proiezione di questo input sui piani istituzionali la si rintraccia nel fatto che nel Trattato di Maastricht del ’92 non sono presenti codicilli volti alla possibilità che i Paesi membri possano uscire dall’Ue.

Ma già dalla prima metà degli anni ’90 il quadro mondiale ed europeo cambia radicalmente. “La fine della Storia” ratificata da Fukuyama rivela la propria, inetta ed iperidealistica natura filosofica. La storia non finisce mai ed aver tentato di collocare una pietra tombale sul socialismo, da parte degli aedi del capitalismo mondiale, si rivela essere ciò che è: non una rilevazione storica ma lo stesso, oscuro, ansioso desiderio del capitale.

Fukuyama non fa in tempo a lanciare nel mondo il proprio assunto sulla fine della dialettica storica, che la storia si rimette prepotentemente in moto e la spinta antimperialista, rivoluzionaria, socialista di nuovo attraversa il pianeta. Dall’America Latina all’Africa e all’Asia – a cominciare dal titanico sviluppo cinese e dal rifiuto della Russia di Putin di offrirsi quale agnello sacrificale del nuovo espansionismo imperialista (rifiuto che si offre come una delle basi materiali della nuova russofobia occidentale) – prende corpo un nuovo fronte dal carattere antimperialista che cambia i rapporti di forza nel mondo, spunta le unghie all’aquila imperialista giungendo a costituire prima i BRICS poi la Banca Mondiale dei BRICS a Shangai, alternativa al FMI e ai suoi prestiti da strozzinaggio universale.

Sul processo di mitizzaziine dell’Ue non si abbatte solo il colpo micidiale del repentino cambiamento dei rapporti di forza mondiali tra fronte imperialista e fronte antimperialista: oltre ciò va manifestandosi l’estrema difficoltà del grande capitale europeo a sostenere la concorrenza internazionale con gli altri poli imperialisti, a cominciare dagli USA e dal Giappone. Questione alla quale si aggiunge lo spavenoso default della colossale Banca americana “Lehman Brothers” e la conseguente e profonda crisi del capitalismo mondiale.

Una crisi che travolge anche l’Ue e alla quale Bruxelles e la BCE rispondono con le durissime politiche dell’austerity, imposte su tutto il movimento operaio complessivo europeo.

Peraltro, il 29 maggio del 2005 si tiene il referendum francese sulla Costituzione Europea (Référendum français sur le traité établissant une Constitution pour l’Europe), una chiamata popolare che avrebbe dovuto ratificare la Costituzione Europea messa a punto dalla Convenzione Europea del 2003. La maggioranza degli elettori francesi, invece, boccia, col 55% dei NO ed anche con un’affluenza alle urne del solo 69%, la proposta di Costituzione Europea, infliggendo un altro colpo al processo di costruzione dell’Ue e alla credibilità della stessa Ue di fronte ai popoli d’Europa.

La mitologia ed il ruolo destinale dell’Ue , deciso da “una volontà superiore” che prescinde dagli interessi dei popoli, si incrinano.

Nel 2009 entra in vigore il Trattato di Lisbona, che in parte sostituisce ed emenda quello di Maastricht del ’92.

Il Trattato di Lisbona, nel suo tessuto semantico e a partire dai rovesci subiti dall’Ue, sembra dotarsi di una vaga veste socialdemocratica che, lessicalmente, sembra in alcuni passaggi stemperare la violenza liberista del Trattato di Maastricht.

Ma ciò è una pura ed ipocrita finzione, un inganno della grammatica, poichè il linguaggio “sentimentale” che fiorisce in un alcuni passaggi del Trattato di Lisbona si scontra con una riproposizione secca e durissima della totalità del mercato e della sua natura “anarchica” e selvaggia.

Tuttavia la crisi dell’Ue c’è stata, è stata profonda, la riproposizione dell’Ue come Molock insindacabile non ha più cittadinanza.

Ed è su questa base che nel Trattato di Lisbona appare l’Articolo 50, che introduce la possibilità, per uno Stato membro, di uscire, anche se attraverso alcune forche caudine regolamentari collocate come mine nel Parlamento europeo, dall’Ue.

Cita infatti l’articolo 50: “Ogni Stato membro può decidere di recedere dall’Ue contestualmente alle proprie norme costituzionali”.

Ed è anche su queste basi materiali – fatiscienza storica e crisi dell’Ue e articolo 50 del Trattato di Lisbona – che le forze comuniste e amtimperialiste europee ed italiane possono con razionalità e verosimiglianza porre la questione strategica della fuoriuscita dall’Ue e dall’Euro. Che vuol dire portar fuori i lavoratori e i popoli dal violento e artificioso processo di costruzione del neo imperialismo europeo.

 

Uscire dall’Ue per andare dove?

La domanda che anche tra le forze politiche, sociali, intellettuali più avanzate ci si pone ha bisogno di una risposta, non ancora degnamente elaborata dagli stessi comunisti e dalle forze antimperialiste. Un vuoto politico e teorico da colmare per rendere più forte e verosimile la lotta per l’uscita dall’Ue e dall’Euro.

“Per andare dove” può iniziare tuttavia a dircelo la S dell’acronimo BRICS, la S del Sud Africa. Questo Paese è ben più lontano dal Brasile, dalla Russia e dalla Cina di quanto lo siano i Paesi dell’Ue e dell’Italia. Il punto, dunque, è che l’appartenenza ad un fronte socialista, antimperialista e progressista mondiale – specie in questa fase storica segnata dall’immenso sviluppo tecnologico mondiale e dalla conseguente e grande restrizione degli spazi planetari – non dipende dalla collocazione geografica di un Paese, ma dalla sua collocazione, dalla sua inclinazione politica e filosofica di fondo. Si sta dalla parte che difende il multilateralismo e la pace, dalla parte che difende gli interessi dei popoli, rompendo col fronte che ripropone il vecchio mondo unipolare, la spoliazione neocolonialista, la centralità politica, economica ed ideologica dell’Occidente, la guerra imperialista e la NATO.

A partire da questa nuova e necessaria weltanshauung la collocazione geografica di un Paese, imposta e venduta ideologicamente come prima discriminante per la collocazione politica e filosofica nel mondo, è essa stessa retaggio dell’ancien regime imperialista.

 

Terza domanda: esiste, nella fase data, un’autonomia ideologica, politica e culturale dell’Ue?

La contraddizione che è alla base della costruzione dell’Ue (data dalla natura artificiosa, priva di basi e pulsioni storiche oggettive del processo di unità dell’Ue) ci dice chiaramente di no: l’Ue non possiede una propria autonomia ideologica, politica e culturale.

Ci dice che l’Ue è un gigante dai piedi d’argilla, un progetto incompiuto, terremotabile. Una Creatura del dottor Frankestein che, priva di autonomia storica ed esistenziale, cerca rifugio tra le braccia di giganti dall’identità ben più sicura: gli USA e la NATO.

I fatti concreti che dimostrano tale assunto potrebbero essere i tanti granati necessari per una lunga collana:

– durante un summit dei ministri della Difesa dell’Ue convocato a Bratislava nel 2016 in relazione alla questione dell’esercito europeo, Federica Mogherini (PD, “renziana”), allora Alta Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la politica di Difesa, e Roberta Pinotti, Ministro della Difesa nel governo Renzi-Gentiloni (anch’essa PD e “renziana”) rappresentano le massime spinte per la costruzione dell’Armée europea. Importante di questo summit, tuttavia, fu un fatto riportato da gran parte della stampa europea: ai lavori del summit entra (la stampa europea lascia spazi d’ambiguità sul fatto che questa entrata fosse o meno concordata) Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, il quale (è questo che è riportato dalla stampa europea ed italiana) intervenendo a fine discussione afferma perentoriamente: “D’accordo per l’esercito europeo. Ma importante sarà che il suo Comando venga posto nello stesso Quartier Generale della NATO, a Bruxelles”. Come dire (e detto senza replica alcuna dei presenti): “Ok all’esercito europeo, ma il Comando sul vostro esecito è della NATO”;

– nel summit G7 del giugno 2021 in Cornovaglia Biden impone a tutti Paesi dell’Ue un terrificante Documento di guerra (il Documento di Carbis Bay) in cui si progetta minuziosamente la costruzione di un vastissimo fronte internazionale militare contro la Russia e la Cina. Tutti i Paesi europei – compresa la Germania, che più di ogni altro ha bisogno del gas russo – lo firmano, inquietati ma servili e comunque in netto contrasto con i loro stessi interessi strategici;

– la NATO è costituita da 30 Paesi, di cui 21 sono dell’Ue (e tra poco saranno 23, con l’ingresso nella NATO della Svezia e della Finlandia). L’Ue è composto da 27 Paesi, di cui, dunque, 23 appartenenti alla NATO. In questa fase la Presidente della Commissione Ue Ursula von Der Leyen spinge ossessivamente, in modo irresponsabile e pernicioso, per l’entrata dell’Ucraina nell’Ue. Poichè, come dimostrano i fatti, l’entrata nell’Ue è per il 90% delle volte propedeutica all’entrata nella NATO, la spinta della von Der Leyen ha un solo significato: la conferma del progetto strategico, messo a punto da tempo e ben prima dell’operazione speciale russa in Ucraina (come ha affermato Putin lo scorso 9 maggio, nel giorno della commemorazione della Vittoria sul nazifascsimo) volto a trasformare l’Ucraina in una sterminata Base USA-NATO a ridosso della Russia, una Base dotata di testate nucleari in grado di colpire Mosca in 4 minuti e in tempi rapidi anche Pechino;

-l’Ue ha partecipato in modo determinante a costruire l’accerchiamento della Russia, un accerchiamento dalle impressionanti proporzioni, che ha disegnato un semicerchio militare dal polo artico sino alla Georgia e si è dotato di potenti retrovie belliche tramite la collocazione di truppe ed armi in ogni Paese Ue-NATO dell’Europa del Centro e dell’Est) ;

– l’Ue ha partecipato, con gli Usa, sia alla costruzione, dal 1991 in poi, del movimento anti russo e filo NATO arancione ucraino che al colpo di stato di Euro-Maidan del 2014, partecipando alla messa in campo delle milizie nazifasciste golpiste e poi alla costruzione del Battaglione Azov, all’addestramento dell’esercito ucraino e all’immensa fornitura (ben prima e “naturalmente” dopo l’intervento russo) di armi e risorse economiche a Kiev;

– l’Ue ha versato alla presidenza Zelenski, solo durante questa fase del conflitto, circa 1 miliardo e 700 milioni di dollari per le armi.

L’invio, oggi, delle armi dell’Ue e dell’Italia a Kiev, assieme alla partecipazione – cieca, subordinata e fortemente autolesionista – alle sanzioni contro la Russia, sono tra i segni forti della totale subordinazione dell’Ue agli Usa e alla NATO. Dell’inesistenza di un’autonomia politica, ideologica e storica dell’Ue.

Vi sono aree comuniste e aree antimperialiste, nel nostro Paese, che pur manifestando la loro linea volta all’uscita dell’Italia dalla NATO, balbettano alquanto rispetto ad una linea volta all’uscita dell’Italia dall’Ue e dall’Euro.

Queste aree sappiano che la lotta per liberare il nostro popolo dalla NATO sarebbe una lotta dimezzata se non fosse completata dalla lotta per liberare il nostro popolo dai cappi dell’Ue e dell’Euro.


* Presidente Associazione Nazionale “Cumpanis”

FONTE: https://www.sinistrainrete.info/europa/23038-fosco-giannini-genuflessa-agli-usa-e-senza-identita-l-ue-e-un-destino-storicamente-inevitabile.html

 

 

 

POLITICA

Controcorrente, Maria Giovanna Maglie e la verità su Zelensky: “Non è in grado nemmeno di…”

14 maggio 2022

“Ritengo che il pacifismo sia un movimento perdente e ipocrita, perché non c’è pace senza giustizia”: con questa premessa Maria Giovanna Maglie, ospite di Veronica Gentili a Controcorrente su Rete 4, ha parlato della guerra in Ucraina e soprattutto di eventuali soluzioni per la fine delle ostilità. Continuando a fare riferimento ai pacifisti, però, la giornalista non ha potuto fare a meno di sottolineare: “Tutti quelli che strillano alla pace in questo Paese dovrebbero aver preso sul serio questa storia della Svezia e della Finlandia e della Nato, perché quella è una forma di pressione obiettiva nei confronti di Putin”, ha detto riferendosi alla richiesta di adesione all’Alleanza Atlantica avanzata di recente dai due Paesi.

“Se la risposta è: ‘non è il momento perché sennò Putin si irrita’, allora le basi della pace quali sono?”, ha proseguito la Maglie. Che poi ha messo in chiaro un punto: “Gli ucraini non vogliono cedere niente. Questa è la variabile che si continua a dimenticare. Zelensky può anche essere un comico prestato alla politica, può anche prendere ordini dall’America, ma la verità è che non è in grado di cedere neanche la Crimea”.

La giornalista, infine, ha spiegato che “la nostra opinione pubblica non sta con l’Ucraina”: “Noi veniamo ricoperti di insulti sui social perché siamo atlantisti e stiamo con Kiev, si è rivoltato il mondo. Da sinistra e da destra ci accusano di essere con la Nato ed è straordinaria questa metamorfosi dei parametri”.

FONTE: https://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/31594289/controcorrente-maria-giovanna-maglie-zelensky-non-in-grado.html

Rand Paul ritarda il voto sul pacchetto da 40 miliardi di dollari per l’Ucraina, chiede la supervisione della spesa

foto di Tyler Durden

DI TYLER DURDEN
SABATO 14 MAGGIO 2022 – 09:16

Scritto da Katabella Roberts tramite The Epoch Times (enfasi nostra),

Il senatore Rand Paul (R-Ky.) giovedì ha ritardato il voto del Senato per approvare un pacchetto di aiuti di quasi 40 miliardi di dollari per l’Ucraina che fornirebbe alla nazione ulteriore assistenza militare ed economica in mezzo al conflitto in corso con la Russia.

Mentre i leader erano unanimi nel loro accordo di procedere con l’approvazione del pacchetto questa settimana,  Paul si è rifiutato di farlo fino a quando non verranno apportate modifiche alla legislazione che assicurerà che  un ispettore generale possa monitorare esattamente come vengono spesi i miliardi di dollari.

La legge è stata approvata dalla Camera e ha un forte sostegno bipartisan al Senato, ed è ancora probabile che passi.

Tuttavia, l’obiezione di Paul ha significato un allontanamento dalla posizione straordinariamente favorevole che il Congresso e l’amministrazione Biden hanno finora mostrato per l’Ucraina mentre il presidente russo Vladimir Putin continua con la sua “operazione militare speciale”.

Il senatore del GOP, un libertario che spesso si oppone all’intervento degli Stati Uniti all’estero, ha sostenuto che la spesa extra superava quella che gli Stati Uniti attualmente spendono per più programmi nazionali e ha sollevato preoccupazioni su come potrebbe potenzialmente esacerbare ulteriormente i deficit federali e l’inflazione nel paese, cosa che attualmente si trova a un massimo di 40 anni.

” Il mio giuramento è alla Costituzione degli Stati Uniti, non a nessuna nazione straniera, e non importa quanto comprensiva sia la causa, il mio giuramento è alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America “, ha detto Paul giovedì.

“Non possiamo salvare l’Ucraina condannando l’economia statunitense… la benzina da sola è aumentata del 48% e i prezzi dell’energia sono aumentati del 32% nell’ultimo anno. I prezzi del cibo sono aumentati di quasi il 9%. I prezzi dei veicoli usati sono aumentati del 35% per l’anno e i prezzi dei veicoli nuovi sono aumentati del 12% o più”, ha continuato.

Paul ha osservato che l’inflazione “non viene semplicemente dal nulla” mentre indicava la spesa in deficit, osservando che gli Stati Uniti hanno speso quasi $ 5 trilioni in “salvataggi COVID-19” che hanno portato a livelli di inflazione alle stelle.

“Gli americani stanno sentendo il dolore e il Congresso sembra intenzionato solo ad aumentare quel dolore spalando più soldi fuori dalla porta il più velocemente possibile”, ha detto il repubblicano.

Il pacchetto di circa 39,8 miliardi di dollari per l’Ucraina include 6 miliardi di dollari per l’assistenza alla sicurezza alle sue forze armate e di sicurezza nazionale e 8,7 miliardi di dollari per ricostituire le scorte di attrezzature statunitensi inviate nel paese.

Contiene anche 3,9 miliardi di dollari per le operazioni del comando europeo e autorizzerebbe anche altri 11 miliardi di dollari nell’Autorità di prelievo presidenziale , che consentirebbe a Biden di autorizzare il trasferimento di articoli e servizi dalle azioni statunitensi senza l’approvazione del Congresso in risposta a un’emergenza. Biden aveva chiesto 5 miliardi di dollari.

Altri 4 miliardi di dollari andrebbero al finanziamento militare straniero, fornendo all’Ucraina e ad altri paesi un supporto aggiuntivo per costruire e aggiornare le proprie capacità.

Se approvato, porterebbe il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina da quando la Russia ha invaso quasi $ 54 miliardi, oltre ai $ 13,6 miliardi di sostegno che il Congresso ha approvato a marzo.

Paul ha osservato che gli Stati Uniti hanno fornito più di 6 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza all’Ucraina dal 2014 e ha affermato che se l’ultimo importo fosse approvato, vedrebbero un aiuto totale pari all’intero budget militare della Russia.

“E non è che abbiamo quei soldi in giro. Dovremo prendere in prestito quei soldi dalla Cina per inviarli in Ucraina”, ha detto. “Il costo di questo pacchetto su cui votiamo oggi è più di quello speso dagli Stati Uniti durante il primo anno del conflitto statunitense in Afghanistan”.

Il senatore ha anche osservato che i miliardi di dollari in finanziamenti sono alti rispetto a quanto gli Stati Uniti spendono annualmente per la ricerca sul cancro – 6 miliardi di dollari – ed è più di quanto il governo raccoglie ogni anno in tasse sul gas per costruire strade e ponti. Eguaglia quasi l’intero budget del Dipartimento di Stato, ha affermato, e supera il budget del Dipartimento per la sicurezza interna e del Dipartimento dell’energia.

In particolare, Paul ha chiesto la creazione di un ispettore generale speciale per controllare come vengono spesi gli aiuti militari all’Ucraina.

Ma i Democratici si sono opposti al piano di Paul perché avrebbe ampliato i poteri di un ispettore generale esistente la cui attuale competenza è limitata all’Afghanistan.

“Il Congresso dovrebbe valutare il costo di percorrere questa strada”, ha affermato il senatore, aggiungendo che “la più grande minaccia per gli Stati Uniti oggi è il debito, l’inflazione e la distruzione del dollaro” e che “non possiamo salvare l’Ucraina uccidendo i nostri forza economica.

“Quindi agisco per modificare il disegno di legge per consentire un ispettore generale speciale. Questo sarebbe l’ispettore generale che ha supervisionato i rifiuti in Afghanistan e ha fatto un ottimo lavoro”.

Il leader della maggioranza al Senato Chuck Schumer (DNY) e altri democratici si sono opposti alla spinta di Paul per cambiare la lingua e si sono invece offerti di votarla, ma quell’offerta è stata respinta.

Ciò significa che i legislatori voteranno di nuovo sull’approvazione della misura la prossima settimana nella speranza di farla avanzare.

“È chiaro dal giovane senatore dalle osservazioni del Kentucky, non vuole aiutare l’Ucraina”, ha detto Schumer giovedì. “Tutto ciò che farà con le sue azioni qui oggi è ritardare quell’aiuto, non fermarlo”.

The Epoch Times ha contattato l’ufficio di Paul per un commento.

L’Associated Press ha contribuito a questo rapporto.

FONTE: https://www.zerohedge.com/political/rand-paul-delays-vote-40-billion-ukraine-package-calls-spending-oversight

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

“Scoperto un nuovo menticidio del Cdc sui vaccini e le varianti” + “CDC: No Documents Supporting Claim Vaccines Don’t Cause Variants”

1. “Scoperto un nuovo menticidio del Cdc sui vaccini e le varianti”, Il Simplicissimus, 14 maggio 2022

Se non vivessimo nell’era del menticidio la notizia che arriva dal Cdc americano dovrebbe portare all’ immediata sospensione di tutte le pseudo vaccinazioni e la messa sotto accusa del Cdc americano (  la stessa vale per le burocrazie sanitarie europee che hanno accettato tutto a scatola chiusa) per aver mentito al pubblico negando che i vaccini possono causare le varianti del covid e che dunque non soltanto sono inefficaci, ma che “collaborano” col virus alla nascita di nuove mutazioni. Questa possibilità che peraltro veniva contemplata nella scienza precovid  è sempre stata fermamente e assolutamente negata, dal Centers for Disease Control tanto che il sito web di questa organizzazione recita in maniera tranchant“ FATTO: i vaccini COVID-19 non creano né causano varianti del virus che causa COVID-19. Invece, i vaccini COVID-19 possono aiutare a prevenire l’emergere di nuove varianti ” E di seguito aggiunge con la sicumera di chi vuole educare il pubblico: “Nuove varianti di un virus si verificano perché il virus che causa il Covid 19 cambia costantemente attraverso un processo naturale di mutazione (cambiamento). Man mano che il virus si diffonde, ha più opportunità di cambiare. Un’elevata copertura vaccinale in una popolazione riduce la diffusione del virus e aiuta a prevenire l’emergere di nuove varianti”

Poi si scopre che tutto questo non è vero, che sono state solo chiacchiere per pompare la vendita degli pseudo vaccini  e l’operazione politica che vi aggancia, senza introdurre alcun argomento che potesse insinuare qualche dubbio sulle dosi infinite e così mandare all’aria il grande business e il grande reset mischiati assieme. Infatti lInformed Consent Action Network (ICAN), un’organizzazione senza scopo di lucro, ha chiesto al CDC sulla base del Freedom of Information Act tutta la documentazione a sostegno della tesi che i vaccini non creano varianti. I toni perentori con cui si escludeva una simile ipotesi potevano far pensare che il Cdc avesse tonnellate di documenti e di ricerche atte sostenere la sua tesi. Ma sorprendentemente il Cdc ha risposto in due successive fasi, una volta a gennaio e successivamente il 4 maggio scorso  affermando di  “non aver trovato alcun record rispondente” ad esse. Se ne dovrebbe dedurre che il Cdc non fa affermazioni o prende decisioni sulla base degli studi, della scienza e dei dati. Invece i consigli del Cdc e la sua “ideologia ” sanitaria si sono basati sul fatto che i vaccini riuscissero a fermare l’infezione, nel qual caso il virus sarebbe stato circoscritto in brevissimo tempo e quindi non si sarebbero sviluppate varianti, ma siccome questo non è avvenuto e sappiamo benissimo dalla ultima infornata di documenti giunti dalla Fda che Pfizer ha barato nei suoi studi clinici affermando una efficacia del 95% quando al massimo era del 12%  e per giunta in una stretta finestra di tempo , la vaccinazione di massa ha “costretto ” il virus a mutare rapidamente togliendo ulteriore efficacia ai vaccini. Questo tuttavia era evidente già alla metà dell’anno scorso, ma nulla è cambiato nell’approccio del Cdc, segno che veniva portata aventi una tesi “politica” al di fuori di qualsiasi controllo scientifico.

Naturalmente siccome Pfizer e le altre casi produttrici hanno barato anche sulle reazioni avverse a breve termine  – quelle poi a medio termine le stiamo conoscendo solo ora – ecco che l’efficacia del vaccino non scende a zero, ma addirittura ha un’efficacia negativa. La cosa clamorosa di questa vicenda è che le grandi burocrazie sanitarie come il Cdc non hanno alcun elemento per negare questa evidenza per cui  ogni obbligo vaccinale è un crimine contro la salute e al limite un tentato assassinio. La mancanza di documento del Cdc sul fatto che i sieri genici aumentino e anzi producano le varianti dovrebbe essere una delle armi in mano a chi tentata di demolire le campagne vaccinale passando per le magistrature, anche se la capacità di autonomia di giudizio di queste ultime rispetto agli esecutivi  e di comprensione del reale è ornai sotto il livello delle suole, lontanissimo dal prefigurare l’esistenza in vita di uno stato di diritto.

Riferimento con link annessi:

https://ilsimplicissimus2.com/2022/05/14/scoperto-un-nuovo-menticidio-del-cdc-sui-vaccini-e-le-varianti/

Breve commento.

Questa è una sorta di bomba nucleare che avrà effetti devastanti su questa Fake pandemia, solo questione di tempo,   quindi non sono d’accordo con le conclusioni pessimistiche di Il Simplicissimus che in ogni caso ha fatto un ottimo articolo, comunque,  nel punto a seguire la fonte originale in inglese.

2. CDC: No Documents Supporting Claim Vaccines Don’t Cause Variants

 

by Zachary Stieber for The Epoch Times
 

 

May 13, 2022
 
FONTE: https://www.theepochtimes.com/cdc-no-documents-supporting-claim-vaccines-dont-cause-variants_4464871.html

 

 

RUOLO CRUCIALE DELL’ITALIA

Cesare Sacchetti, [15 Mag 2022 alle 21:03]
L’amica Pam Barker che dirige l’ottimo sito Europe Reloaded ha condiviso una delle analisi che ho fatto riguardo all’Italia e al ruolo cruciale che il nostro Paese rivestirà nel cambiare gli equilibri dell’Europa e del mondo. C’è un crocevia di destini religiosi, geopolitici ed economici che passa dall’Italia che è in grado di assestare la spallata definitiva alla decadente UE. Siamo osservati dal mondo intero perché il mondo intero sa della nostra immensa importanza. Alcuni italiani ancora non sanno di quanto sia fondamentale l’Italia, ma la nota positiva da registrare è che sembra di percepire un crescente risveglio della nostra coscienza nazionale. Più ci ricordiamo di essere i fondatori e i fari della cultura greco-romana e cristiana, più siamo vicini alla liberazione dalla matrice di bugie che il pensiero liberalmarxista ci ha raccontato per lunghi anni.

FONTI: https://www.europereloaded.com/the-great-resist-in-italy-against-nato-the-eu-and-vaccine-pass/
https://t.me/cesaresacchetti/6336

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