
RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
12 OTTOBRE 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Pascal assicura che l’Anticristo farà dei segni. I giornali ne riportano migliaia ogni giorno; nessuno li vede.
GUIDO CERONETTI, L’occhio del barbagianni, Adelphi, 2014, pag.

https://www.facebook.com/manlio.presti
https://www.facebook.com/dettiescritti
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
Precisazioni
www.dettiescritti.com è un blog intestato a Manlio Lo Presti, e-mail: redazionedettiescritti@gmail.com
Il blog non effettua alcun controllo preventivo in relazione al contenuto, alla natura, alla veridicità e alla correttezza di materiali, dati e informazioni pubblicati, né delle opinioni che in essi vengono espresse.
Nulla su questo blog è pensato e pubblicato per essere creduto acriticamente o essere accettato senza farsi domande e fare valutazioni personali.
Le immagini e le foto presenti nel Notiziario, pubblicati con cadenza pressoché giornaliera, sono raccolte dalla rete internet e quindi di pubblico dominio. Le persone interessate o gli autori che dovessero avere qualcosa in contrario alla pubblicazione delle immagini e delle foto, possono segnalarlo alla redazione scrivendo alla e-mail redazionedettiescritti@gmail.com
La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
SOMMARIO
Il bunker come simbolo della guerra statica
Educazione “Civica” per tutti
Dall’adesivo al libretto auto: così i ladri ci entrano in casa
Occhio alla tecnica dell’adesivo: così vi ripuliscono casa vostra
Nuovo DPCM: “Possibile irruzione della Polizia in case private”
Per chi viaggia in aereo passaporti sanitari digitali che registrano lo stato COVID
De Luca mette il bavaglio ai medici anti-Covid
Una quinta guerra non gioverà alla Turchia
“Affrontare la massa di schiavi”. Mishima e la guerra al mondo moderno
Covid: il silenzio dello spettacolo e la lezione di Montesano
Discriminazione non è solo disprezzo, ma anche eccesso di paternalismo
Avevamo la borsa… poi l’abbiamo venduta
Come rompere le ginocchia dei sociopatici di Wall Street prima che sia troppo tardi
Una class action tedesca per i danni da lockdown?
700 clandestini in 30 ore, ma Lamorgese bacchetta bar e ristoranti
Neppure Stalin ebbe mai pretese simili sotto il regime sovietico
Metterci la faccia non è più necessario grazie all’intelligenza artificiale
Facebook pigliatutto: dovrà cedere Instagram e WhatsApp?
EDITORIALE
Il bunker come simbolo della guerra statica
Manlio Lo Presti – 19 settembre 2020
In occasione della visita guidata del Bunker Mussolini nel Monte Soratte organizzata dall’Associazione culturale M. Arte di Roma, ho dato seguito alla mia curiosità sul tema del bunker non solo come manufatto edilizio e gli studi per la sua ideazione e progettazione.
Il bunker, voluto da Mussolini per destinarlo a punto di fuga per le alte cariche dello Stato, è un esempio di alta ingegneria militare che si articola in 4 km di gallerie sotto la montagna. Diventa il Comando supremo del Sud delle forze tedesche guidate dal gen. Kesserling.
Nel 1967 iniziarono i lavori per un suo successivo utilizzo come rifugio antiatomico interrotti senza un motivo apparente nel 1972.
Fonte: http://www.quinews24.it/i-segreti-del-bunker-nel-monte-soratte/
Questa realizzazione difensiva di alto valore tecnico ingegneristico e simbolico rappresenta una tappa della paura umana di prevenire attacchi e soprese sgradite e del desiderio di garantirsi una sicurezza duratura e stabile.
Il valore simbolico, storico ed ingegneristico di questa opera mi ha indotto ad elaborare una serie di brevi considerazioni.
Come ha detto giustamente qualche studioso, la storia umana ha avuto brevissimi periodi di pace, nel senso di assenza di contese armate. Una pace comunque caratterizzata da tensioni sotterranee e da una concorrenza fra popoli, razze, nazioni, aree commerciali. Imperi immensi che nascono e poi si dissolvono per collasso interno riveniente da lotte di potere. Molto su questo hanno detto Tito Livio, Plutarco, Gibbon, Carlyle, Braudel e Spengler, per citare alcuni che mi vengono in mente fra Autori validissimi.
La polemologia è solcata da due linee prevalenti di pensiero che al loro interno sono solcate da infinite varianti metodologiche, storiche e politiche. Parlo della guerra di movimento (con schemi strategici geometrici e poi caotici come le tecniche di guerriglia, guerra sporca, guerra ibrida, guerra asimmetrica, ecc., guerra di sterminio, Blitzkrieg, ecc.). La guerra dinamica presuppone una logistica efficiente che garantisce continuità operativa e, soprattutto, efficacia offensiva e deterrente.
La guerra statica è utilizzata per depotenziare l’onda d’urto del nemico e per consolidare aree occupate con assalti precedenti della guerra di movimento. La caratteristica della guerra statica è la costruzione di strutture edilizie resistenti che prevedono la gestione di conflitti di lunga durata e/o di contenimento.
Tutto ciò premesso, possiamo procedere ad alcune veloci considerazioni storiche.
La grotta è stato il primo elemento di protezione e di difesa. Poi ci sono stati i muri, i terrapieni, i fossati riempiti di lance, di trappole, tagliole, di coccodrilli ed altre simili amenità.
Una forte valenza simbolica ha la Muraglia cinese lunga 21.196 km: un Limes esterno che intende proteggere l’Impero Giallo dalle orde di barbari del mondo esterno, cioè il Limes di romana memoria. È un’impresa titanica che sarà ripetuta nel corso dei secoli, fino ai giorni nostri…
Il muro ricorda il Vallo dell’imperatore Adriano edificato circa nel 128 d. C., LUNGO 120 km e confine con la Caledonia abitata dagli imbattuti PICTI
Impressionanti sono anche le dighe olandesi contro il titanico oceano che viene respinto da una forza inimmaginabile. Le dighe sono la versione pacifica delle mura di cinta.
Nel corso della storia abbiamo le torri saracene di avvistamento nelle coste pugliesi che ricordano molto da vicino la Torre de Belém in Portogallo – Lisbona.
Il Limes esterno è sorvegliato e difeso da castelli e fortificazioni. La loro concentrazione in una zona oggi può sembrare un’attrazione turistica. La loro numerosità era il segno di una continua conflittualità, specialmente nelle “marche” di confine, come ci ricorda il bellissimo romanzo di Buzzati “Il deserto dei Tartari” da cui è stato tratto il film “Fortezza Bastiani”.
Altro esempio letterario-storico-antropologico è il libro “Massa e potere di Elias Canetti. L’Autore afferma che ogni costruzione umana è stata pensata per difendersi dal timore di essere toccati improvvisamente dall’ignoto, dal nemico. La costruzione (ponti, strade, trincee, templi, portoni pesantissimi, gallerie, cripte e anche i bunker) è pensata a scopo protettivo contro i nemici e gli sconosciuti in genere.
Le vie strette nuragiche, i viottoli medievali sono una valida difesa da invasione troppo veloce. Gli invasori sono costretti ad entrare uno per volta e quindi facilmente aggredibili dalle popolazioni. Simile scopo hanno avuto le Termopili e le gallerie labirintiche dei vietcong nella guerra di Indocina prima e contro gli USA, poi.
La linea Maginot è una grande muraglia ex-post che quasi sembra un giocattolo con i suoi “soli” 400 km. Ma mostra il suo totale fallimento contenitivo contro la capacità di movimento delle truppe dell’impero germanico espressa nella dottrina offensiva della blitzkrieg.
La logistica dei bunker ha quindi lo scopo di ritardare l’avanzata dei nemici traducendo la lotta in una guerra statica, di massacro e di logoramento.
Fonte: https://www.facebook.com/bunkersanmichele/
Uomini inscatolati sono quelli che operano dentro aerei, carri armati, sottomarini, bunker, rifugi antiatomici.
Esempi di letteratura e di storia possono essere:
La Guerra statica di trincea descritta dal poeta Ungaretti
La battaglia di Poitiers che spegne la potenza d’urto dei nemici dentro una gola rocciosa.
Il Carro armato di Leonardo
Le Fortificazioni di Leonardo
Inoltre, da notare che, nei periodi di crisi politica, sale il numero di richieste di rifugi antiatomici, la versione pacifica del bunker.
Gli umani percorrono le gallerie autostradali, anche sottomarine, le gallerie delle montagne e perfino le autostrade sotto il livello del mare
Nel quartiere ospedaliero di Chicago si può girare senza mai uscire in strada grazie ai corridoi sospesi che collegano moltissimi edifici fra loro.
Tutti questi cenni intendono proporre una riflessione sulla natura umana che, sebbene abbia conquistato e antropizzato l’ambiente circostante, ancora serba timori ancestrali che cerca di sedare con la creazione di tranquillizzanti e, nel contempo, inquietanti strutture di protezione, sia pure con tecnologie più raffinate.
BIBLIOGRAFIA
– Elias Canetti, Massa e Potere, Adelphi
– Buzzati, Il deserto dei Tartari, Mondadori
– René Leys. L’incanto della città proibita, Einaudi
– Ungaretti, Allegria di naufragi, Mondadori
– Kafka, Il messaggio per l’imperatore, racconto, Mondadori
– Pietro C. Marani, L’ architettura fortificata negli studi di Leonardo da Vinci, Olschki
– Jean-Jacques Langendorf, Elogio funebre del generale August-Wilhelm von Lignitz, Adelphi
– Viktor Segalen, Il mistero del palazzo imperiale, Einaudi
SITOGRAFIA
– Rifugi antiatomici : https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/04/coronavirus-al-centro-nord-aumentano-le-richieste-per-la-costruzione-di-bunker/5725696/
– Tunnel sottomarini: https://it.motor1.com/news/438322/tunnel-sottomarini-vantaggi/
– Trincee e cunicoli vietcong: https://www.fucinemute.it/2013/05/tra-i-cunicoli-umidi-e-claustrofobi-della-resistenza-vietnamita/
– Muraglia cinese: https://cinainitalia.com/2018/11/09/grande-muraglia-cinese/
– Guerra di movimento e guerra di posizione: https://www.lacittafutura.it/unigramsci/dalla-guerra-di-movimento-alla-guerra-di-trincea
– Strade medievali: http://stradedelmedioevo.blogspot.com/
– Tunnel segreti che collegano palazzi a Roma: https://www.linkiesta.it/2015/10/la-leggenda-del-tunnel-segreto-tra-i-palazzi-del-potere-e-le-sedi-mili/
– Grotte come rifugio: https://www.geometriefluide.com/tag.asp?tag=grotte*preistoriche
FONTE: http://www.associazionemarte.com/il-bunker-come-simbolo-della-guerra-statica/3309/
IN EVIDENZA
Una piccola notizia che sta passando del tutto inosservata. In ossequio alla legge 92 del 2019, voluta dall’ex ministro Bussetti, recepita dal suo successore, ministra Azzolina (sit venia per la mescolanza dei generi grammaticali), in tutte le scuole d’Italia con il nuovo anno scolastico sta partendo l’insegnamento di «educazione civica» (ndr: il giornale Civica non c’entra, per fortuna non ha pretese educative, solo informative). Non una novità, si dirà, dato che i più anziani tra noi ricorderanno che un tempo c’era l’insegnamento di «Storia ed educazione civica». Invece, no, perché il nuovo insegnamento, al momento, non si configura come una materia scolastica, ma come un percorso parallelo e interdisciplinare, tuttavia valutato (voto in pagella). Inoltre, mentre la vecchia «educazione civica» consisteva sostanzialmente in un’infarinatura di diritto costituzionale, la nuova si propone proprio di essere uno strumento educativo, in risposta alla crisi o emergenza in cui versa la gioventù italiana sul piano del senso e della coscienza civica. «L’obiettivo è fare in modo che le ragazze e i ragazzi, fin da piccoli, possano imparare principi come il rispetto dell’altro e dell’ambiente che li circonda, utilizzino linguaggi e comportamenti appropriati quando sono sui social media o navigano in rete», così la ministra Azzolina. Dunque, non tanto un percorso di conoscenze, ma l’insegnamento di un modo di essere, che presupporrebbe delle linee etiche e pedagogiche che, peraltro, non sono in alcun modo esplicitate. Del resto, lo Stato, che per sua natura si definisce neutro, potrebbe mai indicare delle linee «etiche»? e su quale base? L’educazione civica, nel nuovo modello Bussetti-Azzolina, vorrebbe essere una risposta alla cosiddetta «emergenza educativa», questione assai seria, condensata in un’espressione da più parti usata per descrivere la drammatica situazione in cui versano la scuola e la condizione giovanile.
Alla radice dell’emergenza c’è indubbiamente una crisi culturale gravissima, generata dal relativismo e dall’oggettivo contrasto tra la proposta educativa delle famiglie (quando c’è) e le nuove agenzie (dis)educative (mondo dello spettacolo, veline e velini, televisione, influencer, immagini pubbliche dei politici di grido etc.), con la scuola che sta in mezzo o non si sa bene dove. Descrivere e precisare ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto degli stessi giovani e delle loro famiglie appare finanche superfluo. La Didattica a Distanza (la DAD, nella scuola delle sigle), con la spersonalizzazione di insegnamento e apprendimento, ha mostrato e mostra, più che mai, le dimensioni spaventose di questa crisi educativa, dato che l’educazione è, per definizione, relazione, contatto, esperienza…
Va però almeno osservato che l’emergenza educativa non è affatto una cosa di oggi o solo di oggi. Le ultime proposte sono servite solo ad aggravarla. Anche le personalità degli ultimi ministri della pubblica istruzione, se paragonati a nomi di loro predecessori come De Sanctis o Gentile, danno la misura esatta della pochezza in cui siamo precipitati. La scuola è diventata un laboratorio dove sperimentare tattiche e strategie pedagogiche disastrose, facendo di volta in volta della scuola il luogo dove parcheggiare il disagio sociale o dove creare il cittadino nuovo e ideale. Ora, con la DAD, con le classi turnate casa-scuola, metà in didattica on line, metà in presenza, di educazione neppure si parla più.
La slealtà è proprio questa: ri-educare (o, più coerentemente) dis-educare insistendo sulla presunta neutralità di progetti imposti dall’alto e dell’intoccabile ipostasi della Scuola Statale (che, si badi bene, è statale, non pubblica, perché in tutto sempre più e sempre solo gestita dall’apparato burocratico-ministeriale). Semmai, capita che la stessa parola «educazione» venga a trovarsi svuotata e risignificata, a uso di quel nulla autoreferenziale che è, poi, la sostanza della burocrazia-ministeriale, avulsa da ogni appartenenza ideale. È questo il caso proprio della nuova «Educazione civica», che, oltre tutto, viene introdotta come percorso trasversale che non elimina, ma procede in parallelo con i gelminiani progetti di «Cittadinanza e costituzione».
Ci si aspetterebbe che i cittadini studenti e scolari venissero semplicemente “informati” sul funzionamento della macchina statale, di cui la loro scuola è parte, e sui principi civici che governano lo Stato e la società, tanto più che l’ideona di questi nuovi insegnamenti ha il timbro del centro-destra. Non basta, però, introdurre un nuovo insegnamento, se, poi, lo «spirito» ce lo mette qualcun altro. La differenza che c’è di mezzo è la stessa tra uno scaffale vuoto e uno scaffale pieno. E, infatti, il nuovo insegnamento (che tale non è, visto che, al momento, si tratta solo di ore suddivise tra i docenti della stessa classe) si sta configurando come un semplice progetto di indottrinamento, con i temi cari all’agenda dei poteri forti: gender, bullismo, nuovi modelli familiari, multiculturalismo, immigrazionismo spinto, magari mascherati con perifrasi tanto altisonanti, quanto vuote.
Non si risolve la crisi introducendo ulteriori corsi ad hoc centrati su questo o quell’aspetto della crisi stessa e visti dagli alunni come una dilatazione dell’orario scolastico (già elefantiaco) o, in alternativa, come un’occasione per perdere qualche ora di lezione. Forse la scuola deve semplicemente tornare a essere scuola, cessando di servire ad altro.
La nostra scuola è l’esito di un processo storico iniziato con l’unità d’Italia che ha visto al proprio centro, di volta in volta, finalità diverse, ma tutte segnate dal peccato d’origine dell’astrattezza, della scuola che “serve a”. Si è passati dal “fare gli italiani” della scuola postunitaria, al “libro e moschetto” dell’era fascista, sino alla cosa indescrivibile e inconsistente davanti a cui ci troviamo oggi. La verità è che lo Stato non accetta di mollare l’osso e, in questo modo, impedisce ogni serio progetto di riforma che in Italia potrebbe avvenire solo su basi territoriali, regionaliste e federaliste esplicite. Sono riferimenti che oggi sono quasi del tutto estranei al panorama politico italiano: triste, ma doveroso constatarlo.
Giuseppe Reguzzoni
FONTE: http://www.civica.one/educazione-civica-per-tutti/
Dall’adesivo al libretto auto: così i ladri ci entrano in casa
Il caso accaduto a Milano dei 7 georgiani arrestati per furto, ci dà la possibilità di approfondire il discorso sul mondo dei colpi in casa. Ecco i più comuni
La mala non dorme mai. Ed è per questo che la maggior parte dei furti in appartamento avvengono di notte. Proprio ieri a Milano è stata scoperta e arrestata una banda di ladri specializzata in furti in appartamento.
Il gruppo, denominato dagli inquirenti come la banda dei georgiani, era solito fissare il proprio obiettivo tramite la cosiddetta tecnica dell’adesivo. Questo è il primo di 3 articoli in cui si cercherà di fare chiarezza sulle modalità con cui i criminali raggiungono l’obiettivo di svaligiare le nostre case.
Partiamo proprio dalla tecnica dell’adesivo. Consiste nel posizionare una piccola striscia adesiva sul campanello dell’abitazione prescelta e verificare se la stessa venga rimossa o meno in breve tempo dal proprietario. Quando ciò non avviene, i topi di appartamento, convinti che il proprietario sia assente da casa, si sentono liberi di agire indisturbati. La banda dei georgiani utilizzava delle fascette di plastica trasparente, infilate nella fessura della porta dell’abitazione presa di mira, per sapere se in casa si trovassero o meno i proprietari (altre volte sono stati utilizzati frammenti di bottiglia o filtri di sigarette). Una volta avuto il via libera, la banda entrava in azione.
In Italia i furti in appartamento sono piuttosto frequenti. In media, ne avviene uno ogni 3 minuti. La paura di subire un furto in casa riguarda il 60% degli italiani perché avere la casa svaligiata è fra le esperienze più traumatiche che si possano vivere. L’orario più a rischio è fra le 18 e le 21, seguito dalla fascia tra le 21 e mezzogiorno e da quella tra le 15 e le 18 del pomeriggio.
Ma non mancano “eventi” diversi, a volte al limite dell’eccezionale. Poco tempo fa è accaduto che dei ladri hanno aperto la macchina delle vittime designate mentre erano in spiaggia (quindi praticamente certi che stessero lì tutto il giorno). Hanno preso le chiavi di casa che avevano lasciato in auto e fatto la foto all’indirizzo sul libretto. Conclusione? Hanno svuotato il loro appartamento di residenza senza problemi. E non hanno dovuto nemmeno forzare la porta d’ingresso.
Le tecniche più usate
Ma torniamo alla tecnica dell’adesivo. Molto simile a questa è il trucco dei fili invisibili di colla. Vengono applicati davanti alla porta d’ingresso per verificare se i proprietari rientrano o meno in casa. I malviventi fissano sulle porte sottili fili di colla, poi tornano sul posto e se li trovano intatti sono certi che l’appartamento è disabitato. La tecnica si riconosce da piccole gocce di colla che restano ai bordi della porta, oltre ai relativi filamenti. Anche la tecnica della lastra di plastica èmolto usata. E non lascia segni di scasso. In questo caso i topi d’appartamento usano una lastra flessibile: lasciandola passare nella fessura tra porta e stipite, il ladro punta alla scocca della serratura. Pochi movimenti, precisi e mirati, per far leva sulla lastra e far rientrare la scocca: così la porta si apre facilmente (solo se il proprietario di casa ha dimenticato di chiuderla a chiave).
Spesso i ladri svaligiano gli appartamenti nella notte con i proprietari che dormono all’interno, praticando un piccolo buco nel legno della porta o della finestra all’altezza della maniglia. Poi inseriscono uno strumento con cui riescono a muovere la serratura facendola ruotare per attivare il meccanismo di apertura. In questo modo entrano in casa senza far rumore.
C’è poi la vecchia tecnica che utilizza diversi segni come codici. I ladri sorvegliano le entrate dei palazzi per scegliere quali case visitare quando il proprietario non c’è. Studiano orari e abitudini dei residenti e segnano sul campanello gli appartamenti da svaligiare. Attenzione: potrebbero comparire simboli strani non solo sulla porta, ma anche sul cancello d’ingresso o nelle vicinanze della nostra abitazione (ad esempio vicino al cancello). È meglio cancellarli subito. Sventando un possibile crimine.
Il modus operandi
Proprio su questo punto abbiamo sentito Marco Dugato ricercatore di Transcrime, il centro di ricerca interuniversitario sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Non è facile fare una classifica delle modalità di intrusione in casa”, spiega a ilGiornale.it. “La tecnica dell’adesivo è molto utilizzata. Ed è solo uno dei modi di entrare in casa osservando i comportamenti delle vittime. Quelli che ha citato lei sono tutti buoni esempi. A questi potremmo aggiungere il famoso modo di controllare lo zerbino o se la casella della posta è piena”.
Infine, è necessario rilevare che esistono molti tipi di bande. L’ultimo caso è quello della banda dei georgiani a Milano. “Il modus operandi varia molto in base ai gruppi criminali. Ci sono bande organizzate, come quella che le ho menzionato, e alcune meno organizzate. Le prime sono gruppi che pianificano i colpi. Fanno dei sopralluoghi. Poi c’è una componente di ladri più amatoriali che sfruttano il momento come un ponteggio lasciato montato, o una finestra aperta. Oltre la pianificazione, c’è poi la parte più tecnica che spiega come entrare in casa. Ma di questo abbiamo già parlato”.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/non-solo-tecnica-dell-adesivo-tutti-i-modi-entrarvi-casa-1895492.html
Occhio alla tecnica dell’adesivo: così vi ripuliscono casa vostra
Il blitz delle forze dell’ordine questa mattina all’alba: fermati 7 georgiani ed un cittadino straniero di nazionalità egiziana, presunto ricettatore del gruppo
Sono finalmente finiti in manette i membri di una banda criminale specializzata in furti, gruppo che era solito agire all’interno di abitazioni ubicate nelle zone più centrali della città di Milano.

I soggetti, tutti di nazionalità stranieria, sono stati fermati e tratti in arresto proprio all’alba di questa mattina dagli agenti della polizia di Stato, che hanno reso effettivo il provvedimento di misura cautelare di fermo per indiziato di delitto emessa dalla procura della Repubblica.
Ad essere raggiunti dagli uomini delle forze dell’ordine, nel corso delle prime ore di questa mattina, sono stati 7 individui di nazionalità georgiana, ai quali si è poi aggiunto anche un altro straniero di origini egiziane. Tutti quanti sono stati messi in stato di fermo con l’accusa di furto in abitazione.
La banda, stando a quanto ricostruito dalle indagini portate avanti dagli uomini della Squadra mobile, coordinati dal procuratore aggiunto della Repubblica di Milano Laura Pedio e dal pubblico ministero Francesca Crupi, si era resa responsabile di numerosi furti, compiuti specialmente nel centro cittadino del capoluogo lombardo. Il gruppo, denominato in fase di investigazione dagli inquirenti come “la banda di georgiani”, era solito fissare il proprio obiettivo tramite la cosiddetta “tecnica dell’adesivo“, che consiste nel posizionare appunto una piccola striscia adesiva sul campanello dell’abitazione prescelta e verificare se la stessa venga rimossa o meno in breve tempo dal proprietario dell’appartamento in questione. Qualora ciò non avvenga, i topi di appartamento, convinti che il proprietario sia assente da casa, si sentono quindi liberi di agire indisturbati.
Secondo quanto riferito dalle autorità locali, agendo in questo modo i criminali si sono resi protagonisti di numerosi furti in questi ultimi mesi. Nel corso delle perquisizioni effettuate durante il blitz all’alba, gli uomini della Squadra mobile sono riusciti a rinvenire un vero e proprio tesoro, costituito da un ingente quantitativo di orologi e gioielli di pregio (alcuni di questi nascosti all’interno di un freezer), e da una importante somma in denaro in contanti. A compiere concretamente i furti erano gli individui di nazionalità georgiana, mentre l’egiziano avrebbe svolto l’importante ruolo di ricettatore. Spettava infatti al nordafricano il compito di rivendere in brevissimo tempo gli oggetti preziosi dei quali i suoi complici si erano illecitamente appropriati. I soggetti, ancora in attesa di giudizio, sono stati identificati e si trovano adesso a disposizione dell’autorità giudiziaria presso il tribunale ordinario di Milano.
In seguito alle dichiarazioni rilasciate dalla questura, si sono aggiunti nuovi dettagli. I criminali utilizzavano delle fascette di plastica trasparente, infilate nella fessura della porta dell’abitazione presa di mira, per sapere se in casa si trovassero o meno i proprietari (altre volte sono stati utilizzati frammenti di bottiglia o filtri di sigarette). Una volta avuto il via libera, la banda entrava in azione. I malviventi utilizzavano auto a noleggio per spostarsi nel centro di Milano e raggiungere gli appartamenti. Le rapide indagini degli inquirenti, iniziate a fine luglio, hanno portato al recupero di buona parte della refurtiva, che sarà restituita. Dopo aver identificato il primo membro della banda, gli uomini della mobile hanno individuato anche le tre vetture noleggiate, sulle quali sono state installati dei dispositivi per intercettazioni ambientali. Proprio grazie alle intercettazioni, gli investigatori hanno scoperto che i soggetti, soddisfatti di quanto accumulato in questi mesi, stavano per fare ritorno nei loro paesi di orgine dato che il periodo delle vacanze estive delle possibili vittime era ormai giunto a conclusione. Stamani il blitz: 5 soggetti sono stati rintracciati all’interno dei loro domicili, 2, invece, si trovavano nel ritrovo della banda, il parco di Piazza Aspromonte.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/milano/ripulivano-appartamenti-milano-fermata-banda-stranieri-1895264.html
Nuovo DPCM: “Possibile irruzione della Polizia in case private”

FONTE: https://stopcensura.org/nuovo-dpcm-possibile-irruzione-della-polizia-in-case-private/
ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME
Per chi viaggia in aereo passaporti sanitari digitali che registrano lo stato COVID, a conferma della vaccinazione.
CommonPass è stato definito il “primo passaporto COVID al mondo”.
Giovedì 8 ottobre 2020
8 ottobre 2020 (LifeSiteNews) – A partire dalla prossima settimana, due importanti compagnie aeree, United e Cathay Pacific, inizieranno le prove a Heathrow, Londra, con un nuovo software per smartphone che funge da passaporto sanitario digitale per i viaggiatori.
“CommonPass”, che attualmente offre ai viaggiatori la possibilità di portare con sé la prova digitale di un recente test COVID-19 negativo, mira a includere la prova della vaccinazione quando questa sarà disponibile, consentendo ai passeggeri di attraversare semplicemente le frontiere e di salire a bordo dei voli commerciali, lasciando che un codice QR venga scansionato sul loro cellulare personale.
CommonPass, soprannominato il “primo passaporto COVID al mondo” dal London Daily Mail, è stato sviluppato dal “Commons Project”, un “trust pubblico senza scopo di lucro istituito per costruire piattaforme e servizi volti a migliorare la vita delle persone in tutto il mondo”, e “Sfruttare tutto il potenziale della tecnologia e dei dati per il bene comune”. La relativa pagina principale rivela che “è stato istituito con il sostegno della Fondazione Rockefeller”.
Il CommonPass stesso è stato sviluppato dal Progetto Commons con l’aiuto del World Economic Forum (WEF), sotto la cui guida i vertici dei governi e delle imprese si riuniscono ogni anno al vertice di Davos in Svizzera per parlare di tematiche globali e di governance mondiale.
Il CommonPass è stato pubblicizzato come un’applicazione all’avanguardia che permetterà alle persone di tutto il mondo di riprendere a viaggiare in aereo in condizioni ” pre-COVID”, dando alle autorità di tutti i Paesi l’accesso a informazioni sicure e verificate che saranno difficili da falsificare, permettendo al tempo stesso l’identificazione del viaggiatore. I passeggeri stessi, sottolinea il (WEF) in un video promozionale, potranno godere della “privacy” che CommonPass offre loro, in quanto condivideranno solo determinate informazioni sanitarie.
La verità sulla questione suggerita da questa nuova app mondiale è, naturalmente, che le regole globali con attuazione a livello mondiale consentiranno il controllo di tutti i potenziali viaggiatori (da paese a paese, da città a città) per quanto riguarda il loro status COVID-19.
Attualmente, un test “positivo” vieta effettivamente ai viaggiatori di attraversare certi confini e di salire a bordo di certi aerei, anche se i risultati sono stati ottenuti con il test PCR (o tampone rino-faringeo) notoriamente inaccurato, che identifica una gran parte delle infezioni passate molto tempo dopo che una persona ha cessato di essere contagiosa.
Il World Economic Forum e altri organismi internazionali stanno facendo capire sempre più chiaramente che quando un vaccino sarà sviluppato, molto probabilmente diventerà un prerequisito per viaggiare.
Non si tratta di una situazione senza precedenti: alcuni paesi subtropicali richiedono un certificato di vaccinazione contro la febbre gialla per consentire ai viaggiatori di entrare nei loro confini. La novità è che il vaccino COVID-19, se e quando arriverà, porrà molte domande, e non solo mediche. Da un lato, sembra improbabile che siano stati completati i test di sicurezza adeguati, data la fretta di commercializzare il vaccino il più rapidamente possibile. Inoltre, la sua efficacia contro un virus mutante è tutt’altro che certa. Oltretutto, il COVID-19 ha un basso tasso di letalità rispetto ad altre malattie come la febbre gialla.
La questione morale è molto più seria. In una recente intervista a LifeSite, il vescovo Athanasius Schneider ha avvertito che i cristiani hanno l’obbligo di rifiutare il vaccino COVID se derivato da feti abortiti.
Ha parlato delle sue paure e dei suoi “sospetti” riguardo a questo triste scenario: “Il vaccino sarà imposto e obbligatorio; non si potrà lavorare, viaggiare, andare a scuola senza averlo fatto, obbligando l’intera popolazione a farsi vaccinare, ma l’unico vaccino sarà quello realizzato con cellule di feti abortiti”. Forse non accetteranno altri vaccini, e mentiranno, dicendo che questi non sono efficaci, che l’unico vaccino efficace sarà quello realizzato con cellule di feti abortiti. Non sto affermando ora che questo accadrà, ma è il mio sospetto: mi sembra realistico che questo possa accadere. Questo è per me l’ultimo passo del satanismo: che Satana e il governo mondiale (in definitiva il governo mondiale massonico) obbligheranno tutti, anche la Chiesa, ad accettare l’aborto in questo modo. E quindi dobbiamo resistere con determinazione a tutto ciò, se dovesse accadere. Dobbiamo anche accettare di essere martiri”.
Anche se questo scenario catastrofico non si realizzasse, l’imposizione di un vaccino potenzialmente nocivo per fermare la diffusione di un virus non così pericoloso porta con sé la possibilità di una distopia di tipo comunista in tutto il mondo attraverso l’ausilio delle moderne tecniche di tracciamento, sorveglianza e identificazione. La Cina dispone già di un sistema di questo tipo tramite il proprio sistema di “punteggio sociale”, che dà cattivi voti a chi non attraversa sulle strisce pedonali, ai cattivi debitori, a chi scredita la Cina comunista, a chi frequenta siti internet vietati e ad altri “disobbedienti” privandoli o del diritto di viaggiare in aereo, di prendere treni veloci, di comprare una casa, di andare in alberghi o ristoranti di lusso o di iscrivere i propri figli a scuole private.
Esiste una differenza: con il COVID-19 e il CommonPass, che ovviamente potrebbe essere esteso ad altre attività oltre al trasporto aereo, l’idea di base è quella di “proteggere” gli altri dalla morte o da gravi malattie, equiparando il dissenso alla nocività per gli altri.
Secondo il World Economic Forum, “CommonPass mira a sviluppare e lanciare un modello globale standard per consentire alle persone di documentare e presentare in modo sicuro il proprio status COVID-19 (sia come risultati di test sia come eventuale vaccinazione) per facilitare i viaggi internazionali e l’attraversamento delle frontiere, mantenendo le informazioni sanitarie private. Riconoscendo che i Paesi prenderanno decisioni sovrane sui requisiti di ingresso alle frontiere e sui controlli sanitari, compresa la necessità o meno di richiedere test o il tipo di test da richiedere, CommonPass funge da piattaforma neutrale che crea l’interoperabilità necessaria affinché i vari “corridoi di viaggio” si colleghino e affinché i Paesi si fidino l’uno dei dati dell’altro avvalendosi di standard globali”.
Il sito WEF aggiunge: “Per i governi, le compagnie aeree, gli aeroporti e altri soggetti fondamentali durante tutto il viaggio, CommonPass si propone di rispondere a queste domande principali: Come ci si può fidare di un risultato di laboratorio o di una documentazione sulle vaccinazioni di un altro paese? Il laboratorio o la struttura di vaccinazione è accreditato/certificato? Come possiamo confermare che la persona che ha fatto il test sia effettivamente la persona che viaggia? Il viaggiatore soddisfa i requisiti per accedere alla frontiera?
Interessante anche questo: uno degli obiettivi è quello di ” supportare una serie di requisiti di ingresso per lo screening sanitario che variano da paese a paese e che si evolveranno nel corso della pandemia e oltre”. Le cose potrebbero non fermarsi ai test PCR e alle documentazioni sui vaccini: CommonPass è pronto.
L’applicazione “no-profit” è stata ideata per soddisfare i requisiti in Africa orientale, dove è stata testata nelle sue fasi di sviluppo per consentire ai membri della Comunità dell’Africa orientale (una delle numerose regioni economiche integrate del mondo) di lavorare insieme per rendere disponibile il trasporto su camion tra sei paesi tra cui Kenya, Ruanda e Uganda, nonostante il COVID-19. Tutti questi paesi densamente popolati hanno bassi tassi di infezione e tassi di mortalità ancora più bassi dovuti al coronavirus di Wuhan.
Secondo il Financial Times, è il settore dell’aviazione che sta attualmente spingendo per un approccio unificato al posto delle normative nazionali che includono la quarantena volontaria per i passeggeri di alcune regioni. I test con il pass sanitario digitale, che vengono eseguiti a partire da questo giovedì, prevedono viaggi su rotte United Airlines e Cathay Pacific che collegano aeroporti principali, tra cui quello di Londra, New York, Hong Kong e Singapore. I trial sono monitorati da agenzie governative, “compresi i funzionari di frontiera degli Stati Uniti e i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie”, secondo il Financial Times.
Il quotidiano ha citato Christoph Wolff, il responsabile della mobilità del WEF, che dice: “Le singole risposte nazionali non saranno sufficienti per affrontare questa crisi globale. Divieti, corridoi e quarantene possono fornire una protezione a breve termine, ma sia le nazioni sviluppate che quelle in via di sviluppo hanno bisogno di un approccio a lungo termine, flessibile e basato sul rischio”.
Non c’è niente come una crisi sanitaria con un “nemico invisibile” per promuovere la governance globale.
Scelto e tradotto da Cinthia Nardelli e Arrigo de Angeli per ComeDonChisciotte
FONTE: https://comedonchisciotte.org/per-chi-viaggia-in-aereo-passaporti-sanitari-digitali-che-registrano-lo-stato-covid-a-conferma-della-vaccinazione/
BELPAESE DA SALVARE
De Luca mette il bavaglio ai medici anti-Covid: niente interviste e rapporti con la stampa senza permesso
Da www.fanpage.it
di Ciro Pellegrino
Manager ospedalieri e medici potranno parlare del Covid in Campania agli organi di stampa solo se autorizzati dalla Regione Campania. È il senso di un documento firmato dall’Ente guidato da Vincenzo De Luca. Un bavaglio che sta già scatenando un putiferio. Ci sarà un responsabile unico dei rapporti con i giornalisti dedicato solo al Coronavirus.
Dirigenti ospedalieri, dunque medici e manager delle Aziende sanitarie locali, ovvero i ‘capi’ delle strutture medico-ospedaliere oggi in prima linea contro il Covid in Campania, non potranno rilasciare «indicazioni e riscontri» agli organi di stampa siano essi web, radio, tv e carta stampata, né scrivere sui social media su vicende relative all’andamento Covid in Campania. È tutto nero su bianco – lo scrive oggi Giuseppe Del Bello su Repubblica, edizione Napoli – in una nota protocollata della Regione Campania guidata da Vincenzo De Luca che ha come oggetto “Gestione delle informazioni e rapporti con i media”, firmata da Ugo Trama, già responsabile del servizio farmaceutico regionale e responsabile ad interim dell’Unità operativa dipartimentale “Assistenza e interventi socio sanitari” incardinata nella Direzione generale per la Tutela della salute e il Coordinamento del Sistema sanitario regionale. Altra firma è quella del direttore generale Tutela salute Antonio Postiglione e del coordinatore Italo Giulivo. Dunque i manager e i medici potranno parlare solo se preventivamente autorizzati dalla politica.
Ecco il testo integrale del documento che ha suscitato un putiferio in ambito ospedaliero: molti medici sono in disaccordo con la norma, giudicata restrittiva delle libertà di espressione:
“Si segnala che la scrivente Unità di crisi, in raccordo con la presidenza della Regione, è l’unico organismo abilitato a fornire indicazioni e riscontri agli organi di stampa e a quelli radiotelevisivi e ai social media. È pertanto inibito a tutti gli organi aziendali rilasciare informazioni e interviste o intrattenere collaborazioni con i predetti organi senza espressa autorizzazione di questa unità di crisi”.
Successivamente, con una nota dell’Unità di Crisi regionale, è arrivata una nuova precisazione sull’argomento:
Per evitare la diffusione di notizie distorte e spesso non rispondenti alla realtà, l’Unità di Crisi a partire da domani, è a disposizione con un proprio referente per fornire tutte le informazioni richieste.
Dunque ci sarà un unico responsabile dei rapporti con la stampa che si focalizzerà solo ed esclusivamente della gestione Covid in Campania per ciò che attiene all’Unità di crisi, alle strutture ospedaliere e all’ente guidato da De Luca.
Fonte Originale: https://www.fanpage.it/napoli/de-luca-mette-il-bavaglio-ai-medici-anti-covid-niente-interviste-e-rapporti-con-la-stampa/
Pubblicato per Comedonchisciotte.org da Andrea Leone
FONTE: https://comedonchisciotte.org/de-luca-mette-il-bavaglio-ai-medici-anti-covid-niente-interviste-e-rapporti-con-la-stampa-senza-permesso/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Una quinta guerra non gioverà alla Turchia
- Il 28 agosto, Metin Külünk, un ex parlamentare del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdoğan, ha pubblicato una cartina della “Grande Turchia”, che mostra la portata delle ambizioni revisioniste della Turchia. Comprende aree geografiche di Grecia, Bulgaria, Cipro, Siria, Iraq, Georgia e Armenia.
- In una dichiarazione altrettanto minacciosa, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha consigliato provocatoriamente alla Grecia di rimanere in silenzio “per non diventare un meze [uno spuntino] per gli interessi degli altri”.
- La quinta guerra di Erdoğan non avrà vincitori. Ma la Turchia di Erdoğan sarebbe la più grande perdente.
![]() |
Nel corso del XX secolo, i turchi e i loro tradizionali rivali dell’Egeo, i greci, hanno combattuto quattro guerre convenzionali: la Prima guerra balcanica (1912-1913); la Prima guerra mondiale (1914-1918); la guerra greco-turca (1919-1922) e la guerra di Cipro (1974). Pertanto, non è la prima volta in tempo di pace che i quotidiani di tutto il mondo dicono ai loro lettori che il Mar Egeo è sull’orlo di una guerra. La “pace” nell’Egeo ha sempre oscillato da fredda a molto fredda, fatta eccezione per brevi periodi di relativa cordialità. Sembra che turchi e greci vivano in case vicine costruite su una faida di sangue che dura da secoli.
Charles King, nel suo libro Midnight at the Pera Palace: The Birth of Modern Istanbul, ha scritto dei primi anni post-ottomani a Istanbul e degli sforzi profusi nella costruzione della nazione della nascente Repubblica di Turchia:
“Le minoranze non musulmane di Istanbul sono diminuite passando dal 56 per cento nel 1900 al 35 per cento alla fine degli anni Venta. Altre città hanno registrato una diminuzione ancora più drastica. Izmir, l’ex Smirne, è passata da una presenza del 62 per cento di non musulmani al 14 per cento. (…) Ma la rivoluzione demografica ha cambiato praticamente tutto nei vecchi quartieri di Istanbul popolati dalle minoranze. Nella fretta di partire, greci, armeni ed ebrei hanno lasciato il contenuto delle loro case e appartamenti nei negozi dei rigattieri, sperando di ottenere almeno una piccola somma di denaro prima di salire a bordo di una nave o di un treno…
“La Turchia nel suo insieme è diventata più musulmana e più turca, più omogenea e più rurale che mai, a causa della fuga dalle città delle minoranze non musulmane. Alcune delle famiglie che sarebbero poi diventate i pilastri dell’economia di Istanbul emersero (…) senza perdere di vista le alterne fortune e trasformando i legami politici in guadagni economici una volta che le attività commerciali greche e di altre minoranze furono messe in vendita. Non c’era nulla di necessariamente disonesto nei loro rapporti, ma facevano affidamento su massicci trasferimenti di ricchezza, le cui origini risiedono nella preferenza della Repubblica per la purezza nazionale rispetto al vecchio cosmopolitismo della capitale imperiale”.
Dopo tre guerre all’inizio del secolo, le tensioni turco-greche esplosero poi a Cipro, dove turchi e greco-ciprioti convissero fianco a fianco in pace fino a quando non iniziarono a massacrarsi a vicenda dopo gli anni Cinquanta. I conflitti etnici portarono all’operazione militare turca nel luglio del 1974 che terminò con l’occupazione di un terzo del territorio settentrionale dell’isola. Da allora Cipro è divisa lungo linee etniche.
Nel 1996, le forze armate turche e greche erano sull’orlo di un’accesa battaglia per rivendicazioni di sovranità su una minuscola isoletta nel Mar Egeo meridionale. Pochi anni dopo che la mediazione statunitense riuscì a scongiurare la guerra, pochi turchi o greci ricordavano perfino il nome di quell’isoletta disabitata di 9,9 acri: Imia (Kardak, in turco).
Le tensioni odierne, che si estendono dal Mar Egeo al Mar Mediterraneo, sembrano più gravi di quelle tra due adolescenti che litigano per un pezzo di roccia.
Quando il capo del Mossad israeliano, Yossi Cohen, ad agosto avrebbe affermato che “il potere iraniano è più fragile, ma la reale minaccia proviene dalla Turchia”, aveva ragione. Ultimamente, le minacce dalla Turchia sono arrivate con una profusione senza precedenti.
In un recente discorso a Istanbul, il presidente islamista turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha fatto accenni non così sottili alle sue idee irredentiste, con particolare riferimento al Trattato di Sévres del 1923, che insieme ad altri trattati, ha stabilito i confini della Turchia moderna:
“Capiranno che la Turchia ha il potere politico, economico e militare [sufficiente per] stracciare mappe e documenti immorali imposti. O capiranno il linguaggio della politica e della diplomazia, o lo capiranno sul campo con esperienze dolorose. (…) Un secolo fa, li abbiamo sepolti nella terra o li abbiamo gettati in mare. Spero che non paghino lo stesso prezzo ora”.
Robert Ellis, che scrive di Turchia, ha ricordato ai lettori ciò che Abdullatif Şener, un tempo fedele alleato di Erdoğan e ora membro dell’opposizione, aveva dichiarato in un’intervista sei anni fa: Erdoğan sarebbe perfino pronto a trascinare la Turchia in una guerra civile per mantenere la sua presa sul potere.
Metin Külünk, un ex parlamentare del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdoğan, il 28 agosto ha pubblicato una cartina della “Grande Turchia”, che mostra la portata delle ambizioni revisioniste della Turchia. Comprende aree geografiche di Grecia, Bulgaria, Cipro, Siria, Iraq, Georgia e Armenia.
Im una dichiarazione altrettanto minacciosa, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha consigliato provocatoriamente alla Grecia di rimanere in silenzio “per non diventare un meze [uno spuntino] per gli interessi degli altri”.
Tutte queste parole bellicose hanno inviato vari messaggi su diverse lunghezze d’onda sul lato occidentale del Mar Egeo e oltre. La Grecia ha detto che sta rafforzando il proprio arsenale militare e le sue truppe per prepararsi a un conflitto aperto con la Turchia. Il 13 settembre, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha dichiarato che la Grecia avrebbe acquistato 18 nuovi caccia francesi Rafale per sostituire i suoi vecchi caccia Mirage 2000, avrebbe anche acquistato quattro elicotteri per la Marina e quattro nuove fregate, e modernizzato altre quattro navi. Mitsotakis ha inoltre affermato che il suo governo ha intenzione di estendere il servizio militare obbligatorio dagli attuali nove mesi a un anno.
Un conflitto aperto in seno e intorno al Mar Egeo è contro gli interessi occidentali. I Paesi occidentali, tuttavia, hanno ragione a non rimanere indifferenti o sottomessi alle minacce turche. Il 1° settembre, Washington ha annunciato che avrebbe revocato parzialmente un embargo sulle armi nei confronti della Repubblica (greca) di Cipro, imposto 33 anni fa, una mossa immediatamente condannata da Ankara. Con una mossa correlata, il segretario di Stato americano Mike Pompeo si è recato a Cipro il 12 settembre nel tentativo di mediare una soluzione pacifica alle tensioni con la Turchia nel Mediterraneo orientale.
“Restiamo profondamente preoccupati per le operazioni della Turchia volte a rilevare le risorse naturali nelle aree su cui Grecia e Cipro affermano la propria giurisdizione sul Mediterraneo orientale”, ha detto Pompeo ai giornalisti a Nicosia. Durante la sua visita, il governo statunitense e quello cipriota hanno firmato un memorandum d’intesa, che Ankara ha in modo assurdo contestato, sostenendo che potrebbe danneggiare la pace e la stabilità nel Mediterraneo orientale.
Il conflitto nell’Egeo e le sue ripercussioni riguardano anche l’Unione Europea. Il gruppo MED7 dei Paesi dell’Europa meridionale, il cui summit il 10 settembre è stato ospitato dalla Francia in Corsica, ha espresso pieno sostegno e solidarietà a Grecia e Cipro riguardo alle ripetute violazioni dei loro diritti di sovranità da parte della Turchia. Il Consiglio Europeo si è riunito l’1 e il 2 ottobre per decidere se imporre o meno sanzioni ad Ankara [e ha convenuto di avviare un’agenda politica UE-Turchia. In caso di nuove azioni di Ankara in violazione del diritto internazionale, l’UE farà ricorso a tutti gli strumenti di cui dispone per tutelare i propri interessi e quelli degli Stati membri, N.d.T.].
La Grecia ha inoltre il sostegno di altri due Paesi di primaria importanza nel Mediterraneo, l’Egitto e Israele, oltre al sostegno di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania.
Erdoğan può vincere la quinta guerra solo in casa. Se evita un conflitto militare, avrà scongiurato una guerra persa per la Turchia. In patria, la sua politica estera aggressiva, le sue spacconate e la sua retorica del tipo “Sfido il mondo intero” potrebbero fargli guadagnare qualche voto in più e ulteriore popolarità. La quinta guerra di Erdoğan non avrà vincitori. Ma la Turchia di Erdoğan sarebbe la più grande perdente.
Burak Bekdil, uno dei maggiori giornalisti turchi, è stato di recente licenziato da un importante quotidiano del paese dopo 29 anni di lavoro, per aver scritto sul sito web del Gatestone ciò che sta accadendo in Turchia. È membro del Middle East Forum.
FONTE: https://it.gatestoneinstitute.org/16630/turchia-quinta-guerra
CULTURA
“Affrontare la massa di schiavi”. Mishima e la guerra al mondo moderno
Nel 1968, Mishima pubblica La difesa della cultura – ora disponibile per la prima volta ai lettori italiani grazie a Idrovolante edizioni – in cui si scaglia contro la debolezza del Giappone moderno
Visse poco, Yukio Mishima. Appena 45 anni: dal 1925 al 1970. In mezzo la Seconda guerra mondiale, una carneficina tremenda alla quale non partecipò. Un po’ perché suo padre era un alto funzionario della corte dell’imperatore, un po’ perché Kimitake Hiraoka (questo il suo vero nome) finse i sintomi di una tubercolosi e se ne stette a casa.

Vide i suoi amici partire per il fronte e mai più ritornare. Lui, gracile e con gli occhiali, se ne stava ore e ore a studiare. Un topo di biblioteca in grado di alzare solamente la penna. Pallido e magro, dedicava le sue giornate alla lettura e a racimolare qualche notizia sul conflitto.
Come è noto, per il Giappone le cose andarono molto male. Sfidò il colosso americano nel Pacifico, ma non potè nulla. Gli aerei dei kamikaze si fiondavano sulle navi americane. Sotto di loro c’era solo l’oceano. Sopra, invece, il cielo sempre più bianco. In mezzo i velivoli con la bandiera del sol levante. È la guerra, ma per Mishima diventerà filosofia vissuta e arte. Che cos’è il coraggio se non guardare?, scriverà anni dopo ne La voce degli spiriti eroici.
Ma guardare a volte è impossibile. Nell’agosto del 1945 gli americani sganciarono le bombe atomiche su Hiroshima e Negasaki. Un’azione non necessaria, volta più a impaurire la Russia sovietica che a piegare un Giappone già fiaccato da anni di guerra. Una tragedia umana infinita, alla quale ne seguirà una spirituale: l’imperatore venne costretto ad ammettere di essere un comune mortale. Non era più dio. Era solo un uomo. Per migliaia di giapponesi fu la fine di un’era. Nei palazzi imperiali gli uomini sguainarono le spade, si tastarono il ventre e poi affondarono la lama. Offrirono la loro vita all’impero che fu. Mishima visse tutto questo quando aveva solamente vent’anni. I suoi coetanei erano pochi e, quei pochi, erano visti con sospetto. Perché la loro vita era stata risparmiata? Perché non avevano versato il sangue per salvare la divinità dell’imperatore?
Dalle macerie, il Giappone si rialzò tutto sommato in fretta. Negli anni Sessanta si trovò – come il nostro Paese, altro grande sconfitto del conflitto – in pieno boom economico. Emerse una nuova figura all’interno della nazione, quella del lavoratore indefesso, inchiodato per dodici e più ore al proprio posto, per poi tornare a casa sfinito e magari, come riportano i video dei giorni nostri, distrutto dall’alcool. Una vita svuotata, da larve. Che, verrebbe da dire, non è vita. O almeno vita che val la pena vivere.
Nel 1968, Mishima pubblicoò La difesa della cultura – che ora esce per la prima volta in Italia grazie a Idrovolante edizioni – in cui si scagliò contro il “culturalismo”, “quel borioso disvalore che costringe i popoli ad ostentare solo alcuni aspetti della propria cultura a scapito di altri quasi da ‘rinnegare’, ‘nascondere’, o ‘distorcere’ fino quasi all’autodistruzione”, come scrive Daniele Dell’Orco nella sua prefazione al volume.
Non era un nostalgico, Mishima. Sapeva che un’epoca era ormai chiusa e che ne era iniziata un’altra. Ma lui, in questo nuovo Giappone, non poteva vivere. Forse perché, proprio come durante la guerra, era rimasto l’unico superstite. Solo, con un drappello di amici e commilitoni del Tate no kai, il suo esercito privato. Sapeva di essere minoranza: “Noi invece ci mettiamo dalla parte dei forti e partiamo come minoranza. La limpidezza, la franchezza, l’onestà, l’elevatezza morale dello spirito giapponese, sono cosa nostra”.
I nemici, per Kimitake Hiraoka, erano due: il comunismo e l’americanismo, che tolgono la dimensione verticale – quindi spirituale – dalla vita. Una battaglia culturale e, per ciò stessa, violenta: “La nostra controrivoluzione consiste nel respingere il nemico sul bagnasciuga, e il bagnasciuga non è quello del territorio giapponese, ma la diga dei frangiflutti dello spirito di noi giapponesi uno ad uno. Bisogna affrontare la massa degli schiavi rivoluzionari, con il fegato di chi va avanti da solo anche se gli atlri fossero milioni. Non bisogna curarsi degli insulti e delle calunnie, dello scherno e delle provocazione della folla, ma bisogna affrontarla decisi fino alla morte, per risvegliare quello spirito giapponese che ha corroso. Noi siamo coloro che incarnano la tradizione di bellezza del Giappone”.
Parole che divennero azione. Il 25 novembre del 1970, insieme a quattro uomini del Tate no Kai, Mishima entrò nell’ufficio del generale Mashita. Lo fece portar via e si affacciò dal balcone, di fronte a un migliaio di uomini. “Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo”. Rientrò nell’edificio. Mishima replicò quanto fatto dai funzionari dell’imperatore al termine della seconda guerra mondiale: sguainò la spada, si tastò il ventre e poi affondò la lama. Offrì la sua vita all’impero che fu.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cultura/affrontare-massa-schiavi-mishima-e-guerra-mondo-moderno-1895653.html
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Covid: il silenzio dello spettacolo e la lezione di Montesano
«Adesso basta. Io non sono un negazionista, perché un negazionista è quello che nega l’Olocausto, e io all’Olocausto ci credo. E ogni volta che usano questo termine a sproposito, offendono tutti i morti che ci sono stati: ebrei, omosessuali, Rom, Sinti. Avessero più rispetto per questa parola, che ricorda una immane tragedia umana!». Così Enrico Montesano si ribella alla barbarie del maninstream, che ormai usa impunemente la parola “negazionista” per criminalizzare chiunque osi contestare le (disastrose) politiche adottate, in Italia e non solo, per contenere il Covid, su indicazione dell’Oms: lockdown, distanziamento indiscriminato e colpevolizzazione dei cittadini, fino all’assurdità estrema dell’imposizione delle mascherine anche all’aperto. Mattatore dello spettacolo italiano, showman televisivo e attore teatrale e cinematografico (63 film all’attivo), negli ultimi mesi Montesano si è distinto dai colleghi: è stato uno dei pochissimi a dire la sua, nel silenzio imbarazzante a cui si sono consegnati attori, registi e cantanti. «Lungi da me negare l’esistenza del Covid. Io sono critico, semmai: che è cosa molto diversa. E il diritto di esserlo non me lo toglieranno di certo».
«Io non ho mai negato che esista il Sars-Cov-2, perché purtroppo c’è», dichiara Montesano all’agenzia “Adn Kronos” il 9 ottobre, alla vigilia della “Marcia della Liberazione” (a cui ha aderito) promossa per il 10 ottobre a Roma da Sara Cunial e associazioni come Alleanza Italiana Stop 5G e Movimento 3V. Montesano esprime la sua posizione in modo netto: «Mi metto la mascherina nei posti al chiuso e mantengo la distanza di sicurezza, ma so anche che ora i medici hanno molti strumenti in più, e che nonostante ciò lo Stato ci sta togliendo assurdamente alcune libertà fondamentali. La mia è disobbedienza civile, pacifica, la stessa che metteva in pratica Martin Luther King». Ecco il punto: a differenza della scorsa primavera, oggi i sanitari sanno come affrontare il virus, ma il governo Conte si comporta come se non lo sapessero. «Non ho mai messo in pericolo la sicurezza dello Stato, né la sicurezza dei cittadini italiani», assicura Montesano, che protesta: «Sono indignato: io non posso abbracciare una persona che conosco, non posso darle la mano, e la gente accetta questo passivamente». Altra verità desolante, infatti, la rassegnazione di milioni di italiani.
«Dissentire da tutto questo non è né “di destra” né “di sinistra”, tantomeno “fascista”», insiste Montesano: «Basta, dividere gli italiani: ancora non hanno capito che la divisione non è “destra-sinistra”». La faccenda è serissima, infatti: «La divisione e longitudinale, orizzontale, tra chi sta sopra e chi sotto». Riflessione squisitamente intellettuale, politica, sul vero volto della realtà di oggi: ma perché i colleghi di Montesano continuano a tacere? Possibile che a sciorinare tante verità sia un grande attore di 75 anni, mentre moltissimi altri – giovani e meno giovani – non osano fiatare di fronte allo scempio quotidiano della disinformazione? «Ci sono tanti medici, esperti, da Montagnier alla dottoressa Gatti, a Tarro, a Citro, a Tirelli, che dicono che la mascherina all’aperto è inutile e dannosa», ribadisce Montesano. «E io ho più fiducia in questi professionisti, che non appaiono mai in televisione, piuttosto che nel virologo da Tv». Chiosa Montesano, sarcastico: «Questo posso dirlo, o se lo dico sono “fascio-negazionista”, e ora anche no-mask? Non c’è scampo».
Quanto alla “marcia” indetta da Sara Cunial e dalle associazioni civiche (ribattezzate “negazioniste” dai disinformatori), Montesano spiega: «Ho detto che aderivo alla manifestazione perché concordo con molto dei punti per i quali si svolge». Puntualizza: «Aderire non vuol dire partecipare, e infatti non sarò presente». La spiegazione non tarda: «Non parteciperò perché queste manifestazioni di piazza, che nascono bene e con tutte le migliori intenzioni, poi non si sa come vanno a finire e da chi vengono prese in mano, e io non voglio condividere la mia presenza con gruppi che non mi piacciono». Peraltro, aggiunge, «aderisco anche a molti dei punti che ha enunciato Marco Rizzo del Partito Comunista alla manifestazione ai Santi Apostoli», sempre prevista per il 10 ottobre nella capitale. In sintesi, conclude l’attore, «credo di avere tutto il diritto di esprimere la mia opinione di dissenso su alcune cose». La generosità civile di Montesano è palesemente offerta agli italiani, specie ai “dormienti” che non hanno ancora ben capito cosa stia davvero succedendo, alla loro democrazia.
«C’è modo e modo di imporre divieti», ha detto qualche sera fa in televisione il presidente della Regione Friuli, Massimiliano Fedriga, rispondendo al professor Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano, protagonista di uno scontro polemico con Nicola Porro nella trasmissione “Stasera Italia” condotta da Barbara Palombelli su “Rete 4″. «Anch’io all’inizio dell’emergenza ho firmato ordinanze discutibili», ha ammesso Fedriga, leghista, «ma poi mi sono impegnato affinché lo sforzo di protezione dei cittadini fosse condiviso al massimo, da tutti». Morale: «Se guardate i dati del Friuli, scoprite che siamo tra le Regioni con meno problemi: ma il merito non è mio, è dei fiuliani». Politica, infatti: coinvolgere e spiegare, rinunciando a imporre in modo autoritario. Non si tratta di “negare” nulla, sostiene Fedriga, ma di trattare i cittadini per quello che sono: adulti responsabili, non bambini da spaventare. Verità semplicissima da afferrare (e da applicare), se vivessimo in un paese diverso. Avrebbe un forte impatto, sull’opinione pubblica, se a rilanciarla fossero gli artisti. Tacciono? A maggior ragione si staglia, nella desolazione del silenzio generale, tutto il valore del coraggio civile di Enrico Montesano.
DIRITTI UMANI
Nei mesi scorsi avevamo dato ampio spazio anche sulle nostre pagine all’appello lanciato da più parti – tra gli altri anche dalle Federazioni FISH e LEDHA – per chiedere l’eliminazione di quel passaggio ritenuto potenzialmente discriminatorio , contenuto nel Protocollo fra CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e Governo Italiano del 7 maggio scorso sulla riapertura delle chiese per la celebrazione delle Messe, all’indomani della fase più critica dell’emergenza coronavirus, ove al punto 1.8 si scriveva testualmente «di favorire, per quanto possibile, l’accesso delle persone diversamente abili, prevedendo luoghi appositi per la loro partecipazione alle celebrazioni nel rispetto della normativa vigente».
Come informa ora la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), «quella nostra richiesta è stata raccolta dai deputati Lisa Noja e Marco Di Maio , che il 31 agosto scorso hanno presentato alla Camera un’Interrogazione a risposta scritta, chiedendo quali iniziative intendessero assumere il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Interno, «per porre rimedio alla potenziale discriminazione ai danni delle persone con disabilità a seguito dell’adozione del Protocollo». E, in particolare, se non ritenessero «di assumere le iniziative di competenza, d’intesa con l’altra Parte contraente, volte alla modifica della previsione contenuta nel paragrafo 1.8 del Protocollo stesso».
La risposta del Ministro dell’Interno è arrivata nei giorni scorsi con queste parole: «Il presunto contenuto discriminatorio è stato oggetto di segnalazioni da parte di alcune associazioni rappresentative di persone con disabilità, in riscontro alle quali il Ministero dell’Interno ha già chiarito che la previsione contenuta nel testo del Protocollo è stata orientata non certo a discriminare ma, al contrario, a dimostrare una particolare “sensibilità” nei confronti delle persone con disabilità, prevedendo una specifica attenzione per le loro particolari esigenze e promuovendo pari opportunità, inclusione e partecipazione attiva».
Dal canto suo anche la CEI – che aveva già risposto alle sollecitazioni della LEDHA – aveva dichiarato non esservi « alcuna volontà discriminatoria da parte del Protocollo nei confronti delle persone con disabilità» e che al contrario, l’inserimento del paragrafo avrebbe dimostrato «un’attenzione specifica e particolare per le persone con disabilità».
«Apprezziamo la precisazione sul fatto che il Protocollo, nel passaggio riferito alle persone con disabilità, non aveva alcun intento discriminatorio – commenta Alessandro Manfredi , presidente della LEDHA – e tuttavia siamo insoddisfatti per la mancata volontà di modifica del testo perché quella formulazione si presta a interpretazioni differenti, compresa quella discriminatoria ».
Da parte nostra ci sembra quanto mai opportuno riprendere quanto scritto qualche mese fa su queste stesse pagine da Salvatore Nocera : «Se le motivazioni contenute in queste risposte fossero frutto di “maggiore attenzione” per le persone con disabilità, viene da chiedersi perché il Governo italiano non abbia usato la stessa attenzione per i fedeli di altre Confessioni , nei cui Protocolli, come detto, non compare assolutamente un paragrafo del genere. Da ciò desumo che ritenere per definizione tutte le persone con disabilità vulnerabili al contagio costituisca discriminazione ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, secondo il quale “discriminazione sulla base della disabilità indica qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali”. Ancora più chiara è la Legge 67/06 ( Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni ), ove all’articolo 2, comma 3 si stabilisce che «si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”. Quindi discriminazione è non solo il disprezzo delle persone con disabilità, ma anche il pietismo, il paternalismo e l’eccessivo “custodialismo” » . (S.B.)
Per ulteriori informazioni: ufficiostampa@ledha.it .
FONTE: http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2020/10/9/53779-discriminazione-non-e-solo-disprezzo-ma-anche-eccesso-di/
ECONOMIA
Avevamo la borsa… poi l’abbiamo venduta
Chi sono stati a comprare? I francesi di Euronext insieme a due nuovi investitori italiani che avranno un potere pari a quello dei cugini transalpini: infatti l’8% sarà di CDP e il 2% di Banca San Paolo Intesa

Chi sono stati a comprare? I francesi di Euronext insieme a due nuovi investitori italiani che avranno un potere pari a quello dei cugini transalpini: infatti l’8% sarà di CDP e il 2% di Banca San Paolo Intesa.
C’è chi sostiene che questo è un grande successo io penso invece che sia l’immagine del declino di un Paese come il nostro che non ha un briciolo di politica industriale di lungo periodo.
Ripercorriamo i fatti: avevamo un tempo Borsa Italiana, che abbiamo venduto agli inglesi, i quali l’hanno gestita a quanto pare bene e ci hanno guadagnato un botto di soldi ed ora gli inglesi la rivendono a noi italiani insieme ai nostri cugini francesi.
Ma ormai il Paese è completamente rintontito e quindi nessuno si pone delle domande terra terra: i più dei commentatori finanziari infatti applaudono a questa iniziativa mentre i pochi altri non ne fanno verbo.
È come dire che in Italia 10 anni fa avevamo il parmigiano reggiano ma siccome non sapevamo gestirlo lo abbiamo venduto agli inglesi i quali dopo 10 anni ce lo hanno ritornato a vendere a 3 volte il prezzo iniziale.
Giù applausi a scena aperta!
Evviva l’Italia!
Ma torniamo a parlare di tendenze di mercato che è meglio.
Negli Usa arrivano i dollari!
Si discute infatti di dare ancora panem ed circenses a pioggia per 1.8 miliardi di dollari poco prima delle elezioni e le Borse ringraziano e volano!
Si aggiunga, mi sembra, stando a quelli che ne sanno più di me, anche di un presunto sorpasso di Biden su Trump (non che mi piacciano entrambi per intenderci… poi io francamente ormai da anni sto lontano dalla politica e sono vicino solo al mio portafoglio) e i mercati hanno reagito positivamente.
Wall Street si sta avviando a toccare di nuovo i massimi storici e questo purtroppo avverrà in prossimità delle elezioni Usa e quindi il risultato delle elezioni Usa condizionerà l’immediato futuro.
Detto in termini tecnici avremo un ulteriore futuro massimo storico o un doppio massimo con successivo ritracciamento di mesi se non anni?
Diciamo di nuovo che la pandemia purtroppo aiuta e la scopracciata di rialzo non si fermerà: i titoli FAANG continueranno a macinare utili mentre quelli dell’economia tradizionale seguiranno a ruota anche se con molta calma. Ormai rivedremo un inverno con un pattern consolidato.
Su quali azioni puntare? Tra tutte le azioni italiane segnaliamo Biesse.
Biesse: la semestrale 2020 ha indicato che la società è stata colpita duramente dal Covid con un fatturato in flessione del 25.4% e un Mol che è sceso del 42%. La società tuttavia mostra un profilo patrimoniale e finanziario di tutto rispetto con un cash to debt ratio dello 0.86 e una interest coverage del 9.17. La società ha una lunga storia di redditività a doppia cifra e quindi ci si può attendere un recupero delle quotazioni nonostante già l’esercizio 2019 sia stato chiuso in diminuzione rispetto agli anni passati.
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Come rompere le ginocchia dei sociopatici di Wall Street prima che sia troppo tardi: un nuovo Ferdinand Pecora
Di Matthew Ehret, Canadianpatriot.org
È più che un po’ deprimente considerare l’imminente crollo sistemico che preme immanentemente sul nostro mondo attuale. Dalla fluttuazione del dollaro USA nel 1971, un sistema economico industriale occidentale un tempo orgoglioso e produttivo è stato sempre più spogliato dalla deregolamentazione bancaria, dall’esternalizzazione, dal lavoro a basso costo e dal monetarismo in un culto del post industrialismo che ha distrutto il mondo morale ed economico.
Se l’America e l’ordine occidentale vogliono in qualche modo trovare la loro idoneità morale per sopravvivere e se si vuole evitare una guerra mondiale nel prossimo futuro a breve termine, saranno necessarie alcune riforme bancarie fondamentali. Tra le più importanti di queste riforme ci sarà la suddivisione delle attività bancarie in due categorie in seguito al rinnovo della riforma della banca Glass-Steagall che è stata abrogata da Bill Clinton nel 1999. Queste due categorie includerebbero: 1) spazzatura speculativa e usura illegittima che deve essere “cancellata” in occasione del giubileo del debito e 2) risparmi legittimi e altre utili attività di banca commerciale legate a valori “reali” senza i quali la società non potrebbe sostenersi.
Molti lettori potrebbero immediatamente deridere le mie parole e affermare che una simile riforma sarebbe impossibile in questa fase avanzata di putrefazione e corruzione nella società occidentale, ma io risponderei con la domanda: se ciò fosse così impossibile, allora come è stato fatto già in un tempo di crisi simile solo 87 anni fa in circostanze simili di crisi economica, fascismo e guerra mondiale? In che modo altri movimenti di resistenza nazionale hanno impedito il successo di questo tipo di programma misantropico in passato ?
In questo caso parlo ovviamente della dimenticata Commissione Pecora e di una guerra spesso dimenticata a Wall Street che ha cambiato il corso della storia umana.
Cos’era la Commissione Pecora?
Molti sono consapevoli del crollo economico del 24 ottobre 1929 che ha inaugurato quattro anni di depressione in America (e in gran parte del mondo occidentale). Tuttavia, non molte persone sono consapevoli dell’intensa lotta lanciata dai patrioti di entrambe le parti contro il parassita di Wall Street / Deep State di quell’età che ha impedito sia un colpo di stato fascista contro il neoeletto Franklin Roosevelt, paralizzando anche il comando di Wall Street sulla vita americana. . Nonostante i libri di storia revisionisti imbiancati che hanno contaminato gli ultimi 70 anni, il recupero dell’America dalla depressione non è mai avvenuto senza una lotta per la vita o la morte e questa lotta è stata resa possibile, in larga misura dal coraggioso lavoro di un avvocato italiano di New York. Il nome di quest’uomo era Ferdinand Pecora.
Nel 1932, quando i senatori Peter Norbeck (R-SD) e George Norris (R-NB) guidarono l’istituzione del Comitato per le banche e la valuta degli Stati Uniti , l’economia americana era di sostegno vitale e la gente era così disperata che una dittatura fascista in America sarebbe stata accolta a braccia aperte se solo il pane fosse stato messo in tavola. La disoccupazione aveva raggiunto il 25%, mentre oltre il 40% delle banche era fallita e il 25% della popolazione aveva perso i propri risparmi. Migliaia di tendopoli chiamate “Hoovervilles” erano sparse negli Stati Uniti e oltre il 50% della capacità industriale americana era stata chiusa. Migliaia di fattorie erano state pignorate e i motori dell’industria americana si erano fermati bruscamente.

Dall’altra parte dell’oceano, i regimi fascisti di Germania, Italia e Spagna stavano diventando più potenti di giorno in giorno, alimentati da iniezioni di centinaia di milioni di dollari di capitale da parte dei banchieri di Londra e Wall Street. Notevole tra questi finanzieri filo-fascisti era nientemeno che il patriarca della famiglia Bush Prescott, che ha fornito milioni di prestiti al partito nazista in bancarotta di Hitler nel 1932 (e ha continuato a fare affari con il partito fino al 1942, avendo smesso solo dopo essere stato giudicato colpevole di “commerciare con il nemico”).
Il Comitato per le banche e le valute era un organismo relativamente impotente quando iniziò nel 1932, ma quando il senatore Norbeck chiamò Ferdinand Pecora per guidarlo nell’aprile 1932, tutto iniziò a cambiare. Italo-americano di prima generazione, Pecora è stato costretto a lasciare il liceo dopo che suo padre è stato ferito per mantenere la sua famiglia. Anni dopo, il giovane trovò lavoro come impiegato in uno studio legale e riuscì a farsi strada attraverso la facoltà di giurisprudenza. La sua reputazione ineccepibile gli valse l’animosità di potenti finanzieri di New York che garantirono che con i suoi successi nell’azione penale i broker non sono mai riusciti a raggiungere il procuratore generale, dove si è fatto un nome chiudendo oltre 100 società di brokeraggio illegali che hanno speculato su titoli fraudolenti durante la depressione.
Pochi giorni dopo aver accettato l’incarico di Washington come capo del comitato del Consiglio di Norbeck (per il magro stipendio di $ 250 / mese), a Pecora sono stati concessi ampi poteri di citazione per controllare le banche e trascinare gli uomini più potenti d’America a testimoniare nelle audizioni del comitato.
Nelle sue prime due settimane, Pecora ha fatto notizia controllando i libri delle principali banche di Wall Street e ha richiamato il presidente filo-fascista della National City Charles Mitchell (che si preparava a consigliare Benito Mussolini) a testimoniare. In pochi giorni, la squadra di costosi avvocati difensori di Mitchell non poté fare altro che guardare con disperazione il potente finanziere ammettere di aver venduto allo scoperto le azioni della sua banca durante la depressione, truffando i depositanti con acquisti di debito spazzatura cubano ed evitando le tasse per anni. Mitchell fu costretto a dimettersi per la vergogna, seguito pochi giorni dopo dal presidente della Borsa di New York Dick Whitney, che lasciò il tribunale in manette.
Questo giro di vite sugli abusi di Wall Street fu molto pubblicizzato e puntò i riflettori sugli schemi criminali usati per scommettere con risparmi e depositi di banche commerciali su titoli e mercati a termine che portarono al crollo orchestrato della bolla economica nel 1929 (ironicamente gran parte della bolla costruita durante i “giorni del denaro facile” dei “ruggenti anni ’20” era incentrato sul mercato immobiliare). La repressione di Pecora ha anche dato il tono alla nuova amministrazione Roosevelt.
A differenza della precedente Commissione Pujo del 1911 , che denunciava anche gli abusi di potere di Wall Street, la Commissione Pecora era sostenuta da un presidente che in realtà si preoccupava della Costituzione e ampliò ulteriormente i poteri di Pecora. Quando a FDR è stato detto che sostenere l’esposizione di Pecora dei crimini finanziari avrebbe danneggiato l’economia, il presidente ha notoriamente risposto con “avrebbero dovuto pensarci quando hanno fatto le cose che vengono smascherate ora”. FDR ha dato seguito a quell’avvertimento incoraggiando l’avvocato ad affrontare John Pierpont Morgan Jr.
Piuttosto che controllare un’istituzione americana come molti credevano 70 anni fa e oggi, JP Morgan Jr. stava effettivamente conducendo un’operazione che era stata precedentemente creata a metà del 19 ° secolo come parte di un’infiltrazione britannica in America. Come ha sottolineato lo storico John Hoefle in uno studio EIR del 2009 :
“La House of Morgan è stata, in verità, un’operazione britannica sin dal suo inizio. Nasce come George Peabody & Co., una banca fondata a Londra nel 1851 dall’americano George Peabody. Alcuni anni dopo, un altro americano, Junius S. Morgan, entrò a far parte dell’azienda e alla morte di Peabody l’azienda divenne JS Morgan & Co. Junius Morgan portò suo figlio, J. Pierpont Morgan, a dirigere l’ufficio di New York di JS Morgan , e l’ufficio di New York divenne JP Morgan & Co.Dal suo ruolo originale nell’aiutare gli inglesi a ottenere il controllo delle ferrovie americane, la banca Morgan divenne una forza trainante nella guerra dell’oligarchia contro il sistema americano, usando le profonde tasche dei suoi padroni imperiali per diventare una potenza non solo nella finanza, ma anche nell’acciaio, nelle automobili, nelle ferrovie, nella produzione di elettricità e in altri settori “.
Nel 1933, la House of Morgan divenne un’idra a più teste che controllava servizi di pubblica utilità, holding, banche e innumerevoli altre sussidiarie.

JP Morgan jr. venne chiamato a testimoniare. All’inizio delle domande, l’arrogante banchiere fu colto alla sprovvista dalla prova di Pecora delle segrete “liste di clienti preferiti” di Morgan di politici appartenente al banchiere e che ricevevano offerte di azioni a tassi di sconto. Nominato tra le migliaia di traditori in questa lista, Pecora ha rivelato l’ex presidente Calvin Coolidge, il segretario al Tesoro di Coolidge Andrew Mellon (un sostenitore di Schacht-Hitler dall’inizio), il finanziere Bernard Baruch, il giudice della Corte Suprema Owen Roberts e il controllore del Partito Democratico John Jacob Raskob. Raskob non era solo un importante speculatore, ma era anche il leader dell’American Liberty League che ha tentato ripetutamente di rovesciare FDR tra il 1933 e il 1939 e ha lavorato per alleare l’America con i poteri dell’asse dal 1939 al 1941.
L’ego divino di Morgan è stato ridotto al livello dei mortali quando il banchiere agitato è stato in grado di rispondere ripetutamente “Non ricordo” quando gli è stato chiesto se avesse pagato le tasse negli ultimi 5 anni. Come si è scoperto, alla fine del processo, è stato rivelato che NESSUNA delle sussidiarie della House of Morgan ha pagato le tasse durante l’intero periodo della depressione e sono state sorprese a giocare con i beni dei depositanti da conti commerciali. Queste rivelazioni non andavano bene con una popolazione che muore di fame per le strade d’America.
Simili manifestazioni di corruzione sono state fatte dai capi di Kohn Loeb, Chase Bank, Brown Brothers Harriman e altri.
Di fronte a queste rivelazioni, la rivista The Nation ha notoriamente riportato: “Se arraffi $ 25, sei un ladro. Se rubi $ 250.000, sei un malfattore. Se rubi 2,5 milioni di dollari, sei un finanziere. “
L’alleato di Pecora, il senatore Burton Wheeler, ha affermato che “il modo migliore per ripristinare la fiducia nelle nostre banche è portare questi presidenti corrotti fuori dalle banche e trattarli come abbiamo trattato Al Capone”.
FDR prosciuga la palude
Con la luce proiettata saldamente sulle ombre oscure in cui risiedono creature vili come JP Morgan e altri gremlin finanziari, la popolazione è stata finalmente in grado di iniziare a dare un senso a quali ingiustizie si sono verificate durante gli anni della disperazione post-1929. Anche se non tutti i banchieri sono andati in prigione come avrebbero voluto Wheeler o Pecora, sono stati fatti esempi di dozzine che lo hanno fatto e molti altri la cui carriera è stata vergognosamente conclusa. Soprattutto, tuttavia, questa esposizione diede a Franklin Roosevelt il supporto necessario per prosciugare la palude e imporre riforme radicali alle rive.
Nei primi cento giorni, FDR è stata in grado di:
1) Imporre la separazione bancaria Glass-Steagall (costringendo le banche di Wall Street a smantellare le loro funzioni e impedire agli speculatori di giocare d’azzardo con asset produttivi)
2) Creare la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) che protegge i risparmi dei cittadini da crisi future
3) Creare la Securities Exchange Commission per sorvegliare le attività di Wall Street e sul cui corpo Pecora fu nominato commissario nel 1934.
4) Liberare un ampio credito attraverso la Reconstruction Finance Corporation (RFC) che ha agito come banca nazionale aggirando la Federal Reserve privata, incanalando $ 33 miliardi nell’economia reale entro il 1945 (più di tutte le banche commerciali private messe insieme)
5) Imporre tariffe protettive su agricoltura, metalli e beni industriali per fermare il dumping di prodotti economici in America e ricostruire l’economia fisica americana
6) Creare vaste opere pubbliche, come la Tennessee Valley Authority, le dighe di Grand Coulee, le dighe di Hoover, lo sviluppo di St Laurence e innumerevoli altri progetti, ospedali, scuole, ponti, strade e ferrovie sotto il New Deal. Sfortunatamente, Roosevelt morì prima che questa nuova forma di economia politica potesse essere internazionalizzata all’estero negli anni del dopoguerra come programma anticoloniale.
Un bellissimo profilo della lotta di FDR è mostrato nel film del 2008 “1932: Non parlare di parti ma di principi universali” .
FONTE: https://comedonchisciotte.org/come-rompere-le-ginocchia-dei-sociopatici-di-wall-street-prima-che-sia-troppo-tardi-un-nuovo-ferdinand-pecora/
GIUSTIZIA E NORME
Avevamo già dato notizia di questa iniziativa, patrocinata da alcuni legali tedeschi. Si tratta della possibilità, per ora purtroppo solo teorica e solo per i cittadini tedeschi, di aderire ad una class action nei confronti del governo tedesco e di alcune personalità del mondo scientifico per ottenere un risarcimento dei danni causati da un lockdown imposto sulla base di dati falsi e volutamente manipolati. I danni che la falsa narrativa della pandemia ha inflitto al mondo sono talmente vasti che i responsabili raddoppieranno le misure da stato di polizia per impedire qualsiasi azione legale contro di loro. Non possono permettersi di accettare alcuna responsabilità. Lo scenario più probabile è che i media mainstream continuino ad essere loro complici e tengano tutto sotto silenzio, Guardate il video, prima che venga fatto sparire. Sotto c’è la trascrizione completa e tradotta.
VIDEO QUI: https://youtu.be/kr04gHbP5MQ
Salve, sono Reiner Fuellmich e da 26 anni sono iscritto all’Ordine degli Avvocati in Germania e in California. Ho praticato legge principalmente come avvocato penalista contro società fraudolente, come Deutsche Bank, un tempo una delle banche più grandi e rispettate del mondo, oggi una delle organizzazioni criminali più tossiche del pianeta, VW una delle più grandi e più rispettate case automobilistiche, oggi famosa per la sua gigantesca frode sul diesel e Kuna, la più grande compagnia di navigazione del mondo. Abbiamo intentato cause multimilionarie in base ad accuse di corruzione.
Dal 10 luglio 2020 sono anche uno dei quattro membri del comitato investigativo tedesco sul coronavirus. Questo comitato ha ascoltato un gran numero di testimonianze di scienziati ed esperti internazionali per trovare risposte alle domande sulla crisi dovuta al coronavirus, domande che sempre più persone nel mondo stanno ponendo.
Tutti i suddetti casi di corruzione e frode commessi dalle multinazionali tedesche impallidiscono rispetto all’entità dei danni che la crisi da coronavirus ha causato e continua tuttora a provocare. Questa crisi da coronavirus, secondo quanto sappiamo oggi, dovrebbe essere ribattezzata lo scandalo da coronavirus e i responsabili perseguiti penalmente e citati in giudizio per danni civili a livello politico. Bisogna fare di tutto per assicurarsi che nessuno si trovi mai più in una posizione di potere tale da poter frodare l’umanità o tentare di manipolarci con i suoi loschi programmi e, per questo motivo, ora vi spiegherò come e dove una rete internazionale di avvocati patrocinerà il più grande caso di responsabilità civile di tutti i tempi, lo scandalo-truffa del coronavirus che, nel frattempo, si è probabilmente trasformato nel più grande crimine mai commesso contro l’umanità.
I crimini contro l’umanità erano stati definiti per la prima volta nel corso dei processi di Norimberga, dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando erano stati processati i principali criminali di guerra del Terzo Reich. I crimini contro l’umanità sono oggi regolamentati nella sezione 7 del codice penale internazionale. Le tre principali domande a cui rispondere nel contesto di un approccio giudiziario allo scandalo coronavirus sono:
1) Esiste una pandemia da coronavirus o c’è solo una pandemia di test PCR? In particolare, un risultato positivo del test PCR significa che la persona testata è infetta da Covid 19 o non significa assolutamente nulla in relazione all’infezione da Covid 19?
2) Le cosiddette misure anti-coronavirus, come i blocchi, le mascherine obbligatorie, le regole di distanziamento sociale e di quarantena servono veramente a proteggere la popolazione mondiale dal coronavirus? O queste misure servono solo ad incutere paura alla gente, in modo che le persone credano, senza porsi alcuna domanda, che le loro vite sono in pericolo, così che, alla fine, le industrie farmaceutiche e tecnologiche possano incamerare enormi profitti dalla vendita di test PCR, test a base di antigeni e anticorpi, vaccini e magari anche dalla raccolta delle nostre impronte genetiche?
3) È vero che il governo tedesco ha subito massicce pressioni, più di ogni altro paese, dai principali protagonisti di questa cosiddetta pandemia da coronavirus? In particolare dal signor Drosten, virologo al Charity Hospital di Berlino, dal signor Wieler, veterinario e capo del RKI, l’equivalente tedesco del CDC, e dal signor Tedros Adhanom, capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, magari perché la Germania è conosciuta come un paese particolarmente disciplinato e doveva quindi diventare un modello per il resto del mondo, vista la sua severa, e ovviamente totale, aderenza alle misure anti-coronavirus.
Le risposte a queste tre domande sono urgenti, perché questo cosiddetto nuovo e assai pericoloso coronavirus non ha causato alcun eccesso di mortalità in nessuna parte del mondo, e certamente non qui in Germania, ma le misure anti-coronavirus, le cui uniche basi sono i risultati dei test PCR, a loro volta basati sul Drosten test tedesco, hanno nel frattempo causato la perdita di moltissime vite umane e hanno distrutto l’economia di innumerevoli aziende e individui in tutto il mondo. In Australia, ad esempio, le persone vengono gettate in prigione se non indossano una mascherina o se non la indossano nel modo voluto dalle autorità. Nelle Filippine, le persone che non indossano la mascherina o che non la indossano correttamente corrono il rischio di prendersi una revolverata in testa.
Permettetemi innanzitutto di fornirvi una sintesi dei fatti così come li conosciamo oggi.
La cosa più importante in una causa legale è stabilire i fatti per scoprire cosa è realmente accaduto, questo perché l’applicazione della legge dipende sempre dai fatti in questione. Se voglio perseguire qualcuno per frode, non posso farlo presentando i fatti di un incidente stradale. Quindi, per quanto riguarda la presunta pandemia da coronavirus, i fatti esposti qui di seguito sono in larga misura il risultato del lavoro del comitato investigativo sul coronavirus. Questo comitato è stato fondato il 10 luglio da quattro avvocati al fine di determinare, ascoltando le testimonianze di scienziati internazionali e altri esperti:
1) quanto è veramente pericoloso il virus,
2) qual’è il significato di un test PCR positivo,
3) quali danni collaterali sono stati causati dalle misure anti-coronavirus, sia rispetto alla salute della popolazione mondiale che nei confronti dell’economia mondiale.
Vorrei iniziare con qualche informazione di base su ciò che era successo nel maggio 2019 e poi all’inizio del 2020 e infine sull’influenza suina di dodici anni fa, di cui molti di voi potrebbero non avere più il ricordo.
Nel maggio del 2019, il più forte dei due partiti che governano la Germania in una grande coalizione, la CDU, aveva tenuto un congresso sulla salute globale, apparentemente su istigazione di importanti attori dell’industria farmaceutica e tecnologica. A questo congresso, i soliti sospetti, come si potrebbe dire, avevano tenuto i loro discorsi. C’era Angela Merkel e il Segretario alla Sanità tedesco, Jens Spahn, ma c’erano anche altre persone che non ci si aspetterebbe necessariamente di vedere in un simile incontro: il professor Drosten, virologo del Charity Hospital di Berlino, il professor Wieler, veterinario e capo dell’RKI, l’equivalente tedesco del CDC, nonché il filosofo Tedros Adhanom, il capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Tutti avevano parlato. Erano presenti e avevano tenuto discorsi anche i principali lobbisti dei due maggiori fondi sanitari del mondo, vale a dire la Bill and Melinda Gates Foundation e il Wellcome Trust. Meno di un anno dopo, queste stesse persone avevano dettato legge nella proclamazione della pandemia mondiale da coronavirus, si erano assicurati che i test PCR fossero usati a livello di massa per dimostrare le infezioni da Covid 19 in tutto il mondo ed ora stanno spingendo affinché vengano inventati e venduti in tutto il mondo i vaccini per il Covid-19. Queste infezioni, o meglio i risultati positivi dei test PCR, sono, a loro volta, diventati la giustificazione per i blocchi mondiali, il distanziamento sociale e le mascherine obbligatorie.
È importante notare a questo punto che la definizione di pandemia era stata modificata dodici anni fa. Fino ad allora una pandemia era considerata una malattia che si diffondeva in tutto il mondo e causava molte patologia gravi e parecchi decessi. All’improvviso e, per ragioni mai spiegate, di tutte queste caratteristiche ne era rimasta una sola, la diffusione a livello mondiale, le patologie gravi e numerose, così come i numerosi decessi, non erano più necessarie per definire una pandemia.
A causa di questo cambiamento, l’OMS, che è strettamente collegato all’industria farmaceutica globale, era stato in grado di dichiarare una pandemia l’influenza suina del 2009, con il risultato che erano stati prodotti e venduti vaccini in tutto il mondo. Sulla base di contratti tenuti segreti fino ad oggi, questi vaccini si erano dimostrati del tutto inutili, perché l’influenza suina, alla fine, si era rivelata una forma abbastanza blanda della comune influenza e non era mai diventata l’orrenda piaga che l’industria farmaceutica e le università ad essa affiliate avevano prefigurato, con milioni di morti dati per certi, se la gente non si fosse vaccinata. Quei vaccini avevano però avuto gravi effetti collaterali: circa 700 bambini in Europa si erano ammalati di narcolessia ed erano rimasti disabili a vita. I vaccini acquistati con i milioni dei contribuenti avevano dovuto essere distrutti già nel corso dell’influenza suina, sempre a spese dei contribuenti. Il virologo tedesco Drosten era stato uno di quelli che avevano suscitato il panico nella popolazione, ripetendo più e più volte che l’influenza suina avrebbe causato molte centinaia di migliaia, persino milioni, di morti in tutto il mondo.
Alla fine, era stato soprattutto grazie al dottor Wolfgang Wodark e ai suoi sforzi come membro del Bundestag e del Consiglio d’Europa se questa bufala era stata smascherata prima che potesse avere conseguenze ancora più gravi.
Arriviamo a marzo 2020, quando il Bundestag aveva annunciato una crisi epidemica di importanza nazionale, l’equivalente tedesco di una pandemia, e su questa aveva basato la sua politica del lockdown, con la sospensione di tutti i diritti costituzionali essenziali. Per un tempo imprevedibile c’era stata un’unica opinione su cui il governo federale tedesco aveva basato la sua decisione, in una oltraggiosa violazione del principio universalmente accettato di “audiator et altera pars,” ascoltare anche l’altra versione dei fatti. L’unica persona che avevano ascoltato era stato il sig. Drosten, la stessa persona la cui orribile e terrificante prognosi si era rivelata catastroficamente falsa dodici anni prima. Lo sappiamo perché un informatore, di nome David Sieber, membro del Partito dei Verdi, ce lo ha detto il 29 agosto 2020, a Berlino, nel contesto di un evento in cui aveva partecipato insieme a Robert Kennedy jr. e lo ha ripetuto anche in seguito in una delle sessioni del nostro comitato sul coronavirus.
Il motivo dell’iniziativa del sig. Sieber è che era diventato sempre più scettico riguardo alla narrativa ufficiale portata avanti dai politici e dai media mainstream. Si era quindi impegnato per scoprire le opinioni di altri scienziati e le aveva trovate su Internet. Si era reso conto dell’esistenza di un certo numero di scienziati abbastanza famosi che avevano un’opinione completamente diversa e che contraddiceva l’orribile prognosi del sig. Drosten. Questi studiosi presumevano, e sono ancora di questo parere, che non vi sia stata alcuna malattia che sia andata oltre la gravità di un’influenza stagionale, che la popolazione avesse già acquisito l’immunità crociata o da linfociti-T contro questo cosiddetto nuovo virus e che non vi fosse quindi alcun motivo per misure speciali e, certamente, non per vaccinazioni [probabilmente obbligatorie].
Questi scienziati includevano uno specialista in statistica ed epidemiologia e sanità pubblica il professor John Ioannidis, della Stanford University, California, e, allo stesso tempo, alcuni fra gli scienziati più noti al mondo, il professor Michael Levitt, vincitore del Premio Nobel per la chimica e biofisico alla Stanford University, i professori tedeschi Karin Moelling, Sucharit Bhakdi, Knut Witkowski e Stefan Homburg ed ora anche molti altri scienziati e medici di tutto il mondo, tra cui il dott. Mike Yeadon. Il dottor Mike Yeadon è l’ex vice presidente e direttore scientifico di Pfizer, una delle più grandi società farmaceutiche del mondo. Parlerò ancora di lui in seguito.
Alla fine di marzo, inizio aprile 2020, David Sieber si era rivolto alla leadership del Partito dei Verdi con le conoscenze che aveva accumulato e aveva suggerito di presentare al pubblico queste opinioni scientifiche alternative e di spiegare che, contrariamente alle profezie da giorno del giudizio del sig Drosten, non c’era motivo per il pubblico di farsi prendere dal panico. Per inciso, Lord Sumption, che aveva servito come giudice alla Corte Suprema Britannica dal 2012 al 2018, aveva fatto la stessa cosa nello stesso momento ed era giunto alla conclusione che non c’erano basi concrete per scatenare il panico e nessuna giustificazione giuridica per le misure anti-coronavirus. Allo stesso modo, l’ex presidente della corte costituzionale federale tedesca aveva espresso, anche se con maggiore cautela, seri dubbi sulla costituzionalità delle misure anti-coronavirus.
Invece di prendere nota di queste opinioni alternative e discuterle con il sig. Sieber, la leadership del Partito dei Verdi aveva dichiarato che i terrificanti messaggi del sig. Drosten erano assolutamente validi per il Partito dei Verdi tedesco. Ricordate, non sono membri della coalizione di governo, sono all’opposizione, eppure questi messaggi erano stati sufficienti per loro, così come lo erano stati per il governo federale, che li aveva utilizzati come pretesto per la sua decisione di imporre il blocco. Successivamente, la leadership del partito dei Verdi aveva definito David Sieber un teorico della cospirazione, senza aver mai preso in considerazione il contenuto delle sue informazioni, e lo aveva privato dei suoi mandati.
Ora, diamo uno sguardo alla situazione attuale per quanto riguarda la pericolosità del virus, la completa inutilità dei test PCR per la rilevazione delle infezioni e i lockdown basati su infezioni inesistenti. Nel frattempo, sappiamo che i sistemi sanitari non hanno mai rischiato di essere travolti dal Covid 19, anzi, molti ospedali rimangono ancora oggi vuoti e alcuni sono addirittura in bancarotta. La nave ospedale “Comfort,” che, all’epoca, era ancorata a New York e che avrebbe potuto ospitare un migliaio di pazienti, non ha mai avuto a bordo più di una ventina di casi. Non c’è stato alcun eccesso di mortalità. Gli studi condotti dalla professoressa Juanitas e da altri hanno dimostrato che la mortalità da coronavirus è equivalente a quella di un’influenza stagionale. Anche le situazioni di Bergamo e di New York, che erano servite per dimostrare al mondo che il panico era giuistificato, si sono rivelate volutamente fuorvianti.
Poi era trapelato quello che era stato denominato il “Panic Paper,” redatto dal Ministero degli Interni tedesco. Il suo contenuto riservato mostra senza ombra di dubbio che, in effetti, la popolazione è stata deliberatamente spinta al panico dai politici e dai media tradizionali. Le irresponsabili dichiarazioni del capo della RKI (il CDC tedesco), il sig Wieler, che aveva più volte entusiasticamente annunciato che le misure anti-coronavirus dovevano essere seguite dalla popolazione incondizionatamente e senza porsi alcuna domanda, dimostrano che aveva seguito il copione alla lettera. Nelle sue dichiarazioni pubbliche aveva continuato a dire che la situazione era molto grave e minacciosa, sebbene le cifre compilate dal suo stesso istituto dimostrassero l’esatto contrario. Tra le altre cose, secondo il Panic Paper i bambini avrebbero dovuto essere responsabilizzati “per la morte dolorosa e atroce dei loro genitori e dei loro nonni, se non avessero seguito le regole anti-coronavirus,” se cioè non si fossero costantemente lavati le mani e non avessero mantenuto le distanza dai nonni.
Una precisazione: a Bergamo la stragrande maggioranza dei decessi, per l’esattezza il 94%, si era visto essere dovuta non tanto al Covid 19, quanto alla decisione governativa di trasferire i pazienti, malati, probabilmente di raffreddore o di influenza stagionale, dagli ospedali alle case di cura per fare posto negli ospedali ai pazienti affetti da Covid, pazienti che alla fine, non erano mai arrivati. Nelle case di cura i pazienti appena trasferiti avevano poi infettato gli anziani con un sistema immunitario gravemente indebolito, di solito a causa di condizioni mediche preesistenti. Inoltre, una precedente vaccinazione antinfluenzale avrebbe ulteriormente indebolito il sistema immunitario dei degenti nelle case di cura.
A New York, solo alcuni ospedali, ma di certo non tutti, erano arrivati al massimo della capienza. Molte persone, la maggior parte anziane e con gravi condizioni mediche preesistenti e di cui la stragrande maggioranza, se non fosse stato per il panico, sarebbe semplicemente rimasta a casa per riprendersi, si erano precipitate negli ospedali. Lì, molti di loro erano stati vittime di infezioni nosocomiali o anche di casi di negligenza, ad esempio essere intubati e attaccati ad un respiratore anziché ricevere ossigeno attraverso una normale maschera.
Sempre per chiarezza sul Covid 19, questo è attualmente lo stato delle cose: è una malattia pericolosa, proprio come lo è l’influenza stagionale e, naturalmente, il Covid 19, proprio come l’influenza stagionale, a volte può avere un decorso clinico grave e talvolta uccide i pazienti. Tuttavia, come hanno dimostrato le autopsie, in particolare quelle eseguite in Germania da uno scienziato forense, il professor Klaus Puskel di Amburgo, le morti erano state quasi tutte causate da gravi condizioni preesistenti e quasi tutti i deceduti avevano un’età molto avanzata; proprio come in Italia, erano andati oltre la loro aspettativa di vita media.
In questo contesto, va anche menzionato quanto segue, l’RKI tedesco, l’equivalente del CDC americano, inizialmente aveva stranamente raccomandato di non eseguire autopsie e ci sono numerosi rapporti credibili che medici e ospedali in tutto il mondo siano stati pagati per dichiarare i propri deceduti vittime del Covid 19, invece di scrivere sul certificato la vera causa di morte, ad esempio infarto o ferite da arma da fuoco. Senza le autopsie non avremmo mai saputo che la stragrande maggioranza delle presunte vittime del Covid 19 era morta di malattie completamente diverse, ma non di Covid 19. L’affermazione che il lockdown sarebbe stato necessario perché c’erano così tante infezioni diverse dalla Sars-Cov2 e perché i sistemi sanitari sarebbero stati sopraffatti è sbagliata per tutta una serie di ragioni.
Come abbiamo appreso dalle audizioni che abbiamo condotto con il comitato sul coronavirus e da altri dati che si sono resi disponibili nel frattempo, il blocco era stato imposto quando il virus si stava già affievolendo. Quando era stato imposto il blocco, i presunti tassi di infezione erano già in diminuzione. Nella popolazione generale esiste anche un’immunità da linfociti-T contro i coronavirus presenti in ogni influenza o ondata di influenza, questa è la normalità. Anche se in questa occasione era all’opera un ceppo leggermente diverso di coronavirus, il nostro sistema immunitario ricorda tutti i virus con cui ha combattuto in passato e da questa esperienza è in grado di riconoscere anche un presunto nuovo, ma ancora simile, ceppo di virus della famiglia dei coronavirus.
Per inciso, è così che il test PCR per il rilevamento delle infezioni era stato inventato dall’ormai famigerato professor Drosten all’inizio di gennaio 2020. Sulla base di queste conoscenze di base, il sig. Drosten aveva sviluppato il suo test PCR, presumibilmente in grado di rilevare un’infezione da Sars-Cov2. Senza aver mai visto il vero virus cinese di Wuhan e avendo saputo dai resoconti dei social media che stava succedendo qualcosa a Wuhan, aveva iniziato ad armeggiare sul suo computer per preparare quello che sarebbe poi diventato il suo test PCR per il coronavirus. Per far ciò aveva usato un vecchio virus Sars, sperando che fosse sufficientemente simile al presunto nuovo ceppo di coronavirus scoperto a Wuhan, poi aveva inviato il risultato dei suoi armeggiamenti al computer in Cina, per determinare se le vittime del presunto nuovo coronavirus risultassero positive al test. Lo erano state e questo era bastato all’Organizzazione Mondiale della Sanità per lanciare l’allarme pandemico e raccomandare l’uso mondiale del test PCR di Drosten per la rilevazione delle infezioni dovute a questo nuovo virus, ora denominato Sars-Cov2.
L’opinione e il consiglio di Drosten erano stati, e questo va sottolineato ancora una volta, l’unica fonte per il governo tedesco quando aveva deciso il blocco, le regole per il distanziamento sociale e l’obbligo di indossare le mascherine e la Germania, a quanto pare, è diventata un centro di pressioni particolarmente intense da parte dell’industria farmaceutica e tecnologica, perché il mondo, vista la presunta disciplina che caratterizza il popolo tedesco, per sopravvivere alla pandemia dovrebbe fare esattamente come fanno i Tedeschi. La parte più importante della nostra indagine è il fatto che il test PCR viene utilizzato sulla base di false dichiarazioni, non di prove scientifiche che abbiano attinenza con le infezioni.
Nel frattempo, abbiamo appreso che questi test PCR, contrariamente alle affermazioni dei sig. Drosten, Wieler e dell’OMS, non sono affatto indicativi di un’infezione virale in corso, figuriamoci poi di un’infezione da Sars-Cov2. C’è poi da notare che, non solo i test PCR non sono espressamente approvati per scopi diagnostici, come è correttamente scritto sui foglietti illustrativi che li accompagnano, ma, come ha più volte sottolineato l’inventore del test PCR, Kary Mullis, questi test, semplicemente, non sono in grado di diagnosticare alcuna malattia.
Ciò è contrario alle affermazioni fatte da Drosten, Wieler e dall’OMS dopo la proclamazione della pandemia. Un risultato positivo del test PCR non significa che sia presente un’infezione, se qualcuno risulta positivo non significa che sia infetto da qualcosa, figuriamoci poi dal contagioso virus della Sars-Cov2. Anche il CDC statunitense è d’accordo, come si può leggere a pagina 38 di una sua pubblicazione sul coronavirus e sul test PCR, datata 13 luglio 2020:
1) Il rilevamento di rna virale potrebbe non indicare la presenza di virus infettivi o che Sars Covid 2019 è l’agente eziologico causa dei sintomi clinici.
2) Le caratteristiche di questo test non sono state previste per monitorare il trattamento dell’infezione da Sars Covid 2019.
3) Questo test non può escludere malattie causate da altri patogeni batterici o virali.
Non è ancora chiaro se vi sia mai stato un isolamento, scientificamente valido, del virus Wuhan, per cui nessuno sa esattamente cosa stiamo cercando quando facciamo il test, soprattutto perché questo virus, proprio come i virus influenzali, muta rapidamente. I tamponi per la PCR richiedono una o due sequenze molecolari invisibili all’occhio umano e che quindi devono essere amplificate molte volte per essere identificate. Un’amplificazione di 35 volte è, come riportato dal New York Times e da altri, considerata completamente inaffidabile e scientificamente inattendibile. Tuttavia, il test di Drosten, così come i test raccomandati dall’OMS che ne seguono l’esempio, sono impostati su 45 cicli di amplificazione.
Può una cosa del genere essere dovuta al desiderio di produrre il maggior numero possibile di risultati positivi e quindi fornire la base per il falso presupposto che sia stato rilevato un gran numero di infezioni? Il test non è in grado di distinguere la materia inattiva da quella in grado di riprodursi, il che significa che può verificarsi un risultato positivo perché il test rileva, ad esempio, un frammento di un detrito o di una molecola, indicativo unicamente del fatto che il sistema immunitario della persona testata ha vinto, in passato, una battaglia contro il comune raffreddore.
Nel 2014, anche lo stesso Drosten aveva dichiarato ad una rivista economica tedesca, in un’intervista sulle possibilità di rilevare un’infezione da virus MERS con l’aiuto del test PCR, che il test PCR è talmente sensibile che anche persone sanissime e non infettive possono risultare positive. All’epoca si era anche reso conto del potente ruolo svolto dai media nel seminare il panico e la paura. In quell’intervista aveva affermato: “se, per esempio, un qualche agente patogeno è presente sulla mucosa nasale di un’infermiera per almeno un giorno, senza che lei si ammali o si accorga di nulla, allora, di colpo, diventa un caso di MERS; questo potrebbe anche spiegare l’esplosione nel numero dei casi in Arabia Saudita, inoltre i media hanno dato a questo fatto un risalto incredibile.” Questo lo ha dimenticato o lo sta deliberatamente nascondendo nel contesto della narrativa sul coronavirus, perché il coronavirus è un’opportunità di business molto redditizia per il settore farmaceutico, nel suo complesso, e anche per il signor Lund, suo coautore in molti studi, nonchè produttore di test PCR.
A mio avviso, è del tutto inverosimile che nel 2020 il sig.Drosten abbia dimenticato quello che sapeva sui test PCR e che aveva già detto in un’intervista nel 2014, cioè che questo test non è in grado di rilevare alcuna infezione. Contrariamente a tutte le false affermazioni che dicono il contrario, per avere un’infezione, una cosiddetta infezione acuta, non basta che il virus, o meglio un frammento che potrebbe anche provenire da un virus, venga rilevato in qualche sede, ad esempio in gola, senza sintomi visibili, perché allora sarebbe un’infezione ‘fredda’. Un’infezione acuta richiede che il virus penetri nelle cellule, si replichi e provochi sintomi, come mal di testa o mal di gola e, solo allora, una persona è da considerarsi veramente infetta, nel senso di infezione acuta e, solo allora, è contagiosa. Fino a quel momento, il virus è completamente innocuo sia per l’ospite che per tutte le persone con cui l’ospite entra in contatto.
Ancora una volta, questo significa che i risultati positivi dei test, contrariamente a tutte le affermazioni di Drosten, Wieler o dell’OMS, non hanno alcun rapporto rispetto alle infezioni e questo lo sa anche il CDC, come riportato sopra. Nel frattempo, in tutto il mondo numerosi scienziati altamente rispettati iniziano a pensare che non ci sia mai stata una pandemia da coronavirus, ma solo una pandemia da test PCR. Questa è la conclusione raggiunta da molti scienziati tedeschi, come i professori Bhakdi, Rice, Milling, Hockerts, Wallach e da molti altri, tra cui il già citato professor John Ioannidis e da un Premio Nobel, il professor Michael Levitt della Stanford University. L’opinione più recente è quella del già citato dr. Mike Yeadon, ex vice presidente e responsabile scientifico di Pfizer, posizione che ha ricoperto per 16 anni.
Insieme ad altri coautori, tutti noti scienziati, l’ha espressa un articolo scientifico pubblicato nel settembre 2020. In esso, tra le altre cose, gli autori affermano:
“Stiamo basando la nostra politica di governo, la nostra politica economica e la politica di limitazione dei diritti fondamentali presumibilmente su dati e ipotesi completamente sbagliati sul coronavirus. Se non fosse per i risultati dei test che vengono costantemente riportati dai media, la pandemia sarebbe già finita, perché non è successo niente. Certo, si sono verificati alcuni gravi casi individuali di malattia, ma ce ne sono in ogni epidemia di influenza. C’è stata una vera ondata di patologie a marzo e ad aprile ma, da allora, tutto è tornato alla normalità, solo i risultati positivi salgono e scendono senza sosta, ancora e ancora, a seconda di quanti esami vengono effettuati, ma i casi reali della malattia sono terminati.
Non si può parlare di una seconda ondata dovuta ad un presunto nuovo ceppo del coronavirus,” continua il dottor Yeadon, “l’unica novità è che si tratta di un nuovo tipo del virus corona noto da tempo. Ci sono almeno quattro coronavirus endemici che causano alcuni dei comuni raffreddori di nostra conoscenza, soprattutto in inverno. Hanno tutti una sequenza che somiglia in modo sorprendente a quella del coronavirus e, dal momento che il sistema immunitario umano riconosce la somiglianza con questo virus scoperto di recente, questo significa che l’immunità da linfociti-T esiste già da tempo. A questo proposito, il 30% della popolazione aveva questa immunità anche prima che apparisse il presunto nuovo virus. Pertanto, per la cosiddetta immunità di gregge e per arrestare l’ulteriore diffusione del virus, è sufficiente che dal 15 al 25% della popolazione sia infettata da questo presunto nuovo coronavirus e questo è quanto è successo.”
Per quanto riguarda tutti i più importanti test PCR, Yeadon scrive in un articolo intitolato “Bugie, dannate bugie e statistiche sanitarie, il pericolo mortale dei falsi positivi,” datato 20 settembre 2020: “La probabilità che un caso apparentemente positivo sia un falso positivo è, più o meno, tra l’89 e il 94%.” Il dr. Yeadon, in accordo con i professori di immunologia Camara dalla Germania, Capel dai Paesi Bassi e Cahill dall’Irlanda, nonché con un microbiologo, il dott. Arve, dall’Austria, che hanno tutti testimoniato davanti al comitato tedesco sul coronavirus, sottolinea esplicitamente che un test positivo non significa che sia stato trovato un virus intatto. Gli autori spiegano che ciò che il test PCR misura effettivamente è “semplicemente la presenza di sequenze parziali di rna presenti nel virus intatto, che potrebbero essere frammenti di virus morti, non in grado di infettare il soggetto, non trasmissibili e non pericolosi per altre persone.”
A causa della totale inadeguatezza di questo test per l’individuazione delle malattie infettive, che ha dato risultati positivi anche con capre, pecore, papaia e persino con ali di pollo, il professore di Oxford, Carl Henegan, direttore del centro per la medicina basata sull’evidenza, scrive che il Covid non scomparirebbe mai se si dovesse continuare ad utilizzare questo tipo di test, ma sarebbe sempre falsamente rilevato in gran parte di ciò che viene testato. I blocchi, come hanno scoperto Yeadon e i suoi colleghi, non funzionano. La Svezia, con il suo approccio laissez-faire e la Gran Bretagna, con il suo lockdown rigoroso, ad esempio, hanno statistiche di patologia e di mortalità assolutamente comparabili. La stessa cosa è stata rilevata da scienziati americani riguardo ai diversi stati della confederazione statunitense. Non fa differenza per l’incidenza della malattia se uno stato implementa il blocco o no. Per quanto riguarda l’ormai famigerato professore dell’Imperial College di Londra, Neil Ferguson, e il suo modello informatico completamente falso che parlava di milioni di morti, Yeadon afferma con disprezzo sottilmente velato che “nessuno scienziato serio dà alcuna validità al modello Ferguson,” e che “è importante sapere che la maggior parte degli scienziati non accetta il fatto che il modello Ferguson sia anche solo parzialmente corretto, ma il governo è ancora legato a quel modello.”
Ferguson aveva previsto 40.000 morti da coronavirus in Svezia entro maggio e 100.000 entro giugno, ma ci si è fermati a 5.800, cifra che, secondo le autorità svedesi, equivale a quella di una lieve influenza. Se i test PCR non fossero stati utilizzati come strumento diagnostico per le infezioni da coronavirus non ci sarebbe stata una pandemia e non ci sarebbero stati i blocchi e tutto sarebbe stato percepito solo come un’ondata di influenza media o leggera, concludono questi scienziati. Il dottor Yeadon scrive nel suo già citato articolo: “questo test è assolutamente difettoso e deve essere subito ritirato e mai più utilizzato in questo contesto, a meno che non si dimostri una sua rettifica” e, verso la fine dell’articolo, “ho spiegato come un test diagnostico di scarse prestazioni sia stato utilizzato, e continui ad esserlo, non per la diagnosi della malattia ma, a quanto pare, solo per creare paura.”
Ora, diamo uno sguardo alla situazione attuale per quanto riguarda i gravi danni causati dai blocchi e dalle altre misure. Un altro documento dettagliato, scritto da un funzionario tedesco del Ministero degli Interni responsabile della valutazione dei rischi e della protezione della popolazione dai rischi, è trapelato di recente ed è stato soprannominato il “documento dei falsi allarmi.” Questo documento giunge alla conclusione che non c’erano e non ci sono prove sufficienti di gravi rischi per la salute a carico popolazione, come affermato da Drosten, Wieler e dall’OMS e l’autore afferma che esistono molte prove che le misure anti-coronavirus hanno causato enormi danni all’economia e alla salute della popolazione, danni che poi descrive in dettaglio nell’articolo, concludendo infine che tutto questo porterà a richieste molto elevate di risarcimento danni, di cui il governo sarà ritenuto responsabile.
Tutto questo ora è diventato realtà, ma l’autore dell’articolo è stato sospeso. Sempre più scienziati, ma anche avvocati, riconoscono che, come risultato del deliberato allarmismo e delle misure restrittive per il coronavirus rese più facili da tutto questo panico, la democrazia corre il grave pericolo di essere sostituita da modelli totalitari fascisti. Come ho già accennato prima, in Australia vengono fermate persone che non indossano mascherine (che sempre più studi dimostrano essere pericolose per la salute) o che, presumibilmente, non le indossano correttamente, vengono poi ammanettate e gettate in prigione. Nelle Filippine si corre il rischio di essere presi a revolverate, ma anche in Germania e in altri paesi precedentemente civilizzati i bambini vengono tolti dai genitori se non si rispettano i regolamenti di quarantena, il distanziamento sociale e le normative sull’uso della mascherina. Secondo gli psicologi e gli psicoterapeuti che hanno testimoniato davanti al comitato tedesco sul coronavirus, i bambini vengono traumatizzati in massa, con le peggiori conseguenze psicologiche che ci si può aspettare a medio e lungo termine.
Nella sola Germania, si prevedono in autunno da 500 000 a 800 000 fallimenti per le piccole e medie imprese che costituiscono la spina dorsale dell’economia. Ciò si tradurrà in perdite fiscali incalcolabili e spese notevoli e di lungo periodo a carico dei servizi per la sicurezza sociale, tra le altre cose, per i sussidi di disoccupazione. Dal momento che, nel frattempo, praticamente tutti stanno cominciando a capire il pieno impatto devastante di queste misure anti-coronavirus completamente infondate, mi asterrò dal dettagliarle ulteriormente.
Consentitemi ora di farvi un riepilogo delle conseguenze legali. La parte più difficile del lavoro di un avvocato è sempre quella di stabilire la vertà dei fatti e non l’applicazione delle norme legali relative a questi fatti. Purtroppo un avvocato tedesco questo non lo impara alla facoltà di giurisprudenza, ma i suoi colleghi angloamericani ottengono la formazione necessaria nei loro atenei e probabilmente per questo motivo, ma anche per via dell’indipendenza molto più pronunciata della magistratura anglo-americana, il diritto probatorio anglo-americano è molto più efficace nella pratica di quello tedesco. Un tribunale può decidere correttamente una controversia legale solo se ha in precedenza stabilito i fatti in modo corretto, cosa che non è possibile senza aver prima esaminato tutte le prove, ed è per questo che la legge probatoria è così importante. Sulla base dei fatti sopra riassunti, in particolare quelli verificati con l’aiuto del lavoro del comitato tedesco sul coronavirus, la valutazione giuridica è, in realtà, abbastanza semplice per tutti i sistemi giuridici civili, indipendentemente dal fatto che questi sistemi legali siano basati sul diritto civile, che segue più strettamente il diritto romano, o sul diritto comune anglo-americano, che è solo vagamente collegato al diritto romano.
Diamo prima uno sguardo all’incostituzionalità delle misure. Numerosi professori di diritto tedesco, in perizie scritte o in interviste, hanno dichiarato, in linea con i seri dubbi espressi dall’ex presidente della Corte Costituzionale Federale sulla costituzionalità delle misure anti-coronavirus, che queste misure sono prive di un sufficiente dato di fatto e anche della necessaria base giuridica e che pertanto sono incostituzionali e devono essere immediatamente abrogate.
Di recente, un giudice, Torsten Schleife, ha dichiarato pubblicamente che la magistratura tedesca, proprio come il grande pubblico, è talmente in preda al panico da non essere più in grado di amministrare adeguatamente la giustizia. Ha affermato che i tribunali “hanno legalizzato fin troppo rapidamente misure coercitive che, per milioni di persone in tutta la Germania, rappresentano enormi sospensioni dei loro diritti costituzionali.” I cittadini tedeschi sono attualmente sottoposti alla più grave violazione dei loro diritti costituzionali dalla fondazione della Repubblica Federale di Germania, nel 1949. Per contenere la pandemia del coronavirus, i governi federali e statali sono intervenuti massicciamente, minacciando in parte l’esistenza stessa del paese, che dovrebbe essere garantita dai diritti costituzionali del popolo.
Che dire poi della frode, dei danni intenzionali e dei crimini contro l’umanità? Sulla base delle norme del diritto penale, dichiarare il falso in relazione ai test PCR o diffondere volontariamente false dichiarazioni di rischio, come avevano fatto Drosten, Wieler e l’OMS, può essere definito solo come frode. In base alle norme del diritto civile, ciò si traduce in una inflizione intenzionale di danni. Un professore tedesco di diritto civile, Martin Schwab, sostiene questa conclusione nelle sue interviste pubbliche. In un parere legale completo di circa 180 pagine, ha esposto l’argomento come mai nessun altro studioso di diritto aveva fatto finora e, in particolare, ha fornito un resoconto dettagliato del completo fallimento dei media mainstream nel riferire i fatti reali di questa cosiddetta pandemia.
Il signor Drosten, Wieler e Tedros Adhanom dell’OMS, sapevano tutti, in base alla loro esperienza o a quella delle loro istituzioni, che i test PCR non possono fornire alcuna informazione sulle infezioni, ma hanno ribadito, più e più volte, di fronte al grande pubblico la validità di questo test, con le loro controparti mondiali a dar manforte. E tutti sapevano e accettavano che, sulla base delle loro raccomandazioni, i governi di tutto il mondo avrebbero deciso di imporre blocchi, regolamentare il distanziamento sociale e obbligare all’uso delle mascherine, che costituiscono un rischio molto grave per la salute, come documentato da studi indipendenti e da affermazioni di esperti.
Secondo le norme del diritto civile, tutti coloro che sono stati danneggiati da questi blocchi indotti dai test PCR hanno diritto a ricevere il pieno risarcimento delle loro perdite. Secondo la legge, esiste il dovere di risarcire, cioè l’obbligo di risarcimento dei danni derivanti dalla perdita di profitti da parte delle aziende e dei lavoratori autonomi a seguito del blocco e delle altre misure. Nel frattempo, tuttavia, le misure anti-coronavirua hanno causato e continuano a causare danni così devastanti alla salute e all’economia della popolazione mondiale che i crimini commessi da Drosten, Wieler e dall’OMS dovrebbero essere legalmente considerati come crimini effettivi contro l’umanità, come definito dalla sezione 7 del codice penale internazionale.
È possibile fare qualcosa e cosa possiamo fare? Ebbene, la class action è la via migliore per ottenere danni compensativi e conseguenze politiche. La cosiddetta class action è basata sulla legge inglese ed oggi esiste negli Stati Uniti e in Canada. Consente ad un tribunale di giudicare come azione collettiva un reclamo per danni su richiesta di un querelante se, a seguito di un evento che induce il danno, un gran numero di persone subisce lo stesso tipo di danno. Formulato in modo diverso, un giudice può consentire che una causa legale collettiva vada avanti se la componente vitale della causa è costituita da questioni comuni legali e fattuali. Qui le questioni connesse al diritto comune ruotano infatti intorno ai blocchi basati sui test PCR eseguiti in tutto il mondo e alle loro conseguenze. Proprio come le autovetture diesel VW erano prodotti funzionanti, ma difettosi a causa di un congegno manipolatorio e non conformi agli standard sulle emissioni, così anche i test PCR, che sono prodotti perfettamente validi in altri contesti, sono prodotti difettosi quando si tratta della diagnosi di infezioni. Ora, se una società americana o canadese o un cittadino americano o canadese decide di citare in giudizio per danni queste persone negli Stati Uniti o in Canada, il tribunale chiamato a risolvere questa controversia può, su richiesta, consentire che questo reclamo venga trattato come azione collettiva. Se ciò dovesse accadere, tutte le parti interessate al mondo ne sarebbero informate tramite pubblicazioni sui principali media e avrebbero così l’opportunità di partecipare a questa azione collettiva entro un certo periodo di tempo stabilito dal tribunale.
Va sottolineato che nessuno è obbbligato ad aderire ad una class action ma ogni parte lesa può aderirvi. Il vantaggio della class action è che è necessario un solo processo per mettere alla prova la denuncia di un querelante, purchè rappresentativo di un’intera classe di altri querelanti. Questo è più economico, più veloce di centinaia di migliaia o più di singole cause legali, impone meno oneri ai tribunali e, infine, di regola, consente un esame delle accuse molto più preciso di quanto sarebbe possibile nel contesto di centinaia di migliaia o, più probabilmente, come nel caso di una causa sul coronavirus, anche di milioni di singole cause legali. In particolare, è applicabile la consolidata e provata legge angloamericana del diritto probatorio, con il suo tipico scambio di informazioni pre-processuale. Ciò richiede che tutte le prove rilevanti per l’instaurazione di un processo vengano messe subito in tavola, in contrasto con la situazione tipica delle cause tedesche (caratterizzate da uno squilibrio strutturale, visto che, di solito, coinvolgono da una parte un consumatore e dall’altra una potente società). In questo caso il rifiuto o anche la distruzione delle prove non è senza conseguenze, al contrario, la parte che cela o addirittura distrugge le prove verrebbe condannata proprio sulla base del regime probatorio.
Qui in Germania un gruppo di legali si è riunito per aiutare i propri clienti ad ottenere un risarcimento danni. Hanno fornito tutte le informazioni e i moduli necessari ai querelanti tedeschi sia per stimare il danno subito sia per unirsi al gruppo o alla classe di querelanti che, in seguito, aderirà alla class action, quando verrà intrapresa in Canada o negli Stati Uniti. Inizialmente, questo gruppo di avvocati aveva pensato di raccogliere e gestire anche le richieste di risarcimento danni da parte di altri querelanti non tedeschi, ma la cosa si è rivelata ingestibile. Tuttavia, attraverso una rete di avvocati internazionali che si allarga di giorno in giorno, il gruppo di avvocati tedeschi fornisce a tutti i loro colleghi stranieri, gratuitamente, tutte le informazioni pertinenti, comprese le opinioni e le testimonianze di esperti che dimostrano che i test PCR non sono in grado di rilevare le infezioni e forniscono loro anche tutte le informazioni utili per preparare e raccogliere le richieste di risarcimento per i loro clienti, in modo che anche loro possano far valere le richieste di risarcimento nei tribunali del loro paese d’origine o nell’ambito dell’azione collettiva, come spiegato in precedenza.
Questi fatti scandalosi sul coronavirus, raccolti principalmente dal nostro comitato e riassunti sopra, sono gli stessi fatti che presto si dimostreranno veri nell’aula di un tribunale o di molti tribunali in tutto il mondo. Questi sono i fatti che faranno cadere le maschere dai volti di tutti i responsabili di questi crimini. Ai politici che credono a quelle persone corrotte: questi fatti vi vengono offerti come un’ancora di salvezza che può aiutarvi a ripensare la vostra linea di condotta e ad iniziare una discussione scientifica pubblica attesa da tempo, per non affondare con quei ciarlatani e criminali.
Grazie.
FONTE: https://comedonchisciotte.org/una-class-action-tedesca-per-i-danni-da-lockdown/
IMMIGRAZIONI
700 clandestini in 30 ore, ma Lamorgese bacchetta bar e ristoranti
“Adesso è il momento della responsabilità da parte di tutti. Tavolini troppo ravvicinati: controlli da parte della polizia ma stiano attenti anche i titolari”: questa la preoccupazione del ministro dell’Interno
Dopo aver silurato i decreti sicurezza e spalancato di fatto le frontiere nazionali alle navi delle Ong ed al loro carico, Luciana Lamorgese minimizza sulla questione immigrazione, sovraffollamento degli hotspot di Lampedusa e pericolo di diffusione del Coronavirus ad esso connessa, preferendo rivolgere la propria attenzione allo scarso distanziamento dei tavolini in bar e ristoranti.

Ebbene si, 728 clandestini, per la maggior parte di nazionalità tunisina, sbarcati in appena 30 ore sull’isola, ma il ministro dell’Interno liquida la questione in modo molto rapido durante l’intervista concessa a “Il caffè della domenica”, trasmissione in onda sulle frequenza di Radio 24. A Maria Latella, conduttrice del programma, infatti, Luciana Lamorgese ha espresso invece le sue preoccupazioni per quanto riguarda la scarsa attenzione posta sul distanziamento tra tavolini in locali, ristoranti e bar.
“Adesso è il momento della responsabilità da parte di tutti, perché non può esserci un appartenente alle forze di polizia dietro ognuno di noi, siamo noi che dobbiamo essere responsabili”, ha spiegato il titolare del Viminale durante l’intervista, come riportato da AdnKronos. “Quando parliamo degli esercenti, dei commercianti e dei gestori dei bar, anche da parte loro ci vuole senso di responsabilità”, ha aggiunto il ministro dell’Interno evidentemente molto allarmato almeno da questa situazione.“Io penso anche al distanziamento tra tavolini, per esempio ieri ho visto nei bar all’aperto tavolini molto ravvicinati, anche questo sarà oggetto non solo dei controlli delle forze di polizia ma anche di attenzione da parte dei titolari degli esercizi pubblici“.
Le modalità di controllo delle nostre abitudini che, stando alle notizie fino ad ora filtrate circa il contenuto del nuovo Dpcm, potrebbero minare addirittura la libertà anche tra le mura delle abitazioni private, arrivano pertanto ad investire in primis proprio i proprietari di locali pubblici. “Questa è una battaglia che dobbiamo vincere tutti insieme”, conclude sul tema Lamorgese.
Per quanto riguarda le verifiche del rispetto delle norme anti-Covid sul territorio, il ministro si è detto particolarmente soddisfatto, con controlli capillari che potranno vedere anche il coinvolgimento dei militari di Strade sicure e che hanno comunque già portato a staccare numerose sanzioni amministrative nei confronti dei trasgressori. “Il momento è difficile, le forze di polizia hanno dimostrato nei mesi trascorsi una grande capacità di controllo e grande umanità. Da marzo fino a giugno abbiamo fatto 24 milioni di controlli sulle persone e 470mila sanzioni”.
Infine la questione “migranti”, che non agita particolarmente il sonno di Lamorgese: “Abbiamo mandato i militari in Sicilia non per il Covid ma per i tanti arrivi e il conseguente bisogno di controlli. Nelle strutture di prima accoglienza ci sono 56 mila persone, e sono positivi 1.238, poco più del 2% degli arrivi”, spiega il titolare del Viminale, che si dice talmente sicura del fatto suo da concludere: “I numeri non sono preoccupanti rispetto a quelli che vediamo sul territorio. Non è che il Covid lo portano i migranti“.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/700-clandestini-30-ore-lamorgese-bacchetta-bar-e-ristoranti-1895857.html
POLITICA
Neppure Stalin ebbe mai pretese simili sotto il regime sovietico
di Paolo Sensini –
Ma che sistema fantastico la “democrazia”: un fuoricorso in scienze politiche che fa parte di un accrocchio post-comunista e rappresenta sì e no l’un per cento del parco buoi dei votanti, può decidere di rinchiudere tutti gli abitanti di un Paese e vietargli d’organizzare in casa propria eventi conviviali come cene o robe del genere. Il tutto spacciandolo per ragioni di salute pubblica. Neppure Stalin ha mai avuto pretese simili, ma questi burocrati figli del Partito Comunista Italiano e poi del Partito Democratico sperano di continuare a reggersi al potere facendo leva sulla passività dei sudditi e la delazione come metodo di controllo e di repressione.
FONTE: https://stopcensura.org/neppure-stalin-ebbe-mai-pretese-simili-sotto-il-regime-sovietico/
SCIENZE TECNOLOGIE
Metterci la faccia non è più necessario grazie all’intelligenza artificiale

Quante volte avrete sentito parlare dell’importanza di metterci la faccia, specie quando si divulgano informazioni o si vogliono produrre dei messaggi di una certa importanza. Al tempo del coronavirus si è incrementata la diffusione dei sistemi di formazione a distanza, dalle piattaforme classiche e-learning a quelle di video conferenze, che hanno velocizzato il loro diffondersi grazie alla necessità di varie categorie di utenti costretti ad operare in via telematica.
Chi produce contenuti multimediali sa bene l’importanza di mettere a video informazioni, magari riprendendo lo stesso docente che spiega, piuttosto che il giornalista che legge o l’analista che commenta grafici e schemi. Tanto lavoro di produzione, specie perché come esseri umani si è portati a sbagliare per cui le ore di montaggio ad esempio, o nell’insieme tutte le attività di chi opera dietro le quinte, crescono facendo lievitare anche i costi. Possiamo dimenticarci tutto questo, grazie all’ormai nota intelligenza artificiale.
Ne abbiamo parlato in varie occasioni tra queste pagine, in particolare in merito alla semplicità di realizzare profili fake mediante immagini di soggetti che non esistono nella realtà perché generati dall’algoritmo di AI. Siamo arrivati dalle foto di persone inesistenti, ai video di umani che non esistono, generati interamente da un algoritmo. Ecco che le preoccupazioni di quel docente che non vuole farsi riprendere mentre spiega svaniscono in quanto sarà possibile far presentare e quindi spiegare quegli argomenti da una terza persona che ci metterà la faccia al posto suo. Per fare ciò basta collegarsi ad una piattaforma, registrarsi e caricare le informazioni che vogliamo far pronunciare alla nostra docente 007.
Questo è un banalissimo esempio di video generato con qualche click in pochi secondi:
Dalla piattaforma online di creazione del filmato si ha la possibilità di configurare vari temi e caratteristiche che comporranno il video finale impiegando davvero pochi minuti. Perché parliamo di questo argomento in relazione alla sicurezza? Banalmente un primo impiego in questo contesto lo si può trovare proprio nel campo della formazione, dove alcuni corsi online possono essere tenuti da relatori che nella vita reale non esistono, con la produzione di simulazioni operative senza il necessario coinvolgimento di persone reali appositamente ingaggiate per la copertura di un certo ruolo.
Ma proseguendo in questa linea si aprono altrettanti spiragli che lascio volentieri alla fantasia del lettore, portando l’attenzione ad un altro aspetto: cosa succede se con l’intelligenza artificiale invece di creare una persona nuova, si sfruttasse l’immagine di un’altra realmente esistente? Se un hacker riuscisse a ricreare ad esempio un video con la figura del presidente di uno stato, e ad inserirsi in una videochiamata ufficiale fornendo direttive e considerazioni mirate?
Senza toccare una figura di quel livello, basta anche un videomessaggio recapitato alla segretaria di un’azienda da parte del proprio CEO per autorizzare un pagamento di un certo importo… pensate che nella realtà è accaduto davvero, ed è bastato un sintetizzatore vocale mediante una chiamata telefonica tradizionale, così come l’interferenza di un hacker in una sessione video in Zoom mediante deepfake. Ma può davvero un algoritmo ricostruire le sembianze di una persona reale e fargli dire e fare tutto ciò che si vuole? La risposta è affermativa. Con l’AI (Artificial Intelligence), realizzare video falsi sarà sempre più facile e realistico come scriveva nel 2019 anche la nota rivista Focus, nella rubrica dedicata alla tecnologia e alla vita digitale.
Come accade di solito, anche in questo settore ci sono strumenti che consentono di capire quando un video o un’immagine sono falsi. Gli accorgimenti da notare per quanto riguarda una foto ad esempio, sono da ricercare nell’osservazione dello scatto individuando tratti leggermente sfocati nei contorni della figura rappresentata. La parte dei capelli è quella più colpita da questo tipo di effetto. Se volete esercitarvi nell’individuazione di immagini fake posso segnalarvi questo sito WhichFaceIsReal realizzato dai ricercatori dell’Università di Washington.
Facebook pigliatutto: dovrà cedere Instagram e WhatsApp?
Brutte notizie per Facebook. Secondo un report dell’Antitrust americana il colosso dei social media esercita dei veri e propri “poteri di monopolio” sul mondo dei social network, scrive “Money.it“. Pertanto Mark Zuckerberg potrebbe essere costretto, in futuro, a mettere in atto dei rimedi, fra cui la scorporazione della società. Negli Usa, la Commissione Antitrust della Camera ha stilato un rapporto sulle 4 big tech americane. La commissione, guidata dalla maggioranza democratica, ha sollevato preoccupazioni nei confronti di Amazon, Apple e della parent-company di Google, Alphabet. L’Antitrust raccomanda al Congresso di considerare ogni acquisizione da parte delle big tech come anticompetitiva. Ma per il momento le attenzioni dell’Antitrust si concentrano su Facebook, che avrebbe mantenuto la propria posizione di monopolio «acquisendo, copiando o uccidendo la concorrenza». Nel report, la commissione rimanda al Congresso il compito di elaborare dei rimedi, fra cui si include la «separazione strutturale». Nel caso di Facebook, questo significherebbe vendere Instagram e WhatsApp.
«Il potere monopolistico di Facebook è affermato e difficilmente eliminabile con la pressione competitiva di nuovi ingressi o di aziende già esistenti», afferma il report. Nel rapporto si cita anche uno scambio fra Zuckerberg e il suo Cfo risalente al 2012, poco prima dell’acquisizione di Instagram (per 1 miliardo di dollari, cifra ritenuta allora scioccante per un’azienda che aveva solo 13 dipendenti). «Quello che stiamo davvero comprando è il tempo», avrebbe detto Zuckerberg. «Anche se spuntano nuovi competitor, comprare Instagram adesso ci darebbe più di un anno per integrare le loro dinamiche prima che chiunque si avvicini al loro livello di nuovo», avrebbe detto allora il Ceo. «Competiamo con una grande varietà di servizi con milioni, anche miliardi di persone che li usano», ha aggiunto un portavoce di Facebook in un comunicato. «Le acquisizioni sono parte di ogni industria, e sono uno dei modi in cui introduciamo nuove tecnologie per fornire più valore alle persone».
«Facebook è una storia di successo americano», ha concluso il portavoce della compagnia, che oggi vanta 2,6 miliardi di utenti in tutto il mondo, non senza ricevere forti critiche: manipolazione politica ed elusione fiscale, ad esempio nei paesi europei (altissimi ricavi pubblicitari e irrisoria contribuzione tributaria). Come anche gli altri social, poi, Facebok è accusata di praticare l’arbitrario oscuramento (parziale e a volte totale) dei contenuti che i governi oggi ritengono “inappropriati”, riguardo al coronavirus. A non stupirsi delle critiche rivolte a Facebook è lo scrittore e saggista Gianfranco Carpeoro, per trent’anni avvocato (all’anagrafe, Pecoraro): Facebook – ha ricordato – è nato in ambito Cia, a scopo spionistico. Un classico prodotto dell’intelligence: «All’indomani dell’11 Settembre, quando la sicurezza americana scoprì di dover “schedare” milioni di persone, un dirigente della Cia propose: ma perché non fare in modo che ciascuno “si schedi” da solo, e per giunta gratis, spiegando chi è, dove vive, cosa pensa e quali sono i suoi contatti». Solo in seguito, dice Carpeoro, comparve Zuckerberg: presentato, ovviamente, come il classico enfant prodige venuto dal nulla.
FONTE: https://www.libreidee.org/2020/10/facebook-pigliatutto-dovra-cedere-instagram-e-whatsapp/
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°