Ciampi e la speculazione di Soros

Ciampi e la speculazione di Soros

[Solidarietà, anno IV n.1, febbraio 1996]

Nel 1992 Ciampi, allora governatore di Bankitalia, dilapidò 48 miliardi di dollari in una assurda difesa della lira, che era sotto attacco da parte di Soros. Difesa che fin dall’inizio era da abbandonare, dato che la Banca Centrale tedesca aveva chiarito che non avrebbe appoggiato l’Italia (doveva già proteggere la Francia). Soros aveva più mezzi: grazie all’effetto-leva e alla speculazione coi derivati, agiva come avesse 100 dollari per ogni 5 realmente impiegati.

In pratica, con questa leva, Soros vendeva lire che non possedeva, contando poi di ricomprarle a svalutazione avvenuta. Inoltre, Soros aveva alle spalle i Rothschild, che dal 1989 avevano aperto a Milano la Rothschild Italia SpA, il cui direttore, Robert Katz (J), era diventato direttore del Quantum Fund di Soros proprio alla vigilia dell’attacco. 

Il venerato maestro Ciampi, che sapeva come stavano le cose, avrebbe dovuto rinunciare fin dall’inizio alla sua difesa, salvando i 48 miliardi di dollari. Invece la fece ad oltranza: cosa che costò ai contribuenti italiani 60 mila miliardi di lire (due o tre stangate alla Prodi) che in parte (almeno 15 mila miliardi di lire) finirono nelle tasche di Soros. E cosa ancora più grave, Ciampi prosciugò quasi totalmente le riserve in valuta di Bankitalia. 

Così, quando alla fine la lira fu svalutata del 30% – come i Rothschild e le banche d’affari USA volevano, per poter comprare a prezzi stracciati le imprese dell’IRI – non c’erano più soldi per la difesa della italianità di quelle imprese. La svendita era stata accuratamente preparata da Giuliano Amato che, appena diventato capo del governo, aveva trasformato gli enti statali in società per azioni, in vista delle privatizzazioni, in modo che le oligarchie finanziarie estere potessero controllarle diventandone azioniste, e poi rilevarle per il classico boccone di pane.

Il piano era stato probabilmente elaborato nella famosa riunione sul Britannia del giugno ‘92, panfilo della regina d’Inghilterra, su cui era salito Mario Draghi, allora funzionario del Tesoro. 

I magistrati di Mani Pulite diedero una mano, creando il clima di linciaggio contro Craxi (che si opponeva fieramente alle intrusioni straniere) ed arrestando preventivamente una folla di grand commis di Stato, poi risultati del tutto innocenti, in modo da sguarnire il fronte che si opponeva alle svendite. Così il saccheggio avvenne tra gli applausi degli italiani, ben contenti di vedere Craxi in fuga e la vecchia DC smantellata da Di Pietro.

La cosa fu così sporca che Ciampi (come minimo, se non da complice, si comportò da incompetente) una volta prosciugate le riserve, offrì le sue dimissioni. Gli fu detto di star tranquillo; sarebbe stato premiato con la presidenza della repubblica e santificato per sempre dall’aureola di Venerato Maestro, conferitagli dai grandi giornali, Corriere e soprattutto Repubblica. C’è il sospetto infatti che anche De Benedetti avesse guadagnato dalla speculazione. Ci fu anche un’inchiesta. Nel ‘96 la Guardia di Finanza indagò se «influenti italiani abbiano operato illegalmente dietro banche e speculatori», ricavando un guadagno accodandosi a Soros nella speculazione contro la lira. 

Secondo Il Mondo del dicembre ‘96, la «lobby a favore di Soros», secondo gli inquirenti, comprendeva Prodi, Enrico Cuccia (capo di Mediobanca per la Lazard) Guido Rossi, Isidoro Albertini, Luciano Benetton, Carlo Caracciolo. Naturalmente, le procure insabbiarono. Gli indagati erano tutti padri della patria, venerati maestri, riserve della repubblica.

L’inchiesta su Soros stana la “Banda dei cinque” 

L’indagine proposta dal Movimento Solidarietà è entrata nella fase calda. Ciampi &Co. dovevano sapere che nel 1992 la lira non avrebbe retto l’assalto speculativo di George Soros e sperperarono 15 mila miliardi in una difesa a dir poco sospetta.

“Se, come sembra, l’inchiesta su George Soros andrà avanti, Mani Pulite diventerà una barzelletta”, ha dichiarato Paolo Raimondi, presidente del Movimento Solidarietà, a commento dell’incoraggiante notizia che la Procura di Roma ha avviato una nuova fase dell’inchiesta sullo speculatore internazionale. Raimondi era a Roma per una serie di consultazioni alla fine di gennaio, nei giorni in cui alcuni quotidiani davano grande risalto al contenuto dell’esposto con cui il Movimento Solidarietà aveva fatto avviare l’inchiesta.

“Noi non crediamo alle battaglie politiche per vie giudiziarie”, ha aggiunto Raimondi, che ha proseguito: “La nostra iniziativa è stata concepita per organizzare e stimolare la riscossa di tutte le forze che si oppongono alla politica di distruzione dell’economia nazionale imposta dal FMI, da Maastricht e dai mercati finanziari guidati da Londra”.

Come Solidarietà ha riferito più volte, l’esposto presentato da Raimondi e Claudio Ciccanti (segretario del Movimento Solidarietà) chiede di verificare se l’attacco alla Lira del settembre 1992, che fece uscire la nostra moneta dal Sistema Monetario Europeo svalutandola del 30%, facesse parte della stessa strategia discussa sulla riunione del “Britannia” il 2 giugno dello stesso anno.

Sul Britannia erano infatti riuniti i principali banchieri della City per conto dei quali George Soros condusse la speculazione contro la Lira. Alcuni di loro poi parteciparono alla grande svendita chiamata privatizzazione, chi direttamente chi in consorzio con altri alleati della City. Nell’esposto si chiede di appurare se Soros, nel suo attacco alla Lira, abbia goduto di notizie riservate di fonte italiana. Rimane infatti un mistero il comportamento delle nostre autorità monetarie che, sapendo già dal maggio precedente di non poter reggere all’attacco speculativo, riversarono nell’inutile difesa della Lira 48 miliardi di dollari per poi capitolare. Invece, quel comportamento fece guadagnare a Soros 280 milioni di dollari in una settimana e forse molto di più. La perdita secca per le casse della banca centrale, che ha dovuto riacquistare le riserve di valuta a Lira deprezzata, è stata calcolata in circa 15 mila miliardi di Lire, una mini-finanziaria.

L’accusa di complicità sembra concretizzarsi già nella prima fase dell’inchiesta (che procede a Napoli e Roma, mentre Firenze e Milano si sono fatti da parte per motivi diversi), almeno nei confronti di uno dei timonieri della Lira nel settembre 1992, Piero Barucci, allora ministro del Tesoro e membro della “Banda dei cinque” che controllava la politica monetaria (gli altri erano l’allora capo del governo Giuliano Amato, l’allora e attuale Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi, l’allora governatore di Bankitalia e attuale superministro dell’Economia Carlo Azeglio Ciampi e l’allora Direttore di Bankitalia e attuale ministro degli Esteri Lamberto Dini).

Infatti, come ha rivelato il Corriere della Sera  in un ampio servizio del 27 gennaio, dedicato all’inchiesta sollecitata dal Movimento Solidarietà, Barucci è oggi presidente della AFV, una società di intermediazione finanziaria (sim). Il guaio dell’AFV non è solo che essa svolge attività speculativa, ma che la lettera “F” sta per Alberto Foglia, fondatore della AFV e nientepopodimenoche presidente del consiglio di amministrazione del Quantum Fund di George Soros!

Lo stesso quotidiano di via Solferino sottolinea la precaria posizione di Barucci quando, nel riferire il testo dell’esposto (vedi riquadro), elenca i nomi di consiglieri del fondo di Soros e nota che Alberto Foglia è “partner nella Sim ora presieduta da Barucci”. Naturalmente, dato che le indagini, proprio per la loro serietà, sono coperte dal massimo riserbo, non è dato sapere di più. Ma non è difficile immaginare lo stato di disagio in cui si trovano attualmente il Barucci e il resto della Banda dei Cinque, indicato dal modo in cui si è verificata una prima, agitata reazione alle “cattive” notizie giudiziarie.

Ciampi scende in campo

In una evidente contromossa, i protagonisti del Settembre Nero della Lira hanno anticipato la “loro” versione dei fatti. Come se avesse letto in anticipo il servizio che doveva uscire l’indomani, domenica 26 gennaio, Ciampi si è sentito in dovere di spiegare il comportamento della Banca d’Italia in quella crisi. Si badi bene: finora, dopo quattro anni e mezzo, Ciampi non aveva speso una parola sull’argomento.

Parlando ad una riunione degli operatori di cambio (quindi tra galantuomini), l’attuale vero capo del governo Prodi ha dapprima scaricato ogni responsabilità: egli non fece che obbedire agli ordini del governo. “Le decisioni sulle parità delle monete sono sempre e da sempre di competenza dell’esecutivo.” Poi Ciampi è passato all’offensiva. La crisi della Lira, a suo avviso, è stata positiva perché “l’atmosfera di dramma” che l’accompagnò permise “l’adozione di quelle rilevanti misure di correzione di bilancio che il governo aveva invano cercato di varare prima”. In altre parole, la battaglia persa contro la speculazione fu lo shock necessario a fare accettare agli italiani quattro anni di stangate che non sono altro che trasferimenti netti di risorse a favore della rendita finanziaria.

Ma Ciampi si spinge oltre: il 31 luglio, quando la Lira era già sottoposta a una pressione speculativa (e la Banda dei Cinque sapeva che non avrebbe retto), Amato era riuscito a strappare ai sindacati il famoso accordo salariale giustificandolo tra l’altro con la necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo e quindi di combattere l’inflazione. “Amato racconta Ciampi riuscì nell’intento perché voleva tenere il cambio: Se avesse detto `io domani svaluto’, l’intesa non la faceva”. Avete capito bene: Ciampi si fa bello per non aver concesso gli aumenti salariali e per aver invece regalato 15 mila miliardi a Soros attraverso la manovra speculativa!

Perché poi, sembra proprio che quelle decisioni siano state prese più a Via Nazionale che a Palazzo Chigi. Perlomeno a quanto afferma un testimone dell’epoca, l’allora segretario del PSI Bettino Craxi. Le parole di Craxi vanno prese cum grano salis, tenendo presente la situazione particolare dell’esule di Hammamet; ciononostante, le circostanze riferite sembrano veritiere. Craxi ha scritto una lettera al Corriere, pubblicata con risalto in pagina economica, per dire la sua sui fatti del `92 riferiti nel servizio del 27 gennaio. Amato lo chiamò all’inizio della pressione speculativa, scrive Craxi, per chiedere consiglio su quale linea di condotta tenere. È credibile che Amato, nominato Presidente del Consiglio su indicazione del PSI, si consultasse con il segretario del partito. Craxi avrebbe suggerito di non sprecare risorse e svalutare. Amato evidentemente non tenne conto del consiglio, anche se ritelefonò ad Hammamet per avvisare Craxi dell’imminente svalutazione.

Le circostanze riferite da Craxi descrivono un Presidente del Consiglio in cerca di suggerimenti in una crisi più grande di lui. Amato non emerge certamente come la figura del comandante che dà ordini, tantomeno alla Banca d’Italia, come sostiene Ciampi. È più probabile il contrario: che nel panico di quei giorni, il governo abbia seguito le indicazioni di “chi ne sapeva di più”, e cioè dei grandi sacerdoti della moneta di Via Nazionale.

Un’impressione confermata dalla lettura del libro L’Isola del Tesoro, del summenzionato Piero Barucci. Evidentemente presagendo di essere il primo capro espiatorio quando fosse scoppiata la tempesta, Barucci ha scritto il libro come una difesa in anticipo.

Secondo il libro (e anche qui la descrizione sembra credibile), Barucci piomba dall’esterno in una compagine governativa dove comandano altri e lui assiste impotente ad avvenimenti che gli passano sopra la testa.

In ogni caso, il cerchio dei sospetti si stringe sempre più attorno a Ciampi e ai suoi uomini.  

I sorosiani si scoprono

A giudicare dallo zelo con cui gli stessi media che hanno amplificato le tardive spiegazioni di Ciampi si sono profusi in sospette apologie di George Soros, si deve presumere che, se ricevevano ordini, i ciampisti li ricevevano dal mega speculatore americano o dai suoi padroni inglesi.

L’oscar spetta a La Repubblica (proprietario Carlo De Benedetti, che fece incontrare Soros e Di Pietro) che, in un sol giorno, il 31 gennaio, ha pubblicato tre articoli, in tre pagine diverse, in difesa della Banda dei Cinque e di George Soros. Prima, un grosso servizio intitolato “Craxi-Ciampi, è polemica sulla svalutazione del `92”, in cui ampio spazio viene concesso alle argomentazioni di Ciampi sopra riferite. Nella sezione culturale, un’intera pagina viene dedicata a George Soros, dipinto come un genio che dispensa saggezza filosofica sui mali del… libero mercato. L’autore è il noto scrittore latinamericano Vargas Losa, che come Soros è a favore della legalizzazione della droga. Dimostrando una illimitata fiducia nella imbecillità dei suoi lettori, dipinge Soros come un interprete della dottrina sociale della Chiesa.

In pagina editoriale, l’apologia del genio economico di Soros viene affidata a Giorgio Ruffolo, veterano esponente della sinistra tecnocratica italiana. Ruffolo tratta Soros come un “pentito” della speculazione a cui occorre prestare ascolto perché sa quel che dice. Fa finta di trattare Soros oggettivamente, ma una settimana dopo Ruffolo ha partecipato a Bruxelles ad una conferenza organizzata, finanziata e presieduta proprio da Soros, che ha riunito un gruppo di intellettuali europei. Scopo della conferenza, lanciare la campagna per una “società aperta” nell’Europa occidentale, sulla scorta delle esperienze svolte da Soros nell’Est Europa, con l’obiettivo di varare nel 1988 un’assemblea costituente europea. Non ci interessa sapere se i partecipanti all’iniziativa abbiano ricevuto il solito “rimborso spese” della serie Nomisma, ma piuttosto far capire al lettore l’esistenza di collegamenti e disegni politici che a definire “complotto” si pecca di modestia.

Nell’articolo di Repubblica Ruffolo prende per buona la versione sorosiana dei fatti del `92, con la quale esordisce: “Ebbi il primo segnale – dice Soros nella sua autobiografia – di una crisi imminente della sterlina da un discorso del presidente della Bundesbank, Schlesinger.” Dopodiché Soros avvicinò Schlesinger e “capii immediatamente che cosa voleva dirmi. Era un incoraggiamento a vendere la lira italiana”. Più in là, Soros rincara la dose: “Abbiamo eseguito gli ordini del nostro maestro, la Bundesbank”. La sua teoria è confutata come minimo dal fatto che la Bundesbank ha speso almeno 60 miliardi di marchi per difendere le monete dello SME, principalmente il franco francese.

Le provocazioni del Financial Times

Come afferma Raimondi nell’intervista citata all’inizio, l’Italia è vittima di una politica economica distruttiva di cui Soros e la Banda dei Cinque sono rappresentanti. Questa politica oggi prende il nome di “Maastricht”, anche se non si tratta altro che della vecchia politica del Fondo Monetario Internazionale. La beffa è che, benché la politica di Maastricht sia stata congegnata per distruggere gli stati nazionali, con la Germania come obiettivo principale, il fatto che i primi della classe nell’adottare la politica di bilancio per raggiungere i famigerati parametri siano i tedeschi si presta a manipolare i meno fortunati, come l’Italia, contro la Germania. Abbiamo visto con quale disinvoltura Soros e i suoi cortigiani italiani addirittura accusano la Bundesbank della speculazione contro la lira, senza tema di essere ridicolizzati. Così, alla fine di gennaio, il Financial Times, il principale organo dei padroni di Soros nella City di Londra, è riuscito quasi ad innescare una crisi tra Roma e Bonn inventandosi l’esistenza di un piano segreto tedesco per tenere fuori l’Italia dalla moneta unica.

L’articolo del Financial Times è stato il segnale per una rinnovata campagna internazionale contro la Germania che viene dipinta come il Quarto Reich. Questa è la stessa identica campagna lanciata nel 1989 dalla premier inglese Margaret Thatcher, con cui fu estorta alla Germania la tacita promessa di farsi promotrice della politica di Maastricht in cambio del “nulla osta” per la riunificazione tedesca. Il ricatto ha effetto sui due versanti: contro la Germania, costretta a fare la prima della classe, e contro gli altri che ne sono gelosi.

La provocazione è stata poi rilanciata domenica 9 gennaio da Beniamino Andreatta, in un’intervista al Corriere, dove l’attuale ministro della Difesa accusa la Bundesbank di avere condotto nel passato operazioni di aggiotaggio contro la lira. Da quale pulpito: proprio Andreatta era a bordo del Britannia il 2 giugno 1992, quando si complottò la privatizzazione delle aziende a partecipazione statale assieme ai protagonisti del successivo assalto contro la lira. In una dichiarazione pubblicata sullo Strategic Alert dell’EIR, Paolo Raimondi ricorda che nel 1992, il gioco politico della City e dei suoi alleati fu quello di utilizzare speculatori di grido come Soros per far saltare il Sistema Monetario Europeo e soprattutto di minare un possibile orientamento unitario dell’Europa continentale verso la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali conosciuti come il Triangolo Produttivo e anche come “Piano Delors”. Con la vittoria geopolitica britannica, dichiara Raimondi, “abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell’economia produttiva e l’esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l’Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico, la Nuova Via della Seta, che dalla Cina, attraversando l’intera Asia, unisce le nazioni e i popoli fino all’Atlantico, in un grandioso programma di sviluppo e crescita tecnologica e industriale.”

Fonti:

http://www.movisol.org/soros2.htm

http://fnbergamo.wordpress.com/2011/11/16/ciampi-e-la-speculazione-di-sorosamato-e-le-privatizzazioni/

 

http://dioni.altervista.org/soros/dioni_0110.html