RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 22 APRILE 2021

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

22 APRILE 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Ci sono prediche che non si possono ascoltare senza piangere , e leggere senza ridere. 

D’OLBACH, Osservazioni e pensieri, Einaudi,  1975, pag. 132

 

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SOMMARIO

PERCHÉ LO SCUDO PENALE E NON UNA ASSICURAZIONE COLLETTIVA?
La Cina lancia una nuova app che consente ai cittadini di segnalare chi esprime «opinioni errate»
Gli Stati Uniti hanno appena cercato di assassinare Lukashenko?
“Non viaggiate in Italia”. Cosa sanno gli USA?
I passaporti vaccinali sono stati progettati prima dell’inizio della pandemia: dalla Commissione UE
Non vogliono curare: escluso dal Cts il medico da Nobel
Il Gran Maestro – e El Papa
Nuova tegola sull’industria dell’auto: ora manca la gomma
Emergenza fine mai. Nuovo decreto, ancora più chiusure
Ordine Usa contro la Russia: Italia sull’attenti
Che succede se la Russia decide di “vedere il bluff” degli USA?
Perché la pandemia è anche una “guerra dell’acqua”
Biden: anche il genocidio armeno, per nuocere a Mosca?
Ma è davvero la Russia il problema in Donbass?
Jane Austen da cancellare perché beveva il tè schiavista
Giovanni Gentile, filosofo cancellato. Una storia paradigmatica.
Ma quelli per Navalny non sono “assembramenti”?
L’afasia e l’ultramondo
Segreti da 5.000 euro: i padrini del Covid contro Mosca
Cos’è il Gru il servizio segreto russo che compie omicidi e sabotaggi in Europa
Pandemia, i numeri separati dalle opinioni
Il piano rosso da horror: una valanga di tasse per tutti
IL FISCO CATTIVO
Fattura elettronica obbligatoria per tutti: cosa cambia
Pfizer si accaparra il mercato europeo dei vaccini COVID con un contratto da 1,8 miliardi di dosi
Promozione del libro “CONNESSIONI” di Francesca Sifola sul web
La finanza vi ha portato via anche il calcio
STUDI LEGALI IN TRIBUNALE CONTRO LE VITTIME ITALIANE
Quelle sentenze che deresponsabilizzano violenza e terrorismo
Kazari ashkenaziti, l’ebraismo asiatico su cui Israele tace
La “necropoli virtuale” dei collaborazionisti nazisti dell’Ucraina e il suo sovrintendente
STATI UNITI AL BIVIO: RESTAURAZIONE O RIVOLUZIONE
Il dito…
Vaccini anti Covid: in UE 5.360 morti e 240.000 eventi avversi
Sacrificio per la Regia Marina: così si è immolato Teseo Tesei
Sand: l’invenzione sionista del ‘popolo ebraico’, mai esistito

 

EDITORIALE

PERCHÉ LO SCUDO PENALE E NON UNA ASSICURAZIONE COLLETTIVA?

Perché lo scudo penale e non una assicurazione collettiva?

Si parla molto dello scudo penale come strumento di tutela dei rischi professionali del personale medico a tutti i livelli operativi previsti, anche se è esteso ai colossi farmaceutici, ai funzionari della Unione europea, dei Comuni, delle Province, delle Regioni. Questo istituto giuridico viene inserito dei decreti-legge del governo attuale, sebbene ereditato del precedente. Hanno cominciato con la protezione dei ruoli dirigenti apicali delle acciaierie Ilva, lo hanno esteso alle società di gestione del Ponte Morandi e ora in dose massiccia al settore medico-sanitario.

Lasciando agli esperti, il compito di elaborare interpretazioni tecnico-ermeneutiche-giuridiche sulla efficacia di tale scudo, non ci vuole molto a capire che tale “protezione” pone una diversità fra le persone, una asimmetria in ordine alla parità dei diritti fra scudato e destinatario del provvedimento medico. Abbiamo di fatto cittadini di serie A e di serie B, la cui disparità infrange il principio di “eguaglianza di fronte alla legge”, regolato dalla Costituzione e dall’intero impianto normativo italiano. Ma all’estero non sono da meno. Il principio di uguaglianza è l’architrave del diritto civile, è il fondamento che sostiene il patto fra cittadini e lo Stato, come prefigurato da Cesare Beccaria, autore attentamente studiato all’estero. Quanto appena premesso, conduce ad una serie di perplessità.

Sospetto numero 1: perché i responsabili non hanno fatto ricorso ad una polizza collettiva di copertura, come viene da tempo deciso da tutti gli Ordini professionali, dai responsabili e dai dirigenti? Si parla di una polizza pagata dallo Stato e gestita dalle compagnie di assicurazioni aderenti. Una assicurazione collettiva strutturata come quelle esistenti nelle aziende per il proprio personale – sia sul terreno dei rischi professionali che sui rischi correlati allo stato di salute del dipendente – non avrebbe avuto una ridondanza negativa nell’opinione pubblica e, soprattutto, nel cittadino ancora in possesso delle proprie facoltà cognitive. Detta più chiaramente, il cittadino che si sottopone ad un vaccino per opera di un personale sanitario che si è coperto dai rischi fino all’omicidio, diventa sempre più diffidente. Si pone la domanda: perché costui si para le terga? Significa che c’è un rischio di cui non viene rivelata l’entità, quanta parte di queste letalità viene nascosta? Ebbene, questo legittimo sospetto del vaccinando nei confronti dell’assetto tecno-sanitario viene esecrato e bollato come “irresponsabile” da parte di un operatore totalmente “al sicuro”. Il vaccinando, che si fa delle domande giuste, sente di non avere nessuna protezione né un indennizzo eventuale alla famiglia in caso di morte! Infinite sono le vie dell’odio e delle umiliazioni delineate dalla intimidatoria e fuorviante martellante macchina propagandistica tecno-sanitaria prevalente.

Sospetto numero 2: come mai la potentissima lobby assicurativa-Bankitalia, impersonata nella sigla Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni), non ha fatto pressioni per accaparrarsi un mercato così vasto e con una perfetta polverizzazione dei rischi ripartiti fra decine di migliaia di utenti? Nessun dibattito parlamentare in merito. Tutti zitti. Non è peraltro credibile che il governo non abbia tentato di iniziare un tavolo di fattibilità con l’asse assicurativo italiano ed estero. Penso piuttosto ad un fallimento prima di sedersi ai tavoli. Niet! Un fallimento che la servile ed alacre stampa & comunicazione di regime non hanno riportato, ma va detto e aggiunto che nessuno dei cosiddetti oppositori ha sollevato un minimo dubbio.

Sospetto numero 3: forse la lobby assicurativa non ha mosso un dito solo dopo aver elaborato uno studio che poi ha condotto ad un esito attuariale di eccesso di rischi? Forse essi conoscono dati di mortalità sanitaria le cui dimensioni sono tali da escludere la creazione di un profilo di rischio accettabile? Chiunque contatterete per avere chiarimenti sul tema vi guarderà strano e immediatamente dirà che non è mai esistito contatto fra Stato e Ivass, per la creazione di una polizza collettiva. Ma non dovete credergli. Sarebbe stato un affare di miliardi nelle tasche delle compagnie assicurative nominalmente italiane e ormai in gran parte nelle mani straniere.

Se l’Ivass italiana e l’organismo di categoria a livello comunitario tacciono, deve per forza esserci qualcosa di grosso che non ci raccontano. Viene da pensare a due possibilità – e ad una terza che le riassume:

gli alti comandi hanno deciso di creare caos e odio che divide attivando lo scudo penale, una scelta che fa apparire forte il governo attuale, il cui prestigio e credibilità non sono certo alle stelle; le assicurazioni si sono sfilate rapidamente ad un contatto per la creazione di polizze collettive da rischio di vaccini di massa con prodotti di cui esse non conoscono quasi nulla, perché tutto è secretato e opaco per ordine di famosi organismi sanitari mondiali; le assicurazioni hanno avuto l’ordine di non immischiarsi perché il ruolino di marcia dei piani alti va verso un’altra direzione, con la netta intenzione di nascondere i veri pericoli sanitari alla popolazione italiana.

Non dimentichiamo che i miliardi in gioco sono tanti, veramente tanti e gli ostacoli che si frappongono a questo affare planetario saranno rimossi anche con la violenza in dosi crescenti e successive. Vediamo se qualche “can che dorme” si desta e se comincia ad annusare intorno. Se ciò non avviene, allora tutto è stato già scritto da tempo. Non c’è bisogno di scomodare la infernale Agatha Christie per capirlo.

FONTE: http://www.opinione.it/societa/2021/04/22/manlio-lo-presti_scudo-penale-assicurazione-collettiva-rischi-professionali-unione-europea/

 

 

 

IN EVIDENZA

La Cina lancia una nuova app che consente ai cittadini di segnalare chi esprime «opinioni errate»

renovatio21.com

Il governo cinese ha lanciato una nuova app che incoraggia i cittadini a denunciare i dissidenti per aver espresso «opinioni errate» su Internet.

La nuova piattaforma prenderà di mira chiunque critichi il potere del Partito Comunista Cinese , contesti la versione ufficiale della storia del Paese o si impegni in attività di «disinformazione».

Il nuovo sito Web e l’app sono stati svelati con orgoglio dall’Amministrazione del Ciberspazio della Cina (CAC), con le autorità che chiedono agli utenti di svolgere un «ruolo attivo» nell’aiutare a identificare «persone malintenzionate che distorcono i fatti e confondono» gli altri.

«Da un po ‘di tempo, alcune persone con secondi fini… hanno diffuso online false dichiarazioni storicamente nichiliste, distorcendo, calunniando e negando maliziosamente la storia del Partito, nazionale e militare nel tentativo di confondere il pensiero della gente», si legge nell’annuncio.

«Ci auguriamo che la maggior parte degli utenti di Internet svolgerà un ruolo attivo nella supervisione della società… e segnalerà con entusiasmo informazioni dannose».

Il giro di vite con probabilità si intensificherà con l’approssimarsi del 100° anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese, quando i messaggi e le narrazioni dovranno essere mantenuti particolarmente «puliti» ed allineati.

La Cina gestisce già un oneroso sistema di punteggio di credito sociale che vieta alle persone di utilizzare i mezzi di trasporto e di impegnarsi in altre funzioni di base della società se commettono infrazioni minori come l’attraversare sulle strisce pedonali con il rosso o l’acquisto di troppo cibo spazzatura. Di fatto, la vita del cittadino cinese è fatta di un tracciamento perpetuo da parte dell’autorità.

Da diverso tempo, il governo del PCC ha combinato il credito sociale con il sistema di tracciamento COVID, ottenendo uno Stato di biosorveglianza senza uguali, che Pechino ora considera un modello da esportare, e politicamente e tecnologicamente – quindi economicamente.

«Dato che le folle dei social media in occidente, regolarmente aiutate dai giornalisti, conducono già cacce alle streghe che portano le persone ad essere socialmente ostracizzate, deplatformate e lasciate disoccupate per aver espresso “opinioni sbagliate”, siamo davvero così migliori dei dissidenti cinesi?» scrive Summit News.

Come riportato da Renovatio 21, l’influenza del modello cinese in Italia divenne evidente con il governo Conte 2, quando si ipotizzò che nel caos del primo lockdown Pechino stesse mettendo le mani sull’intera infrastruttura informatica del Paese (il 5G, e oltre) grazie a personaggi e partiti di governo compiacenti. Ora anche con Draghi possiamo vedere che la tentazione di totalitarismo elettronico, con l’avvio da parte di Stato e regioni di app che fungano da passaporto COVID, non si per niente esaurita.

Anche di recente, del resto, la Cina ha premuto sull’OMS – sulla quale esercita, con Bill Gates, un potere impressionante – al fine che le fosse permesso lo sviluppo del passaporto COVID internazionale.

La Cina è pienamente conscia di essere ora l’avanguardia del nuovo mondo fatto di «obblighi biometrici» e di controllo totale, financo biologico, sulla popolazione.

La Cina è considerabile come la cuspide del Nuovo Ordine Mondiale.

Fonte: https://www.renovatio21.com/la-cina-lancia-una-nuova-app-che-consente-ai-cittadini-di-segnalare-chi-esprime-opinioni-errate/

Gli Stati Uniti hanno appena cercato di assassinare Lukashenko?

 

THE SAKER – 19 aprile 2021

Notizie incredibili durante il fine settimana: il presidente bielorusso Lukashenko ha dichiarato che Biden aveva dato ordine di ucciderlo in un colpo di stato organizzato dalla CIA. Ora, sappiamo tutti che Lukashenko dice ogni sorta di cose, molte delle quali false o semplicemente stupide. Solo che l’FSB russo ha confermato tutto! Secondo i russi, un’operazione congiunta del KGB (bielorusso) e dell’FSB russo ha scoperto il complotto all’inizio e i russi hanno monitorato l’intera operazione fino ad avere abbastanza prove per arrestare tutti i cospiratori.

Fin qui tutto bene. Ma c’è di meglio!

A differenza di USA/UK e altri, l’FSB russo non ha detto che erano “sicuri” che era “altamente probabile” che questa operazione avesse avuto luogo. Hanno rilasciato tutti i filmati di un incontro dei “congiurati” a Mosca che conferma tutto.

Una persona che non abbia familiarità con tali operazioni potrebbe rimanere perplessa sul perché questo incontro abbia avuto luogo a Mosca e non a Varsavia o Riga. Ci sono diverse ragioni.

  • C’è un confine praticamente aperto tra la Bielorussia e la Russia, che sono “stati alleati”, e non c’è niente di più facile per i (presunti) traditori bielorussi (militari) di saltare su una macchina e arrivare a Mosca.
  • Usare Varsavia o Riga ridurrebbe drasticamente ciò che la CIA chiama “negabilità plausibile” da parte degli USA e della NATO.
  • Sì, incontrarsi a Mosca è stato comunque stupido, ma non più stupido del fallito colpo di stato degli Stati Uniti per “fare il servizio” a Maduro, quando gli Stati Uniti hanno fatto esattamente quello che hanno cercato di fare a Lukashenko. Il fatto che entrambe le operazioni siano fallite è la norma per la (per lo più sprovveduta) CIA.
  • Il principale congiurato ha una doppia cittadinanza, bielorussa e americana; per lui spostarsi a Minsk per quell’incontro sarebbe stato molto pericoloso.
  • Infine, ma non meno importante, il KGB bielorusso opera in una società bielorussa molto controllata, mentre quella russa è una società aperta e liberale, quindi si potrebbe (erroneamente) pensare che un incontro a Mosca sarebbe stata un’idea migliore.

Storia interessante, no?

Ma il meglio deve ancora venire…

Non appena è emersa l’accusa di un piano della CIA per assassinare Lukashenko in un colpo di stato, hanno fatto quello che fanno sempre, hanno negato contro ogni evidenza ed hanno creato un’enorme distrazione: la colonia USA conosciuta come “Repubblica Ceca” ha dichiarato che l’esplosione di un deposito di armi nella Repubblica Ceca nel 2014 era un sabotaggio russo che coinvolgeva… … aspetta che arriva… … rullo di tamburi…. gli stessi Petrov e Boshirov che il Regno Unito ha accusato di aver avvelenato gli Skripal!

Amici, i cechi hanno pubblicato questa storia entro UN’ORA dalla notizia bielorussa! Un’ora, sul serio!

I cechi hanno immediatamente espulso 18 diplomatici russi e i russi hanno ricambiato espellendo 20 diplomatici cechi, lasciandone solo 5 a Mosca. Quindi, se usiamo l’espressione inglese “la merda che colpisce il ventilatore”, allora sarebbe anche giusto riferirsi ai cechi come i “para-merda” dell’Impero.🙂

A proposito, l’indagine ufficiale ceca del 2014 aveva concluso che l’esplosione era stata causata da negligenza, non da sabotaggio, ma, davvero, a chi importa? Dopo tutto, guardate queste accuse, tutte altrettanto non dimostrate e sciocche: (elenco parziale in nessun ordine particolare)

  • I russi hanno invaso il Donbass
  • La Russia ha abbattuto MH-17
  • La Russia ha cercato di avvelenare gli Skripal
  • La Russia ha cercato di avvelenare Litvenenko
  • La Russia ha cercato di avvelenare Navalnyi
  • La Russia ha ucciso Boris Nemtsov
  • La Russia ha ucciso la Politkovskaia
  • La Russia ha cercato di avvelenare Yushchenko
  • La Russia ha interferito in due elezioni americane
  • La Russia ha violato i computer del DNC
  • La Russia ha pagato gli afghani per uccidere i soldati americani
  • I russi hanno abbattuto l’aereo del presidente polacco sopra Smolensk
  • I russi hanno cercato di organizzare un colpo di stato in Montenegro

Ripeto, nessuna, NESSUNA di queste accuse è mai stata provata o anche solo suffragata. TUTTE queste accuse si basano esclusivamente sulla credibilità putativamente innegabile dei servizi speciali occidentali.

E, naturalmente, gli “esperti di Russia” occidentali hanno tutti pienamente avallato questa assurdità (ehi, questo è ciò che questi cosiddetti “esperti” sono pagati per fare; essendo un tempo stato un membro dell’IISS, conosco abbastanza bene questi “esperti” e la loro “competenza” – ho anche dato le dimissioni dall’IISS per protestare contro la sua totale sottomissione alle narrative anti-russe degli Stati Uniti).

E persone che si definiscono “democratiche” e capaci di pensiero critico si bevono tutta questa merda senza alcun dubbio, nessuno. Non vedono nemmeno quanto patetici e incapaci siano in realtà…

Quindi i cechi (e i loro padroni statunitensi) stanno provando un copione ben noto e “sicuro” perché sanno tutti che il pubblico occidentale è pienamente abituato a sentirsi dire:

“Accusiamo la Russia di X, diciamo che i nostri servizi speciali hanno le prove, ma non ne presenteremo nessuna; per quanto riguarda i media occidentali, si fideranno, ovviamente, dei servizi speciali occidentali, perché sono “democratici” e, quindi, “degni di fiducia”.

Un altro trucco, che i cechi hanno usato in questo caso, è questo: il primo giorno annunciare urbi et orbi “rilasceremo presto tutte le prove incontrovertibili che abbiamo” e poi semplicemente dichiararle classificate perché è importante non mostrare ai russi le prove della loro stessa operazione, putativamente russa. Per quanto riguarda la stampa occidentale, naturalmente, se ne dimenticherà semplicemente e passerà alla prossima storia di attacco alla Russia.

È semplice, ma con il tipo di pecore con cui i regimi occidentali hanno a che fare, è anche efficace.

Infine, quando si è veramente disperati, si può contare su Bellingcat, gestito dall’MI6, per ottenere le “prove”, non scherzo, dai social media su Internet.

E, di nuovo, le pecore occidentali “si bevono tutto”, con grande gusto! Sic transit gloria mundi davvero!

Eppure, accusare gli stessi due presunti agenti del GRU Petrov e Boshirov dimostra quanto disperati fossero i cechi a cucinare una storia letteralmente in una notte. Ora sembrano stupidi al di là di qualsiasi spiegazione concepibile per un tale massiccio e, francamente, esilarante voltafaccia.

Il popolo della Repubblica Ceca si ribellerà ora sdegnato contro la pura idiozia dei suoi leader? No, naturalmente no. Dopo tutto, viviamo in un mondo post-verità (e, direi, post-logico) dove l’unica cosa che conta è seguire il motto delle SS “il mio onore è la fedeltà” e la cieca obbedienza ai padroni del giorno.

E gli Stati Uniti in tutto questo? Biden sarebbe davvero così pazzo da tentare di assassinare un leader straniero?

Beh, come mi piace dire, il comportamento passato è il miglior strumento per predire il comportamento futuro, giusto? Quanti leader stranieri ha effettivamente assassinato la CIA e quanti ha solo tentato, e mancato, di assassinare? (Nota: qualcuno dovrebbe confrontare il numero di leader stranieri assassinati dagli USA e dall’URSS. Sono sicuro che il confronto sarebbe sia scioccante che molto eloquente). Che ne dite dell’omicidio ufficiale (ammesso dalla Casa Bianca) del generale Soleimani? Quell’operazione non era molto più pericolosa che usare gente del posto per cercare di assassinare un leader indebolito e in difficoltà come Lukashenko?

Allora, ditemi voi: è vera la storia di “disinformazione russa”?

PS: nel caso ve lo chiediate, i russi stanno ridendo istericamente e si stanno grattando la testa chiedendosi cosa sia successo alla società occidentale una volta civilizzata.

PPS: a proposito, l’FSB russo ha anche arrestato il console ucraino a San Pietroburgo nel momento in cui stava ricevendo informazioni classificate da quello che pensava fosse un agente. Sarà espulso. È stato un grande fine settimana per l’FSB – ci saranno un sacco di medaglie per questo ottimo lavoro.

AGGIORNAMENTO #1: Maria Zakharova, la portavoce capo del Ministero degli Esteri ha ora confermato ufficialmente il tutto alla TV russa.

AGGIORNAMENTO #2: il Cremlino ha appena confermato che Putin e Biden hanno discusso questo argomento durante la loro conferenza telefonica.

AGGIORNAMENTO #3: Bisogna amare i media occidentali: non una parola sul colpo di stato, tutto sulla favola ceca.

Link: http://thesaker.is/did-the-us-try-to-murder-lukashenko-open-thread-14/

Scelto e tradotto da Arrigo de Angeli per ComeDonChisciotte

FONTE: https://comedonchisciotte.org/gli-stati-uniti-hanno-appena-cercato-di-assassinare-lukashenko/

“Non viaggiate in Italia”. Cosa sanno gli USA?

Cittadini americani  hanno ricevuto via email  questo avvertimento  tramite il loro consolato .  Citano un generico pericolo di terrorismo  in Italia  dal 20 aprile, ma l’allarme è lanciato dall’ente epidemiologico, Center for Diseases Control,  CDC

Il  CDC dice che in Italia “c’è un altissimo livello di  Covid-19 nel Paese“.  E’  una menzogna e impostura.   Anche se i dati   vengono manipolati. o flsati.

Dicono: le terapie intensive sono al collasso, stanno scoppiando

I “nuovi positivi” di oggi  21 aprile  non sono 13.844 ma solo 3.710. Tutti gli altri sono TAMPONI DI CONTROLLO.  Il numero dei positivi è calato di oltre meno 16 mila.

Giro di vite in Germania –  anche  là non motivati dalla “pandemia”

“La Germania, da inizio 2020 ad oggi, NON HA AVUTO ALCUN AUMENTO DI MORTALITA’ (a differenza di USA, UK, Spagna e Italia) in Germania, come nella maggior parte dei paesi del mondo, con il Covid non è successo NIENTE (Zibordi)

La Merkel lo ha chiamato “tirare il freno di emergenza”. Il Bundestag ha accettato. Giovedì il Consiglio federale lo approverà.  Sono misure di chiusura  e liberticide durissime  – uguali identiche a quelle di Sperazna-Draghi in Italia.

TIERGARTEN. TUTTI I VIDEO DELLA PROTESTA
35.000 persone (secondo il sito compact-online.de), 8.000 (secondo altre fonti) hanno manifestato oggi al Tiergarten di Berlino per protestare contro le modifiche all’attuale legge sulla protezione dalle infezioni. Gli emendamenti, che dovrebbero entrare in vigore già sabato, daranno al governo federale il potere di imporre un coprifuoco nazionale tra le 22:00 e le 5:00, chiudere le scuole e introdurre restrizioni regionali in base a determinate soglie. Il Bundestag ha approvato gli emendamenti con 342 voti a favore, 250 contrari e 64 astenuti. Gli emendamenti dovrebbero essere approvati giovedì dal Bundesrat, l’organo legislativo che rappresenta i 16 Stati federali. Durante la manifestazione sono stati registrati almeno 150 arresti.

le chiusure Merkel:

CONTATTI PRIVATI: Al massimo un nucleo familiare può incontrarsi con un’altra persona. Eccezioni per i coniugi o partners.  Fino a 30 persone possono riunirsi per i servizi funebri.

COPRIFUOCO: Come da noi:  le restrizioni di uscita  devono essere applicate dalle 22:00. Non è consentito lasciare il proprio appartamento o proprietà fino alle 5 del mattino.  L’attività fisica all’aria aperta dovrebbe essere consentita fino a mezzanotte, ma solo da soli e non negli impianti sportivi.

SERVIZI PER IL TEMPO LIBERO: Le strutture come piscine, saune, discoteche, bordelli, centri benessere, solarium, studi di fitness, barche da escursione o parchi giochi al coperto devono essere chiusi.

NEGOZI: I negozi possono ricevere i clienti solo se presentano un test Corona negativo e hanno prenotato un appuntamento.   I negozi di alimentari, i negozi di bevande, i negozi di alimenti naturali, i negozi di specialità per bambini, le farmacie, i negozi di forniture mediche, i negozi di droga, gli ottici, i professionisti dell’udito, le stazioni di servizio, i venditori di giornali, le librerie, i negozi di fiori, i mercati dei mangimi per animali domestici e animali, i mercati dei giardini e i grossisti continuano ad essere esclusi da chiusure o restrizioni severe. Tuttavia, questi sono autorizzati a vendere solo la gamma usuale.

Esistono limiti al numero consentito di clienti a seconda dell’area di vendita. In spazi ristretti, i clienti devono indossare una maschera di livello FFP2 o una maschera medica.

CULTURA: Teatri, opere, sale da concerto, palcoscenici, club musicali, cinema (esclusi i cinema drive-in), musei, mostre e memoriali devono chiudere; sono vietati anche gli eventi corrispondenti. Le aree esterne degli zoo e dei giardini botanici dovrebbero rimanere aperte ai visitatori con un test negativo in corso.

SPORT: è consentito solo lo sport individuale contactless che può essere praticato da soli, in coppia o con i membri della famiglia. Ci sono eccezioni per atleti professionisti e competitivi. Per i bambini fino ai 14 anni, lo sport dovrebbe continuare a essere possibile in gruppo.

RISTORAZIONE: È vietato il funzionamento di ristoranti e mense. i sono eccezioni, ad esempio, per le sale da pranzo nei centri di riabilitazione o nelle case di cura, per l’assistenza ai senzatetto o per i conducenti a lunga distanza. È consentito il ritiro di cibi e bevande da asporto, così come la consegna.

SERVIZI BODY-CLOSE: Sono vietati i servizi con vicinanza fisica al cliente. Fanno eccezione i servizi «che servono a scopi medici, terapeutici, infermieristici o pastorali, nonché l’acconciatura e la cura dei piedi». Di norma, è necessario indossare maschere FFP2 o maschere con lo stesso effetto protettivo. Chiunque voglia andare dal parrucchiere o dalla cura dei piedi deve mostrare un risultato del test negativo che non sia più vecchio di 24 ore. XX

TRAFFICO LOCALE E A LUNGA DISTANZA: le maschere di livello FFP2 sono obbligatorie per i passeggeri di autobus, treni e taxi e maschere mediche per il personale a contatto con il cliente. Se possibile, solo la metà dei passeggeri regolari dovrebbe viaggiare.

TURISMO: È vietato l’affitto di strutture ricettive.

Indipendentemente dal freno di emergenza, si applica quanto segue:

SCUOLE: Gli alunni e gli insegnanti devono essere testati due volte a settimana in lezioni frontali. Inoltre, qui si applica un freno di emergenza separato: se l’incidenza di sette giorni supera il valore soglia di 100 per tre giorni consecutivi, l’istruzione alternata diventa obbligatoria dal giorno successivo al successivo. Dal 165 in poi, l’insegnamento faccia a faccia nelle scuole, scuole professionali, università, istituti di istruzione per adulti e istituzioni simili è vietato dal giorno dopo successivo. Sono possibili eccezioni per le classi di laurea e le scuole con bisogni speciali. Questo freno si applica anche agli asili nido, ma gli stati federali possono consentire cure di emergenza. Il freno scolastico scade se l’incidenza di sette giorni scende al di sotto del valore soglia di 165 per cinque giorni consecutivi.

LUOGO DI LAVORO: le aziende devono fornire due test corona a settimana. Se possibile, il datore di lavoro deve consentire ai suoi dipendenti di lavorare da casa, e i dipendenti di solito devono accettare anche questo.

DURATA DEL REGOLAMENTO: Tutti i regolamenti sono limitati ad un massimo del 30 giugno.

In Italia, il Green  Pass: il terrorismo è  al governo

“Il certificato verde è l’ennesimo attacco alle nostre libertà costituzionali. E’ un lasciapassare autoritario che viene imposto per fare una cosa che è garantita dalla Costituzione (art. 16), cioè spostarsi all’interno del territorio nazionale.
E’ una norma di autoritarismo sanitario a cui dobbiamo assolutamente opporci: dobbiamo reagire soprattutto disobbedendo!”

Il Covid  non è mai stato un problema sanitario.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/non-viaggiate-in-italia-cosa-sanno-gli-usa/

 

 

 

I passaporti vaccinali sono stati progettati prima dell’inizio della pandemia: dalla Commissione UE

“La pianificazione per l’attuazione del concetto di “passaporti per vaccini” è iniziata 20 mesi prima dello scoppio della pandemia . Ciò di cui parlano queste roadmap non è solo un pass sanitario  che limita l’entrata  o movimento a determinati luoghi delle persone. Quello che immaginano è un intero ecosistema COVID, un futuro in cui ogni aspetto della nostra vita è monitorato e regolato secondo i capricci e la fantasia di questi Pharma Overlords” –  Così esordisce  l’impressionante inchiesta di  GretatGame India,  il più serio e professionale dei siti   indiani  di geopolitica . E   rivela ai suoi lettori la serie di incontri riservati in cui le autorità europee  insieme all’OMS e alla Gates Foundation hanno  stilato la “tabella di marcia”  (roadmap) della dittatura sanitaria   dietro cui ci rinchiudono.   Anche se alcune cose possono essere note a lettori europei avvertiti (almeno speriamo),  l’esposizione dei geopolitici indiani è così cartesiana  e ragionata che vale la pena di riportarla

Roadmap dei passaporti dei vaccini

La proposta iniziale di “Passaporti per vaccini” è stata pubblicata per la prima volta il 26 aprile 2018 dalla Commissione europea. La proposta, ignorata dai media tradizionali,  è  sepolta in profondità in una  “raccomandazione”  (leggi sotto) che trattava di “Cooperazione rafforzata contro le malattie prevenibili dai vaccini  ( Strentghened cooperation  against vaccine preventable diseases).

Secondo la tabella di marcia iniziale (pubblicata all’inizio del 2019) per attuare la proposta della Commissione europea, l’azione primaria era quella di “esaminare la fattibilità dello sviluppo di una carta / passaporto comune per le vaccinazioni” per i cittadini europei che fosse “compatibile con i sistemi informativi di immunizzazione elettronica e riconosciuta per l’utilizzo oltre confine. ”

Si prevedeva di ottenere una proposta legislativa emanata entro il 2022, in Europa.

Nella proposta sono stati menzionati anche termini – come “contrastare la  riluttanza vaccinale”, e  concetti di “focolai imprevisti” –   ignoti  prima dell’epidemia.

Altri punti nel documento della roadmap includevano il sostegno all’autorizzazione di “vaccini innovativi, anche per le minacce per la salute emergenti”.   Le  pozioni a RNA ricombinante sono innovativi al massimo  – con  cento mortali effetti avversi riconosciuti ufficialmente…

La raccomandazione continua :  l ‘”industria della produzione di vaccini” ha un “ruolo chiave” nel raggiungimento degli obiettivi descritti nel documento della roadmap,   e contempla  “il miglioramento della capacità di produzione dell’UE” e lo stoccaggio dei vaccini come ulteriori punti di azione da attuare. Inoltre, la roadmap  comanda il  rafforzamento delle “partnership esistenti” e della “collaborazione con attori e iniziative internazionali” –   e si riferisce al Summit globale sulla vaccinazione che si è tenuto nel 2019. Anche i partecipanti e l’agenda di questo vertice sono rivelatori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vertice mondiale sulla vaccinazione 2019

Le 3 tavole rotonde

Il vertice si è tenuto il 12 settembre 2019 a Bruxelles, in Belgio, appena 3 mesi prima dell’ inopinatissima  “pandemia di COVID-19. Il vertice non è stato riportato dalla maggior parte dei media mainstream. È stato organizzato dalla Commissione Europea in collaborazione con l’OMS

I membri del vertice

I partecipanti a questo vertice erano leader politici, rappresentanti di alto livello dei ministeri della salute, delle Nazioni Unite, importanti accademici, professionisti della salute e scienziati, organizzazioni non governative e privati.

Tra i membri del panel di rilievo per queste tavole rotonde c’erano il Dr. Seth Berkley, CEO di GAVI  (Global Alliance for VAccines and Immunization, creata d l’Organizzazione Mondiale della SanitàUNICEF, la Banca Mondiale, l’industria di vaccini  la Fondazione Bill & Melinda Gates e altri benefattori privati., Nanette Cocero, Presidente globale di Pfizer Vaccines,    altri membri  della  Global Vaccine Alliance – organizzazione sostanzialmnente finanziata all’inizio dalla  Bill & Melinda Gates Foundation; e Joe Cerrell, amministratore delegato della Bill & Melinda Gates Foundation per Global Policy and Advocacy.  Di fatto era Bill Gates che parlava  attraverso i suoi dipendenti   econ Pfizer “consigliava”  i ministri della salute europei  di come affrontare  (rendendola permanente) la pandemia prossima ventura

Un  informatore dell’OMS, la dottoressa Astrid Stuckelberger in una stupefacente confessione, ha smascherato le attività sospette di Bill Gates e GAVI .

Nella 41a sessione del Comitato Investigativo Corona ha affermato che le regole in base alle quali i paesi lavorano con l’OMS hanno virtualmente incaricato l’OMS di tutte le regole, gli editti formali e gli annunci – con Gates che è proprio lì come parte del consiglio esecutivo come uno stato membro non ufficiale, prendere decisioni che influenzano il mondo intero.

Pianificazione pandemica

La pianificazione pandemica era chiaramente in evidenza in questo incontro al vertice. I documenti chiave distribuiti ai partecipanti includevano rapporti su:

  • Pianificazione della preparazione all’influenza pandemica
  • Un esercizio di influenza pandemica per l’Unione europea
  • Pianificazione della preparazione all’influenza aviaria e alla pandemia influenzale
  • Preparazione all’influenza pandemica e pianificazione della risposta
  • Verso la sufficienza dei vaccini influenzali pandemici nell’UE
  • Un “partenariato pubblico-privato” sui vaccini contro l’influenza pandemica europea

In tutti questi documenti, l’obiettivo di rafforzare la collaborazione con l’industria farmaceutica è ripetutamente sottolineato, così come il messaggio che una pandemia globale era ormai inevitabile.

È stato scoperto che secondo ampi scambi di e-mail ottenuti da un gruppo di avvocati in una controversia legale, il  ministero dell’Interno tedesco ha assunto scienziati per sviluppare un falso modello di coronavirus al fine di giustificare un rigoroso blocco .

A chi fanno  comodo effettivamente i pass  vaccinali?

“Il principale beneficiario di questi progetti sui passaporti vaccinali sarà l’industria farmaceutica multinazionale e non l’uomo comune.  Le persone comuni dovranno condividere la propria cartella clinica per dimostrarsi idonee a viaggiare all’estero o anche per andare al cinema”

L’attività stimata a cui mirano questi giganti farmaceutici vale 1.5 trilioni di dollari solo nel 2021.

Non appena il nuovo presidente americano è stato installato, è stato firmato un ordine esecutivo che impone nuove restrizioni di viaggio e  inizia a testare la fattibilità dei passaporti del vaccino COVID-19

Progetti in sviluppo

Quello che immaginano  le roadmap europee è un intero ecosistema COVID, un futuro in cui ogni aspetto della tua vita è monitorato e regolato secondo i capricci e la fantasia di questi Pharma Overlords.

Di seguito citiamo alcuni progetti che ti darebbero un’idea di come sarebbe il futuro.

Microchip COVID del Pentagono

Gli scienziati del Pentagono hanno creato un microchip che vogliono iniettare nel tuo corpo per rilevare il coronavirus  nel tuo corpo anche prima che tu mostri qualsiasi sintomo. Hanno anche creato un filtro per estrarre il virus dal tuo sangue.

Logo  sanitario  per le imprese

Dopo i passaporti dei vaccini per le persone, ora Hollywood presenta il sigillo sanitario COVID-19 per le imprese . Celebrità come Lady Gaga e Robert De Niro stanno utilizzando Covid-19 per promuovere un costoso programma di “sigillo di salute” che certificherà la sede della tua attività come priva di COVID-19.

Queste celebrità stanno predicando alle persone di acquistare questo sigillo sanitario che potrebbe costarti oltre $ 12.000 e che “non garantisce che uno spazio sia sicuro o privo di agenti patogeni”. Il WELL Building Standard è allineato con le Nazioni Unite.

Propaganda di vaccinazione

Con l’aumento dei casi di reazioni avverse multiple al vaccino COVID-19, ora fuori dai video di propaganda della vaccinazione blu   senza basi scientifiche stanno spuntando per spingerti ad

I passaporti vaccinali  sono stati progettati   prima dell’inizio della pandemia: dalla Commissione UE

 

“La pianificazione per l’attuazione del concetto di “passaporti per vaccini” è iniziata 20 mesi prima dello scoppio della pandemia . Ciò di cui parlano queste roadmap non è solo un pass sanitario  che limita l’entrata  o movimento a determinati luoghi delle persone. Quello che immaginano è un intero ecosistema COVID, un futuro in cui ogni aspetto della nostra vita è monitorato e regolato secondo i capricci e la fantasia di questi Pharma Overlords” –  Così esordisce  l’impressionante inchiesta di  GretatGame India,  il più serio e professionale dei siti   indiani  di geopolitica . E   rivela ai suoi lettori la serie di incontri riservati in cui le autorità europee  insieme all’OMS e alla Gates Foundation hanno  stilato la “tabella di marcia”  (roadmap) della dittatura sanitaria   dietro cui ci rinchiudono.   Anche se alcune cose possono essere note a lettori europei avvertiti (almeno speriamo),  l’esposizione dei geopolitici indiani è così cartesiana  e ragionata che vale la pena di riportarla-

Roadmap dei passaporti dei vaccini

La proposta iniziale di “Passaporti per vaccini” è stata pubblicata per la prima volta il 26 aprile 2018 dalla Commissione europea. La proposta, ignorata dai media tradizionali,  è  sepolta in profondità in una  “raccomandazione”  (leggi sotto) che trattava di “Cooperazione rafforzata contro le malattie prevenibili dai vaccini  ( Strentghened cooperation  against vaccine preventable diseases).

Secondo la tabella di marcia iniziale (pubblicata all’inizio del 2019) per attuare la proposta della Commissione europea, l’azione primaria era quella di “esaminare la fattibilità dello sviluppo di una carta / passaporto comune per le vaccinazioni” per i cittadini europei che fosse “compatibile con i sistemi informativi di immunizzazione elettronica e riconosciuta per l’utilizzo oltre confine. ”

Si prevedeva di ottenere una proposta legislativa emanata entro il 2022, in Europa.

Nella proposta sono stati menzionati anche termini – come “contrastare la  riluttanza vaccinale”, e  concetti di “focolai imprevisti” –   ignoti  prima dell’epidemia.

Altri punti nel documento della roadmap includevano il sostegno all’autorizzazione di “vaccini innovativi, anche per le minacce per la salute emergenti”.   Le  pozioni a RNA ricombinante sono innovativi al massimo  – con  cento mortali effetti avversi riconosciuti ufficialmente…

La raccomandazione continua :  l ‘”industria della produzione di vaccini” ha un “ruolo chiave” nel raggiungimento degli obiettivi descritti nel documento della roadmap,   e contempla  “il miglioramento della capacità di produzione dell’UE” e lo stoccaggio dei vaccini come ulteriori punti di azione da attuare. Inoltre, la roadmap  comanda il  rafforzamento delle “partnership esistenti” e della “collaborazione con attori e iniziative internazionali” –   e si riferisce al Summit globale sulla vaccinazione che si è tenuto nel 2019. Anche i partecipanti e l’agenda di questo vertice sono rivelatori.

Vertice mondiale sulla vaccinazione 2019

Le 3 tavole rotonde

Il vertice si è tenuto il 12 settembre 2019 a Bruxelles, in Belgio, appena 3 mesi prima dell’ inopinatissima  “pandemia di COVID-19. Il vertice non è stato riportato dalla maggior parte dei media mainstream. È stato organizzato dalla Commissione Europea in collaborazione con l’OMS

I membri del vertice

I partecipanti a questo vertice erano leader politici, rappresentanti di alto livello dei ministeri della salute, delle Nazioni Unite, importanti accademici, professionisti della salute e scienziati, organizzazioni non governative e privati.

Tra i membri del panel di rilievo per queste tavole rotonde c’erano il Dr. Seth Berkley, CEO di GAVI  (Global Alliance for VAccines and Immunization, creata d l’Organizzazione Mondiale della SanitàUNICEF, la Banca Mondiale, l’industria di vaccini  la Fondazione Bill & Melinda Gates e altri benefattori privati., Nanette Cocero, Presidente globale di Pfizer Vaccines,    altri membri  della  Global Vaccine Alliance – organizzazione sostanzialmnente finanziata all’inizio dalla  Bill & Melinda Gates Foundation; e Joe Cerrell, amministratore delegato della Bill & Melinda Gates Foundation per Global Policy and Advocacy.  Di fatto era Bill Gates che parlava  attraverso i suoi dipendenti   econ Pfizer “consigliava”  i ministri della salute europei  di come afrontare  (rendnendola permanente) la pandemia prossima ventura

Un  informatore dell’OMS, la dottoressa Astrid Stuckelberger in una stupefacente confessione, ha smascherato le attività sospette di Bill Gates e GAVI .

Nella 41a sessione del Comitato Investigativo Corona ha affermato che le regole in base alle quali i paesi lavorano con l’OMS hanno virtualmente incaricato l’OMS di tutte le regole, gli editti formali e gli annunci – con Gates che è proprio lì come parte del consiglio esecutivo come uno stato membro non ufficiale, prendere decisioni che influenzano il mondo intero.

Pianificazione pandemica

La pianificazione pandemica era chiaramente in evidenza in questo incontro al vertice. I documenti chiave distribuiti ai partecipanti includevano rapporti su:

  • Pianificazione della preparazione all’influenza pandemica
  • Un esercizio di influenza pandemica per l’Unione europea
  • Pianificazione della preparazione all’influenza aviaria e alla pandemia influenzale
  • Preparazione all’influenza pandemica e pianificazione della risposta
  • Verso la sufficienza dei vaccini influenzali pandemici nell’UE
  • Un “partenariato pubblico-privato” sui vaccini contro l’influenza pandemica europea

In tutti questi documenti, l’obiettivo di rafforzare la collaborazione con l’industria farmaceutica è ripetutamente sottolineato, così come il messaggio che una pandemia globale era ormai inevitabile.

È stato scoperto che secondo ampi scambi di e-mail ottenuti da un gruppo di avvocati in una controversia legale, il  ministero dell’Interno tedesco ha assunto scienziati per sviluppare un falso modello di coronavirus al fine di giustificare un rigoroso blocco .

A chi giovano  i pass  vaccinali?

“Il principale beneficiario di questi progetti sui passaporti vaccinali sarà l’industria farmaceutica multinazionale e non l’uomo comune.  Le persone comuni dovranno condividere la propria cartella clinica per dimostrarsi idonee a viaggiare all’estero o anche per andare al cinema”

L’attività stimata a cui mirano questi giganti farmaceutici vale 1.5 trilioni di dollari solo nel 2021.

Non appena il nuovo presidente americano è stato installato, è stato firmato un ordine esecutivo che impone nuove restrizioni di viaggio e  inizia a testare la fattibilità dei passaporti del vaccino COVID-19 .

Progetti in sviluppo

Quello che immaginano  le roadmap europee è un intero ecosistema COVID, un futuro in cui ogni aspetto della tua vita è monitorato e regolato secondo i capricci e la fantasia di questi Pharma Overlords.

Di seguito citiamo alcuni progetti che ti darebbero un’idea di come sarebbe il futuro.

Microchip COVID del Pentagono

Gli scienziati del Pentagono hanno creato un microchip che vogliono iniettare nel tuo corpo per rilevare il coronavirus  nel tuo corpo anche prima che tu mostri qualsiasi sintomo. Hanno anche creato un filtro per estrarre il virus dal tuo sangue.

Certificato sanitario  per le imprese

Dopo i passaporti dei vaccini per le persone, ora Hollywood presenta il sigillo sanitario COVID-19 per le imprese . Celebrità come Lady Gaga e Robert De Niro stanno utilizzando Covid-19 per promuovere un costoso programma di “sigillo di salute” che certificherà la sede della tua attività come priva di COVID-19.

Queste celebrità stanno predicando alle persone di acquistare questo sigillo sanitario che potrebbe costarti oltre $ 12.000 e che “non garantisce che uno spazio sia sicuro o privo di agenti patogeni”. Il WELL Building Standard è allineato con le Nazioni Unite.

Propaganda di vaccinazione

Con l’aumento dei casi di reazioni avverse multiple al vaccino COVID-19, ora fuori dai video di propaganda della vaccinazione blu   senza basi scientifiche stanno spuntando per spingerti ad

amare i vaccini e non fare domande e continuare a iniettare i vaccini anno dopo anno dopo anno .

“Siringhe volanti”

Flying Syringes è una frase usata per riferirsi a un progetto proposto finanziato da Bill Gates per creare zanzare geneticamente modificate che iniettano vaccini  nelle persone quando le mordono.

Passaporti Freedom  basati su codice QR

La Gran Bretagna potrebbe presto lanciare il Coronavirus Freedom Passport basato su QR per determinare se sei COVID-19 innocente. Se risulta positivo al COVID-19, potrebbe essere impedito l’accesso a pub, scuole e luoghi di lavoro.

Progetto Commons

La  Fondazione Rockefeller e la Fondazione Clinton hanno sviluppato una serie di app COVID  che controlleranno strettamente la tua vita post-covid.

L’iniziativa è lanciata dalla fondazione no profit Commons Project Foundation che fa parte del World Economic Forum.

Il  progetto Commons  include tre app COVID: CommonHealth , COVIDcheck e  CommonPass .

Insieme, raccoglieranno, archivieranno e monitoreranno i tuoi dati sanitari in base ai quali le app decideranno se sei idoneo a viaggiare, studiare, andare in ufficio, ecc.

Tatuaggio invisibile del vaccino quantistico

Un progetto finanziato da Bill Gates mira a fornire un  tatuaggio quantistico invisibile nascosto nel vaccino contro il coronavirus  per memorizzare la cronologia delle vaccinazioni.

I ricercatori hanno dimostrato che il loro nuovo colorante, costituito da nanocristalli chiamati punti quantici, può rimanere per almeno cinque anni sotto la pelle, dove emette luce nel vicino infrarosso che può essere rilevata da uno smartphone appositamente attrezzato.

Tessera sanitaria digitale

Il  governo indiano sta progettando di lanciare una tessera sanitaria digitale obbligatoria  modellata sul concetto di Bill Gates.

Nell’ambito del programma “One Nation One Health Card”, le cartelle cliniche di una persona, inclusi tutti i trattamenti e i test a cui è stata sottoposta, verranno salvati digitalmente in questa scheda.

Ospedali, cliniche e medici saranno tutti collegati a un server centrale. La mossa ha lo scopo di mappare le cartelle cliniche di ogni cittadino del Paese in formato digitale.

Tag elettronici per il monitoraggio dell’attività comportamentale

Dopo che i  robot AI hanno imposto le regole obbligatorie sulla maschera facciale , Singapore ha introdotto i tag elettronici COVID-19 per il monitoraggio delle attività comportamentali per applicare la quarantena.  Se tenti di uscire di casa, avviserà le autorità, dopodiché potrebbe esserci una multa di S $ 10.000 o sei mesi di prigione o entrambi.

Timbro di fiducia

Trust Stamp è un programma di identità digitale basato sulla vaccinazione finanziato da Bill Gates  e implementato da Mastercard e GAVI, che presto collegherà la tua identità digitale biometrica ai tuoi registri di vaccinazione.

Il programma ha detto di “evolversi man mano che evolvi” fa parte della guerra globale al denaro contante e ha il potenziale duplice uso ai fini della sorveglianza e della “polizia predittiva” basata sulla tua storia vaccinale.

Coloro che potrebbero non voler essere vaccinati potrebbero essere esclusi dal sistema in base al loro punteggio di affidabilità.

COVI PASS basato su RFID

Il governo del Regno Unito si sta preparando a  lanciare COVI PASS – L’RFID biometrico abilitato al Coronavirus Digital Health Passports  per monitorare quasi ogni aspetto della vita dei cittadini nel nome del rafforzamento della gestione della salute pubblica.

GreatGame India posta i pdf dei documenti europei; vi rimandiamo ad esso:

Vaccine Passports Were Planned Even Before The Pandemic Began

Nati dalle strategie della guerra biologica

Ma bisogna riconoscere che la Commissione Europea, in questa  raccomandazione di un “ecosistema pandemico permanente”, non faceva che seguire suggerimenti molto precedenti. Si è parlato di Event 201 ,   “la esercitazione pandemica per  la preparedness  ad affrontare le pandemie che avrevbero infuriato sempre più frequenti, ci venne detto. Evento 200i  ha avuto luogo il  18 ottobre 2019 in collaborazione con il World Economic Forum e la Bill and Melinda Gates Foundation, e  il Johns Hopkins Center for Health Security.

Orbene, questo Centro per la Sicurezza Sanitaria della John Hopkins esiste da parecchio tempo.

Era il 1998 e in un documento interno del Pentagono il colonnello Robert Kadlek, uno dei ,massimi esperti di guerra biologica e batteriologica, segnalava “i vantaggi”  delle armi biologiche, consistenti in questo: “Quando  armi biologiche sono utilizzate sotto la copertura di una epidemia limitata nello spazio o d’origine naturale,  si può negare in modo credibile d’averle usate…La possibilità di causare gravi perdite economiche e conseguentemente instabilità politica, unita alla possibilità di negarne credibilmente l’uso, è al di là delle capacità di qualsiasi altra arma conosciuta ”.

Nello stesso anno 1998, nasceva il “Center for Health Security”, in francese “Center pour la sécurité sanitaire”, affiliato alla Johns Hopkins University , è stato fondato negli Stati Uniti con il denaro dei miliardari Bloomberg,  ma è costantemente finanziato dallo  stato americano.  Prima, si  chiamava “Centro per la biosicurezza UCPM”,  terminologia militaresca.  Un anno dopo questo Centro per la sicurezza sanitaria ha iniziato a organizzare esercitazioni con i cosiddetti giochi di pianificazione del bioterrorismo.

I  nomi  di queste esercitazioni  sembrano  film  di fantascienza distopica: “Dark Winter”, “Global Mercury”, “Atlantic Storm”, “Clade X”;  e nell’ottobre 2019 l’esercizio “Event 201”.  I co-organizzatori erano la Fondazione Gates, il Forum economico mondiale e gruppi farmaceutici e mediatici statunitensi. In questo esercizio  hanno  giocato a far fronte a una “pandemia di coronavirus”, soprattutto per quanto riguarda le pubbliche relazioni.  “I governi  – dettava Event 201    dovranno collaborare con le società di media per studiare e sviluppare approcci più efficaci per contrastare la disinformazione. A tal fine, sarà necessario sviluppare la capacità di inondare i media con informazioni rapide, precise e coerenti […]. Da parte loro, le società dei media dovrebbero impegnarsi a garantire che i messaggi ufficiali vengano prima e che i falsi messaggi siano soppressi, anche attraverso la tecnologia “.

 

Che dite? E’  ben riuscito o no il rapporto coi media? Praticamente il virus falcia vite solo grazie al terror tv…

 

Dopo 14 MESI  AIFA e Spallanzani APPROVANO LA SPERIMENTAZIONE promossa da l’Università di Verona ed il San Paolo di Milano, di un farmaco RIVOLUZIONARIO  per la cura al COVID19 e la prevenzione delle polmoniti nei pazienti ancora non gravi:

L’ASPIRINA.

https://t.co/eZxRIt2J0u https://twitter.com/valy_s/status/1384142874179031050?s=20

Twitter (https://t.co/eZxRIt2J0u)

Gravidanza solidale” è “Utero in affitto” tradotto in neolingua Orwell

 

 FONTE: https://www.maurizioblondet.it/i-passaporti-vaccinali-sono-stati-progettati-prima-dellinizio-della-pandemia-dalla-commissione-ue/

 

 

 

Non vogliono curare: escluso dal Cts il medico da Nobel

Draghi conferma che esiste solo il vaccino, cure domiciliari inesistenti. Infatti Cavanna, neo testimonial per il Nobel 2021 e simbolo del covid at home, è stato escluso dal Comitato Tecnico Scientifico. La strategia è chiara: il covid non va curato, bisogna usare i ricoveri per spargere paura, vaccinare e rassicurare tenendo un occhio alle vacanze.

 

Luigi Cavanna

Le vacanze sì, le cure no. Nel corso della conferenza stampa di ieri, il presidente del Consiglio Mario Draghi, affiancato dal ministro della Salute Roberto Speranza, ha toccato tre argomenti: i vaccini, la ripresa post pandemica e la scuola. Si è parlato anche di vacanze e il premier ha consigliato agli italiani di prenotarle, mentre il viceministro Pierpaolo Sileri aveva già tranquillizzato l’umore italico che «al mare staremo senza mascherina».

Prenotare le vacanze mentre oggi siamo alle prese con una pandemia che non ci lascia scampo e che fa morire 500 persone al giorno negli ospedali? Quindi a giugno, luglio e agosto sappiamo già che, per parafrasare una celebre battuta, nun ce n’è coviddi? E chi ci dà questa garanzia?

C’è qualche cosa che non quadra: o siamo troppo ottimisti per il futuro o siamo troppo catastrofisti nel presente. Una cosa è certa: scordiamoci anche questa volta una gestione del covid incentrata sulle cure domiciliari precoci.

Ecco il grande assente dai piani del governo, dalle domande dei giornalisti, dagli interventi di Draghi. Assente. Così assente che per trovare qualche dichiarazione pubblica sulle cure domiciliari bisogna andare a pescare i celebri virologi da salotto, i quali ovviamente ne parlano male. Sta succedendo qualche cosa di veramente strano, proprio ora che il comitato dei medici che curano il covid a casa, è riuscito, dopo aver posto l’attenzione sulle cure domiciliari ad avere un po’ di visibilità: i medici sono silenziati, denigrati o trattati come medici di serie B.

La conventio ad excludendum ha motivazioni profonde e parte dalla strategia della priorità vaccinale. Una priorità che si poteva intravedere già nel febbraio 2020 quando la pandemia è scoppiata, basta leggere i verbali dell’epoca del Cts. Ma la priorità vaccinale, a discapito di un sistema di cure ramificato e che non costringa tutt’Italia a chiudersi in casa, si comprende se analizziamo le complesse dinamiche di politica sanitaria globale e globalista che il professor Belli ha denunciato sulle nostre colonne, col coinvolgimento della Gates foundation nelle scelte sanitarie pro vaccino degli stati: l’obiettivo è il vaccino, mentre la paura, i lockdown, i tamponi aumentati o diminuiti al bisogno e i ricoveri sono funzionali a convincerci obtorto collo che l’unico modo per affrontare la pandemia sia l’antidoto miracoloso.

Certo, per arrivare a minimizzare le cure domestiche i passaggi sono molteplici e su vari livelli.

Uno dei più evidenti è rappresentato dall’esclusione del dottor Luigi Cavanna dal Comitato Tecnico Scientifico, notizia che la Bussola ha confermato con i protagonisti della vicenda. Stiamo parlando del medico che prima di tutti ha portato avanti un protocollo di cura domiciliare precoce che ha ridotto le ospedalizzazioni al 5%. A maggio ottenne la copertina del Time come medico eroe e la scorsa settimana è stato scelto addirittura dalla Fondazione Gorbachev come testimonial per la candidatura dei medici italiani al Nobel per la pace 2021.

Non che una candidatura al Nobel, di questi tempi, sia indice di santità, ma è pur sempre un indizio di serietà. Sull’esempio di Cavanna, infatti, i protocolli di cura domiciliare precoce, si sono estesi a migliaia di medici che nel silenzio delle istituzioni e senza considerare i protocolli inutili del Ministero, hanno creato una rete che ha curato i pazienti senza mandarli all’ospedale.

La strada per gestire la pandemia cercando di normalizzare e non deprimere l’economia e affollare gli ospedali c’era. Ed era una strada fatta di cure a casa con evidenze scientifiche via via migliorate nel tempo, con pazienza e fiducia nelle evidenze cliniche che da marzo 2020 erano già disponibili.

Ma il fatto che nel corso dell’ultimo rinnovo del Cts non sia entrato nessuno dei medici che in questo ultimo anno ha curato a casa è indice di un disinteresse inquietante.

Quando il 10 marzo, i medici del comitato hanno incontrato il sottosegretario alla Salute Sileri (in foto), hanno avanzato questa richiesta: che anche Cavanna potesse sedere nel consesso degli espertoni che orienta le decisioni del governo o che comunque potesse sedere in una qualunque delle commissioni che si occupa di cure covid, come quella affidata all’infettivologo Matteo Bassetti, incaricato da Agenas di sviluppare un protocollo di cure domiciliari.

Ebbene: ad oggi Cavanna non è stato chiamato a offrire il suo contributo in nessuno di questi consessi di esperti mentre nessuno sa che cosa abbia fatto Sileri dopo aver promesso di impegnarsi «in un dialogo costruttivo». Alla Bussola che glielo ha chiesto insistentemente, non è stata neanche concessa una risposta. Evidentemente il tema non lo appassiona, come invece quello della spiaggia senza mascherina. E stiamo comunque parlando di uno dei membri del governo più loquace e presente in tv che però di fronte a certe domande ostenta il disprezzo del Marchese del Grillo.

«Certo – commenta con la Bussola l’avvocato del comitato Erik Grimaldi – speriamo che a Cavanna venga offerta la possibilità di poter partecipare a qualche gruppo di lavoro. Il fatto, poi, che sia entrato nel comitato il presidente dell’Aifa Palù ci dà qualche speranza». Certo, ma va detto però che da quando è arrivato alla guida dell’Aifa, Palù ha smesso di prendere posizione pubblica a favore di un investimento terapeutico sulle cure domiciliari, vanificando così tutti i suoi interventi precedenti il suo ingresso nell’Aifa e riservando le sue convinzioni sulla necessità di investire sulla cura domiciliare solo ad ambiti ristretti, come testimoniano alcuni scambi fugaci anche con la Bussola.

Le aspettative erano altre, però.

Nel frattempo i virologi demoliscono più che possono le cure domiciliari. Come ha fatto il professor Burioni e come ha fatto non più tardi di giovedì il professor Massimo Galli, che ai microfoni de La7 ha continuato a difendere la strategia della vigile attesa e del paracetamolo «e basta». Per non dimenticare dello stesso Bassetti, che ha bacchettato Simona Ventura per essersi curata in casa, rimproverandole di non essere un medico.

Insomma, gli unici che parlano in tv di cure domiciliari sono i medici ospedalieri che non curano i pazienti a casa. E questo fa capire la confusione che regna sul fronte della strategia di cura del covid, i ritardi e il fallimento della strategia ospedaliera con gli affollamenti in terapia intensiva, usati come spauracchio per chiuderci in casa ancora un po’.

FONTE: https://lanuovabq.it/it/non-vogliono-curare-escluso-dal-cts-il-medico-da-nobel

 

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Il Gran Maestro – e El Papa

Giuliano Di Bernardo, ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, fondatore della Gran Loggia Regolare e dell’Accademia degli Illuminati. In 6 minuti descrive il nostro futuro.  E molto di più.. Un video molto istruttivo (dal minuto 5 se non avete tempo)

Il gran maestro Di Bernardo conferma, di fatto, che il Gran Reset è un loro progetto, che la dittatura capital-comunista di Pechino è la forma di governo cui guardano come modello – e che la massoneria globale ha chiamato a racolta attorno a sé tutte le sue componenti, dagli ebrei che chiamiamo i Signori del Discorso al modernismo cattolico, dove Bergoglio in Vaticano, coi suoi cardinali miscredenti, pervertiti e viziosi esegue il compito di subalterno affidatogli, creare la sola religione generica mondiale.

VIDEO QUI: https://youtu.be/IIcZcZ2w6hk

Per il resto, la teoria esposta dal gran maestro, tipica, è istruttiva per i suoi errori di analisi plateali, che la porteranno a fallire.

Riduzionismo – Di Bernardo assimila gli stati nazionali (che unificarono dal Medio Evo popoli uniti solo dalla religio, ma con lingue diverse : si pensi a Spagna che unì Castiglia e Aragona, e Francia che unì le “langues” d’Oc ed’Oil) e i successivi imperi, a “globalizzazioni” ante litteram. Errore plateale di analisi: quelle unificazioni nazionali nacquero organicamente, da una base “naturale” , e poi furono attuate da una volontà politica di sovrani che avevano bisogno di maggiori forze ( militari e spirituali), saldate in unità, contro un nemico comune: l’Islam in Spagna, gli inglesi la Francia (Giovanna d’Arco!)

La globalizzazione vagheggiata dal gran massone è invece artificiale (“omogeneizzazione”), forzosa, innaturale, tanto che deve imporsi con la “pandemia”. Ma soprattutto, non è “La Scienza” a promuoverla, bensì il Capitale: il capitale sfrenato, scatenato, mosso dalla più cieca e ottusa sete di profitti a breve termine. E’ stato il Capitale americano, Wall Street, a fare della Cina la superpotenza che oggi è, delocalizzando industrie e relative know how scientifico e tecnologico là (opere del nostro ingeno), per lucrare dai salari bassissimi, scientemente rubando ai salariati occidentali “la giusta mercede”, a favore del Capitale. E ancora adesso non vuole riconoscere il suo errore strategico, e quindi vuole essere “come la Cina”: ossia azzerando l’identità religiosa e rieducandoci, noi sudditi, al “confucianesimo”, ossia ad una morale sociale.

Insomma la Massoneria in certo senso sta replicando, su scala mondale e mondialista, ciò che fece nei Balacani dopo il 1918: creare la Yugoslavia unificando artificialmente serbi e montenegrini ortodossi, croati cattolici, bosniaci musulmani in uyna “democrazia”. Successe che fin dai primi mesi, iu parlamentari serbi spararono su quelli croati, nello stesso parlamento…Ora Di Bernardo ci fa capire che la Massoneria ha “capito” dove stava il problema dell’insuccesso: nella democrazia (vede governare l’Uno Dio, presidente a vita, coadiuvato dalla Intelligenza Artificiale”) religione, che va ridotta a una serie di norme morali condivise, il confucianesimo; e qui è il compito di Bergoglio. Che lo sta eseguendo con la pedissequa imitatività del basso grado…

Come spiega ben Liz Yore, credente americana e avvlocato difensore dei bambini “scomparsi”:

VATICAN CONFERENCE 2021: verso un’unica religione mondiale?

Liz Yore, fondatrice di Yore children ha denunciato la imminente conferenza del Vaticano “Esplorando la mente, il corpo e l’anima” per quello che è: una seduta spiritica a una religione mondiale.

Il Vaticano attraverso Papa Francesco sta servendo come trampolino di lancio dell’unica religione mondiale“, ha spiegato Yore.

Il transumanesimo, Gaia, il dialogo interreligioso che Francesco continua a promuovere. Questo è quello che sta succedendo.”

La “psyop mascherata da conferenza sulla salute” prende il via con il dottor Tony Fauci e una serie di celebrità pro-aborto, come Cindy Crawford e Chelsea Clinton.

“Questo è molto critico perché le persone devono avere spitualismo”, ha detto Yore. “S sostituiscono tutte le religioni tradizionali, cosa che accadrà nel nuovo Grande Reset, a meno che i cattolici e i giudeo-cristiani del mondo in occidente non si oppongano.”

Sarà sostituito da una nuova religione mondiale, che è l’ambientalismo che promuove il controllo della popolazione“, ha detto. Fauci guida la conferenza vaticana in veste di “nuovo sommo sacerdote dello scientismo“. Inoltre, apparirà il direttore del National Institutes of Health Francis Collins, che è “uno dei più grandi” promotori del transumanesimo.

Il logo della conferenza cattolica è l’arcobaleno LGBT , fa notare Yore.

“Si tratta dell’assassinio della verità”, dice . “E non c’è stata una voce dissenziente in Vaticano. Mai negli ultimi 8 anni. Sull’ambientalismo, sul globalismo, sul cambiamento climatico, sui vaccini, non uno. “Eppure, prima , il Vaticano è sempre stato il palco per le voci dissenzienti per il dibattito”, ha detto.

“Perché per trovare la verità è necessario discutere.” “Non in questo papato“, disse Yore. “Si stanno comportando al passo con l’agenda globalista“.

Fauci pronuncerà il discorso di apertura della conferenza 

“La giornata di apertura della conferenza sarà guidata da un intervento del dott.Anthony Fauci, capo consulente sanitario del presidente Joe Biden, che ha recentemente assicurato all’Organizzazione mondiale della sanità l’impegno del regime di Biden a finanziare l’aborto – e l’anno scorso ha suggerito che il sesso con estranei era più sicuro che ricevere la Santa Comunione durante i periodi COVID. Nella conferenza vaticana, sarà aiutato dalla presenza degli amministratori delegati di Pfizer e Moderna, i cui vaccini contaminati dall’aborto sono sempre più seguiti da migliaia di morti e invalidati gravi ; la conferenza discuterà della “rivoluzione” della terapia cellulare, nonché di “COVID-19 completo Soluzioni “e” Una nuova generazione di vaccini “.

Gli argomenti della conferenza vanno da “Are We What We Eat?” (Siamo ciò che mangiamo) e “Human Enhancement”  (potenziamento umano), a “Living Healthily to 120 and Beyond” (vivere sani a 120 anni e ed oltre: il sogno dei cardinali che fanno le 2 di notte per incontrare trans…)) e “Sanità pubblica sostenibile, e mano a dirlo Protecting Our Environment” (proteggere il nostro ambiente) . Nessun minimo riferimento a Dio, alla chiesa, alla fede cattolica. Solo sei degli argomenti sono lontanamente collegati alla religione e trattano temi come “Pratiche dietetiche religiose e salute” (per vegan….) e “Come definisci l’anima?”

Papa Francesco chiuderà l’evento offrendo ai partecipanti un‘“udienza” virtuale e privata.

Elizabeth Yore, la fondatrice di Yore Children, è un avvocato internazionale che difende i minori, la cui carriera legale abbraccia un’ampia gamma di questioni legali relative allo sfruttamento dei bambini. Liz ha ricoperto la carica di consulente legale presso il Dipartimento dei servizi per l’infanzia e la famiglia dell’Illinois, dove ha creato la prima unità per bambini scomparsi per le corsie di decollo e ha collaborato con le forze dell’ordine federali sui procedimenti giudiziari per tratta di esseri umani. Elizabeth era il consigliere generale e direttore della divisione internazionale presso il Centro nazionale per i bambini scomparsi e sfruttati in Virginia. Ha gestito casi di sottrazione di minori nazionali e internazionali.nbsp;

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/il-gran-maestro/

 

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Nuova tegola sull’industria dell’auto: ora manca la gomma

Il 2020-2021 si sta trasformando in un biennio nero per l’industria globale dell’auto. Dapprima la crisi del Covid e il blocco sostanziale del mercato globale del settore hanno paralizzato il business delle case produttrici, poi dopo lo shock dell’inizio della pandemia la ripresa del settore è stata disaggregata tra le aree del mondo, come la Cina, a più rapido tasso di ripresa e quelle, come l’Europa, maggiormente stagnanti; come se non bastasse, il 2021 è iniziato con la crisi legata alla carenza di chip per il “collo di bottiglia” del mercato dei semiconduttori, caratterizzato da un eccesso di domanda rispetto all’offerta, e sta proseguendo con la carenza della gomma naturale, materiale chiave usato nei pneumatici e nei componenti sotto il cofano.

Il problema dell’eccesso di domanda

Steve Wybo, gestore del ramo automotive della società di consulenza Conway MacKenzie ha dichiarato a Bloomberg che l’effetto seguito dai produttori in questa fase è pari a quello che a inizio pandemia in diversi Paesi portava a fare incetta di carta igienica o farina: “Se riesci a mettere le mani su un po’ di plastica o di gomma, ne ordinerai più del necessario perché non sai quando sarai in grado di procurartela”. Una volta di più il problema è l’eccesso di domanda rispetto all’offerta, che gruppi come Ford, Stellantis e General Motors iniziano a percepire come potenzialmente dannoso del loro business.

Per il 2020 il World Rubber Industry Outlook, pubblicato dall’International Rubber Study Group aveva segnalato che dopo un calo dell’1% nel 2019 la domanda globale di gomma era calata del 12,5% nell’anno di inizio della pandemia attestandosi a quota 25,2 milioni di tonnellate, con un rimbalzo del 7,8% atteso per il 2021. La ripresa massiccia degli ordinativi dal settore auto ha nuovamente messo sotto stress la catena del valore del settore, dopo però che l’alterazione dei flussi commerciali e della certezza delle rotte di approvvigionamento dei produttori si era sommata alla corsa all’accumulazione della Cina, Paese più “affamato” di gomma al mondo, che ha fatto scorta puntando sui bassi prezzi e per rafforzare le potenzialità dei produttori interni.

Dove nasce la carenza di gomma

L’impatto di un fungo, il Pastalotiopsis, sulle piantagioni dello Sri Lanka e del resto del Sud-Est dell’Asia ha colpito poi la capacità delle aree più produttive del mercato della gomma di fornire i settori che da essa sono maggiormente dipendenti, e l’industria dell’auto ha nuovamente sofferto duramente le incertezze del mercato. E i prezzi sono in volo, come dimostrato dall’incertezza finanziaria attorno al mercato della gomma: il 26 febbraio scorso, le quotazioni dei future hanno raggiunto il massimo degli ultimi quattro anni, arrivando a 2.600 dollari la tonnellata, per poi calare gradualmente, pur in un clima di forte volatilità.

“L’industria, che ha a lungo fatto affidamento sulla produzione just-in-time per ridurre i costi, sta scoprendo di avere una flessibilità limitata per affrontare i disturbi della catena di approvvigionamento causati dalla pandemia”, nota StartMag, aggiungendo che “i problemi della gomma potrebbero rivelarsi particolarmente spinosi perché gli alberi hanno bisogno di sette anni per maturare, rendendo improbabile che l’offerta rimbalzi rapidamente”. Tutto questo mentre da Michelin a Bridgestone i maggiori operatori del settore dei pneumatici corrono ai ripari per preservare la filiera, importando con voli diretti la gomma e cercando di espandere la capacità produttiva in aree come l’India ove gli impianti possono essere ulteriormente rafforzati. Gary Busch, direttore del procurement alla Carlstar, ha a tal proposito dichiarato di voler battere ogni frontiera del mercato globale di approvvigionamento per non veder crollare la produzione globale di pneumatici.

Le grandi catene del valore sono sostenibili?

In questo contesto, si riaprono le riflessioni sulla sostenibilità delle grandi catene del valore globali dopo la pandemia, in una fase segnata non solo da una grande incertezza ma anche da “cigni neri” quali il blocco del Canale di Suez che hanno mostrato la fragilità di un’eccessiva delocalizzazione. L’industria dell’auto ha a lungo beneficiato dello sdoganamento della globalizzazione, ma ora il Covid ha rafforzato le tesi di chi sosteneva l’utilità del reshoring nei Paesi di origine delle aziende multinazionali della quota più critica e strategica della catena del valore di ogni bene. E se oggigiorno in Paesi come gli Usa il focus principale è su sanità, nuove tecnologie, energia rinnovabile non c’è da escludere che in futuro anche parti dell’industria dell’auto, specie in vista della transizione all’elettrico, possano conoscere una restrizione delle filiere. Sempre più esposte a shock esogeni.

La madre di tutte le crisi è stata per l’automotive quella legata alla carenza di chipDan Hearsch, managing director della società di consulenza newyorkese AlixPartners, ha ricordato alla Cnbc che per la sua società il danno complessivo al fatturato del settore automotive nel 2021 potrebbe misurarsi in 60 miliardi di dollari. Su questa crisi-shock si innestano quella della gomma, ma non solo. Quattroruote segnala che sul mercato per le case produttrici “si stanno riscontrando difficoltà nell’approvvigionamento di schiuma per sedili, resine plastiche, materie prime quali il rame e perfino l’acciaio”. Il mondo dell’auto rischia una graduale paralisi se le case produttrici non porranno ordine e se i governi non riprenderanno in mano il dossier della politica industriale per il bene di consumo più strategico delle società contemporanee. In un certo senso possiamo dire che queste crisi a ripetizione segnalano che una fase della globalizzazione dei mercati è finita per sempre.

FONTE: https://it.insideover.com/economia/nuova-tegola-industria-auto-manca-gomma.html

Emergenza fine mai. Nuovo decreto, ancora più chiusure

L’impronta del Ministro Roberto Speranza sulle scelte governative si dimostra ancora determinante. Il nuovo decreto che entra in vigore lunedì 26 aprile, contiene nuove misure draconiane e spesso anche assurde. Stato d’emergenza prorogato fino al 31 luglio. Ristoranti aperti, ma coprifuoco alle 22. Carta verde per spostarsi da una regione all’altra, anche se non c’è alcuna garanzia che non si trasmetta il virus. Riapertura delle scuole, ma a singhiozzo. Il tutto avviene 14 mesi dall’inizio della pandemia e a 3 mesi dall’inizio della campagna vaccinale. Il governo non sa produrre altro. Priva di effetti l’astensione della Lega.

PROTESTANTI INGLESI CONTRO IL PASS VACCINALE di Benedetta Frigerio

 

Roberto Speranza e Mario Draghi

L’impronta del Ministro Roberto Speranza sulle scelte governative si dimostra ancora determinante. La bozza di decreto discussa e approvata ieri in consiglio dei ministri e che diventerà operativa da lunedì 26 aprile e fino al 31 luglio continua a fondarsi su restrizioni contraddittorie e ancora più rigide rispetto a quelle dell’anno scorso, quando la pandemia era ancora un nemico sconosciuto e invisibile e l’unica cosa che il governo precedente fu in grado di fare era chiudere qualsiasi attività e limitare tutte le libertà delle persone.

Le misure approvate ieri (con l’astensione della Lega) e che potranno al massimo essere limate ma non stravolte, come in alcuni casi il buon senso suggerirebbe, rischiano di compromettere la sopravvivenza di migliaia e migliaia di imprese e la tenuta psichica ed emotiva di milioni di persone ormai devastate dai lockdown.

Tra le incongruenze palesi e marchiane, che risultano di difficile comprensione, anzitutto la proroga dello stato d’emergenza fino al 31 luglio. Si tratta di una decisione che non trova fondamento nel quadro complessivo della situazione sanitaria e che trasmette sul territorio nazionale e anche all’estero una sensazione di precarietà e di fragilità del nostro Paese. E’ come se si continuasse a dire che l’Italia è malata, in emergenza e almeno fino ad agosto non ripartirà. Peraltro non è mai stato spiegato con chiarezza agli italiani quali benefici possa arrecare a persone e imprese la dichiarazione dello stato d’emergenza per un periodo così lungo (ormai siamo a un anno e mezzo).

Si va quindi avanti a colpi di proroghe dello stato d’emergenza e chi si illudeva pensando che con la campagna vaccinale si potesse vivere un’estate normale dovrà rassegnarsi.

Ma non è questa l’unica anomalia. Ci sono misure che non incidono sul contrasto alla pandemia ma concorrono ad affossare ulteriormente l’economia e a far deprimere imprenditori, lavoratori, famiglie. Anzitutto il coprifuoco alle 22. Che senso ha far aprire i ristoranti soltanto fino alle 22 in piena estate? Chi va a cena alle 20 con 40 gradi nelle località balneari? Le regioni (all’unanimità), la Lega, Forza Italia e Italia Viva chiedevano una proroga fino alle 23, al fine di consentire un minimo di respiro ai ristoranti e a chi li frequenta. Magari in questo modo alcuni riuscirebbero a fare anche il doppio turno e a recuperare un po’ delle ingenti perdite degli ultimi 12 mesi. E invece nulla. Il coprifuoco, a meno di miracoli dell’ultim’ora, resta alle 22. E che dire di teatri e luoghi di spettacolo all’aperto? Per loro un’ora in più di libertà avrebbe consentito di programmare spettacoli a orari non scomodi come le 18 o le 19, e invece nulla.

I ristoranti senza spazi all’aperto sono invece i più penalizzati, ancor più penalizzati rispetto ai mesi scorsi. Potranno riaprire soltanto il primo giugno e solo fino alle 18, quindi solo per pranzo. Nelle zone gialle, per tutta la durata della pandemia, i ristoranti potevano aprire solo a pranzo e  fino alle 18. E allora perché fargli perdere un altro mese e mezzo di incassi? Fra pochi giorni gran parte dell’Italia sarà in zona gialla ma i ristoranti al chiuso (che sono circa 111mila su 350mila) non potranno servire pasti a tavola: un passo indietro assurdo e inconcepibile rispetto alle regole sin qui in vigore.

Infine il pass (cosiddetta carta verde) per gli spostamenti tra regioni con colori diversi. Chi vorrà viaggiare (tranne che tra regioni in fascia gialla) dovrà esibire, a partire da lunedì, un pass che attesti l’avvenuta vaccinazione (doppia dose) o la guarigione dal Covid o il tampone negativo fatto 48 ore prima. Misura inutile per diverse ragioni: è stato più volte precisato che i vaccinati possono comunque trasmettere il virus; si è detto che chi è guarito potrebbe aver perso nel tempo gli anticorpi ed essere nuovamente contagioso; il tampone può essere inattendibile oppure il virus potrebbe essere in incubazione e quindi esplodere anche dopo un tampone negativo. Questa misura peraltro realizza uno scenario da Grande Fratello, comportando la limitazione della intangibile sfera di privacy delle persone, che così saranno sempre monitorate nei loro spostamenti, nelle loro destinazioni, nelle loro frequentazioni. E senza un beneficio certo e comprovato per la tutela della salute.

A fine maggio dell’anno scorso, quando ancora nessuno parlava di vaccini, i contagi si erano pressochè azzerati perché si sa che il caldo e le temperature elevate consentono a tutti di stare all’aperto e il virus in quelle condizioni non si trasmette facilmente e tende a scomparire. E’ già stato detto peraltro che gli stabilimenti balneari dovranno osservare nella prossima stagione estiva le stesse misure dell’anno scorso. Niente di nuovo sotto il sole, è proprio il caso di dirlo.

Infine una considerazione sulla scuola: le riaperture a singhiozzo compromettono la regolarità dell’anno scolastico e alimentano nelle nuove generazioni un senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni. Prima i tamponi rapidi, poi il potenziamento dei trasporti pubblici locali, poi i banchi a rotelle, infine gli ingressi scaglionati nelle aule: gli annunci e le mancate promesse che hanno riguardato le scuole sono lo specchio di una gestione disastrosa della pandemia, della quale molti sono consapevoli.

Se poi da Bergamo dovessero arrivare altri avvisi di garanzia…

FONTE: https://lanuovabq.it/it/emergenza-fine-mai-nuovo-decreto-ancora-piu-chiusure

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Ordine Usa contro la Russia: Italia sull’attenti

Manlio Dinucci,  Il Manifesto (ripreso da Voltairenet)

Il ministro degli Esteri Di Maio e il ministro della Difesa Guerini sono stati convocati d’urgenza al quartier generale della Nato a Bruxelles, per una riunione straordinaria del Consiglio Nord Atlantico il 15 aprile: il giorno stesso in cui, a Washington, il presidente Biden firmava l’«Ordine esecutivo contro le dannose attività estere del governo russo».

L’Ordine non decreta solo espulsioni di diplomatici e sanzioni economiche, come hanno riportato i media. «Se la Russia prosegue o intensifica le sue destabilizzanti azioni internazionali», stabilisce l’Ordine, «gli Stati uniti imporranno costi tali da provocare un impatto strategico sulla Russia». Proprio per preparare l’«impatto strategico», ossia una intensificata escalation politico-militare contro la Russia, è stato convocato il Consiglio Nord Atlantico a livello dei ministri degli Esteri e della Difesa dei 30 paesi della Nato, presieduto formalmente dal segretario generale Stoltenberg, di fatto dal segretario di Stato Usa Blinken e dal segretario Usa alla Difesa Austin.

Il Consiglio Nord Atlantico – l’organo politico dell’Alleanza che, secondo le norme Nato, decide non a maggioranza ma sempre «all’unanimità e di comune accordo», ossia d’accordo con quanto deciso a Washington – ha approvato immediatamente, all’unanimità, una «Dichiarazione di solidarietà con gli Stati uniti sulle azioni, annunciate il 15 aprile, per rispondere alle attività destabilizzanti della Russia». Elenca quindi, con le stesse parole dell’Ordine esecutivo di Biden, i capi di accusa alla Russia: «Comportamento destabilizzante e provocatorio, violazione della integrità territoriale di Ucraina e Georgia, interferenza nelle elezioni degli Usa e degli Alleati, vasta campagna di disinformazione, uso di gas nervino contro Navalny, sostegno agli attacchi contro le forze Usa/Nato in Afghanistan, violazione degli accordi sulla non-proliferazione e il disarmo».

Sulla fondatezza di tali accuse basti considerare, una per tutte, quest’ultima: ad accusare la Russia di aver violato gli accordi sulla non-proliferazione e il disarmo sono gli Stati uniti, che hanno sempre violato il Trattato di non-proliferazione, schierando armi nucleari in Italia e altri paesi europei, e che hanno stracciato il Trattato Inf riaprendo la via all’installazione di nuovi missili nucleari in Europa.

L’escalation non è solo verbale. Il giorno prima del Consiglio Nord Atlantico, l’Esercito Usa in Europa ha comunicato che, dovendo ricevere nei prossimi mesi due nuove unità operative, conserverà in Germania tre basi che avrebbe dovuto restituire al governo tedesco. Il giorno dopo il Consiglio Nord Atlantico, gli Stati uniti hanno annunciato un accordo con la Norvegia, che permette loro di disporre di 4 basi aeree e navali ai confini con la Russia. Nel frattempo è rientrato in Europa il cacciatorpediniere Usa Arleigh Burke, sottoposto a un ammodernamento che ha «accresciuto il raggio e la capacità dei suoi armamenti». L’Arleigh Burke è una delle 4 unità lanciamissili a spiegamento avanzato della Sesta Flotta che, agli ordini del Comando delle forze navali Usa in Europa (con quartier generale a Napoli-Capodichino), operano soprattutto nel Baltico e nel Mar Nero.

Queste navi sono dotate di lanciatori verticali Mk 41 della Lockheed Martin, in grado di lanciare (secondo le specifiche tecniche ufficiali) «missili per tutte le missioni: anti-aeree, anti-nave, e di attacco contro obiettivi terrestri». Questi ultimi, tra cui il missile Tomahawk, possono essere armati di testata convenzionale o di testata nucleare. Non potendolo sapere, la Russia dà per scontato che, a bordo di queste navi in prossimità del suo territorio, vi siano missili da attacco nucleare. Mentre anche Londra annuncia il prossimo invio di una unità lanciamissili nel Mar Nero, Mosca comunica che, dal 24 aprile al 31 ottobre, non sarà concesso alcun passaggio di navi da guerra straniere attraverso le acque territoriali russe in tre aree del Mar Nero.

La situazione diverrà ancora più tesa quando, l’estate prossima, si svolgerà nel Mar Nero l’esercitazione Usa-Ucraina Sea Breeze, cui parteciperanno anche altri paesi Nato, con oltre 30 navi, appoggiate da aerei, elicotteri e droni.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/ordine-usa-contro-la-russia-italia-sullattenti/

 

 

 

Che succede se la Russia decide di “vedere il bluff” degli USA?

Se la Russia “vede il bluff” di Washington sull’Ucraina agli Stati Uniti restano poche opzioni

 

Ted Galen Carpenter – Antiwar.com – 19 aprile 2021

 

Le crescenti tensioni tra la Russia e l’Ucraina stanno producendo un’ondata di spacconate da parte dell’amministrazione Biden, così come da parte dei “falchetti” dei think tank di Washington. L’amministrazione continua ad assicurare al governo dell’Ucraina che gli Stati Uniti e la NATO spalleggeranno Kiev nel suo confronto con i separatisti sostenuti dalla Russia nella regione orientale del Donbass e con la Russia stessa. Un comunicato stampa della Casa Bianca del 2 aprile ha confermato che, in una telefonata al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Biden “ha ribadito il deciso sostegno degli Stati Uniti alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina di fronte alla continua aggressione della Russia nel Donbass e in Crimea“. Altri funzionari di alto livello dell’amministrazione, tra cui il Segretario alla Difesa Lloyd Austin e il Segretario di Stato Antony Blinken hanno fatto lo stesso.

In superficie, i russofobi americani sembrano quasi avere voglia di una resa dei conti militare con Mosca. Le relazioni bilaterali complessive sono ulteriormente peggiorate il 15 aprile, quando l’amministrazione ha imposto una serie di sanzioni aggiuntive alle imprese ed al governo russi per una serie di presunti misfatti, tra cui la [pretesa] interferenza nelle elezioni americane del 2020, il maltrattamento di Alexei Navalny e altri dissidenti interni, e il comportamento aggressivo verso i paesi vicini. Usando una logica e un linguaggio simile a un ragazzo di scuola media che sperimenta un aumento di testosterone e contempla di sfidare un rivale del parco giochi, l’ammiraglio James Stavridis, ex comandante delle forze della NATO, ha affermato in un editoriale che Putin stava puntando all’espansione territoriale a spese dell’Ucraina, e che Biden deve “fare il muso duro”.

Esperti credibili, tuttavia, dubitano che gli Stati Uniti andrebbero effettivamente in guerra contro la Russia per difendere l’Ucraina. Lo studioso del Quincy Institute, Anatol Lieven, afferma categoricamente che gli Stati Uniti “non hanno alcuna intenzione di combattere la Russia” e dovrebbero, quindi, smettere di armare l’Ucraina e incoraggiare la posizione sempre più bellicosa di Kiev contro il suo vicino più grande e molto più potente. Si spera che Lieven abbia ragione e che, anche se scoppiassero combattimenti tra la Russia e l’Ucraina, la sanità mentale prevarrebbe e i leader statunitensi non lancerebbero una guerra che comporta il rischio intrinseco di un olocausto nucleare.

Una precedente amministrazione statunitense aveva incoraggiato uno dei vicini della Russia a “fare il figo” e mostrare i muscoli militarmente, solo per abbandonare quel cliente quando sono scoppiati i combattimenti reali. George W. Bush ha portato il presidente della Georgia, Mikheil Saakashvili, a credere che il suo paese fosse un prezioso alleato degli Stati Uniti e che gli Stati Uniti e la NATO sarebbero venuti in soccorso della Georgia se si fosse trovata coinvolta in un conflitto armato con la Russia. Saakashvili aveva tutte le ragioni per pensare di avere il sostegno incrollabile di Washington. L’amministrazione Bush aveva fornito milioni di dollari in armi a Tbilisi, addestrato le truppe georgiane e aveva fatto pressioni attive sulla NATO per accettare la Georgia come nuovo membro.

Ma quando un Saakashvili troppo sicuro di sé ha cercato di riprendere il controllo su una regione secessionista e ha ucciso le truppe russe di pace di stanza laggiù, Mosca ha lanciato una controffensiva che ha presto sbaragliato le unità georgiane. Nonostante le precedenti indicazioni di sostegno di Washington, le forze USA e NATO si sono prudentemente ritirate. La Georgia ha dovuto firmare un umiliante accordo per porre fine ai combattimenti.

Washington potrebbe trovarsi ad affrontare una situazione simile se l’Ucraina, confidando nel sostegno degli Stati Uniti e della NATO, dovesse stupidamente cercare di strappare la Crimea alla Russia o lanciare una nuova offensiva contro i separatisti filorussi nel Donbass. Avendo impegnato così pubblicamente il prestigio degli Stati Uniti nel sostenere Kiev, per Washington sarebbe più difficile abbandonare l’Ucraina di quanto lo sia stato per l’amministrazione Bush abbandonare la Georgia al suo destino. I soliti noti insisterebbero che gli Stati Uniti non potrebbero ritirarsi senza subire un danno irreparabile alla loro “credibilità” come superpotenza. Eppure anche funzionari ragionevolmente prudenti probabilmente riconoscerebbero che un intervento militare USA-NATO contro le forze russe potrebbe rivelarsi decisamente troppo pericoloso.

Date queste pressioni contrastanti, la risposta più probabile degli Stati Uniti sarebbe quella di colpire militarmente un simbolo del potere e dell’influenza russa, ma che non comporti un confronto militare diretto con Mosca. La situazione ricorda le opzioni che i leader statunitensi vagliavano durante la Guerra Fredda se l’Unione Sovietica avesse assorbito l’enclave occidentale a Berlino Ovest. L’aspettativa più comune era che Washington si sarebbe astenuta da un confronto nucleare in Europa, ma si sarebbe vendicata eliminando l’alleato di Mosca nell’emisfero occidentale, Cuba.

Una simile risposta “occhio per occhio” è forse ancora più probabile oggi, se l’attuale confronto con la Russia culminerà in combattimenti tra le forze russe e ucraine. Tuttavia, la lista degli obiettivi possibili per una ritorsione da parte degli Stati Uniti non è lunga. Tornare a colpire la Serbia, come l’amministrazione di Bill Clinton fece con entusiasmo negli anni ’90, sarebbe inutile. Anche se Belgrado mantiene stretti legami con Mosca, il paese è democratico e cerca anche di essere ammesso nell’Unione Europea. Anche gli alleati dei media più sicofanti dell’amministrazione Biden avrebbero difficoltà a ritrarre la Serbia di oggi come un’odiosa dittatura o una minaccia alla pace regionale.

La Siria sarebbe un candidato molto più credibile, ma lanciare una grande offensiva per spodestare Bashar al-Assad sarebbe rischioso quasi quanto attaccare le forze russe in Ucraina. Mosca ha una base navale di importanza cruciale in Siria, e migliaia di militari russi operano in quel paese. Il pericolo di uno scontro tra le forze statunitensi e russe, innescando così una guerra su larga scala, sembrerebbe altamente probabile.

Cuba rimane un possibile obiettivo, ma ne esiste uno più facile per una ostentata “guerra di liberazione” statunitense, che costituirebbe anche un’umiliazione geopolitica per la Russia: il Venezuela. L’amministrazione di Donald Trump non ha fatto mistero di volere che il regime di estrema sinistra di Nicolas Maduro venga abbattuto. Non solo l’amministrazione ha fornito sostegno diplomatico e finanziario al leader dell’opposizione Juan Guaido, ma ha chiesto alla Russia di smettere di sostenere il governo di Maduro. Mosca ha certamente sostenuto ampiamente Maduro, e non è esagerato dire che il Venezuela è uno stato cliente del Cremlino. Durante gli anni di Trump, gli Stati Uniti e la Russia hanno condotto una vera e propria lotta per procura riguardo al Venezuela.

Nonostante le aspettative diffuse che Biden avrebbe perseguito un approccio più conciliante, l’amministrazione ha continuato la politica di Trump. Washington riconosce ancora Guaido come presidente legittimo del Venezuela, e la Casa Bianca continua la “dichiarazione di emergenza” di Trump che definisce il Venezuela una minaccia alla sicurezza nazionale.

Nonostante il sostegno economico e politico esistente, qualsiasi intervento militare russo a favore del Venezuela sarebbe altamente improbabile, e i leader statunitensi sarebbero fiduciosi della continua moderazione di Mosca, indipendentemente dalle azioni di Washington. Anche l’opposizione interna ad una guerra di cambio di regime potrebbe essere contenuta senza troppi problemi, anche se alcuni degli alleati progressisti del presidente non ne sarebbero certamente felici. L’amministrazione (insieme con le sue legioni di alleati nei media) farebbe passare l’intervento come necessario sia per rimuovere una dittatura brutalmente repressiva che per prevenire una minaccia russa alla sicurezza nel “cortile di casa” dell’America.

Una guerra di cambio di regime contro il Venezuela è precisamente il tipo di risposta “occhio per occhio” che i mandarini della politica estera statunitense, umiliati ma ancora arrabbiati e aggressivi, potrebbero scegliere per salvare un po’ di prestigio se la Russia dovesse “vedere il bluff” di Washington sulla difesa dell’Ucraina. C’è, naturalmente, un modo molto più facile per i falchi da poltrona e i bombardieri da laptop dell’America di evitare il pericolo di una tale umiliazione. Ma questo approccio richiederebbe loro di smettere i fare i gradassi e di “agitare le sciabole nei foderi”, e non sembrano inclini a scegliere un approccio tanto elementare quanto prudente.

 

Ted Galen Carpenter, senior fellow in studi di sicurezza al Cato Institute, è autore di 12 libri e più di 900 articoli sugli affari internazionali.

Link: https://original.antiwar.com/Ted_Galen_Carpenter/2021/04/18/symbolic-retaliation-why-the-us-likely-would-attack-a-kremlin-client-state-in-response-to-a-russian-ukrainian-war/

Scelto e tradotto da Arrigo de Angeli per ComeDonChisciotte

FONTE: https://comedonchisciotte.org/che-succede-se-la-russia-decide-di-vedere-il-bluff-degli-usa/

 

 

 

Perché la pandemia è anche una “guerra dell’acqua”

In Qualcosa di nuovo sotto il sole, un libro destinato a diventare una pietra miliare nella letteratura sull’ambiente, John R. McNeill, sciorinando i mali dell’idrosfera nell’Antropocene, tuonava: “Se non si arriva a disporre dell’acqua necessaria, la salute pubblica si deteriora e l’economia si indebolisce”. Più acqua, dunque, non è solo sinonimo di più acqua da bere, ma soprattutto strumento fondamentale per l’igiene personale e pubblica, assieme alla capacità di far defluire o diluire le acque reflue.

Le più grandi epidemie della storia, infatti, hanno avuto un legame più o meno diretto con la scarsità e la salubrità delle acque e con la conseguente povertà di prassi igieniche: i più leggendari corsi d’acqua del mondo come il Gange, il Nilo, il Reno, sebbene forieri di ricchezza e prosperità, sono stati spesso origine di numerosi mali. Per questa ragione, i progressi scientifici sulla modalità di trasmissione di patologie come colera e febbre tifoide hanno contribuito a stimolare una più attenta considerazione delle riserve idriche, soprattutto di città, già a fine Ottocento.

Per questa ragione, che vengano chiamate guerre dell’acqua o indicate con il nome patinato di water diplomacy, saranno i conflitti legati alla sicurezza idrica a guidare il futuro sanitario e geopolitico del pianeta.

La scarsità d’acqua come concausa della pandemia

A più di un anno dallo scoppio della pandemia da coronavirus, nonostante le origini del Covid-19 siano ancora oscure, è ormai chiaro quanto le pratiche igieniche e, dunque, l’acqua siano fondamentali nel prevenire un virus che necessita di abluzioni continue e meticolose. A differenza di una prima fase della pandemia, durante la quale il continente più duramente colpito era quello europeo, soprattutto per via dell’alto tasso di flussi di persone e merci, oggi le situazioni più critiche si registrano in America del NordSud America e Asia. I Paesi che in assoluto contano più casi sono gli Stati Uniti – con oltre 30 milioni di casi confermati-, il Brasile con 11.6 milioni e l’India con 11.4 milioni. Tre paesi che hanno, al di là delle loro amministrazioni, gravissimi problemi di approvvigionamento idrico da tempo immemore.

Negli Stati Uniti, che di certo non sono un Paese in via di sviluppo, uno studio della Cornell University e del gruppo di difesa nazionale Food & Water Watch (FWW) ha rilevato, ad esempio, che il taglio della fornitura idrica, legato all’impossibilità per molte famiglie di pagare le utenze, ha contribuito a sviluppare almeno mezzo milione di contagi e forse più. Nel 2020, 211 milioni di americani – incluso un numero sproporzionato di famiglie di colore – hanno affrontato la minaccia di vedersi chiudere i rubinetti dell’acqua durante la peggiore crisi economica e sanitaria della storia recente. I ricercatori hanno, inoltre, rilevato che gli stati che hanno sospeso i distacchi alla rete idrica attraverso delle moratorie hanno ridotto significativamente i tassi di crescita delle infezioni e dei decessi da Covid.

Ancora più grave il caso del Brasile, la nazione dove le precarie condizioni del sistema sanitario stanno portando i medici a dover intubare i malati gravi senza sedazione alcuna. Nonostante abbia una delle più grandi economie del mondo, esistono ancora profonde disuguaglianze nell’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari tra le varie regioni geografiche. Attualmente, ci sono 3 milioni di persone senza accesso ad acqua potabile e 24 milioni senza accesso a servizi igienico-sanitari. Per coloro che hanno accesso all’acqua potabile, i tempi di inattività dell’approvvigionamento idrico, l’interruzione del servizio e le carenze nei sistemi di acqua potabile rimangono una sfida.

Mentre i fattori naturali contribuiscono alla scarsità d’acqua, i fattori umani sono significativi nel caso brasiliano, dove la corruzione diffusa ha ostacolato i progetti infrastrutturali e spinto la crisi dell’approvvigionamento idrico a livelli senza precedenti. Ci sono molti esempi di governance inefficace delle risorse idriche in Brasile: secondo uno studio intitolato The Water Crisis and Its Consequences, pubblicato dal Senato federale brasiliano nel 2015, si è qui verificato un caso particolarmente costoso e dannoso perché il governo federale ha inviato un messaggio sbagliato alla popolazione. L’elettricità sovvenzionata dal governo ha tagliato i costi e ha indotto in errore la popolazione, inducendola a consumare più elettricità prodotta dall’acqua proprio quando si stava profilando la grande la siccità.

L’India, invece, proprio in queste ultime settimane vive una recrudescenza dell’epidemia, dopo una insolita fase di crollo dei contagi, anche a seguito dei bagni sacri nel Gange in occasione del Khumba Mela: lo stesso Gange definito un vero “incubo batteriologico” negli anni ’80, quando si era stimato che qui finissero milioni di tonnellate di corpi cremati malamente ogni anno. Nel paese, oltre il 50% della popolazione non ha accesso all’acqua potabile e circa 200.000 persone muoiono ogni anno per mancanza di accesso all’acqua potabile. L’attuale pandemia di coronavirus non sta rendendo questo problema nazionale più facile da gestire. Circa l’82% delle famiglie rurali non dispone di acqua potabile. Lavarsi le mani è un lusso che milioni di indiani non possono permettersi: quella in corso dal 2020, infatti, è stata definita dal National Institution for Transforming India “la peggiore crisi idrica” ​​nella storia dell’India mentre il Composite Water Management Index (CWSI) 2018 ha rilevato che la domanda di acqua supererà l’offerta disponibile entro il 2030.

Dobbiamo aspettarci nuove guerre dell’acqua?

Se le crisi idriche sono più o meno coinvolte nella genesi della pandemia e nell’aumento della sua virulenza in alcune aree del mondo, al contempo la pandemia sta accedendo la miccia delle prossime guerre dell’acqua che già pilotano una fetta consistente della geopolitica attuale: si veda il caso della Turchia di Erdogan che, da tradizionale paese che convive con un’atavica emergenza idrica, ha fatto della sua aggressiva water diplomacy uno strumento fondamentale della politica estera verso Siria e Iraq; a ciò si aggiungono faraoniche opere idrauliche (ad esempio la famigerata Ilisu Dam), strumento di potenza e propaganda, soprattutto nei territori curdi.

Come tutti i fattori di stress acuti, la pandemia Covid-19 agisce come un moltiplicatore di vulnerabilità croniche accelerando notevolmente l’insicurezza idrica, soprattutto nei territori fortemente urbanizzati. Questo fa sì che, caduta nell’ombra la categoria di “guerra per il petrolio”, le paventate guerre dell’acqua, già di per sé una realtà, diventeranno la ragione madre dei prossimi conflitti. La sicurezza idrica, infatti, ha dimostrato di essere fondamentale nella lotta alla pandemia. L’elemento idrico, inoltre, potrebbe far mutare la fisionomia o aggravare numerosi conflitti “congelati” come quello arabo-israeliano: uno degli ostacoli maggiori alla pace tra israeliani e palestinesi, infatti, è proprio legato all’uso comune della falda acquifera di montagna, la cui porzione più ricca di acque è situata nel west bank.

La gravità della pandemia e lo shock geopolitico che ha generato fanno presumere che la corsa all’acqua potrebbe far saltare il principio secondo cui il diritto internazionale dell’acqua non è un gioco a somma zero, bensì bisognoso di cooperazione e di processi di inchiesta, mediazione e conciliazione, ormai scomparsi nel mare magnum della rinnovata aggressività dell’arena internazionale.

FONTE: https://it.insideover.com/guerra/perche-la-pandemia-e-anche-una-guerra-dellacqua.html

 

 

 

Biden: anche il genocidio armeno, per nuocere a Mosca?

«Joe Biden ha deciso di riconoscere come genocidio l’uccisione di 1,5 milioni di armeni durante il periodo della Prima Guerra Mondiale da parte dell’Impero Ottomano». Lo scrive il “New York Times”, precisando che l’annuncio è atteso per il 24 aprile, 106esimo anniversario dell’eccidio di massa. «Biden sarà il primo presidente Usa a farlo, dopo che almeno una trentina di paesi hanno fatto passi analoghi», osserva “Repubblica”. L’Olocausto armeno è stato riconosciuto soprattutto in Europa e in Sudamerica, a partire dalla presa di posizione dell’Uruguay, risalente al 1965. Il Vaticano si mosse nel 2000, l’Unione Europea solo nel 2015 (dopo una prima risoluzione del 1987). L’Italia è intervenuta nel 2019, mentre la Russia già nel 1995, nel solco della storica amicizia russo-armena risalente all’epoca sovietica. La mossa degli Usa è ora destinata a infiammare le tensioni con la Turchia, alleato Nato, scrive “Repubblica”, secondo cui il gruppo di potere che oggi gestisce la Casa Bianca avrebbe «anteposto il suo impegno verso i diritti umani». Ferite aperte: e non solo con la Turchia, visto che è recentissima la crisi del Nagorno Karabakh, a due passi dalle frontiere con la Russia.

Il conflitto del Nagorno Karabakh era deflagrato tra il gennaio 1992 e il maggio 1994, nella piccola enclave armena nel sud-ovest dell’Azerbaijan, tra la maggioranza etnica armena (sostenuta dalla vicina Armenia) e la repubblica caucasica dell’Azerbaijan. Il conflitto è Deportazione armeniriesploso nell’autunno 2020, impegnando direttamente la Russia in funzione di mediatrice. Il conflitto, sottolinea l’Ispi, si è trasformato rapidamente in una crisi umanitaria di dimensioni immani: sarebbero stati 90.000 (su una popolazione totale di 140.000 persone) i civili fuggiti dal Karabakh verso l’Armenia. Un grosso problema, per la Russia di Putin: tradizionalmente vicina agli armeni, di religione cristiana, Mosca avrebbe tentato di evitare di mettersi in urto con gli azeri, musulmani. «Altro elemento di discontinuità, che ha alterato e rovesciato l’equilibrio provvisorio e fragile di questo conflitto – scrive l’Ispi – è la natura del coinvolgimento della Turchia a fianco di Baku». Già nel 1993, Ankara chiuse i confini con l’Armenia in solidarietà all’Azerbaijan, ma stavolta ha offerto un supporto militare diretto (aviazione e droni).

Se è vero che Biden aveva annunciato in anticipo (in campagna elettorale) la sua intenzione di riconoscere finalmente il dramma storico armeno, finora sottaciuto per non irritare la Turchia, membro della Nato, è impossibile non contemplare le implicazioni geopolitiche del gesto, nella primavera 2021: sono in aumento le frizioni con il regime di Erdogan, sempre meno controllabile da Washington nonostante il suo impegno – sotto l’amministrazione Obama – ad assistere l’Isis in Siria, con la complicità dell’Occidente, in un fuzione anti-russa. Lo stesso Mario Draghi (vicino all’amministrazione Biden) ha appena definito “dittatore” il sultano di Ankara, che contende all’Italia il controllo energetico della Libia, in coabitazione con una Russia ormai nel mirino degli Usa dopo le continue provocazioni a cui Mosca è stata Nagorno-Karabakhsottoposta nell’Est Europa. «Alcuni paesi hanno preso l’abitudine di prendersela con la Russia», ha detto Vladimir Putin in questi giorni. «Per loro è come una competizione sportiva, un nuovo tipo di sport: giocano a chi sarà il più forte a parlare contro la Russia».

Dal capo del Cremlino, un avvertimento esplicito: «Se vogliono bruciare i ponti, o addirittura farli saltare, si pentiranno delle loro azioni, come non si sono mai pentiti prima: la risposta della Russia sarà asimmetrica, rapida e dura». Mosca ha appena espluso 20 diplomatici cechi, in risposta alla cacciata di 18 funzionari russi, allontanati da Praga dopo esser stati incolpati di un mini-attentato più che dubbio, nella Repubbica Ceca. Una mossa che, secondo alcuni osservatori, aveva lo scopo di accendere le tensioni con la Russia e, soprattutto, distogliere i media da una notizia imbarazzante: gli 007 russi avrebbero appena sventato un golpe, a Minsk, che prevedeva l’omicidio mirato del presidente Lukashenko, l’uomo che nel 2020 denunciò l’Oms e il Fmi per aver tentato di corrompere la Bielorussia con Putinofferte miliardarie perché adottasse il lockdown contro il Covid, agendo «come in Italia», secondo le direttive auspicate da personaggi come Bill Gates e Anthony Fauci, sostenitori di Biden.

Il club internazionale del “terrorismo sanitario” (utilizzato per liquidare Donald Trump, poi rottamato con i brogli elettorali) sembra ora mettere nel mirino soprattutto la Russia, che – con il vaccino Sputnik – ha trascinato con sé vari paesi, ridimensionando l’emergenza pandemica funzionale al Great Reset socio-economico e finanziario disegnato a Davos. Può sembrare strano che a riesumare i diritti umani (degli armeni di cent’anni fa) siano personalità dal curriculum poco rassicurante come Biden e il suo segretario di Stato, Blinken. Gli Usa stanno impegnando la Nato a sostenere l’Ucraina nella repressione della popolazione russofona del Donbass, separatasi da Kiev dopo il golpe “colorato” finanziato da Soros e promosso da Obama e Biden nel 2014. La Russia risponde militarizzando le frontiere e rinforzando la sua presenza in Crimea e nel Mar Nero. A due passi c’è il Nagorno Karabakh: la presa di posizione di Biden – proprio adesso – ha anche la funzione di destabilizzare ulteriormente la regione, complicando la vita alla Russia?

FONTE: https://www.libreidee.org/2021/04/biden-anche-il-genocidio-armeno-per-nuocere-a-mosca/

 

 

 

Ma è davvero la Russia il problema in Donbass?

Ma è davvero la Russia il problema in Donbass?

Il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha invitato il suo omologo russo Vladimir Putin a incontrarsi “in qualsiasi luogo” nella regione ucraina orientale del Donbass, colpita dal conflitto. In un video discorso Zelensky ha detto che i consiglieri dei leader del Quartetto della Normandia (Germania, Russia, Ucraina e Francia), nonché il sottogruppo di sicurezza del Gruppo di contatto sulla riconciliazione ucraina, hanno discusso il ripristino del completo cessate il fuoco nel Donbass.

“È stato proposto di incontrarsi sulla linea di contatto per vedere e capire la situazione nel miglior modo possibile. Cosa dovrei capire? Lo visito ogni mese. Signor Putin, sono pronto ad andare anche ulteriormente e vi invitiamo a incontrarvi in qualsiasi luogo del Donbass, colpito dal conflitto in Ucraina”, ha affermato Zelensky.

Parole che risuonano singolari pronunciate dal presidente del paese che sta fomentando una pericolosa escalation bombardando e attaccando i territori russofoni che non hanno mai voluto accettare il golpe neonazista compiuto a Kiev ai tempi del cosiddetto Euromaidan.

Rivolgendosi alla Russia, il leader ucraino ha detto che Mosca e Kiev hanno opinioni diverse sul futuro, ma questo aspetto dovrebbe essere visto come opportunità piuttosto che come un problema.

Lukashenko: la normalizzazione dipende dall’Ucraina

Il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, non condivide la linea espressa dall’omologo ucraino rispedendo nel campo di Kiev la responsabilità delle rinnovate tensioni in Donbass.

La risoluzione del conflitto nel Donbass dipende interamente dalle autorità ucraine che devono rimanere impegnate negli accordi di Minsk, ha spiegato il leader bielorusso.

“Te lo dico con totale franchezza: la normalizzazione della situazione nelle aree problematiche dell’Ucraina, prima di tutto nel Donbass, dipende interamente dall’Ucraina”, ha affermato il presidente Lukashenko, secondo quanto riporta l’agenzia BelTA, in un incontro con Yevgeny Shevchenko, membro della Verkhovna Rada ucraina. Il parlamento nazionale di Kiev.

Il leader bielorusso ha sottolineato di aver sempre considerato l’Ucraina una nazione fraterna e di aver sempre offerto la sua assistenza come mediatore. “Conosci la mia posizione sull’Ucraina. Rimane invariata. Vorrei che l’Ucraina si unisse a noi in modo che noi, i tre popoli fraterni slavi potessimo stare insieme. Nell’interesse dei nostri popoli”, ha detto Lukashenko, sottolineando che ha sempre risposto alle richieste di agire come mediatore. “Siamo parenti stretti, ne sono convinto. Ecco perché l’ho sempre fatto. Ho parlato molto con il presidente russo Vladimir Putin dell’Ucraina. Parliamo di quello che sta succedendo in Ucraina e dintorni con rammarico”.

Il presidente ha poi ricordato come avesse già discusso di possibili vie d’uscita dal conflitto con l’ex presidente ucraino Pyotr Poroshenko. Lukashenko ha detto che se Poroshenko avesse seguito il piano di pace, molti dei problemi attuali avrebbero potuto essere risolti a questo punto. “Capisco che tutti vogliano salvare la faccia. Ma dovrebbe essere chiaro che la Russia è un paese enorme e può aiutare molto l’Ucraina in termini di ripristino del Donbass e così via”, ha detto il leader bielorusso. “C’erano iniziative del genere da Putin. Mi ha chiesto di trasmetterle a Poroshenko. L’ho fatto. Ma allora ho capito appieno per la prima volta che i politici ucraini e la leadership ucraina non erano indipendenti. Non è di Putin la colpa. Ha avanzato iniziative, buone iniziative. Ma l’ex presidente ucraino le ha rifiutate”.

Conflitto in Donbass

Dopo il golpe e la cacciata del presidente Viktor Yanukovich nel febbraio 2014, nelle regioni orientali dell’Ucraina, popolate principalmente da madrelingua russi, è scoppiata l’opposizione alle nuove autorità non elette di Kiev. In risposta, i funzionari di Kiev hanno lanciato un’operazione militare nel Donbass nell’aprile 2014. I massicci bombardamenti delle aree residenziali hanno innescato una catastrofe umanitaria su larga scala nella regione.

Una soluzione di pace al conflitto nel Donbass si basa sul Pacchetto di misure, noto come Minsk-2, firmato dal Gruppo di contatto trilaterale sull’Ucraina, composto da rappresentanti di alto livello dalla Russia, dall’Ucraina e dall’OSCE, l’organismo di vigilanza europeo per la sicurezza, il 12 febbraio 2015, dopo 16 ore di maratona colloqui tra i leader delle quattro nazioni della Normandia, vale a dire Russia, Germania, Francia e Ucraina. Il documento in 13 punti prevede un cessate il fuoco tra le forze governative ucraine e le milizie popolari nelle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk e il successivo ritiro delle armi pesanti dalla linea di contatto. L’accordo prevede anche una tabella di marcia per una soluzione duratura in Ucraina, compresa l’amnistia, lo scambio di prigionieri, la ripresa dei legami economici, le elezioni locali e la riforma costituzionale per dare maggiore autonomia alle regioni orientali devastate dalla guerra.

Il piano è rimasto inattuato fino ad oggi, in gran parte a causa della posizione dell’Ucraina. Già sotto il precedente presidente dell’Ucraina, Pyotr Poroshenko, Kiev ha rifiutato di agire sugli elementi politici dell’accordo fino a quando le questioni di sicurezza saranno affrontate a dispetto della strada tracciata dagli accordi di Minsk.

La situazione non è cambiata sotto l’attuale presidente, Vladimir Zelensky. Kiev è ancora riluttante a modificare la costituzione dell’Ucraina per stabilire lo status speciale del Donbass.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-ma__davvero_la_russia_il_problema_in_donbass/8_40867/

 

 

CULTURA

Jane Austen da cancellare perché beveva il tè schiavista

Come si è sempre meridionali di qualcuno – così parlò Bellavista – così, nella gara a chi la fa più politicamente corretta (la mossa), si è sempre perdenti

Jane Austen da cancellare perché beveva il tè schiavista

Come si è sempre meridionali di qualcuno – così parlò Bellavista – così, nella gara a chi la fa più politicamente corretta (la mossa), si è sempre perdenti. Si è sempre in difetto, perché c’è sempre qualcuno pronto a essere più corretto, cioè più estremista, perché il fanatismo, per sua essenza, vive proprio di eccesso (di stupidità, purtroppo). Insomma alla povera Lizzie Dunford, direttrice della casa-museo dedicata a Jane Austen a Chawton, nell’Hampshire, è capitata questa brutta sorpresa: lei era convinta di poter essere orgogliosa del proprio ruolo, quale ambasciatrice di una antesignana del femminismo, e invece ha scoperto che neanche Jane Austen va bene, per i canoni corretti. Perché, come ha spiegato al Telegraph, aveva «legami con la schiavitù».

Ora, che Jane Austen sia una antesignana del femminismo sarebbe già di per sé oggetto di dubbio, ma qui è l’ottusità a dominare, quindi capite: da eroina a criminale. Perché? Perché amava bere il tè. Perché indossava abiti in cotone. Perché nel tè, pensate un po’, metteva lo zucchero. E queste, che secondo una logica normale sarebbero abitudini banali, diciamo pure di scarso interesse (specialmente rispetto ai romanzi – perché sarebbe per i suoi romanzi, che dopo oltre due secoli parliamo ancora di Jane Austen, o meglio la leggiamo, giusto?), secondo la «logica» di Lizzie Dunford, che segue la scia di Black Lives Matter, sono atti d’accusa, nel processo storico che vede imputata la grande scrittrice come colpevole di appartenere all’era del colonialismo britannico. Jane Austen «consumava prodotti dell’Impero».

Aveva addirittura dei legami con il mondo coloniale, perché il padre possedeva delle quote in una piantagione di zucchero ad Antigua. Magari – pensate – quello stesso zucchero che Jane versava nelle sue tazze di tè, che poi sorseggiava mentre scriveva i suoi capolavori, in quel cottage che oggi è diventato un museo; dove ora saranno esposti dei cartelloni per «mostrare gli aspetti legati alla schiavitù» della vita di Jane. La quale, peraltro, era abolizionista, contraria alla schiavitù e all’oppressione. Ma beveva il tè con lo zucchero.

C’è chi ha definito «follia» tutto questo, ma non basta.

Se già era fastidioso sentire etichettare Jane Austen come femminista, lo è ancora di più sentirla bollare come schiavista. A Lizzie Dunford, e a chi ragiona (si fa sempre per dire) come lei, auguriamo di ritrovarsi senza romanzi di Jane Austen da leggere, costretta a guardare qualche film di Hollywood «inclusivo», «corretto» e noioso. Proprio come la sua «indagine storica», il suo ridicolo processo a posteriori, dove lei, il giudice, guarda la pagliuzza nell’occhio di Jane Austen, e non scorge la trave nel proprio.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/jane-austen-cancellare-perch-beveva-t-schiavista-1940537.html

 

 

Giovanni Gentile, filosofo cancellato. Una storia paradigmatica.

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Il 15 aprile 1944 a Firenze fu assassinato Giovanni Gentile ad opera di un gruppo partigiano aderente ai GAP, comandato da Bruno Fanciullacci, che fu anche autore dell’esecuzione in prima persona. Forse in questi nostri giorni sempre più refrattari alle sfumature è di qualche utilità ricordare che l’azione non fu unanimemente approvata nell’ambito del CLN toscano: Gentile era abbastanza anziano, da tempo fuori della vita politica in senso stretto, anche se la sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana e l’accettazione della carica di Presidente dell’Accademia d’Italia, la cui sede era stata spostata a Firenze, gli aveva attirato varie chiamate in correo e qualche minaccia di morte. Ma era detestato anche negli ambienti più radicali del fascismo repubblicano e su di lui gravava da tempo un vecchio sospetto di terzietà o comunque di tiepidezza. Che poi potesse essere “complice” delle efferatezze del maggiore Mario Carità forse non arrivavano a pensarlo neppure i suoi sicari, benché lo affermassero. Ma questa è la fine.

Prima c’è il Gentile esponente di primo piano dell’idealismo italiano, riformatore della Scuola, organizzatore dell’Enciclopedia Italiana, maestro di generazioni di studiosi protetti e aiutati indipendentemente dal loro credo politico e, da un certo punto in avanti, anche della loro appartenenza razziale. Certo, c’è pure il Gentile che scrive a quattro mani con Mussolini la voce “Fascismo” per l’Enciclopedia Italiana, il Gentile estensore e capofila del Manifesto degli intellettuali fascisti, che vede nel fascismo il compimento del Risorgimento, c’è il Gentile studioso epocale di Marx e del marxismo (aspetti su cui tanto si è soffermato Augusto Del Noce): insomma un personaggio complesso e talvolta contraddittorio, a tutto riconducibile fuorché alla banalizzazione faziosa, l’uomo che – come ebbe a dire una volta se non sbaglio Massimo Cacciari con la vis polemica e sarcastica che lo contraddistingue – se fosse nato a Heidelberg in Germania e non a Castelvetrano in Sicilia sarebbe considerato uno dei più grandi filosofi europei del Novecento, se non il maggiore.

E però da un certo punto in avanti, dopo la sua esperienza di Ministro, Gentile fu soprattutto un accademico e un maestro, sostanzialmente un uomo di università. Da qui il suo legame fortissimo con Pisa, della cui Università fu Rettore e della cui Scuola Normale Direttore. In questa veste gli è unanimemente riconosciuto il merito della trasformazione della Scuola Normale da mero collegio per coadiuvare gli studenti meritevoli negli studi universitari in centro di eccellenza e vivaio per le migliori intelligenze dell’Italia futura, sempre nella prospettiva del fascismo come compimento del Risorgimento, elemento costitutivo del suo orizzonte politico-culturale: un modello che egli immaginava di estendere come affiancamento ad altri atenei italiani, per la coltivazione di competenze e di eccellenze diffuse, non certo come “parassitazione” dell’istituzione pisana, come purtroppo è stato qualche volta inteso negli ultimi anni. A Pisa comunque egli operò con larghezza di vedute, favorendo notoriamente anche studiosi in difficoltà per il loro antifascismo o per la loro appartenenza alla razza ebraica: basti ricordare il caso del tedesco Kristeller, tenuto il più possibile nella Scuola onde evitargli il rientro in Germania. A Pisa ebbe discepoli e prosecutori più o meno critici del suo pensiero, anche dopo la sua morte. Molti di loro confluirono nel robusto filone di intellettuali che si andava posizionando attorno al PC togliattiano, altri, come Carlini, alimentarono una ripresa del pensiero cattolico rivisitato attraverso l’idealismo. Ma il suo nome fu silenziato, rimosso dai pubblici ricordi, e l’interdizione, vigente per moltissimi anni, possiamo dire che oggi conserva ancora intatto tutto il suo potere.

Mentre gli studiosi andavano riscoprendo criticamente lo spessore del pensatore e dell’organizzatore culturale, in pieni anni Ottanta il suo nome, per un pesante intervento di “vigilanza antifascista” fu cancellato da una lapide che in modo del tutto avalutativo riportava l’elenco dei docenti, membri del personale tecnico e studenti morti a causa degli eventi bellici. Neppure il nome… un’operazione che sembra ambientata più nella Mosca anni Trenta che non nella Pisa del 1984. Né sorte migliore incontra nel 1999 il tentativo di porre rimedio all’abrasione barbarica mediante un’epigrafe ad personam. La decisione, per la quale a un Rettore equanime sembrano maturi i tempi (“E’ maturo il tempo per superare un comprensibile atteggiamento emotivo nei confronti di Gentile, ben consapevoli delle difficoltà dell’operazione che tocca dolorosamente la memoria sociale’, sostiene il Rettore Modica) viene approvata dal Senato Accademico. Ma immediatamente si alza un gran polverone con dure prese di posizione di ambienti di sinistra, a cui il Rettore replica: “Nonostante le colpe storiche Gentile ha avuto un ruolo strategico nell’organizzazione delle istituzioni scolastiche ed educative del Novecento, creando in particolare un ambiente scientifico liberale, fino al punto di aiutare docenti ebrei, proprio nel momento in cui venivano emanate le leggi razziali, da lui stesso pubblicamente approvate”.  Iniziano tentativi di trovare una quadra sul testo da incidere: di modifica in modifica, di proposta conciliativa in proposta conciliativa, si giunge a configurare un ircocervo che pretende di mettere insieme il ricordo del grande filosofo con l’accusa (adombrata ma non troppo) di essere stato complice attivo delle persecuzioni razziali.

Insomma un tentativo di mediazione francamente insostenibile, che diventa immediatamente un caso nazionale: intervengono Montanelli, Cappelletti, e Canfora, e da ultimo il nipote Giovanni Gentile, editore, minaccia di denunciare l’università nel caso che la formulazione definitiva rimanga quella. Il Senato accademico, preso tra due fuochi, “con rammarico” delibera di rinunciare all’apposizione della lapide. E così ancora oggi né una strada cittadina, né un’epigrafe, né un’aula e diciamo neppure un banco ne ricorda l’operato.

Chissà che alla fine non sia un bene, in questi tempi così propensi ad abbattere le statue e ad imbrattare le lapidi? In fondo al visitatore non distratto, se percorre il cortile della storica Sapienza pisana è ancora riservata una scoperta sorprendente: nella grande epigrafe che ricorda i morti per gli eventi bellici il nome di Giovanni Gentile, abraso, emerge tenacemente sotto il nome che lo ha rimpiazzato, come un fantasma innominabile e scomodo.

FONTE: https://loccidentale.it/giovanni-gentile-filosofo-cancellato-una-storia-paradigmatica/

 

 

 

Ma quelli per Navalny non sono “assembramenti”?

Ma quelli per Navalny non sono "assembramenti"?

I media mainstream occidentali sono letteralmente in brodo di giuggiole. Perché? Per le manifestazioni in Russia a favore di Navalny.

Infatti, la Fondazione anticorruzione di Navalny – che dal 2019 è stata inclusa nella lista degli agenti stranieri – ha chiamato i cittadini a scendere in piazza per protestare a sostegno dell’attivista dell’opposizione incarcerato (non per motivazioni politiche) in sciopero della fame.

A gennaio, Navalny è tornato a Mosca da Berlino dopo aver ricevuto cure mediche per un presunto avvelenamento. L’attivista è stato arrestato all’arrivo in Russia e deferito a un tribunale, che a febbraio ha revocato la sospensione della pena nel caso di frode all’azienda francese Yves Rocher del 2014, per molteplici violazioni della libertà vigilata e l’ha sostituita con una condanna a 3,5 anni di prigione. Un tribunale della città di Mosca ha ripristinato la sentenza ma ha ridotto la pena a 2,5 anni.

Quindi in alcune città della Russia ci sono state manifestazioni non autorizzate a sostegno del vlogger di opposizione Alexei Navalny.

Ma vi siete chiesti perché le manifestazioni sono vietate?

Le autorità russe hanno ripetutamente avvertito che i raduni di massa sono attualmente vietati per le restrizioni imposte a causa della pandemia di coronavirus in corso.

Qui si evidenzia ancora una volta la doppia morale dei media occidentali. Da una parte stigmatizzano finanche i semplici cittadini che in zona gialla decidono di fare una passeggiata all’aria aperta, dall’altra invece esaltano gli assembramenti in Russia di persone senza nemmeno le mascherine.

Prendiamo lo spettacolo penoso in cui assistiamo in questi giorni. E’ bastata la volontà del governo nel palesare la volontà di procedere a timide (in realtà quasi inesistenti) riaperture per far ripartire il tam tam del terrorismo mediatico sui contagi destinati a salire, gli ospedali a scoppiare di pazienti. Mancava solo l’evocazione delle fosse comuni.

Invece si girano dall’altra parte quando ci sono assembramenti veri. Dove la polizia è dovuta più di una volta intervenire per ricordare ai manifestanti di indossare le mascherine.

VIDEO QUI: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-ma_quelli_per_navalny_non_sono_assembramenti/82_40880/

In Italia questi manifestanti sarebbero stati bollati dai media come incoscienti e negazionisti.

La solita intollerabile doppia morale dei media mainstream.

 

Fabrizio Verde

FABRIZIO VERDE

Direttore de l’AntiDiplomatico. Napoletano classe ’80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-ma_quelli_per_navalny_non_sono_assembramenti/82_40880/

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

L’afasia e l’ultramondo

21 aprile, 2021 | 5 commenti

Questo articolo è uscito in versione ridotta su La Verità del 20 aprile 2021 con il titolo “Avrebbe dovuto aprirci la mente invece la Rete ha eliminato la realtà”.

1.

Rincasavo a notte fonda dopo una serata con gli amici. Camminando notai un uomo inginocchiato sul marciapiede, con la fronte che toccava terra. Da un certa distanza, sembrava quasi un fedele prostrato alla Mecca. Mi avvicinai e vidi che muoveva la testa ansimando. Mi avvicinai ancora e capii che non stava pregando, ma leccava forsennatamente l’asfalto, come un morto di fame. Mi rivolse uno sguardo allucinato. Io abbassai il mio e mi allontanai in fretta senza voltarmi.

2.

«Il monito del vescovo: dire no al vaccino significa non essere cristiani».

3.

«Quell’essere senza occhi seduto al tavolo di fronte se l’era bevuta con l’entusiasmo del fanatico e avrebbe snidato, denunciato e vaporizzato come una furia chiunque avesse fatto notare che fino alla settimana precedente la razione di cioccolato era stata di trenta grammi».

4.

Il Partito vi diceva che non dovevate credere né ai vostri occhi né alle vostre orecchie. Era, questa, l’ingiunzione essenziale e definitiva.

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Per quanto siano distanti, le opinioni possono solo confrontarsi su un terreno comune e ancorarsi a un denominatore che definisca il quadrante dello scontro. Nel pugilato i contendenti se le danno con violenza ma restano sempre tra le corde di un perimetro dove le regole della vittoria e del gioco valgono per tutti. Quando si discute occorre utilizzare una lingua nota agli interlocutori in cui si codifica più a monte un’identità percettiva che rimanda all’esperienza della realtà fisica di sé e del non sé: che un cane sia un cane, il calore caldo, la consonante altro dalla vocale, il bianco dal nero, Beppe da Gino. Se ciascuno la vede a modo suo, tutti vedono però le stesse cose. L’interpretazione è del soggetto, la percezione il postulato del comunicabile che si può sì definire ma non normare, perché sarebbe norma di quella norma, la conoscenza che precede il conoscere.

Nel sensus communis si fonda il requisito dell’essere e quindi anche delle sue relazioni logiche, per il principio di non contraddizione. Se ciò che è non può non essere insieme, allora anche il sistema astratto in cui lo si enuncia deve ammettere la co-essenza di ogni oggetto enunciato. Dallo stesso principio viene l’etica: non solo con l’empatia, ma più ancora riconoscendo la distinzione del prossimo, del suo essere altro dalle proprie ideazioni e dai propri bisogni, lo si può rispettare e reclamarne il rispetto.

Se manca l’esperienza comune, manca la parola che la descrive e la interpreta. E se manca la parola, mancano le discussioni. In quella notte di tanti anni fa avrei dovuto articolare i miei dubbi sulla salubrità del bitume? Suggerire invece un pinzimonio, uno strudel? E dovrei oggi scrivere che i vangeli non raccomandano di utilizzare un certo farmaco? No, ma non per la distanza delle posizioni. Osterebbe più in fondo l’incompatibilità dei domini: nel mio «ring» le categorie alimentari si applicano ai beni commestibili ed è cristiano chi crede in Cristo. Se ci parlassimo, parleremmo perciò di cose diverse in lingue diverse, utilizzeremmo gli stessi segni per descrivere mondi diversi. Se non si incardina su un innesto empirico comune, il pendolo non oscilla e la vittoria può allora darsi solo per elisione dell’avversario: snidarlo, denunciarlo e vaporizzarlo come una furia secondo i rapporti di forza del momento, ridurlo ad allontanarsi col volto basso e all’afasia della frase che muore in gola.

Per quanto sgradevole, il conflitto è però il rischio minore. Entrando in dialettica col mondo estraneo lo si avvererebbe, lo si farebbe proprio calandosi pur con disgusto nel suo ventre, se ne assorbirebbero il linguaggio e gli oggetti. È questo il segreto della malintesa «libertà» di dibattito che si vanta oggi, specialmente sulle piattaforme digitali: il credere che consista nel prendere posizione sui temi pubblicati in cartellone, di variare sul basso dettato dal capo orchestra, di piluccare da un menu prestampato. Che sia quella di muoversi sul «ring» senza vederne invece le corde e senza oltrepassarne perciò lo spazio, sì da fissarvi l’unico orizzonte dell’esperibile, e perciò del possibile. Il mondo estraneo vive di chi ne parla, non di come se ne parla.

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Oggi sembra a qualcuno che la moltitudine abbia perduto il senso delle proporzioni, la logica persino aritmetica e le virtù minime per una convivenza se non pacifica, almeno possibile. Che ripeta con cieca ossessione parole e gesti apotropaici fino a stordirsi, come incantata da uno sciame di tamburi tribali. Molti vedono in ciò una patologia collettiva di cui proiettano indiscriminatamente i sintomi, provando una sensazione di angoscia. Ma occorrerebbe invece circoscrivere quei sintomi e riconoscere che viviamo ancora tra persone razionali e decenti, non meno di noi e comunque non meno che in passato, e che i nostri simili «funzionano» ancora in tutte le circostanze di pensiero e di prassi salvo che in quelle su cui si addensa l’attenzione degli organi di informazione e dei loro parrocchetti parlamentari. La concentrazione del fenomeno invita a concentrare l’analisi.

Se si concorda nel situare le condotte anomale in compresenza, e solo in compresenza, della propaganda, di quest’ultima vanno assunti i presupposti sociali di un «alto» che sfrutta credito e capillarità per coltivare nel «basso» una condivisione complice dei suoi obiettivi. L’«alto» riformula le premesse e i moventi di quegli obiettivi in modo che si realizzino per altre vie e che la forza necessaria per perseguirli non debba tradursi in una imposizione dall’esito incerto. La propaganda si indirizza alla massa e deve perciò curarsi che i suoi effetti si producano in modo uniforme nel più alto numero di soggetti. Per quanto effimera negli scopi, il suo veicolo retorico si fissa invece nel granito della consecutio fisica e temporale, negli istinti e nei tabù senza tempo. Tornando all’interrogativo iniziale, bisogna dunque escludere che la propaganda ambisca alla follia. Al contrario, deve preservare l’integrità logica e morale del suo target per assicurarne la programmabilità. L’argilla sociale in cui il propagandista vuole affondare le mani è disciplinata, coerente, coesa, partecipe, empatica, altruista. Trabocca senso civico e tensione morale. È sana, mortalmente sana.

Come può allora riuscire il tentativo di coltivare il «buon funzionamento» dei soggetti e insieme scongiurare il suo evolversi in una critica dei messaggi propagandati, della loro plausibilità, opportunità e decenza? Precisamente intervenendo sull’esperienza sottostante, riplasmando cioè le rappresentazioni a cui quelle doti si applicano. Il concetto di «frame» assume così un’accezione più chirurgica dell’originale: non fabbrica messaggi, ma appunto rappresentazioni che catalizzano reazioni già innescate. Non tocca l’interpretazione, lavora invece più in basso, sul suo «combustibile» cognitivo. I pubblicitari allestiscono storie di successo, di gioventù e di bellezza ma non hanno bisogno di attribuirne il merito ai prodotti reclamizzati. Quel nesso scaturirà da sé, per giustapposizione degli stimoli. Ciò che è di norma vero nella realtà vera, che una compresenza di eventi implichi causalità, o almeno compatibilità, avvera il messaggio della realtà finta. Così il «buon funzionamento» traslato intero in una rappresentazione fittizia produce nessi fittizi ma in sé credibili. Nello stesso modo si possono istigare gli esiti più folli e raccapriccianti facendo leva sulla sanità e la virtù dei soggetti. Chi volesse, diciamo, indurre un aviatore a bombardare i quartieri dei propri cari o le scuole dei propri figli potrebbe ad esempio riprogrammarne il carattere per trasformarlo in un pervertito assassino, o fargli piuttosto credere che tra quelle mura si siano asserragliati i nemici. Nel primo caso, ammesso che mai riesca nell’impresa, otterrebbe un ingovernabile squilibrato, nel secondo infonderebbe tutto il patriottismo, la dedizione e la perizia del militare nel delitto. Così i migliori diventano i peggiori in quanto migliori, i più miti i più sciagurati e feroci, gli automi lanciati in un ultramondo che veste l’amaro in dolce, la rovina in trionfo e il prossimo in un ostacolo da abbattere sulla via di una qualche salvezza.

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Nel 1973 Pier Paolo Pasolini denunciava assai correttamente il centralismo con cui il mezzo televisivo elude le distanze fisiche e culturali per imporre in sincrono e in ogni casa i modelli del «nuovo potere». Se allora lo si poteva definire «autoritario e repressivo come mai nessun mezzo di informazione al mondo», oggi il suo paradigma si è evoluto nella forma ancora più estrema della rete internet, che non si limita a dispensare informazioni ma le raccoglie anche, immagazzina i pensieri e i comportamenti dei suoi utenti per studiarli, sorvegliarli e all’occorrenza spegnerli. Nel digitale la tirannide è liquida, istantanea, strutturale, sicché, più che imporla faticosamente nel reale, la si impone forzando il suo involucro impomatato: la digitalizzazione.

La televisione e i suoi nipoti non sono però «un centro elaboratore di messaggi» come scriveva il poeta friulano, o almeno non in modo diretto. La loro elaborazione sforna piuttosto rappresentazioni, mondi fatti e finiti. Sui teleschermi non si discute ma si osserva la gente discutere, non si commentano gli eventi ma li si (ri)produce montando immagini, parole e suoni in un tutto coerente che mima tempi e modi della cognizione in presenza. Con la promessa di allargare lo sguardo su realtà altrimenti inaccessibili, le finestre telematiche le incorporano indistintamente nel bagaglio dell’esperienza e della memoria. La protesi si fa carne, diventa organo di percezione innato, reclama la stessa dignità dei sensi. I «messaggi» passano nell’eccipiente di una narrazione internamente vera e perciò compatibile con le aspettative del pubblico «ben funzionante», le notizie nello storytelling, i giudizi, le emergenze, i bersagli della simpatia o dell’odio nella testimonianza, nel «caso» e nelle trame di Hollywood. Non sbaglia chi identifica in questi strumenti le innovazioni più decisive degli ultimi decenni: perché rendono inutile ogni altra innovazione, potendola fabbricare in effige. La sostituzione empirica manda in soffitta la maieutica e la tecnica. Non teme la realtà, la crea.

Il paradosso più avvincente di questa magia è che per dare un vestito di verità alle proprie chimere sfrutta lo stesso «buon funzionamento» a cui spetta il compito di distinguere il vero dal finto. Come ci riesce? La risposta è nei prefissi: la tele-matica e la tele-visione fanno vedere τηλόθι, da lontano, allestiscono le loro rappresentazioni in uno spazio fisico e ideale dove l’occhio del «ben funzionante» non può spingersi. È quindi improbabile che entrino in collisione con l’esperienza viva e che di questa affrontino il vaglio. Come il barone di Münchhausen e il suo cavallo, l’informazione lontana si appende solo a se stessa, alla sua logicità e coerenza, all’autorevolezza di chi la propugna e alla numerosità dei suoi diffusori. Le basta «funzionare» nel suo mondo remoto. La seduzione di poter guardare lontano fa però sì che chi ne fruisce non se ne dia pena e la accolga nel mondo vicino e creda davvero di conoscere il carattere, la quotidianità e i vizi dei capi di stato, di scrutare i bilanci delle nazioni, di penetrare i segreti della storia antica e di riconoscere i crismi della vera scienza, di cui snocciola ipotesi e percentuali come se fossero le monetine che porta in tasca. Crede di poter sempre distinguere, come l’Adamo biblico, i cattivi dai buoni e la bufala dal vero. Avendo accettato un copione di cui non può essere l’attore, ne accetta finalmente la morale, il «messaggio».

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L’uso di collocare i miti e le fiabe in universi lontani è comune a tutte le narrazioni didascaliche. L’ultramondo contemporaneo non fa eccezione e porta l’artificio all’estremo aggiungendo nuove dimensioni remote. Non basta più ricondurre gli sconvolgimenti del qui al battito d’ali di farfalle che volteggiano nelle lande più esotiche del pianeta, né quelli dell’ora ai «retaggi» che ci trascineremmo da millenni. C’è anche l’inaccessibilità culturale e sperimentale delle scienze che «dicono» senza poter essere smentite, quella quantitativa dei sondaggi, dei big data, dei bollettini statistici e della macroeconomia. Chi ha mai visto un pitecantropo, un cambiamento climatico trisecolare, un deficit, un PIL, uno spread, un indice di fiducia delle imprese? L’ultramondo occupa e sfrutta tutto l’assortimento dell’inesperibile e fissa il suo regno negli estremi del troppo grande, del troppo piccolo, del troppo astratto, del troppo difficile, del troppo distante. L’ultima incursione, la più audace, si è spinta nell’impalpabilità di un microbo e dei suoi frammenti per annunciare un pericolo mortale nell’invisibile e, con inversione inaudita, una malattia nei sani.

L’ultramondo non rappresenta sempre il falso, ma la facilità con cui lo può fare – e lo fa – dovrebbe renderne obbligatoria la quarantena perpetua, come raccomandavano gli uomini di scienza e di buon senso dei tempi migliori. Il supplemento di conoscenza che dispensa ai televedenti non estende, ma surroga e destituisce l’esperienza vissuta, la costringe a cedere terreno fino a rattrappirsi come gli arti lasciati troppo a lungo a riposo. Lo stesso «buon funzionamento» vede allora il suo dominio restringersi, l’equilibrio del gioco si incrina. Avanza l’alienazione, la precedenza dell’esperienza altra sulla propria carne, le proprie emozioni, i propri bisogni e il proprio passato, e perciò anche la dimenticanza dì sé e del mondo esperito come il solo universale su cui innestare uno scambio e una costruzione sociale. Ci caviamo gli occhi per indossare i visori di chi ci promette le stelle e così cozziamo contro i muri di casa, spaziamo negli oceani del web e annaspiamo nelle pozze di un viottolo, abitiamo il villaggio globale e non ci allontaniamo dal condominio. Rinchiusi, ora anche per legge, in una caverna platonica tappezzata di cristalli liquidi, avvizziamo nel buio rispecchiandoci nella sfera di un mago.

Mai, mai l’umanità si è trovata come oggi avvolta da un’«affatturazione globale» (Antonin Artaud) che l’ha svuotata e schiacciata nel limbo dei non viventi, come non vive chi non percepisce se stesso e le cose a sé prossime. Cessati i culti delle cose invisibili del Cielo, ha cercato l’invisibile frugando nei fanghi del mondo e lo ha trovato ovunque, lo ha adorato in ogni sua forma e lo ha creato anche dove non c’era. Tutto è diventato metafisico, ma in modo posticcio e volgare, sempre cangiante secondo i capricci del mago e senza spiegazioni né fondazioni, con la velocità dello zapping. Finché non si sarà ripartiti dalla terra ferma e ottusa del notre jardin e finché la realtà stanca di bussare alla porta e di urlare alle finestre non avrà fatto irruzione nel sarcofago telemondano per dissiparne i peti, non sarà possibile né raccomandabile scontrarsi per dare risposte ai problemi degli uomini. Ci si scontrerebbe su un fondale cartonato, col rischio di crederlo vero.

FONTE: http://ilpedante.org/post/l-afasia-e-l-ultramondo

Segreti da 5.000 euro: i padrini del Covid contro Mosca

Qualcuno (come Guido Crosetto, di Fratelli d’Italia) può trovare quasi comico il fatto che si esibisca come super-traditore un ufficiale pronto a vendere ai russi “segreti strategici” dal valore di ben 5.000 euro, cioè pari alla multa prevista per la famiglia Rossi se violasse il lockdown di Pasqua? Crosetto non è il solo a sentire puzza di bruciato: parlando all’agenzia “Adn Kronos”, lo stesso generale Mario Mori, già a capo del Ros e del Sisde, conferma: «Di Maio ha parlato di “atto ostile”, ma gli atti ostili li fanno tutti, anche gli americani, gli inglesi, i cinesi. Si fa attività di spionaggio, la fanno i russi, la fa tutto il mondo». Piuttosto: il caso dell’arresto del capitano di fregata Walter Biot, “sorpreso” a passare documenti a un agente russo, sembra chiaramente ingigantito dai media, «perché tutto sommato quell’ufficiale, un tenente colonnello con quella collocazione – dice Mori – non è che potesse detenere grandissimi segreti militari della Nato». L’altra notizia – quella vera – parla invece della risposta russa in arrivo: Mosca ha “tirato fuori dai silos” i suoi missili nucleari, in previsione di un eventuale attacco, a guida Usa, nell’Est dell’Ucraina.

In altre parole: l’operazione Defender Europe, che sta montando alle frontiere, potrebbe non ridursi alla consueta esibizione solo muscolare. Il sito “Mitt Dolcino” propone un’ipotesi molto dietrologica: i militari americani, che conoscerebbero il vero esito delle presidenziali Usa e Walter Biotstarebbero sostanzialmente gestendo il paese dietro il paravento del fantasma di Joe Biden, potrebbero voler creare un serio incidente con la Russia per colpire in realtà soprattutto la Germania, alleata della Turchia e prima beneficiaria del maxi-gasdotto North Stream II. Un’infrastruttura colossale, concepita per tagliare fuori l’Italia al tempo dell’euro-siluramento di Berlusconi e, per inciso, bloccare la “fuga” della Grecia massacrata dall’austerity. Ospitando il concorrente gasdotto South Stream, promosso dal Cavaliere, Atene avrebbe avuto (dai russi) i soldi per ovviare al sabotaggio imposto dalla Troika di Bruxelles: e l’ipotetica uscita dall’euro, da parte della Grecia (paese di religione ortodossa, come la Russia) avrebbe fatto crollare il castello del rigore con cui l’élite finanziaria tedesca ha finora dominato il Sud Europa per conto di una certa oligarchia di Washington, attraverso la concorrenza sleale delle regole Ue modellate per favorire Berlino.

Non solo: attaccando oggi la Russia, e quindi spezzando l’asse energetico con la Germania, il gioco potrebbe prevedere un attacco alla stessa dimensione eurasiatica del nostro continente. Nel mirino, la grande piattaforma commerciale dominata dall’unico, vero avversario degli Usa, cioè la Cina, sostanzialmente alleata del mercantilismo tedesco. E’ questo, l’obiettivo finale delle sofisticate massonerie che “sovragestiscono” la Casa Bianca, dopo il blackout elettorale delle ultime presidenziali che ha indignato 80 milioni di elettori americani, scandalizzati dallo scempio dei voti taroccati da Dominion e mai verificati dall’autorità giudiziaria? Se così fosse, la situazione apparirebbe estremamente seria: a sfidare la Russia è l’amministrazione di un non-presidente come Biden, privo di legittimità democratica sostanziale ma forte di un curriculum da vero e proprio criminale politico, a partire dalle pressioni per l’invasione dell’Iraq, passando per le speculazioni Hunter Bidenfamiliari imbastite con gli oligarchi dell’Ucraina. Un paese sottratto all’influenza di Mosca grazie a un colpo di Stato truccato da “rivoluzione colorata” e attuato con il contributo di servizi segreti, cecchini pronti a sparare sulla polizia e milizie neonaziste anti-russe.

I fatti sono ormai accertati: furono agenti stranieri, nell’autunno 2013, ad aprire il fuoco sulla folla in piazza Maidan, a Kiev. Obiettivo: far incolpare la polizia ucraina e screditare il governo del filo-russo Yanukovic, in modo da sottrarre l’Ucraina alla storica egemonia russa. Operazione sporca progettata dall’amministrazione Obama e affidata a falchi neocon come Viktoria Nuland, con la copertura del solito Biden (cospicuo dividendo, per la famiglia Biden: le provvigioni milionarie del petrolio ucraino concesse al figlio, Hunter). Calcoli comunque sbagliati, e finale zoppo: la Russia si riprese la strategica Crimea – russa da sempre – e sostenne la rivolta del Donbass, cioè dell’Est Ucraina, la zona mineraria popolata da russi, russofoni e famiglie miste, ucraino-russe, spaventate dal golpe “colorato” andato in scena a Kiev, violentemente ostile nei confronti della componente sociale russa, risalente all’epoca zarista prima ancora che sovietica. Da allora, gli Stati Uniti hanno boicottato in modo sistematico il Cremlino, che invece aveva manifestato la volontà di avvicinarsi all’Europa occidentale, riducendo le distanze con gli Usa.

Grande imputato: Vladimir Putin. Le sue colpe: per esempio, aver salvato la Russia dalla dissoluzione sociale dopo l’invasione dei capitali privatizzatori, americani, all’epoca della pirateria di Stato promossa da Eltsin per conto di Washington. Rimessi in piedi i russi (i cui redditi medi sono aumentati di dieci volte, in pochi anni), Putin ha riarmato il paese, per ristabilire la sua autorità geopolitica. Affronto imperdonabile all’élite oscura: aver sbaragliato l’Isis in Siria, in collaborazione con le forze siriane, con i libanesi di Hezbollah e con le unità speciali iraniane del generale Qasem Soleimani, assassinato (dagli Usa, si disse) all’inizio del 2020, mentre era in missione di pace in Iraq. L’omicidio di Soleimani sembra l’unico crimine imputato a Trump, in politica estera: per il resto, The Donald ha brillato come uomo di mediazione, smontando crisi pericolose. Aveva messo in standby anche il conflitto con i russi: per questo, contro Trump sono stati fabbricati i vari Russiagate, fino alla rottamazione del presidente attraverso il colpo di mano del voto postale poi conteggiato elettronicamente in modo Il generale Soleimanipiù che controverso, dopo che la Casa Bianca era stata travolta dal ciclone Covid e dalla guerriglia urbana scatenata da Antifa col pretesto del razzismo (reale) della polizia.

L’ultima battaglia di Putin, combattuta e vinta, è stata quella contro la narrazione del fenomeno Covid: la Russia è stata la prima a produrre un vaccino efficace, lo Sputnik, e la prima a uscire dallo stato d’emergenza. Tutti aspetti intollerabili, per il regime mondialista incarnato da maschere come quelle di Anthony Fauci e Bill Gates, vicinissimi all’establishment di Biden, fino a ieri in affari con la Cina – poi fermata da Trump – e inizialmente utilizzata, attraverso l’Oms, per imporre la “legge del lockdown”. Anche su questo aspetto, è emersa l’opposizione di Putin: come ricorda lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale, la Russia ha usato la Bielorussia (per questo bersagliata dall’immancabile “rivoluzione colorata”) per denunciare la manipolazione in atto: l’autocrate bielorusso Lukashenko dichiarò infatti di aver ricevuto offerte miliardarie (dall’Oms, e poi anche dal Fmi) per «fare il lockdown, come in Italia». Proposta bocciata fieramente: nessun lockdown, a Minsk, e nessuna catastrofe Covid nel paese. Ora il Risiko si è spostato sui vaccini: gli Usa temono che in paesi come l’Italia si Il caso Denise Pipitone a Chi l'ha vistoadotti lo Sputnik, un farmaco antivirale di cui non si conoscono reazioni avverse come quelle che invece accompagnano i “preparati genici” Pfizer e AstraZeneca.

Non a caso, rimarca “Mitt Dolcino”, il nostro paese è nell’occhio del ciclone. Tanto per cominciare, Roma è sospettata di esser stato il crocevia privilegiato per le peggiori operazioni di intelligence contro Trump: dalle bufale sul Russiagate alla stessa manipolazione elettorale delle presidenziali. Oggi le cronache imbastiscono una riedizione della guerra fredda per una storia di documenti trafugati (del valore di 5.000 euro), mentre una trasmissione come “Chi l’ha visto” riesuma la dolorosa vicenda della scomparsa della piccola Denise Pipitone, tirando in ballo la Russia. Il tutto, in un’Italia dove il governo Draghi – che ha ribadito la sua stretta osservanza atlantista – non ha mosso un dito di fronte al brutale oscuramento a cui Google ha sopposto “ByoBlu”, il primo newsmagazine indipendente del paese. Insomma, tira brutta aria: mentre gli italiani sono ancora chiusi in casa in virtù del vecchio paradigma emergenziale della paura, l’establishment che pilota la Casa Bianca minaccia di attaccare militarmente le milizie filo-russe che occupano l’Est dell’Ucraina, rischiando di far esplodere un’escalation pericolosa con Mosca.

Sotto questo aspetto, la biografia di Biden e quella del suo segretario di Stato, Tony Bliken, non sono rassicuranti: finora, i due hanno sempre lavorato per la guerra. Inquietante il loro sostegno a un personaggio come Alexej Navalny, già esponente della minuscola corrente nazi-razzista dell’ultranazionalismo panrusso. Riciclato come blogger e paladino della libertà, Navalny ha vergato personalmente un copione letteralmente comico, prontamente sorretto dall’Occidente: sarebbe stato sottoposto a un tentativo di avvelenamento, da parte di killer così imbranati da non riuscire neppure a ucciderlo, e così stupidi da disseminare la scena del crimine delle tracce del veleno usato, il Novichok sovietico, come se fosse la “firma” del mandante: il bieco Putin. La farsa diventa qualcosa di peggio un minuto dopo: l’Ue ha rinforzato le Blinkensanzioni economiche contro la Russia, mentre Joe Biden – sempre lui, l’uomo che sostiene di esser stato eletto presidente degli Stati Uniti – ha dato dell’«assassino» al capo del Cremlino, che notoriamente le elezioni le ha sempre stravinte, godendo del pieno consenso di oltre il 60% dei russi.

“Mitt Dolcino” alimenta domande pertinenti: non è che il gruppo Biden – già compromesso con la Cina – ora tenta di mascherare il divorzio da Pechino, inaugurato da Trump e ormai irreversibile, intorbidendo le acque grazie alla tradizionale ostilità verso Mosca, utilizzata per dare una parvenza di coerenza alla politica imperiale statunitense? Se il “regime change” a Mosca resta forse il sogno nel cassetto, da parte della nuovissima “democratura” americana che ha affidato a Dominion Voting Systems il risultato delle presidenziali 2020, frodando gli elettori, nel complesso e ambiguo gioco di specchi del 2021 può esserci anche il tentativo di ridimensionare la Germania con “l’aiuto” della Russia, in cambio di possibili contropartite invisibili, tenuto conto del fatto che i russi (oggi virtualmente spinti tra le braccia di Pechino) sanno benissimo che la Cina sarebbe pronta a fare man bassa delle immense risorse energetiche siberiane. Politiche a doppio fondo: gli apprendisti stregoni del Covid ora cercano una via d’uscita dalla narrazione pandemica che loro stessi hanno creato. E come da tradizione attaccano la Russia partendo anche dall’Italia, cioè da fenomenali segreti Nato del valore di 5.000 euro.

FONTE: https://www.libreidee.org/2021/04/segreti-da-5-000-euro-i-padrini-del-covid-contro-mosca/

Cos’è il Gru il servizio segreto russo che compie omicidi e sabotaggi in Europa

Gru è l’acronimo di Glavnoje Razvedyvatel’noje Upravlenije, traducibile dal russo come “direttorato principale per le attività informative offensive”. Si tratta di uno dei servizi di intelligence di Mosca, che però, al contrario dell’Fsb (Federál’naja Služba Bezopásnosti) e del Svr (Služba vnešnej razvedki) che fanno capo direttamente alla presidenza della Federazione Russa, dipende dal ministero della Difesa e dal suo capo di Stato maggiore.

Si tratta quindi di un organismo di intelligence militare che esiste sin dai tempi dell’Unione Sovietica. A quei tempi il compito principale del Gru era di svolgere l’attività informativa offensiva in relazione agli aspetti militari e alle nuove tecnologie applicate al settore delle Forze Armate, e a differenza del Kgb non aveva (e non ha) compiti di controspionaggio e di sicurezza interna.

Il Gru e l’epoca sovietica

L’organizzazione informativa dell’Armata Rossa era divisa in direttorati, detti anche “direzioni geografiche” e da dipartimenti indipendenti. A quel tempo il primo direttorato svolgeva la sua attività in Europa, Regno Unito escluso che rientrava, insieme all’Australia e all’emisfero occidentale, nel secondo. Il terzo direttorato era responsabile per l’Asia, il quarto per l’Africa e il Medio Oriente, mentre il quinto aveva il compito di coordinare tutte le attività informative dei distretti militari, delle flotte e dei gruppi di forze all’estero: in questo modo il suo secondo dipartimento controllava indirettamente l’attività degli Spetsnaz, il principale gruppo di Sof (Special Operation Force) sovietico. Infine il sesto direttorato si occupava dell’intelligence elettronica (Elint), mentre il comandante del Gru presiedeva anche al direttorato per l’intelligence spaziale responsabile dei satelliti di sorveglianza (e dei loro requisiti di progettazione) oltre che delle analisi informative.

Il crollo dell’Unione Sovietica ha modificato l’organizzazione del Gru, ed il differente scenario globale, unitamente alla comparsa di nuove capacità tecnologiche (e relative minacce), ne ha ampliato le funzioni. Oggi il servizio di informazioni militare russo è organizzato in dodici direttorati: tra di essi uno (il settimo) si occupa esclusivamente della Nato, un altro (il decimo) di guerra economica e l’ultimo (il dodicesimo) di Information Warfare, ovvero di guerra delle informazioni.

Come funziona l’organismo di intelligence

Come dicevamo l’attività del Gru si concentra all’estero, e non riguarda solamente l’attività di raccolta di informazioni: l’organismo di spionaggio russo compie vere e proprie azioni di sabotaggio, eliminazioni di personaggi “scomodi” e agisce (spesso come organo principale di coordinamento) nelle azioni clandestine e nei conflitti asimmetrici dove è presente la Russia. Agenti del Gru erano presenti nel conflitto ceceno e in quello georgiano (2008); sono ancora presenti in Siria e spesso affiancano il personale del Gruppo Wagner (benché a fasi alterne) nell’attività in Libia, Sudan e Repubblica Centroafricana.

Il Gru era presente anche in Ucraina nel 2014, quando con un vero e proprio colpo di mano Mosca è riuscita a impossessarsi della Crimea, ed è molto probabile che operi allo stesso modo (ma con sorti evidentemente diverse) anche nel Donbass, sulla linea di contatto tra le truppe ucraine e quelle delle milizie filorusse. Proprio in Ucraina si concentra l’attività più prettamente militare del servizio segreto, che, com’è possibile evincere dal suo riassetto organizzativo, ha molto ben imparato la dottrina Gerasimov sulla guerra ibrida.

Il Gru, però, non opera solo in quel settore turbolento dell’Europa, ma c’è un filo rosso che collega Kiev a Londra, passando per la Repubblica Ceca, la Svizzera e la Francia, che fa capo proprio a Mosca e all’attività del servizio segreto.

Le azioni di sabotaggio, o l’eliminazione di personaggi scomodi, vengono effettuate da una particolare unità del Gru, chiamata Unità 29155, che si occupa di questo tipo di operazioni in Europa. Si pensa che l’unità abbia operato in segreto almeno dal 2008, sebbene la sua esistenza sia diventata pubblicamente nota solo nel 2019.

È comandata dal generale Andrei Vladimirovich Averyanov e ha sede presso la sede del 161esimo Centro di Addestramento Specialistico per Scopi Speciali, situato nella parte orientale di Mosca. Ad affiancarla c’è un’altra unità speciale, la 54777, chiamata in alternativa il 72esimo Centro di Servizi Speciali, che è il gruppo principale per la guerra psicologica del Gru, diventata sempre più centrale e importante, insieme alla Information Warfare, per la destabilizzazione dei Paesi stranieri nel quadro della guerra ibrida, che, lo ricordiamo, utilizza anche assetti civili allo scopo. L’attività di manipolazione dell’opinione pubblica in Russia e all’estero in preparazione a conflitti armati, come in Georgia, Donbass o Siria, è infatti di vitale importanza.

Le azioni più recenti

Dicevamo del fil rouge che passa attraverso l’Europa da oriente a occidente: fatti che in un primo tempo sembravano scollegati, come la campagna di destabilizzazione in Moldova, l’avvelenamento di un trafficante d’armi in Bulgaria e il colpo di Stato, poi sventato, in Montenegro in realtà hanno un denominatore comune rappresentato proprio dall’attività di questa particolare unità operativa del Gru.

Anche il tentativo di assassinare un’ex spia russa in Gran Bretagna, Sergei Skripal, usando un agente nervino – il Novichok – è imputabile ad attività del servizio segreto militare russo. I funzionari della controspionaggio occidentale hanno concluso che queste operazioni, e potenzialmente molte altre, fanno parte di una campagna coordinata e in corso per destabilizzare l’Europa, eseguita proprio da questa unità d’élite che è esperta in sovversione, sabotaggio e assassinio.

Proprio il caso Skripal sembra collegare Londra alla Svizzera, passando per la Francia. Il fallito omicidio dell’ex agente segreto, che è senza dubbio un’azione di Spy Warfare troppo aggressiva dato l’esito finale che ha generato una crisi diplomatica internazionale, ha smosso il Gru la cui rete europea è stata messa alla luce dal controspionaggio occidentale: nell’Alta Savoia, tra tra Evian ed Annemasse, è stato individuato un “campo base” per le spie russe, che hanno operato nella vicina Svizzera molto probabilmente per cercare di penetrare nei laboratori di Spiez dove erano state condotte le analisi chimiche sui campioni raccolti a Salisbury, in Inghilterra, la città che era stata protagonista del tentato omicidio di Skripal, che hanno identificato l’agente nervino Novichok di fabbricazione sovietica.

Altri due agenti sono comparsi a Davos ad agosto del 2019, probabilmente per piazzare sistemi di sorveglianza là dove si sarebbe tenuto il World Economic Forum, ed ancora agenti del Gru sono implicati nel caso di un tenente colonnello dell’esercito francese, di stanza alla Nato, in Italia, che ad agosto 2020 è stato incriminato per violazione della sicurezza essendo sospettato di fornire documenti e informazioni ultra sensibili ai russi. L’ufficiale era di stanza a Napoli, dove ha sede il Jfcnp (Joint Force Command) dell’Alleanza Atlantica e il comando della Sesta Flotta americana, ed è stato arrestato dalla Dgsi (Direction Générale de la Sécurité Intérieure) con la collaborazione dei servizi di controspionaggio americani e della nostra AisiL’ufficiale francese avrebbe fornito ad un agente del Gru dati riservatissimi, tali da nuocere “alla sicurezza dello Stato”.

Sembra esserci sempre il Gru, ed in particolare l’Unità 29155, nell’esplosione di un deposito di munizioni nella Repubblica Ceca avvenuto nel 2014 che ha causato due vittime. Il movente dell’azione di sabotaggio potrebbe essere da ricercare nella guerra in Siria o, ancora una volta, nella questione ucraina: un messaggio per i commercianti di armi che riforniscono Kiev o che sostengono i ribelli siriani. Allora si preferì archiviare il caso come “incidente”, ma oggi, con la tensione tra Russia e Nato alle stelle proprio per l’Ucraina, Praga ha proceduto a espellere 18 “diplomatici” russi ritenuti collegati a quel fatto dimostrando come sia in atto, in questo delicato momento storico, una vera e propria “guerra alla diplomazia” tra le parti.

Azioni eclatanti, e pertanto controproducenti perché diventate di dominio pubblico, che però danno il metro di come oggi, in Europa, sia in atto una vera e propria Spy Warfare come non si vedeva dai tempi della Guerra Fredda.

FONTE: https://it.insideover.com/guerra/cose-il-gru-il-servizio-segreto-russo-che-compie-omicidi-e-sabotaggi-in-europa.html

 

Pandemia, i numeri separati dalle opinioni

Probabilmente ci vorranno anni per verificare l’efficacia delle strategie che i paesi europei hanno messo in campo per tentare di arginare la pandemia causata dal virus Covid 19, prima della scoperta e della distribuzione di vaccini destinati a mettere in sicurezza tutta la popolazione.
Ma alcune considerazioni si possono già fare sulla base di numeri certi relativi  a contagiati e deceduti in alcuni paesi europei, come quelli della tabella sopra, che riguarda quattro paesi dell’area scandinava accomunabili per territorio e popolazione (Svezia, Danimarca, Finlandia e Norvegia), la Germania e tre paesi Mediterranei  (Italia, Francia e Spagna).
Per quanto riguarda l’Area Scandinava è impressionante l’enorme differenza di contagiati e deceduti della Svezia, che ha sostenuto una politica di blandissime o pressochè nulle misure di lochdown, e i confinanti Norvegia Finlandia e Danimarca.
La Svezia infatti ha avuto in relazione al numero di abitanti circa undici volte in più di morti di Finlandia e Norvegia ed il triplo di quelli della Danimarca, con un numero di contagiati da 5 a 6 volte più alto di quello di Norvegia e Finlandia ed il doppio di quello della Danimarca.
Fuori dall’area scandinava a Germania ha avuto in percentuale la metà dei contagiati ed il quaranta per cento dei morti in meno della Svezia ma più del doppio della Danimarca e dalle 7 alle 9 volte superiore a quello di Finlandia e Norvegia.
Se esaminiamo i dati dei paesi latini dobbiamo riscontrare purtroppo, sempre facendo riferimento a contagiati e deceduti ogni 100 mila abitanti, che pur essendo il numero dei contagiati inferiore a quello della Svezia, ma ben superiore da quello della Germania, il numero dei deceduti è molto superiore, con l’Italia che sta peggio di tutti con circa il doppio dei morti della Germania, seguita a ruota da Spagna e Francia.
Credo si possa pertanto affermare allo stato degli atti che se dal punto di vista dell’economia il modello svedese può aver avuto dei vantaggi, il prezzo pagato in termini di vite umane rispetto ai paesi confinanti è stato spaventoso.
A chi giustamente può far notare che Italia, Francia e Spagna hanno avuto risultati ben peggiori di quelli della Svezia nel contrasto alla pandemia, la risposta è che  fortunatamente o sfortunatamente manca la prova contraria, e cioè di quanti contagiati e deceduti avremmo avuto da noi se non ci fosse stato obbligo di mascherina, distanziamento sociale e obbligo di chiusura di locali pubblici, scuole ecc.
Sociologi e studiosi di comportamento ci dovranno spiegare poi in che misura le risposte personali ed il senso del rispetto delle regole imposte o raccomandate dalle Istituzioni abbiano funzionato viaggiando da nord a sud  in Europa attraverso culture e modi di vivere così diversi tra di loro.
L’unica certezza allo stato degli atti è che soltanto la vaccinazione di massa può dare una risposta efficace per uscire da questa catastrofica situazione mentre, al netto dei macroscopici errori ed omissioni in Italia del governo Conti e del Commissario Arcuri nella gestione della pandemia, è di tutta evidenza che i sistemi sanitari di tutto il mondo si sono fatti cogliere impreparati a fronteggiare un pericolo che pure molte voci si erano levate in passato a denunciare.
FONTE: https://loccidentale.it/pandemia-i-numeri-separati-dalle-opinioni/

 

 

 

ECONOMIA

Il piano rosso da horror: una valanga di tasse per tutti

Più imposte sugli affitti e partite iva. Poi la tassa di successione e quella sulle case. Il progetto del sindacato

La grande idea è in sintesi questa: nel bel mezzo della pandemia, con le partite iva in ginocchio, la Cgil suggerisce di alzare le tasse. E non una sola, così di sfuggita. No: almeno tre, e tutte particolarmente punitive per il ceto medio. La proposta è stata scritta nero su bianco in un dossier presentato dal sindacato al Parlamento in vista dell’approvazione del Def 2021. Una serie di progetti che se per caso venissero trasformati in legge diventerebbero una sorta di mannaia sulla testa di autonomi, risparmiatori e proprietari di case.

Per prima cosa il sindacato rosso intende “incrementare la base imponibile dell’Irpef” combattendo “il fiorire di cedolari, imposte separate ed esenzioni”. In che modo? Da una parte vorrebbe colpire i proprietari di immobili, facendo ricadere nell’Irpef anche i redditi da locazione; e dall’altra pensa di azzoppare le partite iva “rivedendo” le aliquote dei regimi forfetari. Sugli affitti lo smacco per i locatori sarebbe doppio: da un anno e mezzo infatti, col blocco degli sfratti, il governo impedisce loro di tornare in possesso degli immobili occupati abusivamente e con l’addio alla cedolare secca il danno si moltiplicherebbe. Cornuti e mazziati. Gli autonomi invece rischiano grosso: già nei giorni scorsi era emersa l’ipotesi avanzata dal ministero dell’Economia di aumentare l’aliquota della flat tax dal 15% al 23%. Un salasso che – oggi è chiaro – anche la Cgil vedrebbe di buon occhio. E se due indizi fanno almeno una mezza prova, allora margini per preoccuparsi ce ne sono davvero.

La seconda proposta riguarda invece l’odiosa tassa di successione. Per il sindacato si tratta della “via più diretta” per “ridurre le diseguaglianze derivanti dalla provenienza familiare”. Insomma: se babbo e mamma si sono dati da fare per lasciare un gruzzoletto al figliolo, debbono essere puniti. “L’azione deve seguire due direttrici – dice la Cgil -: da un lato ridurre le franchigie e (soprattutto) incrementare le aliquote, dall’altro agire su tutta quella serie di beni attualmente esentati dall’imposta”. Gli unici da salvaguardare sarebbero i parenti di primo grado che ereditano “una casa in città ed una quantità modesta di risparmi”, poi i parenti disabili, gli orfani minorenni e i vedovi in difficoltà. Per tutti gli altri: tassare, tassare, tassare.

Ultime, ma non per importanza, le gabelle sul patrimonio immobiliare e su quello finanziario. La Cgil propone una “riorganizzazione in senso molto più progressivo di imposte già esistenti” così da colpire “le abitazioni di maggior valore, concentrate nelle grandi città”. Sul patrimonio finanziario, infine, si punta ad un “riordino in direzione di una maggior progressività e di maggior gettito a carico dei più ricchi”. Tradotto: una bella patrimoniale di quelle serie.

Quindi in sintesi: tasse sugli affitti, tasse agli autonomi, tasse sulla casa e patrimoniale. Un programma horror.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/economia/piano-horror-cgil-valanga-tasse-tutti-1940793.html

IL FISCO CATTIVO

Mer, 04/21/2021 – Marco Parlangeli

Il cancro è l’evasione, ma non mancano forme di vessazione, anche contrarie alla Costituzione

Siamo talmente abituati a pagare le tasse e a farci vessare dal fisco, che neanche ci diamo la briga di capire cosa stiamo pagando e soprattutto perché (il cosiddetto presupposto impositivo, ossia l’evento che origina il debito fiscale). Quasi ogni azione che compiamo, anche la più elementare, comporta il pagamento di imposte a vario titolo e di varia entità: accendere la luce, guardare la televisione, fare rifornimento alla macchina, leggere un giornale e così via. Anzi, spesso ci stupiamo che esista ancora qualcosa tax-free, come fare una passeggiata o respirare, ma temiamo che durerà poco.

Può essere allora utile fermarci un attimo a riflettere sul sistema tributario, perché se è vero (ed è vero) che il cancro della nostra economia è l’evasione fiscale, altrettanto negativa è la sensazione di essere ingiustamente vessati, con un accanimento motivato dalla mera esigenza di “fare cassa”. Nessuno mette in dubbio che i servizi pubblici costino, che una serie di funzioni possa e debba essere svolta solo dallo Stato (in primis sanità e scuola) e che, quindi, occorra in qualche modo finanziare questa macchina gigantesca che è la Pubblica Amministrazione.

Magari preferiremmo spesso avere maggiore efficienza e minori sprechi, ma questo è un altro discorso. In realtà, talvolta sono proprio le leggi fiscali a essere sbagliate, nonostante che sul punto la nostra Costituzione sia di una chiarezza totale. La stessa numerosità di imposte, tasse e balzelli è una distorsione e un costo supplementare imposto ai contribuenti: basterebbero una imposta diretta, una indiretta e una tassa per ogni servizio. Tutto quello che eccede serve solo a mantenere un esercito di burocrati che amministrano, riscuotono e controllano.

E’ chiaramente una provocazione, ma serve a riflettere. Proviamo a partire dalle basi, ovvero dalla Costituzione. I principi sono molto semplici, in poche righe di un articolo, il n. 53:

“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”

Il criterio di progressività del secondo comma è quello che prevede un’imposta il cui peso aumenta al crescere del reddito. Il motivo è evidente: per chi guadagna poco una data percentuale (detta aliquota) di imposte da pagare è comunque molto più pesante rispetto a chi guadagna molto[1].

Da queste chiare e illuminate parole, discendono i tre cardini sopra menzionati: l’imposizione diretta progressiva sul reddito; quella indiretta sui consumi; le tasse quale compartecipazione al servizio che si richiede. Il resto non è previsto, quindi – ad esempio – sono illegittime forme di imposizione non sul reddito ma sul patrimonio; né tipologie che non siano progressive; né tasse che eccedano il costo del servizio di cui si tratta.

Per essere ancora più chiari: non solo non è possibile introdurre la cosiddetta “imposta patrimoniale” nel nostro sistema (non tasserebbe il reddito ma il patrimonio, che di per sé non dà capacità contributiva), né la flat tax con aliquota unica (che non sarebbe progressiva ma regressiva), né tasse che facciano pagare un importo superiore al costo del servizio a fronte del quale sono poste.

Eppure sappiamo bene che in passato forme di imposizione incostituzionale ce ne sono state e, non a caso, sono state (e sono) quelle più odiate. Ad esempio il prelievo forzoso sui conti correnti del 1992, imposto una tantum (e meno male) dall’allora Governo Amato; oppure l’IMU, vera e propria patrimoniale sugli immobili ancora oggi in vigore con esclusione solo della prima casa; o ancora la cosiddetta “Tobin tax” sulle transazioni finanziarie[2].

Non interessano qui, e nella sostanza, le argomentazioni in giuridichese miranti a dimostrare che non si tratta di imposte patrimoniali ma di qualcos’altro o che il criterio della capacità contributiva è compatibile con un’imposta patrimoniale. Sappiamo che i bravi giuristi riescono a spiegare tutto e il contrario di tutto. Ma i contribuenti sanno bene che di vere e proprie vessazioni si tratta, la cui unica reale motivazione è fare cassa, come accade per le finanze comunali con le multe grazie agli autovelox nascosti.

Lo stesso per quanto riguarda le tasse, che al contrario delle imposte sono compartecipazioni che gravano sugli utenti dei servizi pubblici. Se il servizio in questione costa 10 milioni e l’ente impositore ne incassa 12 o 13 a titolo di tasse a carico degli utenti, siamo di fronte a un chiaro abuso.

Se un servizio pubblico – e ribadiamo che non stiamo parlando di scuola o sanità, che devono a nostro avviso essere prestati a tutti e gratuitamente, dovendosi coprire con l’imposizione ordinaria – ha un costo spropositato perché copre assunzioni inutili o sprechi, le tasse a carico degli utenti in realtà non vanno a pagare parte di quel servizio, ma a foraggiare quelle assunzioni o quegli sprechi.

E’ il caso delle tasse sulla nettezza urbana, oggi TARI. In ogni paese sviluppato, l’attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani è un’attività che genera profitto, tanto che i concessionari (coloro che acquisiscono il diritto a svolgerla) devono pagare lo Stato per essere autorizzati. Essi guadagnano poi con i prodotti del riciclo (che oggi coprono una vasta gamma di categorie merceologiche) e con l’energia che i processi generano, al netto dell’ammortamento necessario per finanziare gli impianti di smaltimento, per lo più forniti dagli stessi enti pubblici.

Da noi il servizio si paga, e si paga salato. Non solo: fasi sempre maggiori della raccolta (la differenziazione, il confezionamento, l’accumulo nei punti di raccolta) vengono lasciate agli utenti, i quali così si sobbarcano una riduzione reale del servizio e un aumento delle tariffe. E se non differenziano bene, si prendono pure le multe.

Il nostro è il paese che anni fa, per risolvere il problema dell’invasione di rifiuti a Napoli, non esitò a pagare aziende di smaltimento olandesi perché gestissero i treni pieni di nostri rifiuti. Una manna dal cielo per quelle aziende, abituate a pagare i rifiuti che costituiscono la loro materia prima.

Per questo, pur apprezzando l’attività di differenziazione e di riciclo dei rifiuti solidi urbani per i positivi effetti sull’ambiente, siamo fortemente diffidenti dei sistemi imposti dagli enti locali, che rappresentano né più e né meno che trasferimenti di costi a carico degli utenti, con il risultato di essere non il rimborso di parte del costo, ma una autonoma e illegittima fonte di reddito per l’ente impositore, per il quale l’intero processo è (o dovrebbe essere, se gestito con la necessaria perizia) a costo zero.

Trasparenza vorrebbe che il fabbisogno pubblico venisse coperto non con centomila balzelli diversi, ma con le sole tre forme sopra evidenziate: imposte dirette progressive, imposte indirette e tasse sui servizi. Il problema è che, così facendo, verrebbero fuori aliquote stratosferiche e i cittadini si renderebbero conto di quanto costa l’intera macchina della burocrazia: in termini elettorali non sarebbe certo un bel vedere.

NOTE

[1] Se ad esempio l’aliquota fosse unica per tutti e uguale al 20%, chi ha un reddito di 10.000 € l’anno dovrebbe pagarne 2.000, e chi ha un reddito di 1.000.000 di Euro 200.000: è evidente che per il primo il peso è molto maggiore che per il secondo, pur essendo l’aliquota uguale. Il nostro Costituente ha quindi previsto che l’aliquota debba crescere al crescere del reddito, cosicché il secondo si troverà a dover pagare, mettiamo, il 30% del proprio reddito, ovvero 300.000 €. E’ più o meno così che funziona il nostro sistema IRPEF.

[2] L’imposta sulle transazioni finanziarie, o “Tobin tax” dal nome del suo ideatore, consiste nel tassare il valore nominale di un’operazione finanziaria con aliquota molto bassa, indipendentemente dal risultato ottenuto, sul quale se del caso si pagherà l’imposta sul capital gain. Se ad esempio si acquistano 1.000 azioni di un titolo al prezzo di 20 Euro, il valore nominale dell’operazione sarà 20.000 € e, con l’aliquota dello 0,2%, la banca ci addebiterà immediatamente 40 € di Tobin Tax. Se poi due giorni dopo vendiamo in perdita a 18 Euro le stesse azioni, incassando 18.000 €, pagheremo altri 18 € di Tobin tax, anche se in realtà avremo perso 2.000 €. Per questo nessun paese serio ha introdotto questa imposta che è una vera e propria patrimoniale, e come tale illegittima per il nostro sistema.

FONTE: https://www.marcoparlangeli.com/2021/04/21/il-fisco-cattivo

Fattura elettronica obbligatoria per tutti: cosa cambia

La Corte dei Conti ha chiesto di estendere l’obbligo della fattura elettronica anche al milione e mezzo di persone che operano in regime forfettario: ecco cosa cambia

L’obbligo della fattura elettronica sarà esteso anche al milione e mezzo di soggetti che, nel regime dei forfettari, sono esclusi da questo adempimento.

Cosa chiede la Corte dei Conti

È quanto ha chiesto la Corte dei Conti nell’audizione presentata alle Camere sul Documento di Economia e Finanza (Def). Per la magistratura contabile il mancato obbligo, “limita fortemente l’efficacia dello strumento che si dovrebbe basare sulla conoscenza completa degli scambi intercorsi tra i soggetti che svolgono attività economiche indipendenti, a prescindere dal regime fiscale cui sono sottoposti”, come viene riportato da ItaliaOggi. L’esperimento della fattura elettronica, concepita per garantire maggiore trasparenza e ridurre l’evasione fiscale, ha dato risultati positivi sia dal punto di vista fiscale, con un aumento del gettito quantificabile in circa 3,5 miliardi di euro, sia sul fronte della digitalizzazione dal momento che le aziende che l’hanno adottata hanno avuto uno stimolo per migliorare i loro processi attraverso il digitale. Il 31 dicembre 2021, però, scadrà l’accordo con l’Ue che consentiva all’Italia di imporre l’obbligo ai soggetti passivi: per questo motivo, il Governo sta lavorando con la Commissione Europea per estenderlo per altri tre anni.

“Sistema semplice e vantaggioso”

Gli attuali strumenti per la fatturazione elettronica sono tanto semplici da usare che non possono più rappresentare uno scoglio per non utilizzarli: in parole povere è questo che chiede la Corte dei Conti. Sono molte le le imprese ed i professionisti che, pur operando in regime forfettario, hanno deciso di sposare la fatturazione elettronica, come spiega la stessa Corte dei Conti: “Ciò, d’altra parte, trova riscontro nel significativo numero di operatori che, pur rientrando nel regime forfetario, hanno emesso e ricevuto già nel 2019 fatture elettroniche attraverso il Sistema d’Interscambio a conferma della semplicità di gestione del processo e dei vantaggi, in termini di semplificazione amministrativa, che lo stesso comporta. Non va trascurato, inoltre, che un passaggio generalizzato alla fatturazione elettronica consentirebbe di gestire completamente in via informatizzata i processi di registrazione, liquidazione e dichiarazione IVA e permetterebbe all’Amministrazione fiscale di erogare i servizi di precompilazione delle dichiarazioni con il massimo dei benefici proprio nei confronti degli operatori in regime forfettario“.

Cashback e lotteria degli scontrini

La Corte si è soffermata anche sull’analisi degli strumenti messi in campo per incentivare i pagamenti elettronici, come lotteria degli scontrini e cashback. “Pur condividendone le finalità e in attesa di poter disporre di dati analitici sui risultati finora conseguiti con il cashback e la lotteria degli scontrini”, si legge nel documento, “si rileva l’esigenza di una loro migliore finalizzazione e articolazione, essendo necessario comunque evitare la dispersione di risorse con l’incentivazione di operazioni in settori ove non si registrano significativi fenomeni di omessa contabilizzazione dei corrispettivi o nei quali il pagamento mediante carte di debito o di credito è da tempo invalso nell’uso. Al contrario, le incentivazioni dei pagamenti elettronici andrebbero concentrate relativamente agli acquisti di beni e servizi di modico valore o per i quali sono più probabili fenomeni di occultamento“.

Alcune critiche non sono mancate, però, sul tracciamento dei corrispettivi, la modalità di un doppio canale del registratore telematico e del pagamento tramite Pos. Il metodo, per i giudici della Corte dei Conti, risulta macchinoso e suscettibile di disallineamenti. “Nell’ambito di un’azione di semplificazione e modernizzazione andrebbero, pertanto, ricercate nuove tecnologie e modalità unificanti i processi“, si osserva nel documento.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/economia/adesso-c-lobbligo-fattura-elettronica-ecco-cosa-cambia-1940752.html

Pfizer si accaparra il mercato europeo dei vaccini COVID con un contratto da 1,8 miliardi di dosi

Prof Michel Chossudovsky
globalresearch.ca

Introduzione

Il 14 aprile 2021, la presidente della Commissione europea ha confermato che Bruxelles sta negoziando un contratto con Pfizer per l’acquisto di 1,8 miliardi di dosi del suo vaccino a mRNA.

Questa astronomica quantità corrisponde al 23% della popolazione mondiale. È esattamente quattro volte la popolazione dei 27 stati membri dell’Unione Europea (448 milioni, dati 2020).

Questo è il più grande programma di vaccinazione nella storia mondiale, accompagnato dall’imposizione alla popolazione dell’UE di una diabolica “scaletta temporale” che prevede periodiche somministrazioni di vaccini a mRNA nei “prossimi due anni e oltre.”

L’intero processo sarà accompagnato da una implacabile campagna di paura e dall’obbligo del passaporto vaccinale, approvato dal Parlamento Europeo appena poche settimane prima dell’annuncio dell’UE.

Il passaporto digitale vaccinale dell’UE, che sarà realizzato da Pfizer BioNTech, fa parte del famigerato progetto ID2020 sponsorizzato dalla Global Alliance for Vaccines and Immunization (GAVI) di Bill Gates “che utilizza la vaccinazione collettiva come piattaforma per l’identità digitale.”

Se questo contratto UE con Pfizer, che è valido fino al 2023, dovesse essere portato a termine come previsto, ogni singola persona nell’Unione Europea verrebbe vaccinata quattro volte in un periodo di due anni (2021-2023).

Tenete presente che, al momento in cui scriviamo, il vaccino a mRNA di Pfizer (così come quelli dei suoi concorrenti, AstraZeneca, Moderna e J&J) sono legalmente classificati (negli Stati Uniti) come “non approvati” e “prodotti sperimentali.” Sono farmaci illegali.

Negli Stati Uniti, la FDA con una ambigua dichiarazione ha fornito una cosiddetta Autorizzazione all’Uso di Emergenza (EUA) al vaccino Pfizer-BioNTech, “per permettere l’uso di emergenza del prodotto non approvato, … per l’immunizzazione attiva...” (vedi sotto)

Ho fatto verificare questa affermazione da un noto legale. È palesemente contro la legge commercializzare un “prodotto non approvato” (indipendentemente dalle relative autorizzazioni governative).

Una fortuna multimiliardaria per Pfizer BioNTech

Parallelamente alla storica decisione dell’UE del 14 aprile 2021, Pfizer ha annunciato che il prezzo del suo vaccino è stato portato a 23 dollari a dose.

Grandi guadagni per Big Pharma. Questo progetto vaccinatorio da 1,8 miliardi di dosi costerà 41 miliardi di dollari, in gran parte da finanziare con denaro preso in prestito. Questa campagna vaccinatoria contribuirà quindi ad aumentare ulteriormente la crisi del debito pubblico, già aggravata nella maggior parte dei Paesi europei dai lockdown degli ultimi 14 mesi.

Nel frattempo, Pfizer ha esteso il suo mercato globale, in gran parte a scapito dei suoi concorrenti.

° Un contratto per fornire agli Stati Uniti fino a 600 milioni di dosi,
° In Brasile, circa 100 milioni,
° In Sud Africa, 20 milioni di dosi,
° Nelle Filippine, 40 milioni,

Il medio termine: 2021-2023 e “oltre.” Nessun ritorno alla “nuova normalità” una volta vaccinati

Quello che è previsto nell’UE è un piano cosiddetto “a medio termine” che si estende fino al 2022/23. Questo piano a “medio termine” implica forse una quarta e una quinta ondata?

Questo progetto a “medio termine” sarà realizzato in collegamento con il “Grande Reset” proposto dal Forum Economico Mondiale. Molto probabilmente sarà accompagnato da nuovi lockdown e da altre misure restrittive. Non è contemplata nessuna prevedibile uscita dalla “Nuova Normalità.” Ecco come ne parla la Presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen:

Ma permettetemi di concentrarmi anche sul medio termine. … È chiaro che per sconfiggere il virus in modo decisivo, dovremo essere preparati a quanto segue: … potremmo aver bisogno di richiami per rinforzare e prolungare l’immunità; … dovremo sviluppare vaccini che si adattino alle nuove varianti; e ne avremo bisogno presto e in quantità sufficienti. Avendo questo in mente, dobbiamo concentrarci su tecnologie che abbiano già dimostrato il loro valore. I vaccini a mRNA ne sono un chiaro esempio.

Sulla base di tutto questo, stiamo ora entrando in trattativa con BioNTech-Pfizer per un terzo contratto. Questo contratto prevede la consegna di 1,8 miliardi di dosi di vaccino nel periodo 2021 – 2023. E comporterà che non solo i vaccini, ma anche tutti i componenti essenziali saranno prodotti nell’UE.

I negoziati che iniziano oggi [14 aprile 2021] – e che speriamo di concludere molto rapidamente – sono un ulteriore passo importante nella risposta dell’Europa alla pandemia.

Voglio ringraziare BioNTech-Pfizer. Ha dimostrato di essere un partner affidabile. Ha mantenuto i suoi impegni e risponde alle nostre esigenze. Questo va a beneficio immediato dei cittadini dell’UE.

Partner affidabile? Ecco la fedina penale di Pfizer

C’è un’altro fattore, un “verminaio” che l’UE non vuole scoperchiare. Il più grande progetto di vaccinazione con un “farmaco non approvato” sarà attuato da una azienda di Big Pharma che ha una lunga storia di corruzione di medici e funzionari della sanità pubblica.

Pfizer è un “trasgressore abituale,” costantemente impegnato in pratiche di marketing illegali e depravate, compresa la corruzione di personale medico e la soppressione di risultati clinici sfavorevoli ai suoi prodotti. Dal 2002 l’azienda e le sue filiali hanno dovuto pagare 3 miliardi di dollari in condanne penali, sanzioni civili e risarcimenti. (Dr Robert G. Evans, National Institutes of Medicine)

Inoltre, negli Stati Uniti Pfizer ha un precedente penale, nel 2009 era stata incriminata dal Dipartimento di Giustizia per “marketing fraudolento.”

Pfizer, la più grande azienda farmaceutica mondiale, è stata colpita dalla più grande sanzione penale nella storia degli Stati Uniti, come parte di un accordo da 2,3 miliardi di dollari con i procuratori federali dopo una condanna per promozione impropria di farmaci e pagamento di tangenti a medici compiacenti.”(Guardian)

In una storica sentenza del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti del settembre 2009, Pfizer Inc. si era dichiarata colpevole delle accuse penali a suo carico. Era stato “Il più grande accordo per frode nell’assistenza sanitaria” nella storia del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.

Per vedere il video su C-Span cliccate qui.

Ma com’è possibile fidarsi di una multinazionale dei vaccini di Big Pharma che, di fronte al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) si era dichiarata colpevole di accuse penali, tra cui “marketing fraudolento” e “violazione criminale del Food, Drug and Cosmetic Act“?

Con questa sentenza del 2009 del Dipartimento di Giustizia, Pfizer era stata per così dire “condannata a rimanere sotto vigilanza speciale” per un periodo di quattro anni. A Pfizer era stato ordinato di stipulare “un accordo di integrità aziendale” con l’ispettore generale del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (DHHS), che, di fatto, avrebbe agito come un “giudice di sorveglianza.” Quell’accordo prevedeva “procedure e revisioni per … evitare e rilevare prontamente” (futuri) comportamenti scorretti da parte di Pfizer, Inc.

Il “vaccino” assassino

Integrità aziendale? Le pratiche di “marketing fraudolento” di Pfizer BioNTech qui sono all’ennesima potenza, di fronte alla proiezione di 1,8 miliardi di dosi del suo “vaccino” “sperimentale” mRNA COVID-19, nome commerciale Tozinameran, non approvato, venduto con il marchio Comirnaty.

Quello con cui abbiamo a che fare è la “commercializzazione fraudolenta” di quello che sarebbe meglio descrivere come un “vaccino” killer.

Ma, in realtà, questo “vaccino” a mRNA che modifica il genoma umano “NON è” un vaccino. Si basa sulla terapia genica, combinata con un passaporto vaccinale ID incorporato.

Morti e lesioni risultanti dal “vaccino sperimentale” a mRNA

La Commissione Europea è forse intenzionata ad estromettere AstraZeneca e J&J (per conto di Pfizer?). Le dichiarazioni ufficiali suggeriscono che Pfizer BioNTech, alla fine, prenderà il controllo dell’intero mercato europeo dei vaccini.

All’inizio di marzo 2021, 18 Paesi europei, tra cui Francia, Italia, Germania e Spagna, hanno deciso di sospendere il vaccino di AstraZeneca. [Vaccinare la popolazioine europea con il prodotto di Astrazeneca] era l’obiettivo iniziale dei governi nazionali dell’UE, dell’Agenzia Europea del farmaco (EMA) e della Commissione UE.

L’UE ha ora confermato che non rinnoverà i contratti con J&J e AstraZeneca, nonostante il fatto (secondo i dati dell’UE e del Regno Unito) che i decessi e gli effetti collaterali risultanti dal “vaccino” Pfizer BioNTech siano molto più numerosi di quelli di AstraZeneca.

I dati ufficiali dell’UE relativi a decessi ed effetti collaterali da vaccino per Pfizer, Moderna e AstraZeneca [totali] indicano: 3.964 morti e 162.610 lesioni (27 dicembre 2020 – 13 marzo 2021)

La ripartizione (AstraZeneca, Pfizer, Moderna)

Reazioni totali per il vaccino sperimentale AZD1222 (CHADOX1 NCOV-19) di Oxford/AstraZeneca: 451 morti e 54.571 effetti collaterali fino al 13/03/2021

Reazioni totali per il vaccino sperimentale mRNA Tozinameran (codice BNT162b2, Comirnaty) di BioNTech/ Pfizer: 2.540 morti e 102.100 effetti collaterali fino al 13/03/2021

Reazioni totali per il vaccino mRNA sperimentale mRNA-1273 (CX-024414) di Moderna: 973 morti e 5.939 effetti collaterali fino al 13/03/2021

Anche i dati del Regno Unito confermano che i cosiddetti effetti collaterali sono significativamente più alti per il “vaccino” di Pfizer BioNTech (in confronto con quello di AstraZeneca). Vedere anche lo scioccante rapporto del governo britannico sugli effetti collaterali dei vaccini COVID: ictus, cecità, aborti spontanei.

Allora, perché i concorrenti di Pfizer, cioè AstraZeneca e J&J sono stati estromessi dal mercato UE?

C’è una guerra all’interno di Big Pharma.

Osservazioni conclusive

È ampiamente documentato che il vaccino non è necessario. Non c’è nessuna pandemia.

E perché la Commissione UE, che rappresenta 450 milioni di persone in 27 paesi, dovrebbe impegnarsi ad acquistare 1,8 miliardi di dosi del “vaccino” mRNA Tozinameran di Pfizer, che, già dopo pochi mesi, è noto per aver provocato innumerevoli morti e lesioni, tra cui reazioni autoimmuni, anomalie della coagulazione del sangue, ictus ed emorragie interne?

Chi c’è dietro questo spregevole progetto?

Da vedere la risposta di Doctors for Covid Ethics indirizzata all’Agenzia Europea del Farmaco (EMA).

Dite NO al virus assassino. Il “vaccino” di Pfizer sponsorizzato dall’UE deve essere l’oggetto di un movimento di base coordinato in tutti i 27 stati membri dell’Unione Europea e nel mondo.

L’evidenza scientifica conferma ampiamente che un vaccino Covid-19 NON è necessario.

Le stime dei cosiddetti casi positivi al Covid-19 si basano sul test RT-PCR che, secondo l’ultima dichiarazione dell’OMS (20 gennaio 2021), è totalmente inaffidabile e che è servito a far lievitare i numeri, giustificando anche la necessità di un vaccino a mRNA, che, a tutti gli effetti, non è un vaccino.

Da vedere: L’OMS conferma che il test PCR Covid-19 è difettoso: Le stime dei “casi positivi” sono assurde. I lockdown non hanno basi scientifiche

Mentre i media parlano senza sosta di un “virus killer” con “prove” scarse e contraddittorie, la verità è che bisognerebbe parlare di “un vaccino killer.

Stime fuorvianti sulle morti da Covid

Inoltre, le stime delle morti da Covid utilizzate per giustificare la necessità di un vaccino sono false. Negli Stati Uniti, i certificatori sono stati istruiti ad indicare come “causa di morte sottostante” Covid-19 “nella maggior parte dei casi.”

Da vedere: Covid-19 e la falsificazione dei certificati di morte: La clausola “nella maggior parte dei casi” del CDC .

Prof Michel Chossudovsky
Fonte: globalresearch.ca
Link: https://www.globalresearch.ca/big-pharma-conglomerate-with-a-criminal-record-pfizer-takes-over-the-eu-vaccine-market-1-8-billion-doses/5742812
18.04.2021
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

FONTE: https://comedonchisciotte.org/pfizer-si-accaparra-il-mercato-europeo-dei-vaccini-covid-con-un-contratto-da-18-miliardi-di-dosi/

 

 

 

 

EVENTO CULTURALE

Promozione del libro “CONNESSIONI” di Francesca Sifola sul web

https://www.facebook.com/FrancescaSifolaScrittrice/posts/2645403605730403?__cft__[0]=AZUlw36Tl9vjHs8T3dEAiIU1fvCL_ctyjiLZ3-USJbyOHvrPFSw_lPBjGLM7b8uzfcKb6Z0ov1DUuExK89ZDDLFOHV_v4aHl9BXR8sgRHxIuNd-xyzQJH74OKRIPCMpBXbsj2LYS_GRaSR_vLWAj-KL6boHolAIx_VNptU9QQ8F6WwRGOcGSP2Al5aJe1_OyBaA&__tn__=%2CO%2CP-R

 

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

La finanza vi ha portato via anche il calcio

Dopo tutto il resto

di Roberto Pecchioli

MB – i media si scandalizzano perché la finanza speculativa  “s’è impadronita del nostro calcio”. Ma s’è impadronita dei nostri governi, delle nostre banche centrali, della politica democratica, dei di tv e giornali; del vostro erario, dei vostri politici; s’è impadronita del vostro sistema sanitario facendone una fonte di profitto, della vostra salute, dei vostri salari, delle vostre  organizzazioni non governative, dell’OMS, dell’ONU – e delle vostre menti come dimostrate portando mascherine e denunciando chi non le porta. Il calcio è l’ultimo, la prova che nella ricerca di profitti da  accaparrarsi e togliere alla gente, il capitale, gigantesco parassita, sta raschiando il fondo del barile.

LA SUPERLEGA DEGLI INDEBITATI E LA STUPIDITA’ DEI TIFOSI.

di Roberto PECCHIOLI

La notizia è di quelle grosse (e brutte). Dodici società calcistiche di tre nazioni europee vogliono farsi un campionato, una “lega”, come si dice, tutta per loro. Ci sono le tre grandi tradizionali italiane, Milan, Inter e Juventus, tre big spagnole, e ben sei inglesi. Le due squadre tedesche, Bayern e Borussia, che sembravano della partita, si sono sfilate. Altri club – i grandi-ma-non-troppo- parteciperanno se e quando saranno invitati a unirsi all’allegra brigata. Allegra? Non proprio, perché le dodici “grandi” sono le più importanti entità calcistiche del mondo, ma soprattutto le più indebitate. Non a caso, gli unici con i conti a posto, quelli tedeschi, si sono tenuti in disparte. Si rassicurino i lettori disinteressati allo sport: la notizia non riguarda il calcio, ma l’industria, il mercato televisivo e la finanza.

La reazione non si è fatta attendere del mondo delle istituzioni sportive internazionali, che minacciano di espellere le promotrici della cosiddetta Superlega, ma anche dalle autorità politiche. Il tema è molto serio e riguarda anche coloro che non si occupano di calcio. Il movente dei grandi club è economico e finanziario: lo sport non c’entra nulla. Infatti, dietro l’operazione vi sono interessi colossali. Le fila sono tenute dalla gigantesca banca d’affari americana JP Morgan Chase, che ha messo sul piatto ben 6,5 miliardi di euro e probabilmente da Amazon, il cui padrone, Jeff Bezos, è intimo amico e socio del direttore generale di JP Morgan.

In Italia in prima fila c’è la Juventus, terminale di una holding con sede legale in America, titolare di alcuni marchi di diritto olandese. Il più sincero è stato Florentino Pérez, presidente del Real Madrid, che ha ammesso che le grandi entità calcistiche sono alla canna del gas. Le tre spagnole, (oltre al Madrid, Barcellona e Atlético) hanno ciascuna debiti per molte centinaia di euro, almeno ottocento per l’orgoglioso club catalano. Non va meglio alle due milanesi, che milanesi non sono più, in quanto acquistate da gruppi cinesi. L’Inter, che si appresta a vincere lo scudetto, è in difficoltà a onorare le scadenze economiche e i suoi debiti si contano a centinaia di milioni. Nessuna possibilità di rientrare, perché il governo cinese ha vietato ai proprietari di pompare altro denaro nel calcio estero. Identica situazione per il Milan e la Juventus, che ha presentato una semestrale di cassa pesantissima. Il solo Ronaldo costa, a vario titolo, 86 milioni di euro all’anno. Per chi ricorda le lire, parliamo di quasi centosettanta miliardi del vecchio conio. Nonostante grandi ricavi, non sta meglio il gruppo delle squadre inglesi, quasi tutte in mano a grandi gruppi internazionali, specie arabi. Credete ancora che esista un calcio “italiano” o “britannico”?

Per i moschettieri di Don Denaro, è questione di vita o di morte. Basta con inutili trasferte a Benevento, Verona, Newcastle o Valladolid, meglio fare un consorzio di grandi, il cartello dei giganti, e giocare solo e sempre tra di loro. Tutti gli altri, vadano a ramengo. Invero, a ramengo, cioè al tribunale fallimentare a depositare i libri contabili, dovrebbero andarci innanzitutto loro, i grandi il cui profondo rosso non è giustificato da nulla. E’ evidente che il calcio professionistico di più alto livello vive in una bolla irreale. Se Real Madrid, Liverpool e Juventus perdono somme immense, non è che siano amministrate da sciocchi, è il sistema che non regge.

Facciamo un esempio elementare: se una competenza professionale viene pagata sul mercato duemila euro al mese, forse i più capaci potranno spuntare uno stipendio da duemilacinquecento, ma non certo da diecimila euro. Che pensereste di un signore che avesse da anni il tenore di vita di chi ha un reddito di diecimila euro al mese, ma ne incassa cinque volte di meno? Oltreché scriteriato e pazzo, è qualcuno che non vuole rassegnarsi a ciò che fanno tutti: diminuire le spese. Impossibile: la macchina dello sport professionistico è un’enorme idrovora, un lago (artificiale) a cui attingono a piene mani calciatori – che almeno sono quelli che rendono possibile lo “spettacolo” – dirigenti, allenatori, gli avidissimi procuratori sportivi e una pletora crescente di figure professionali, alcune strane e improbabili. Ci sono “motivatori” profumatamente pagati, professionisti che devono, come dire, convincere chi scende in campo a impegnarsi al massimo. Strano non ne esistano per chi fa i turni in fabbrica o timbra il cartellino in ufficio. Insomma, incassano dieci e spendono cento. Se falliscono, nulla di male.

Il fatto è che non vi è più altro principio che il profitto. Scriveva Francisco Quevedo “potente cavaliere è Don Denaro”. Potente, ma non unico. Lo sport professionale non ha più alcuna relazione con la realtà (se Ronaldo costa alla Juventus 86 milioni annui, perché i proprietari non diminuiscono il costo del lavoro, come hanno fatto in tutte le loro aziende?) ma soprattutto non ha più alcuna relazione con se stesso. Il calcio ha successo mondiale perché suscita una passione “fisica”, data dall’appartenenza e dall’identità. Ridotto a spettacolo televisivo in cui Milan-Inter può essere giocato indifferentemente a Tokyo o Abu Dhabi (chi paga di più, chi rappresenta interessi televisivi, chi ha certi sponsor) il pubblico lentamente si stufa.

Il capitale di passione è ancora elevato, ma è in declino: lorsignori lo sanno, per questo alzano la posta in palio. I grandi vogliono giocare solo tra loro, dividere la torta (televisione, abbigliamento sportivo, pubblicità, carte di credito “dedicate” e tutto quanto fa ricavi) in poche grandi fette. Oltretutto – lo diciamo da appassionati di tutta la vita – il calcio in televisione è spettacolo piuttosto noioso: lunghe interruzioni, tempi morti, azioni spesso prevedibili, altre confuse, prevalentemente a centrocampo. Senza la passione, lo spirito di appartenenza dei tifosi, è finita. Chi scrive, anni fa, assisté a una splendida partita di pallacanestro: una squadra scelse Genova come sede delle gare casalinghe. Tutto bellissimo, ma c’era un terribile problema di identificazione. Come si può urlare a squarciagola il nome di un’industria, di un marchio o di un prodotto?

Ormai, in modo diverso, vale anche per il calcio: noi tifosi, i fessi della situazione, gli ingenui, quelli che devono pagare il conto a piè di lista, facciamo il tifo non per una squadra, una città o una maglia, ma per un marchio, un “brand”. Roma sul mercato vale più di Palermo, Napoli più di Atalanta, che era un dea e nel calcio rappresenta Bergamo. Lo sport non c’entra nulla, infatti le reazioni alla Superlega dei ricchi & indebitati viene soprattutto dai tifosi, quelli che amano il calcio e vanno (andavano…) allo stadio. Se alla Juventus converrà giocare la Superlega a Mosca o Pechino, ci andrà: Don Dinero è un gran dittatore. Intanto, da anni sono criminalizzati i tifosi dello stadio: ci sono gli ultras, i teppisti. Vero, ma basta identificarli e punirli una volta per tutte, se sono colpevoli di reati, naturalmente, e non solo di eccessi verbali o passionali.

Gli stadi ora sono chiusi per contagio, ma ieri erano solo semi-aperti: biglietti troppo cari in molti settori, stadi sempre più piccoli; lo spettacolo è solo per i ricchi, per gli altri c’ è la gabbia, come sanno gli appassionati delle curve o gradinate. Acquistare biglietti è complicato, gli appassionati sono schedati con la “tessera del tifoso”, spesso è vietato assistere alle gare in città diverse dalla loro. Le famiglie sono di fatto espulse dallo stadio. Tutti davanti alla televisione, il Dio moderno che rende recettori passivi. Per di più a pagamento. Ecco perché parliamo di stupidità.

E’ come il potere secondo Etienne De la Boétie nel Discorso sulla servitù volontaria: qualunque tiranno mantiene il potere solo fintanto che i sudditi glielo permettono. Aggiungeva però che la libertà originaria è volentieri abbandonata dalla maggioranza, che, corrotta dall’abitudine, preferisce la servitù del cortigiano (o del passivo consumatore di immagini televisive a pagamento) alla libertà di giudizio. Nella fattispecie, che c’azzeccano lo sport e la passione popolare con le Superleghe e la televisione padrona? Basta non rinnovare gli abbonamenti, non assistere alle tele-partite e il gioco salta.

Quando Ronaldo arrivò alla Juventus, vennero vendute in poche settimane in tutto il mondo alcuni milioni di magliette con il suo nome e la maglia della nuova squadra, quella ufficiale, s’intende, con i loghi e i nomi degli sponsor in bella vista. Il valore d’uso era quello di una normale maglietta, spesso di tessuto artificiale, il valore di scambio era dieci, venti, trenta volte il costo industriale del prodotto, realizzato in gran fretta da operai maltrattati e malpagati, non di rado bambini e minori, in fabbriche fatiscenti del Terzo Mondo.  Non esiste un termine diverso da stupidità. Non parliamo da snob supponenti: lo scrivano frequenta lo stadio da sempre e conosce l’enorme potere identificativo della maglia della squadra del cuore.

Conosce anche la passione che fa sì che non importi nulla di finali mondiali perché non c’è la “nostra” squadra. C’è, invece, la globalizzazione. Come per ogni altra attività economica, vige il monopolio: prima si cacciano da mercato i piccoli, poi i medi, infine i grandi. Restano solo i colossi. La soluzione è semplice: disinteressarsi di industrie che sfruttano passioni genuine e tornare al vecchio, caro calcio della domenica, all’identità per cui un ligure è del Genoa o della Sampdoria e un campano orgogliosamente del Napoli. In alto, vogliono che non conti più nulla: ci sono alcune multinazionali, le corazzate del calcio-business, guardatevi queste e pagate: l’abbonamento della pay.tv, la maglia del campione che non è in genere un nostro connazionale, cambia squadra più in fretta di quanto Fregoli si cambiasse di costume di scena ed è sovranamente disinteressato alla “maglia”, ovvero al simbolo che ci ieri ci portava allo stadio e oggi ci fa comprare una carta elettronica.

A un calcolo sommario, le dodici sorelle della Superlega hanno tra i due e i tre miliardi di euro di passivi. Vogliamo avere la dignità di non contribuire a ripianarli – o ad aumentarli, giacché con l’arrivo in forze di nuovi giganti della finanza l’assalto alla diligenza sarà ancora più accanito? Possibile che siamo diventati così stupidi da comportarci sempre come vuole il potere, persino nelle passioni sportive?  Il poeta Umberto Saba scrisse una splendida lirica sull’amore per la squadra del cuore. Non era una grande, non parteciperebbe a nessuna Superlega: era “solo” la Triestina, con la maglia rossa e il simbolo antico dell’alabarda. “Anch’io tra i molti vi saluto, rosso alabardati, sputati dalla terra natia, da tutto un popolo amati. Trepido seguo il vostro gioco. Ignari esprimete con quello antiche cose meravigliose sopra il verde tappeto, all’aria, ai chiari soli d’inverno. Le angosce che imbiancano i capelli all’improvviso sono da voi così lontane! La gloria vi dà un sorriso fugace: il meglio onde disponga. Abbracci corrono tra di voi, gesti giulivi. Giovani siete, per la madre vivi; vi porta il vento a sua difesa. V’ama anche per questo il poeta, dagli altri diversamente – ugualmente commosso.”

Altri tempi: quale terra natia, in campionati di mercenari multietnici a fattura, quali “antiche cose meravigliose” esprimono gli eroi televisivi con maglie modificate ogni anno, diverse per ciascuna competizione. E come si può amare un’industria sconosciuta e lontana, il brand di cui siamo clienti dalle tre alle cinque? La grande squadra, lo splendido gesto atletico e tecnico di un campione si possono ammirare, ma amare no. L’amore implica identificazione, vicinanza, sofferenza. Nella Superlega non conta chi vince: faranno a turno, il cerchio è chiuso, unico valore il bilancio consuntivo. Agli altri non più le briciole, ma il cartello “chiuso per cessata attività”.

Il rischio d’impresa, per una società sportiva professionistica, sono gli arbitraggi sfavorevoli, gli infortuni ai campioni, le sconfitte imprevedibili, che nel calcio sono frequenti e fanno parte del suo fascino. Finito anche quello. Meglio correre ai ripari privatizzando e globalizzando i campionati. Basta Fiorentina, Sampdoria o Cagliari. Chi non ci sta è un inguaribile romantico, un residuo del passato, forse un cretino. Conosciamo persone che si considerano superiori perché tifosi di grandi squadre lontane che non hanno quasi mai visto con i loro occhi. Buon pro gli faccia, ma per favore, smettiamo di essere stupidi e consideriamo l’orribile Superlega calcistica per quello che è: ulteriore ricchezza per pochissimi, indifferenza, povertà per tutti gli altri e fine del calcio come fatto sociale e segno di appartenenza.

Giovanni Arpino, scrittore torinese, scrisse in dialetto piemontese la più bella e commovente poesia sul Torino Calcio pur essendo tifoso della Juventus, che all’epoca era la sua rivale cittadina e oggi non più, perché è una multinazionale. Noi siamo tra quelli che non riescono ad amare le multinazionali, qualunque cosa vendano o producano. Possiamo essere clienti, che è un’altra cosa. Vogliamo chiedere ai tifosi – categoria alla quale apparteniamo- di smettere di amare dei marchi industriali e di essere spettatori passivi di uno spettacolo in cui vincono tutti i protagonisti e i comprimari, ma perde il tifoso, lo stupidotto sfruttato, perde l’amore della gente e perde lo sport.

Prima o poi la faranno, la loro Superlega. Lasciamoli soli: siamo potentissimi perché possiamo vivere senza di loro. E’ tanto difficile lasciarli ai loro istogrammi dei profitti e delle perdite, al loro astuto “merchandising” e ai maledetti listini di borsa?

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/la-finanza-vi-ha-portato-via-anche-il-calcio/

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

STUDI LEGALI IN TRIBUNALE CONTRO LE VITTIME ITALIANE

Studi legali in tribunale contro le vittime italiane

familiari delle vittime del crollo del Ponte Morandi, al pari di quelle del rogo ferroviario di Viareggio come del disastro della torre piloti al porto di Genova, vorrebbero giustizia. Che la memoria dei loro familiari riecheggiasse in una sentenza: una sorta di monito, perché le sciagure per mano umana possano non avvenire più, o quantomeno che le grandi aziende s’impegnino a scongiurare disastri. Per quanto i familiari delle vittime insistano nel sostenere che le loro battaglie non sono concentrate sui risarcimenti ma sull’ottenere una giustizia giusta e celere, parimenti gli studi legali di assicurazioni e grandi aziende lavorano perché le responsabilità vengano rimpallate e diluite.

Questo perché colossi assicurativi e grandi aziende sono comunque partecipate da un unico e vorace padrone. Valga per tutti l’esempio del fondo speculativo internazionale BlackRock (fatturato annuo 14,2 miliardi di dollari, otto di capitalizzazione), che partecipa Atlantia (quindi Autostrade), Assicurazioni Generali (chi dovrebbe risarcire i danni), Fiat (che partecipa ai dividendi di BlackRock in Usa), Allianz (che riassicura fondi di Atlantia), ThyssenKrupp (che dopo la sciagura di Torino fornisce materie prime ad autostrade, ferrovie ed armatori in tutto il pianeta)… e la lista degli intrecci d’affari è oltremodo lunga. A questo aggiungiamo che gli studi legali, che difendono in sede civile autostrade, ferrovie ed assicurazioni degli armatori dall’evitare cospicui risarcimenti, sono gli stessi che in sede penale lavorano perché amministratori e dirigenti di grandi aziende non vengano condannati: cercano d’allungare il brodo – perché una prescrizione per omicidio colposo salvi i vertici – poi che le lungaggini sul civile rendano lontana la data del risarcimento, ridimensionando di parecchio anche le cifre.

Combattere contro gli uomini neri di BlackRock è davvero arduo, specie ora che l’Unione europea ha affidato al fondo Usa la supervisione sul Recovery fund, e non dimentichiamo che Mario Draghi (attuale presidente del Consiglio) prima del 2005 ha lavorato con i banchieri di BlackRock quand’era in Goldman Sachs, prima d’essere nominato Governatore della Banca d’Italia. Il conflitto d’interessi inviluppa non solo l’Italia ma l’intero Occidente affaristico. E francamente in tanti si chiedono cosa possano fare i tribunali di Genova come di Firenze (per le vittime di Viareggio) per fare giustizia senza subire le vendette del sistema speculativo internazionale: di quel groviglio di 007 finanziari che Bettino Craxi e Rino Formica denunciavano come gli artefici della fine della nostra democrazia.

Dalle pagine di questo giornale lo scrivente continua, comunque, a testimoniare l’importanza d’una battaglia di libertàdemocrazia e giustizia per tutti i cittadini. Ha scritto a L’Opinione Adele Chiello Tusa, madre di Giuseppe Tusa, una delle nove vittime del crollo “torre piloti” di Genova avvenuta il 7 maggio 2013, ed a seguito dell’impatto con la motonave Jolly Nero. “Nel vostro articolo, citando il processo di Viareggio – afferma Adele Chiello Tusa – probabilmente vi è sfuggita la sentenza della Jolly Nero degli armatori Messina. Purtroppo, è chiaro che i potenti non vanno toccati. Il processo di Viareggio e quello sulla Jolly Nero ne sono la dimostrazione”.

“Durante il dibattimento è stata dimostrata la lunga scia di incidenti ed avarie di quella nave. Inchieste e libri sugli armatori hanno reso la verità di pubblico dominio: tante sono state le denunce sulla condotta illegale degli armatori Messina. Tuttavia Olmetti, responsabile della sicurezza della flotta navale – sottolinea Adele Chiello Tusa – è stato assolto in Cassazione. Le condanne hanno colpito solamente i piani bassi. Condannare Olmetti sarebbe stato colpire i vertici. Gli utili finanziari diventano primari rispetto alle vite umane”.

Non è certo un caso che la Jolly Nero fosse assicurata con Generali (partecipata da BlackRock) e difesa nei tribunali da avvocati che ritroviamo in molti processi che potrebbero cagionare pesanti risarcimenti alle compagnie assicurative. Stessa sorte è toccata, e per sentenza della Cassazione, alle vittime del rogo di Viareggio (32 morti): sentenza di prescrizione che, in forza delle motivazioni, ridimensiona anche i risarcimenti, permettendo che le assicurazioni non intacchino di molto utili e dividendi. Da notare che i gruppi assicurativi sono gli stessi in tutti i disastri: i giornali evitano di attaccarli frontalmente, perché è noto che intentino cause contro la stampa con richieste di danni in sede civile da stabilirsi in proporzione al patrimonio dei gruppi assicurativi.

Quasi pretendono “la libbra di carne”, come nel mercante di Venezia, ma pochi giudici hanno il coraggio di dire a questi colossi finanziari “prendi dunque la tua penale, prendi la tua libbra di carne, ma se, nel tagliarla, versi una goccia di sangue cristiano, le tue terre e i tuoi averi sono, per le leggi di Venezia, confiscati dalla Repubblica di Venezia”. Il problema è tutto qui: Venezia era autorevole Repubblica, mentre l’Italia è ora nelle mani dei mercanti, pardon mercati. Ecco l’importanza del processo per il crollo del Ponte Morandi. Dove una sentenza fatta da giudici coraggiosi potrebbe ribaltare (come già avvenuto a Torino per Eternit e ThyssenKrupp) metodiche ed abitudini consolidate. Perché questo avvenga, come giustamente sostiene Egle Possetti (presidente del Comitato delle vittime del Morandi), i magistrati starebbero valutando ogni aspetto: soprattutto quelle intercettazioni telefoniche, in cui tecnici nell’ombra di Aspi (autostrade per l’Italia) parlano di analisi di rischio non eseguite e poi di solite imprese che fanno pseudo manutenzioni.

Qualcuno fa notare che, per il crollo del Morandi, la valanga delle responsabilità potrebbe, in una sorta d’assenza di gravità, partire dal basso… anche dalle confessioni di qualche geometra che trattava con i subappaltatori. Egle Possetti non molla la battaglia, è al fronte per tutti gli italiani… perché in questo sistema prima o poi si finisce tutti vittime, sacrificati sull’altare di utili, dividendi e disumanità.

FONTE: http://www.opinione.it/societa/2021/04/22/ruggiero-capone_studi-legali-tribunale-vittime-italiane-fondi-assicurativi-ponte-morandi-viareggio/

 

 

 

Quelle sentenze che deresponsabilizzano violenza e terrorismo

Aprile 2021 verrà ricordato come il mese delle assoluzioni facili ed anche piuttosto sconcertanti. Jihadisti? Terroristi? Malati psichiatrici? Incapaci di intendere e di volere? Ognuno dice la sua, intanto però certe decisioni della magistratura incentivano una deresponsabilizzazione di azioni dal palese intento volto a creare terrore e colpire chi viene percepito come “nemico” e dunque “legittimo obiettivo da colpire”.

La scorsa settimana Insideover aveva già trattato lo sconcertante caso di Sarah Attal Halimi, la 65enne professoressa morta nel 2017 a Parigi dopo essere stata aggredita e lanciata dal balcone della propria abitazione da un vicino di casa, il maliano Kobili Traorè, noto spacciatore della zona, consumatore di stupefacenti ed estremista islamista. Il soggetto in questione aveva infatti più volte minacciato ed insultato la donna in quanto “ebrea” e, durante l’aggressione, aveva gridato “Allahu akbar”, versetti coranici, insulti antisemiti, aveva affermato di aver “ucciso Satana” e si era pure messo a pregare dopo l’omicidio.

Bene, la Corte di Cassazione francese ha deciso che il killer non può essere processato perché durante l’aggressione era sotto effetto di stupefacenti e dunque incapace di intendere e di volere. Ovviamente il consumo di droga dovrebbe  essere considerato un’aggravante; gli avvocati della donna uccisa lo hanno chiaramente illustrato: la dipendenza da sostanze stupefacenti non è una malattia mentale e non ricade dunque nell’ambito delle patologie neuro-psichiatriche coperte dall’articolo 122/1 del codice penale. Il killer non poteva non essere consapevole degli effetti degli stupefacenti e il suo consumo non può escludere la responsabilità dell’atto. A quanto pare però i magistrati francesi che hanno emesso la sentenza non la pensano allo stesso modo e Traorè non sconterà neanche un giorno di galera, ma resterà in cura presso una struttura psichiatrica. Una sentenza scandalosa che va ad aggiungersi alla resistenza fatta fin da subito da media ed inquirenti nel riconoscere la matrice islamista ed antisemita dell’omicidio.

In poche parole, seguendo la logica della Cassazione, è sufficiente farsi una canna prima di commettere un omicidio per essere assolti, perché incapaci di intendere e di volere.

Il caso dello scorso agosto in piazza Duomo a Milano

Bene, a Milano è successo qualcosa di vagamente simile con Mahmoud Elhosary, il 26enne egiziano che lo scorso 12 agosto aveva seminato il panico aggredendo e prendendo in ostaggio un vigilante all’interno del Duomo di Milano, prima di venire circondato e disarmato dalla Polizia dopo più di 20 minuti. Accuse pesanti: sequestro di persona e resistenza a pubblico ufficiale. Bene, anche in questo caso l’aggressore è stato assolto in quanto “totalmente incapace di intendere e di volere durante i fatti”. Al soggetto è però stata riconosciuta la pericolosità sociale e dovrà quindi scontare tre anni presso una Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, una delle strutture che hanno sostituito gli ospedali psichiatrico giudiziari).

Il personaggio in questione era già stato arrestato nel 2016 per tentata rapina; tornato in Egitto era stato sottoposto a terapia per la psicosi di cui soffriva ma l’aveva interrotta ed era tranquillamente tornato in Italia. In sua difesa si è mobilitata anche la famiglia che ha inviato in Italia le documentazioni che ne attestavano i problemi medici. Insomma rapinatore, con problemi psichici, socialmente pericoloso, ma non perseguibile perché pazzo.

E la componente islamista in questo caso c’è oppure no? A detta degli inquirenti no, in quanto “dall’analisi del telefono e dei contatti dell’arrestato non erano emersi legami o riferimenti al terrorismo”, ma è lecito chiedersi se ciò sia sufficiente a far scartare del tutto l’ipotesi, forse in maniera un po’ affrettata. L’egiziano, una volta accerchiato dalla Polizia, ha dichiarato di chiamarsi “Cristiano” e di vivere lì, esclamazione quanto meno curiosa. Vi è però tutta la componente simbolica dell’atto che non passa certo inosservata a chi si occupa di analisi sul terrorismo; un’aggressione proprio in Duomo, a un paio di giorni da Ferragosto, con vittima inginocchiata e assalitore con coltello rivolto al collo dell’aggredito (scene già tristemente note), tra l’altro personale in divisa. Una scena che non può non destare dubbi e perplessità, anche perchè l’ipotesi terroristica venne scartata quasi nell’immediato. Secondo informazioni, Elhosary era da mesi senza fissa dimora in quanto cacciato di casa sia da alcuni conoscenti che da uno zio; chi aveva frequentato in quel periodo?

Da Ismail Hosni a Brahim Garouan

Attenzione, perchè ci sono poi altri casi, tipo quello di Tommaso Ismail Hosni, il tunisino che nel maggio del 2017 aveva aggredito un agente della Polfer e due militari in Stazione Centrale a Milano. Materiale jihadista condiviso su Facebook, si era fatto crescere la barba in stile salafita, numerosi precedenti. Nonostante ciò, è stato stabilito che non vi fu alcuna finalità ideologico-religiosa, ma soltanto “esaltazione emotiva” dopo la richiesta degli agenti di mostrare i documenti. Da notare che durante l’aggressione, Hosni era sotto effetto di cocaina.

Hosni veniva definito come “emotivamente fragile”, con vizio parziale di mente, consumatore di stupefacenti e dopo una pena di 7 anni (rito abbreviato) veniva disposto il ricovero in una Rems (in quanto soggetto socialmente pericoloso) e poi l’espulsione. La Corte d’Appello aveva successivamente ridotto la condanna a 5 anni ed 8 mesi.

Il “vizio di mente”, l’incapacità di intendere e volere sta diventando così una pericolosa scusante per deresponsabilizzare ed evitare di riconoscere azioni dall’intento ideologico, come esposto dal Prof. Marco Lombardi, esperto di terrorismo e direttore di Itstime in Università Cattolica a Milano: “L’incapacità di intendere e volere è un classico artifizio per limitare le conseguenze di un atto doloso, insomma eravamo abituati a considerarle roba da Azzeccagarbugli. La decisione della Corte di non procedere contro Kobili Traoré secondo me riabilita drammaticamente la storiella che, in fin dei conti, non mi stupisce: mi sembra, infatti, che negli ultimi anni ci sia stata un certa tendenza a cercare una sorta di “deresponsabilizzazione politica” di quegli atti criminosi riconducibili al terrorismo islamista. Mai visti tanti terroristi psichicamente labili: anche questo ci sta per spiegare la scelta della violenza ma non può starci per giustificare l’atto e ridurre la pena. Io trovo pericoloso che non si voglia riconoscere il terrorismo per quello che è nei suoi risultati, questo per un obiettivo che è spesso politico e che, pertanto, non è né atto di giustizia verso le vittime né atto di consapevolezza rispetto aglio scenari che la minaccia comporta”.

Ci sono poi casi dove si è persino arrivati a negare il movente terroristico nonostante il materiale di stampo jihadista rinvenuto e con tanto di risarcimento da 60 mila euro per 8 mesi di reclusione; è il caso di Brahim Garouan, marocchino arrestato nel 2011 assieme al padre e a un altro soggetto con l’accusa di addestramento di terroristi. In possesso dei tre venne infatti trovato materiale, tra cui diversi filmati, che spiegavano come fabbricare esplosivi, ordigni e come sparare con varie armi tra cui un fucile da cecchino.

Garouan venne assolto perchè secondo la Cassazione “il terrorismo virtuale fatto di manuali e corsi di formazione non è reato”. Nel 2014 il marocchino veniva segnalato come ucciso sotto i bombardamenti mentre combatteva nelle file dei jihadisti anti-Assad.

FONTE: https://it.insideover.com/terrorismo/quelle-sentenze-che-deresponsabilizzano-violenza-e-terrorismo.html

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Kazari ashkenaziti, l’ebraismo asiatico su cui Israele tace

C’è una storia dimenticata e volutamente occultata. Io sono massone, e appartengo anch’io a una minoranza, quella eleusina: e comprendo il peso che persecuzioni possano avere avuto, nella storia. La cultura tradizionale ebraica è tuttora sconosciuta, ai più: curioso, perché è tra quelle che più hanno permeato la cultura europea, negli ultimi secoli. E’ una cultura che è sempre stata un po’ chiusa. E anche per via delle fortissime tensioni storiche – con la cacciata degli ebrei dalla Spagna a opera di Isabella di Castiglia dopo la Reconquista, poi per opera dell’Inquisizione e dell’azione stessa della Chiesa cattolica, senza contare le tante conversioni forzate al cattolicesimo – non c’è mai stato un dialogo aperto fra la cultura ebraica e quella cristiana, predominanti nell’Europa moderna. E questo ha fatto sì che ci sia sempre stata una grave e lacunosa mancanza di conoscenza reciproca. Ad esempio: si parla pochissimo dell’origine degli ebrei ashkenaziti, che oggi rappresentano la maggioranza, nella popolazione ebrea.

Le fonti collocano l’origine della tradizione ebraica in Medio Oriente, in Palestina, in parte anche in Egitto. Ci sono connessioni dirette tra il popolo ebraico e figure come il faraone Akhenaton e personaggi come Mosè. E’ stata invece volutamente occultata l’origine storica di quella Lupogrande parte dell’ebraismo che appartiene alla cultura ashkenazita. Le origini non risalgono all’area siro-palestinese (il Regno di Giudea), ma ad un’area geografica diversa e distante, identificabile con il territorio di quello che è storicamente conosciuto come l’Impero Kazaro. Numerose le fonti: cronache arabe, persiane, bizantine e russe (Principato di Kiev). E’ un argomento raramente studiato, cui si tende a non dare risalto, anche per una serie di ragioni politiche. L’Impero Kazaro si sviluppò in un’aera che va dal Caucaso all’odierna Ucraina, la Crimea, le steppe del Kazakhstan e l’Uzbekistan settentrionale: un territorio vastissimo. Trae origini dalle migrazioni di una serie di popoli che, nei primi secoli della nostra era, abitavano l’area della cosiddetta Asia Centrale.

Erano popolazioni in una certa misura discendenti dall’antico popolo degli Sciti, storicamente stanziato sull’odierna costa dell’Ucraina e in Crimea, e in parte da popolazioni turcomanne, inizialmente nomadi, stanziate in quest’area già dal III-IV secolo dopo Cristo. Popolazioni storicamente note come Göktürk (”turchi blu”: una caratteristica totemica). Questo ramo delle popolazioni turcomanne, molto affine agli attuali ungheresi e agli unni (che molto interagirono con gli ultimi secoli dell’Impero Romano), attorno al V secolo dette origine a una prima grande forma statale, una struttura organizzata che venne chiamata Kaganato, che deriva dal termine Kagan (”Re dei Re”). Questo primario Kaganato dei Göktürk entrò inizialmente in guerra con tutte le potenze vicine, specie la Cina. Tutta la parte orientale del Kaganato venne sottomessa dai cinesi e annessa ai territori del Celeste Impero. La parte occidentale, destinata a sopravvivere più a lungo, conobbe varie Turchi Blutraversie, fino a che non cadde sotto l’egemonia di una particolare dinastia, quella degli Hashina: nome identificato da importanti linguisti americani come derivante dall’antica lingua scita.

Risolti i problemi col potente e ingombrante vicino cinese, il Kaganato entrò in rotta di collisione con altre potenze, in primis l’Impero Bizantino (cristiano), e poi con la nascente e preponderante potenza islamica. Siamo ormai nel VII secolo: l’Islam aveva appena iniziato la sua opera di espansione e dominio, e il territorio dei kazari (particolare civiltà turcomanna, di religione politeista con caratteristiche sciamaniche) fu progressivamente attaccato dagli arabi, che avevano già occupato la Persia. Dell’affascinante mitologia di fondazione del clan degli Hashina parla Diego Marin, nel libro “Il sangue degli Illuminati”. Quel clan «era considerato il prescelto dal dio celeste Tengri, associabile all’antico dio delle tempeste Teshup», o anche allo stesso Zeus.

Gli Hashina veneravano i propri antenati con cerimonie annuali, che si concludevano in un luogo particolare, chiamato “la Caverna Ancestrale”, da cui si riteneva che lo stesso clan Hashina fosse fuoriuscito. «Il mito racconta la storia di un bambino, l’unico sopravvissuto a un massacro tribale. Famiglia e amici erano stati sterminati. Lui solo era riuscito a scappare, rifugiandosi in una grotta nelle vicinanze. Qui aveva incontrato una lupa, di nome Hasena». La lupa lo aveva adottato (come Romolo e Remo, allattati e salvati). «Una volta cresciuto, il Diego Marinbambino ebbe un’unione sessuale con la lupa, che avrebbe dato alla luce ben 10 figli, tutti gemelli, uno dei quali poi passato alla storia come il capostipite degli Hashina». La lupa Hasena è ancora ben viva, nella tradizione mitologica di tutti i popoli di origine turcomanna, dalla Turchia all’Asia Centrale (Turkmenistan, Tagikishan, Uzbekistan, Kazakhstan, fino agli uiguri dello Xinjang cinese).

Ancora oggi, la lupa Hasena è il simbolo di partiti nazionalisti turchi: oggi musulmani, non hanno mai rinunciato a questa raffigurazione mitologica ancestrale che vede nella lupa Hasena l’origine dei turchi, la loro madre. Tornando ai kazari: erano in continuo stato di guerra coi vicini bizantini e arabo-persiani. Poi nell’VIII secolo vengono attaccati attraverso la Persia, vengono sottomessi, e il Kagan dell’epoca, Bulan, accetta di convertirsi formalmente all’Islam. La tregua però dura poco: i kazari contrattaccano, battono gli arabo-persiani e recuperano il loro territorio. Bulan abiura alla fede islamica e, simultaneamente, avviene un fatto incredibile, probabilmente ispirato da ragioni geo-strategiche e interessi commerciali: nel 740 dopo Cristo decide di convertirsi all’ebraismo, imponendo la conversione anche ai sudditi. Un fatto che ha segnato la storia, perché questo impero (che aveva svariati milioni di abitanti) diventa di religione ebraica, pur restando molto lontano dalla culla dell’ebraismo – l’area siro-palestinese – essendo esteso tra il Caucaso, la Crimea e le steppe del Kazakhstan.

Sempre secondo le ricerche di Diego Marin, questa conversione sarebbe stata suggellata dal matrimonio tra il principe Bihar Sabriel (figlio di Bulan) e una donna di tradizione ebraica, di nome Serak, che sarebbe stata figlia di Juda Zachai, rabbino di Babilonia, appartenente al casato reale di Marsutra e quindi discendente del primo “esiliarca” di Babilonia. Sarebbe dunque stato questo ramo della tradizione ebraica a favorire la misteriosa conversione dei kazari. Divenuto ebraico, il Kaganato prospera per un po’, soprattutto grazie al commercio, ma poi va a scontrarsi nuovamente con tutti i vicini: bizantini, Impero Arabo e soprattutto con il recente Principato dei Rus’. Quella del Principato di Il Khaganato di Khazaria, o Impero KazaroKiev, primo nucleo embrionale della futura Russia, non è un’origine slava, ma nordica (vichinga, norrena): furono soprattutto mercanti norreni (o variaghi, che dir si voglia) a insediarsi nell’attuale Russia settentrionale, per poi fondare – calando verso sud – l’embrione della futura potenza russa.

Il Principato di Kiev, peraltro, era legato a tradizioni sciamaniche. Eppure, Kiev venne appoggiata subito da Bisanzio, nel tentativo di contrastare il Kaganato kazaro. E alla fine, dopo una serie di guerre, con personaggi come Oleg di Kiev e Sviatoslav I, l’Impero Kazaro venne sconfitto: furono occupate le fortezze principali e la stessa capitale, e il vastissimo territorio si disgregò attorno al 960. Da lì, nacquero le prime migrazioni dei kazari verso l’Europa, e il loro insediamento nella valle del Reno. Si dice che “ashkenazita” significhi “tedesco”, e che Ashkenaza fosse una regione franco-tedesca nella Renania. Subito, l’ex Impero Kazaro venne sottomesso dal nascente Stato russo, che non era ancora cristiano: la cristianizzazione della Russia (fatto curioso) fu concomitante con la caduta dell’Impero Kazaro. Il principe Vladimir di Kiev (figlio si Sviatoslav, conquistatore dell’Impero Kazaro) fu il primo regnante russo – in realtà, di origine vichinga – a convertirsi formalmente al Vladimir I di Kievcristianesimo. Conversione molto esaltata dai cristiani ortodossi: Vladimir fu santificato, in quanto fondatore del cristianesimo in quella che era la Rus’.

Dopo aver sconfitto il potente Impero Kazaro, Vladimir venne avvicinato dagli emissari della Kazaria, che gli suggerirono di convertirsi all’ebraismo. Rifiutò, perché non voleva convertirsi alla religione di un popolo che aveva appena sottomesso. Al che, emissari dell’Impero Arabo (sempre in cambio di alleanze) gli proposero di convertirsi all’Islam. Vladimir rifiutò ancora, spiegando che non avrebbe potuto imporre al suo popolo di rinunciare alle bevande alcoliche. Il principe di Kiev sarebbe poi invece rimasto folgorato dagli emissari bizantini – si racconta – di fronte allo splendore delle chiese cristiane di Costantinopoli. Un racconto chiaramente agiografico. In realtà queste curiose conversioni, da quella del kazaro Bulan all’ebraismo a quella di Vladimir al cristianesimo, sono sempre state frutto di accordi geopolitici: la motivazione non era esattamente spirituale. Così la Russia divenne cristiana, e quello che era il primo, grande impero ebraico (al di fuori del territorio siro-palestinese) si disperse.

Iniziò una prima diaspora della popolazione. Ma la vera diaspora non fu causata dal Principato russo di Kiev, che coi kazari mantenne relazioni commerciali e quindi non aveva alcun interesse a disperdere quelle popolazioni appena sottomesse. Qualche secolo dopo, nel 1200, i kazari vennero attaccati dall’Orda d’Oro di Gengis Khan: furono i mongoli, a fare terra bruciata. Travolsero lo stesso Principato di Kiev e sottomisero buona parte del mondo allora conosciuto. Non si limitavano a conquistare e assoggettare: radevano al suolo le città e sterminavano tutti gli abitanti. L’impressionante invasione mongola ha cambiato la storia, e ha stravolto la nascente potenza islamica: la Gengis KhanBaghdad dell’epoca era la culla mondiale della conoscenza, l’Islam illuminato aveva fondato una delle più importanti biblioteche della storia, pari a quella di Alessandria d’Egitto. La famosa Casa della Sapienza di Baghdad conteneva l’intera letteratura del mondo, e venne distrutta dai mongoli.

Di fronte all’urto dei mongoli, quindi, solo dopo il 1200 i kazari cominciarono a emigrare in massa verso la Russia, la Polonia, la Germania e l’intera Europa orientale, dove cominciarono a chiamarsi ashkenaziti, fino a raggiungere poi anche paesi dell’Europa occidentale, come l’Italia e la Francia. Gli ebrei di origine ashkenazita sono riconoscibili: hanno la carnagione molto chiara e parlano lo yiddish anziché l’ebraico. Nata proprio nell’Est Europa, quella yiddish è una lingua interessantissima, tuttora molto parlata. Ha avuto influenze slave e germaniche, e al suo interno conserva moltissimi vocaboli di origine turcomanna. L’yiddish è la lingua madre di un grande artista come Marc Chagall, reinterpretata da un grande musicista come Moni Ovadia.

Invece, gli ebrei sefarditi sono in buona parte di origine spagnola, però hanno una diretta connessione con l’aria siro-palestinese. In più, a cavallo dei Pirenei (col disfacimento dell’Impero Romano) era nato anche il Principato di Settimania, importante realtà statale ebraica con caratteristiche sefardite. Dopo la cacciata degli ebrei dalla penisola iberica, a opera della cattolica dinastina castigliana, ci fu un’altra diaspora (sefardita). Una “diaspora di ritorno”, che interessò tutto il Nord Africa e tutta l’Europa. Quanto agli ashkenaziti, arrivati in epoca medievale in Italia e in Germania, generarono importanti famiglie che – si dice – oggi dominano il pianeta. E’ un’ipotesi da molti sostenuta, tutt’altro che infondata. Ancora all’inizio del 1300, comunque, gli ashkenaziti costituivano solo il 3% della popolazione ebraica mondiale. Raggiunsero il massimo dell’espansione agli inizi del ‘900: nei primi anni Trenta erano diventati il 92% degli ebrei, che oggi in tutto il mondo sono 12-13 milioni.

Agli albori del ‘900, avviene un fatto curioso, citato da Mauro Biglino. La grande stampa internazionale anglosassone comincia ad “annunciare” l’imminente strage, in Europa, di 6 milioni di ebrei. Ne scrivono insistenza il “Sun”, il “New York Times”, l’”Atlanta Constitution”, la “Gazzetta di Montreal”. Si chiede ospitalità, in Palestina, per 6 milioni di ebrei che, specie nell’Est Europa, sarebbero allo stremo e starebbero soffrendo un “olocausto europeo”. Dal 1915, quindi, quando Hitler era ancora un ragazzotto, c’era chi “sapeva” che 6 Mauro Biglinomilioni di ebrei sarebbero morti? Poi arriva Hitler, che nel “Mein Kampf” parla di “due stirpi”, quella degli Ariani e quella del Serpente, e infine la Shoah stermina 6 milioni di ebrei. E’ un dato che deve fare riflettere, anche se si tratta di cifre simboliche che hanno una valenza esoterica (parlo dei dati citati da Biglino, cioè i 6 milioni evocati dalla stampa prima della Shoah).

Questo utilizzo di numeri è chiaramente funzionale alla nascita e allo sviluppo del movimento sionista, che ha sempre avuto interesse a catalizzare questi dati, per poi agire politicamente fino a creare l’attuale Stato di Israele, che rappresenta la realizzazione del programma politico di Theodor Herzl. Certo è curiosa, all’inizio del ‘900, la ripetizione di quella cifra (6 milioni), che secondo me ha proprio una valenza simbolico-esoterica. Indubbiamente, nella Russia zarista non c’era una situazione felice, per le popolazioni ebraiche ashkenazite, perseguitate dal potere imperiale. Ci furono molti pogrom, ma certo non massacri dall’estensione paragonabile alla Shoah. Oltretutto, in alcune aree come l’attuale Bielorussia, la maggior parte della popolazione era di origine ebraica: sarebbe stato un controsenso, l’annientamento completo di una consistente fetta della popolazione.

Insomma, sono questioni su cui riflettere: ma anche facilmente strumentalizzabili. Io poi mi occupo prevalentemente di storia antica, e non voglio entrare nel merito delle cifre: ci sono storici che se ne sono occupati in modo autorevole. Certo, resta il fatto che la stampa internazionale è andata avanti per cinquant’anni, prima di Hitler, a parlare di quei famosi 6 milioni. Qualcuno si stupisce che la popolazione ebraica sia sopravvissuta in modo quasi stabile, sia alle persecuzioni pre-hitleriane che alla stessa Shoah. Ma ripeto: quelli evocati a inizio ‘900 sono numeri “anti-storici”, essenzialmente simbolici. Oggi si sostiene che una parte degli ebrei ashkenaziti sia riuscita, tramite la finanza, a costituire veri e propri imperi, arrivando a condizionare la politica economica di tutti gli Stati del mondo, a partire dagli Usa fino Norman Finkelsteinall’ultima creazione europea, l’euro? Ora, si ripete, potenze come quella incarnata da Soros sono impegnate in manipolazioni finanziarie globali. E se ieri la stampa dava conto di certi fenomeni, oggi del mondo ebraico si parla poco, specie dal punto di vista della finanza. Soprattutto, non si approfondisce.

Io consiglio un libro inattaccabile, scritto da un professore di religione ebraica di un’università americana, uno storico: si chiama Norman Finkelstein. Il suo libro, “L’industria dell’Olocausto”, storicamente ben documentato, spiega esattamente, nel dettaglio, come la questione della Shoah sia stata interpretata e utilizzata per finalità tutt’altro che religiose o morali – ma per finalità politiche ed economiche – dal movimento sionista. Chiaramente, viene utilizzata una discriminante storica, che giocoforza si è venuta a creare. Nel 1945, in modo simbolico, questa discriminante opera una divisione: il mondo prima della Shoah e il mondo dopo la Shoah. I giornali degli anni Venti e Trenta avevano un’altra libertà di espressione, perché dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale è nata una sorta di tabù storico, di velo, di ininterpretabilità. Norman Finkelstein questa cosa la denuncia in modo molto forte. E spiega come poi, in realtà, nell’immediato dopoguerra non vi fosse tutta questa retorica dell’Olocausto: è una retorica, dice, che è stata portata avanti dalla politica israeliana in concomitanza con le prime guerre con il mondo arabo, in particolare la Guerra dei Sei Giorni (giugno 1967).

Fu allora che la vulgata dell’Olocausto, in una chiave molto particolare, è stata spinta e accelerata, fino a diventare una sorta di dogma intoccabile. In realtà la storia è fatta di interpretazioni e ricerche: uno storico dovrebbe sempre avere le mani libere, per analizzare i documenti e confrontarsi. In questo caso, invece, sono stati imposti dei tabù, come fossero dogmi di fede. E questo è sinceramente anti-storico, anti-scientifico: non ha senso. Tutto questo, però, non è assolutamente dovuto alla cultura ebraica, che è una delle culture più belle da studiare (una delle più interessanti, con cui confrontarsi). Questo atteggiamento di chiusura è invece dovuto all’azione di alcuni gruppi di Nixcola Bizzifamiglie, che hanno utilizzato a proprio uso e consumo determinate tradizioni, decidendo che cosa dovesse diventare storico e che cosa dovesse diventare un tabù storico. Hanno utilizzato queste questioni per propri fini, politici ed economici: il che, come si vede, non rappresenta affatto la variegata ricchezza culturale del mondo ebraico, che è fatto di voci diversissime tra loro.

Il problema semmai è il sionismo: un movimento anche pericoloso, creato e fondato da ashkenaziti, che ha preteso anche la manipolazione della storia a proprio vantaggio. Esistono moltissimi ebrei che sono fortemente anti-sionisti, e addirittura temono il sionismo. Nello stesso Stato di Israele gli ebrei sefarditi sono una minoranza, oggi, e in alcuni casi vengono addirittura discriminati, anche se in Occidente non se ne parla. La stessa rimozione storica dell’Impero Kazaro, che per secoli controllò enormi estensioni di territorio, è dovuta al fatto che tutte le popolazioni che da esso sono derivate, e che poi hanno portato alla nascita dell’ebraismo ashkenazita, non hanno una diretta discendenza dall’area siro-palestinese. La mancanza di un filo diretto con la Palestina è diventata un altro tabù storico: un’altra questione da non affrontare, perché va a delegittimare la nascita dello Stato di Israele.

(Nicola Bizzi, video-intervento “L’Impero Kazaro e le origini dimenticate”, da “Come Don Chisciotte” del 1° novembre 2020. Storico, autore di saggi sorprendenti come “Da Eleusi a Firenze”, Bizzi è l’editore di Aurora Boreale).

FONTE: https://www.libreidee.org/2021/04/kazari-ashkenaziti-lebraismo-asiatico-su-cui-israele-tace/

 

 

La “necropoli virtuale” dei collaborazionisti nazisti dell’Ucraina e il suo sovrintendente

Enrico Vigna – 21 04 2021

La “necropoli virtuale” dei collaborazionisti nazisti dell'Ucraina e il suo sovrintendente

 

In questo articolo di un autorevole portale storico è documentato cosa hanno fatto dell’Ucraina i suoi “liberatori”, sostenuti, finanziati e armati dalle potenze occidentali, in nome della democrazia e della libertà, attraverso la rivolta del “Maidan”. Sbandierata come “rivoluzione colorata”, anche in Italia vezzeggiata e applaudita dai politici di ogni colore. In prossimità del 25 aprile occorrerebbe SOTTOPORRE QUESTE DOCUMENTAZIONI a tutti coloro che in nome di un presunto “antifascismo”, celebreranno i NOSTRI eroi partigiani facendosi paladini dei valori per cui QUESTI hanno dato le loro vite, ma poi a livello internazionale sono schierati e accomunati , in Ucraina come in Donbass, in Bielorussia come in Serbia, in Siria come in Libia, a Cuba come in Nicaragua, ecc., alle politiche che hanno promosso e sostengono queste infamie, come processi di “liberazione” e democratici.

La domanda semplice da porre è, se costoro sono semplicemente ipocriti, e quindi organici alle politiche e ai progetti atlantici, o se sono solo sprovveduti coadiutori del padrone USA e NATO, ma pur sempre oggettivamente complici.

 

di Moss Robeson

In occasione della Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto di quest’anno, The Forward ha pubblicato una scioccante raccolta di articoli di Lev Golinkin, un collaboratore di Defending History, chiamata “Nazi Collaborator Monument Project“. Essendo l’indagine più completa di tali monumenti in tutto il mondo, dovrebbe essere un elemento stimolatore per una resa dei conti internazionale con la continua glorificazione degli autori dell’Olocausto nel 21° secolo.

Meno di una settimana prima, il giornalista del Jerusalem Post Jeremy Sharon, ha fatto luce su un tipo di progetto molto insolito dopo aver esplorato uncimitero digitalecostruito dall’Istituto ucraino di memoria nazionale (UINP). Lanciata nel novembre 2020 per gli ucraini sepolti all’estero, la “Necropoli virtuale dell’emigrazione ucraina” è tutt’altro che completa, ma è già piena di collaboratori nazisti, tra cui “alti funzionari di unità ausiliarie di polizia” che hanno massacrato la popolazione ucraina ed ebrei.

Il progetto [UINP] chiede agli ucraini di tutto il mondo di aggiungere elementi al suo database“, ha informato a dicembre la filiale del Saskatchewan del Congresso ucraino canadese. Su Facebook c’è infatti una più antica “Necropoli ucraina in Canada”, creata nel 2015, che potrebbe aver ispirato l’UINP. (Le immagini del progetto canadese delle lapidi dei collaboratori nazisti possono essere trovate nella “necropoli virtuale” dell’UINP.) Nella parte superiore della pagina Facebook canadese c’è una foto di uncontroverso cenotafio a Oakville, Ontario, che commemora i veterani ucraini delle Waffen-SS sepolti lì .

Lev Golinkin hascritto un articolo suimonumenti nazionalisti ucraini del Canada la scorsa estate, dopo che il cenotafio è diventata una notiziainternazionale.

Oakville, Ontario cenotafio

L’articolo del Jerusalem Post diceva poco sul coordinatore del progetto UINP Pavlo Podobed. Egli è indicato come il “marito antisemita” di Olena Podobed-Frankivska, che è la direttrice delle politiche giovanili presso l’Ucraina Rianimation Package of Reforms Coalition finanziato dall’USAID.

Podobed sono entrambi membri della filiale di Kiev dell’Associazione giovanile ucraina internazionale (CYM). Dalla sua fondazione nel 1946, la CYM ha servito come ala giovanile dell’Organizzazione clandestina dei nazionalisti ucraini-Bandera (OUN-B), che aveva collaborato con la Germania nazista durante la seconda guerra mondiale e ha collaborato con gli estremisti di estrema destra nell’Ucraina del XXI secolo.

Come spiegato nel suddetto articolo l’OUN-B ha praticamente fatto suo l’UINP, durante la presidenza di Petro Poroshenko (2014-19) tramite il “Center for Research of the Liberation Movement” di Lviv, una sezione dell’OUN-B per cui lavorava Olena Podobed-FrankivskaPavlo Podobed è il capo del Dipartimento per la conservazione dei luoghi della memoria dell’UINP.Come riportato da Newsweek nel 2017, da quando ha ottenuto il lavoro, ha “accusato gli ebrei di essere i principali autori dei crimini sovietici contro gli ucraini negli anni ’20 e ’30“.

Pavlo Podobed è contemporaneamente il presidente del consiglio di amministrazione della Heroyika Charitable Foundation, con sede a Kiev e Toronto, che ha collaborato con l’UINP sul progetto “necropoli virtuale”. Heroyika si occupa principalmente della costruzione e del restauro di monumenti e memoriali in Ucraina, dedicati ai veterani anti-sovietici delle guerre mondiali, sebbene ovviamente sono stati centinaia di migliaia gli ucraini che si unirono all’Armata Rossa, rispetto all’Organizzazione dei nazionalisti ucraini o alle Waffen-SSHeroyika ha anchefornitodecine di migliaia di dollari di equipaggiamenti al Battaglione neonazista “Azov”, compresi i mirini per i cecchini e almeno quattro veicoli.

 Battaglione Azov

Tre anni dopo aver fondato la Heroyika Charitable Foundation nel 2010, Podobed è stato eletto capo del CYM a Kiev. Nell’ottobre 2014, Podobed ha sostenutoPravy Sector” forza neonazista alle elezioni parlamentari ucraine. Nell’ottobre 2015 è diventato un dipendente di alto livello UINP .

Pavlo Podobed ha anche trascorso diversi mesi negli Stati Uniti nel 2017. Nella primavera è apparso a un evento pubblico insieme a Volodymyr Parasiuk, un nazionalista di estrema destranotoriamente violentoed ex membro di OUN a Chicago.

Il 21 febbraio 2014, dopo il giorno più sanguinoso della cosiddetta “Rivoluzione della Dignità” in Ucraina, Parasiuk aveva tenuto un discorso sulla Piazza dell’Indipendenza di Kiev minacciando un colpo di stato e un bagno di sangue, ed è opinione diffusa che sia stato uno dei motivi che abbiano spinto il presidente Viktor Yanukovich a lasciare il paese. A quel tempo Parasiuk era un comandante speciale di compagnia di una milizia neonazista, che, secondo il politologo Ivan Katchanovski “i suoi cecchini hanno sparato alla polizia dall’edificio del Conservatorio di musica [a Kiev] e poi sia alla polizia che ai manifestanti dell’Hotel Ukraine“.

Parasiuk e Podobed hanno parlato all’evento di Chicago, quasi tre anni dopo che Katchanovski aveva pubblicato per la prima volta la sua ricerca esplosiva sul “Massacro dei cecchini”.

Sei mesi dopo Podobed ha parlato a Washington ad una conferenza di storia militare, organizzata dal Center for US-Ukrainian Relations, un’organizzazione piuttosto oscura ma influente,associataall’OUN-B. Ha anche partecipato a una tavola rotonda moderata da Lubomyr Hajda dell’Harvard Ukrainian Research Institute.

Pavlo Podobed memtre parla in una conferenza a Washington, moderatore da Lubomyr Hajda

Nel 2019, Podobed è apparso in diversi video del Prometheus Security Environment Research Center (PSERC) con sede a Kiev. Secondo il suo sito web, il Centro di ricerca è partner del governo canadese. Dalla fine del 2018, Poboded ha pubblicato tutti i suoi articoli sul sito web dell’organizzazione, tranne il più recente, dove ha annunciato che il PSERC ha firmato unaccordocon l‘UINP e altre entità, per creare un portale Internet sull’aggressione russa in Ucraina.

Il PSERC è presieduto da Mykola Balaban. In qualità di “visiting fellow” presso il prestigioso programma “L’Ucraina nel dialogo europeo“, del prestigioso Istituto di scienze umane (IMW) con sede a Vienna, nel 2018-19 Balaban ha scritto unbreve documentosulla violenza di massa accaduta a Leopoli nel giugno-luglio 1941, dalla parte dei nazisti. Nel frattempo, Podobed è apparso in due video del PSERC indossando una maglietta che glorifica il Battaglione Nachtigall, un’unità della Wehrmacht formata dall’OUN-B, entrata a Leopoli il 30 giugno 1941 insieme alle forze del Terzo Reich e più tardi nell’estate è diventata ilBattaglione Schutzmannschaft 201 . Entrambe le formazioni furono infine comandate dai tedeschi e parteciparono all’Olocausto di Bullets nel 1941, l’anno stampato sulla maglietta di Podobed.

Pavlo Podobed e la sua maglietta Nachtigall

Un recente articolo di Jeremy Sharon sul Jerusalem Post,sembra aver infranto le speranze di alcuni osservatori ucraini preoccupati che la politica della memoria di estrema destra dell’UINP potesse essere significativamente ridotta da Anton Drobovych, il nuovo direttore dal dicembre 2019. “Immagino che Anton Drobovych non sia riuscito, o non ha provato, a smorzare la glorificazione dei collaboratori nazisti“, hatwittato ilgiornalista Sam Sokol, che l’anno scorso aveva scritto un profilo ottimistico di Drobovich. In retrospettiva, tenendosi accanto persone come Pavlo Podobed, l’incapacità o impossibiltà di Drobovych di cambiare le cose, sembra inevitabile.

Drobovych (centro-sinistra) e Podobed (centro-destra) presentano il progetto “Virtual Necropolis”, novembre 2020

Enrico Vigna

ENRICO VIGNA

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_necropoli_virtuale_dei_collaborazionisti_nazisti_dellucraina_e_il_suo_sovrintendente/24790_40871/

STATI UNITI AL BIVIO: RESTAURAZIONE O RIVOLUZIONE

Ritorno agli accordi di Parigi sul clima, via il “muslim ban”, stop al muro anti-immigrazione. La raffica di decreti presidenziali del neo-eletto ha voluto segnare immediata discontinuità con l’era Trump. Ma Joe Biden lo sa, non basterà crogiolarsi nell’evidenza di essere migliore del peggior presidente di sempre, o vaneggiare di riportare ancora gli Stati Uniti a un’età dell’oro sconfessata dai fatti. Se sarà ricostruzione, occorrerà ricominciare da nuove fondamenta.

pppp

Donald Trump leva il disturbo sull’elicottero presidenziale e nel giro di poche ore l’America che piace e si piace riprende il possesso degli appartamenti presidenziali di Washington.
 
Nemmeno Aaron Sorkin, che meglio di chiunque altro ha alimentato il mito mediatico degli States nell’epoca della serialità mainstream, avrebbe potuto sceneggiare un finale di stagione più evocativo: il vecchio miliardario newyorchese alt right che batte in ritirata tra le palme della Florida e il vecchio “Average Joe” Biden che riprende il filo della grande epopea a stelle e strisce.
 
Ed è subito florilegio di «Let’s Get Loud» portoricani, sermoni e poesie in quota Black Lives Matter e appelli per un ritorno alla «decency» perduta, che tanto aveva accomodato la maggioranza dei White-liberal fino agli sgoccioli dell’amministrazione Obama.
 
Ma la débâcle del 6 gennaio, l’assalto armato del parlamento portato da migliaia di “patrioti” bianchi trasmesso in mondovisione davanti a un pubblico attonito, ha rappresentato un’epifania troppo grande per essere spazzata sotto al tappeto del solito entusiasmo very Democrat.
 
Nonostante lo stesso Biden abbia ripetuto costantemente che «this is not who we are», “noi non siamo così”, non è più possibile negare l’evidenza della cancrena. E non è auspicabile, secondo molti commentatori, rimandare ancora l’indagine delle cause profonde: occorre fare esami e andare ad agire non più solo sui sintomi, ma sulla malattia.
 
Scrive Osita Nwanevu su «The New Republic»: «La nostra storia, come Paese, è stata sanguinosa e litigiosa. Violenza e divisioni sono stati la norma. La tranquillità domestica degli anni fino ai primi Settanta è stata solo uno strano interludio, apparentemente arrivato alla fine. […] Abbiamo un’economia costruita su straordinarie e abominevoli iniquità di ricchezza e potere, che lascia nelle fredde mattine di gennaio migliaia di persone nella nostra capitale e nelle nostre città in tutto il Paese alla ricerca di calore. Occorre riordinarla. Affrontiamo una crisi ecologica che sconvolgerà e destabilizzerà la vita americana dieci volte più che altri dieci anni di Donald Trump. Facciamoci i conti. Siamo governati da istituzioni politiche distorte che, appositamente, garantiscono ad alcuni americani più potere che ad altri. Rifondiamole».
 
Il tutto sullo sfondo di una pandemia che negli Stati Uniti ha fatto scorribande senza eguali: quattrocentomila morti, il bollettino parziale, e una crisi economica e occupazionale da far impallidire il crack del 1929.
 
Che la ricomposizione di tale disastro sia ora affidata al settantottenne cattolico Joe Biden ha un che di biblico. E, per una volta, in qualche modo giustifica l’infarcimento di riferimenti cristiani che scandisce la liturgia del giuramento presidenziale americano, formalmente la più grande democrazia laica del mondo.
 
Più che all’obbligatoria benedizione divina del Paese e delle truppe a fine discorso, dove riecheggia ancora il Dio tifoso e condottiero dell’Antico Testamento, l’architettura retorica del presidente Biden sembra rifarsi a più tarde autoanalisi del pensiero cristiano: tra le righe, si scorgono i precetti della Teologia della Croce che Papa Benedetto XVI riassumeva nella «rinuncia alla propria superiorità e scelta della stoltezza dell’amore».
 
La stessa stoltezza che Biden non nasconde in uno dei passaggi dedicati all’unità perduta: «So che parlare di unità potrà sembrare ad alcuni una stupida fantasia in giorni come questi».
 
Con quattro decenni passati tra i banchi del senato, Biden incorpora alla perfezione l’uomo pio, mite e delle larghe intese che una parte di Stati Uniti ritiene sia necessario per un mandato all’insegna della restaurazione.
 
Ricucire il tessuto sociale dilaniato da quattro anni di euforia intollerante trumpiana e, al contempo, rammendare la rete di alleanze internazionali riposizionando gli Stati Uniti al centro della galassia atlantista.
 
Dal lato interno, gli Stati Uniti affrontano una disgregazione mai così palese dalla Guerra Civile. Come maneggiare una materia tanto incandescente e inedita nella storia recente americana è un dilemma che indica percorsi mai intrapresi all’interno dei confini USA.
Anne Applebaum, sul The Atlantic, fotografa la frattura con tre dati: «Nel mese di dicembre, il 34% degli americani ha detto di non credere al risultato delle elezioni del 2020. Più di recente, il 21% ha detto di sostenere o di sostenere fortemente l’attacco al Capitol. Fino alla scorsa settimana, il 32% diceva ancora ai sondaggisti che Biden non era il vincitore legittimo [delle elezioni]».
 
Secondo Applebaum, due poli contrapposti talmente distanti tra loro che difficilmente potranno essere riavvicinati applicando ricette “americane”. Sarebbe meglio farsi un bagno d’umiltà e provare a ispirarsi a qualcosa di diverso, fino a oggi nemmeno immaginabile.
 
E invece: «Ecco un’altra idea: lasciar perdere il tema [dell’unità nazionale] e cambiare argomento. Questo è il consiglio contro-intuitivo che sentiremmo da persone che hanno studiato l’Irlanda del Nord prima dell’accordo di pace del 1998, o la Liberia, o il Sudafrica, O Timor Est – Paesi dove gli oppositori politici si consideravano a vicenda non solo nell’errore, ma malvagi; Paesi dove la gente aveva genuinamente paura quando l’altra parte saliva al potere; Paesi dove non tutti i dissidi possono essere risolti e non tutte le differenze appianate.
Negli anni prima e dopo l’accordo di pace in Irlanda del Nord, per esempio, numerosi progetti di “peacebuilding” non provavano a organizzare discussioni politiche civili tra cattolici e protestanti, non parlavano proprio di politica. Invece, hanno costruito dei community center, hanno messo su le luci di Natale, hanno organizzato incontri di formazione del lavoro per i giovani».
 
Più realisticamente, il rischio della dottrina contro-intuitiva del parliamo d’altro potrebbe riversarsi sull’agenda estera, sovrapponendosi alla ridefinizione degli equilibri geostrategici degli Stati Uniti. L’incognita più urgente continua a essere l’Iran, difficilmente riconducibile entro le maglie del programma di denuclearizzazione iniziato dall’amministrazione Obama e totalmente smantellato da Trump.
 
Dal buon esito degli sforzi diplomatici in tal senso, ampiamente anticipati dalla stampa americana, dipenderà molto l’approccio con cui Biden cercherà di riposizionare Washington al centro delle trame politiche dell’Asia Occidentale, specie rispetto allo scellerato “Deal of the Century” tra Usa, Israele e petrolmonarchie della penisola araba.
 
C’è poi sul piatto il rapporto con la Cina, destinata a emergere ancora più incontrastata come forza egemone economica e geopolitica in un mondo post-Covid tutto da ricostruire, in una partita che gli Stati Uniti non possono osservare da spettatori.
 
Se la tentazione di limitarsi a un reboot del Paese ritornando al “glorioso” passato pre-Trump è forte, sperperare l’operazione di denuncia dei mali atavici degli Stati Uniti portata avanti in questi anni da Black Lives Matter e dagli ambienti radicali antifascisti è l’errore più grande in cui l’amministrazione Biden rischia di incappare nel futuro prossimo.
 
La raffica di decreti presidenziali con cui Biden ha inaugurato la propria presidenza – ritorno agli accordi di Parigi sul clima, via il «muslim ban», stop al muro anti-immigrazione, tra gli altri – ha voluto immediatamente segnare la discontinuità con l’era Trump.
 
Ma, e Biden lo sa, non basterà crogiolarsi nell’evidenza di essere meglio del presidente peggiore di sempre o riportare gli Stati Uniti a un’età dell’oro sconfessata dai fatti.
 
Se sarà ricostruzione, occorrerà ricominciare da nuove fondamenta.

FONTE: https://www.idiavoli.com/it/article/stati-uniti-al-bivio-restaurazione-o-rivoluzione

 

 

POLITICA

Il dito…

15 aprile, 2021 | 73 commenti

All’inizio di quest’anno, quando ancora frequentavo il social network Twitter, un esponente di un importante partito italiano mi rivolgeva pubblicamente la critica di concentrare oltremodo la mia attenzione sul tema delle «vaccinazioni». Nello stesso messaggio suggeriva l’immagine di un «drappo rosso» per significare forse il furore con cui reagirei alle discussioni sull’argomento. Da allora sono trascorsi poco più di cento giorni durante i quali, mentre io tacevo, il segretario dello stesso partito è intervenuto sullo stesso social citando vaccini e vaccinazioni non meno di 94 volte, cioè in pratica ogni giorno. Lo stesso partito è poi entrato nel Governo e ha ottenuto alcuni dicasteri, tra i quali quello del Turismo, il cui titolare non si stanca di ripetere che le sorti di uno dei settori produttivi più importanti del nostro Paese dipendono dalla disponibilità di vaccini e dall’avanzamento del piano vaccinale, come mai era successo nella nostra pur secolare storia turistica e sanitaria. Ultimo, ma solo in ordine di tempo, un presidente di regione dello stesso partito ha pronosticato ieri che le vaccinazioni «stabiliranno un nuovo ordine mondiale». Nientemeno.

Certo, non sono casi isolati, e nemmeno i più estremi. Basterebbe aprire un giornale a caso di un giorno a caso per scoprire quanto blanda sia la mia presunta fissazione di fronte al profluvio martellante e quotidiano di dati, annunci, previsioni, commenti, agiografie e anatemi sulle vaccinazioni, quasi sempre in prima pagina. E basterebbe osservare con che rabbia si censura chi esprime una posizione critica e argomentata sulla questione per capire quanto pallido e stinto sia il rosso del mio drappo, che non sventola ormai da mesi.

In effetti, a me le vaccinazioni appassionano poco o per nulla, non più di quanto mi appassionino gli antibiotici, gli ACE-inibitori, le tomografie assiali computerizzate, le radicotomie selettive, l’idroformilazione delle olefine, l’edilizia antisismica o la fissione dell’atomo. Tutte cose importanti che però non so approfondire, né spetta a me farlo. Il primo motivo che tre anni fa mi spinse a scrivere un libro sul risorto interesse dei capi di Stato per le vaccinazioni era invece il modo in cui l’ossessione collettiva a cui assistiamo oggi si nutriva nel bozzolo del «dettaglio tecnico», della «necessità» scientifica e dell’«ordinaria amministrazione», riuscendo così a imporsi senza dibattito. Oggi mi mortifica ripetere ciò che ho scritto in quel libro e in tanti articoli, ma più ancora prendere atto che i rischi paventati allora si stiano avverando, che si dimostri quanto sia stata inutile la nostra denuncia. Avrei voluto vivere bene piuttosto che avere ragione.

Eppure gli indizi non mancavano. Ciò che preoccupava me e il mio coautore non sono mai stati i risvolti medici della faccenda, che il secondo avrebbe pur potuto affrontare con competenze abbondanti. Registravamo piuttosto come il nuovo totem sanitario catalizzasse una lunga serie di pensieri disfunzionali già presenti da tempo nella coscienza pubblica, e che nel veicolo blindato della «salute pubblica» trovavano l’humus per crescere lasciando fin troppo facilmente presagire quale sarebbe stato il metodo di governo venturo, quello che avrebbe poi «sorpreso» tutti. Osservavamo sbigottiti gli inchini dei rappresentanti politici di tutto il mondo, le conversioni di chi pure aveva osato eccepire, le bufale propalate dai più alti livelli istituzionali, l’ineluttabilità di un’agenda intoccabile, innominabile. Denunciavamo come tutto ciò si stesse risolvendo da un lato nella «scienza al governo», nella pretesa cioè di liquidare il confronto politico e di far poggiare le decisioni, anche le più drastiche e corrosive dei diritti fondamentali, sulla pretesa indiscutibilità di un dato scientifico, dall’altro nel «governo della scienza», cioè nella necessità di commissariare quel dato storpiando i risultati e intimidendo i protagonisti della comunità scientifica, ignorandone le voci non funzionali e screditandola fatalmente agli occhi di molti, come sta purtroppo avvenendo.

A chi ci rimproverava di insistere in una nicchia, rispondono oggi i fatti. Altri ci hanno contrapposto per anni le loro più o meno appassionate apologie delle «vaccinazioni», della loro importanza, dei loro meriti e dei loro prodigi. A questi ultimi abbiamo tentato di spiegare, sempre invano, che proprio la deificazione pelosa di questa risorsa sanitaria la sta condannando alla morte degli idoli di pietra, avendo reso impossibile e anzi pericoloso discuterne caso per caso i limiti per migliorarla, condurre studi indipendenti, introdurre cautele e raccomandazioni per renderla più sicura, raccogliere pareri diversi per effettuare scelte più consapevoli. Che è insensato rivolgersi con fiducia a un esperto che parla con la pistola puntata alla tempia, di cui si conosce già l’unica risposta possibile. Che proprio i nostri esperti li stiamo umiliando al rango di macchinette ripetitrici, che stiamo rinunciando al patrimonio dei loro studi e della loro esperienza e ci prepariamo a sostituirli con un algoritmo.

A quel politico che mi criticava su Twitter rispondevo con un piccolo fotomontaggio dove scrivevo «vaccinazioni» sull’immagine di un dito e «diritti sociali, lavoro, democrazia, scienza» sull’immagine della luna. Il «lavoro» era solo una previsione, sennonché di lì a poco la maggioranza avrebbe obbligato i medici e altri operatori della sanità a lasciarsi iniettare prodotti i cui dati di sicurezza e di efficacia in grande scala, nonché quelli necessari per la sua piena autorizzazione al commercio, non sono del tutto noti e sembrano anzi ingarbugliarsi col passare dei giorni. Mentre fino a ieri chi accettava un farmaco ancora in fase di studio riceveva quattrini, da oggi perderà il reddito se non lo fa. Così, d’emblée. Nel frattempo si attendono gli sviluppi del «green pass» che con buona pace dei benintenzionati metterà le basi di una discriminazione ematologica senza precedenti.

È davvero difficile, anche alla luce degli assurdi «lockdown» e della ridda di contraddizioni spacciate per «scienza» che ci hanno piagato per mesi, non concludere che ci troviamo prima di tutto di fronte a un dispositivo di disciplina delle masse, del lavoro, dei diritti e delle condotte individuali, quando non dei pensieri, con cui si sta osando ciò che non si era osato neanche nell’Ottocento delle ferriere, neanche nelle pluricitate dittature del passato. Mi ha perciò sollevato scoprire che almeno un sindacato ha avuto il coraggio di accantonare il dito per fissare lo sguardo sulla luna di un ricatto di utilità dubbia e crudeltà certa, che semina angoscia tra i lavoratori, istiga all’odio e minaccia di gettare nell’indigenza altre famiglie, mentre «nell’interesse dei pazienti» non ci si fa scrupolo di privarli di chi li cura incidendo su una categoria già gravemente sotto organico. Mi rincuora che qualcuno incominci a intravedere nella coltre dei moventi annunciati l’effetto delle soluzioni imposte, di spegnere i dissidenti e di possedere i sudditi fin dentro i corpi tenendoli sotto scacco con lo spettro della fame. Che riconosca insomma nel «nuovo ordine» il sogno antico dei tiranni di ogni epoca.

Non è più tempo di nascondersi dietro la foglia della tecnica, che occorrerebbe casomai salvare da chi l’ha presa in ostaggio per fare luce su una narrazione tragicamente sgangherata e rimediare ai suoi danni, dove ancora si può. Fino ad allora non parliamo del dito. È inutile. Non lo si può nominare invano, e tanto ci basta.

FONTE: http://ilpedante.org/post/il-dito

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Vaccini anti Covid: in UE 5.360 morti e 240.000 eventi avversi

Di Filippo Della Santa, ComeDonChisciotte.org

L’EudraVigilance, il database europeo per la gestione e l’analisi delle segnalazioni di sospetti eventi avversi ai medicinali autorizzati, ha aggiornato al 27 marzo 2021 il report sulle reazioni avverse rilevate in Europa a seguito della campagna di vaccinazione anti Covid-19.
Andiamo quindi a vedere quali sono i dati più recenti a nostra disposizione per i farmaci al momento autorizzati dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), a tre mesi dall’inizio delle vaccinazioni.

Vaccino Covid AstraZeneca

Relativamente al vaccino anti Covid AstraZeneca ChAdOx1 nCoV-19 sono stati segnalati 107.733 eventi avversi, di cui 82.645 nella fascia di età tra 18 e 64 anni:

Gli Stati con più eventi avversi segnalati sono Olanda (10.324 casi), Italia (7.264 casi) e Francia (7.214 casi):


Di tutte le reazioni circa il 62% sono indicate come “gravi” e, secondo quanto indicato dall’EMA , esse corrispondono ad un:

“evento medico che provoca la morte, è pericoloso per la vita, richiede ricovero in ospedale, provoca altra affezione di rilevanza medica o prolungamento dell’ospedalizzazione esistente, provoca disabilità o invalidità persistente o significativa, oppure rappresenta un’anomalia congenita o un difetto alla nascita. Inoltre, può riferirsi ad altri eventi medici importanti che potrebbero non essere correlati immediatamente a un pericolo di vita o provocare la morte o l’ospedalizzazione, ma potrebbero compromettere il paziente o richiedere un intervento (trattamento) per evitare uno degli altri esiti sopra elencati.”

Relativamente agli esiti fatali si contano 837 decessi successivi alla somministrazione del vaccino Covid AstraZeneca, come possiamo osservare in figura:

Vaccino Covid Pfizer/Biontech

Per quanto riguarda il vaccino anti Covid Pfizer/Biontech Tozinameran sono stati segnalati 121.514 eventi avversi, di cui 96.577 nella fascia di età tra 18 e 64 anni:

L’Italia si trova al primo posto per numero di casi individuali segnalati (36.295 casi), seguita da Francia (12.124 casi) e Olanda (12.046 casi):

Di tutte le reazioni indicate dall’Eudravigilance, circa il 31% sono indicate come “gravi”.
E’ possibile inoltre estrarre dal portale un totale di 3268 decessi successivi alla somministrazione del vaccino anti Covid Pfizer/Biontech, come possiamo osservare in figura:

Vaccino Covid Moderna

Relativamente al vaccino anti Covid Moderna CX-024414 al 27 marzo si rilevano 9625 eventi avversi (circa il 47% dei quali indicati come “gravi”), di cui 6059 nella fascia di età tra 18 e 64 anni:

L’italia si trova al terzo posto con 922 casi, dietro Olanda (1956 casi) e Spagna (937 casi):

In merito ai 1255 decessi segnalati, infine, la situazione per le diverse categorie di reazioni disponibili sulla piattaforma dell’EMA è riassunta in figura:

Conclusioni

Da tali dati emergono subito alcune anomalie da segnalare, come ad esempio l’elevato numero di eventi avversi relativi al nostro paese.
Questo potrebbe trovare giustificazione se l’Italia fosse avanti nella campagna di vaccinazione, ma non ci sono sostanziali differenze rispetto agli altri paesi europei in termini di dosi somministrate per 100 persone, come possiamo osservare in figura:

Dosi somministrate per 100 persone

Dosi somministrate per 100 persone, fonte Ourworldindata.org 

Un’altra anomalia che emerge per l’Italia è il basso tasso di segnalazione per le reazioni avverse in seguito al vaccino AstraZeneca. Ricordiamo infatti che per l’AIFA:

“Il Decreto del Ministero della Salute 30 aprile 2015 ha ribadito l’obbligo di segnalare tempestivamente le sospette reazioni avverse da farmaci e da vaccini e ha definito dei limiti di tempo entro cui gli operatori sanitari sono tenuti ad effettuare la segnalazione alla Rete Nazionale di Farmacovigilanza (RNF) dell’AIFA.”

Rimane difficile, pertanto, credere che al 27 marzo siano solamente 7200 i sospetti eventi avversi segnalati, e la spiegazione più semplice di queste incongruenze ci viene fornita dalla stessa Agenzia Europea del Farmaco:

“I dati disponibili sul portale si basano su reazioni avverse segnalate spontaneamente da pazienti, operatori sanitari o altre fonti, le quali vengono successivamente inviate elettronicamente a EudraVigilance sotto forma di ICSR da parte delle autorità nazionali di regolamentazione dei medicinali o delle ditte farmaceutiche. “

Tale sistema di sorveglianza passivo, quindi privo di una registrazione automatica dell’evento, rischia di condurre ad una forte sottostima delle reazioni avverse, e ciò spiegherebbe le anomalie sopra osservate.
Questo è anche quanto avviene per il database statunitense Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS), per il quale questo report dell’Harvard Pilgrim Health Care del 2011 suggerisce come meno dell’1% di tutti gli eventi avversi legati alle vaccinazioni siano segnalati al governo statunitense.

Relativamente all’incidenza dei singoli farmaci le dosi somministrate per ciascuna tipologia di prodotto non sono disponibili per tutti i paesi dell’UE, tuttavia il portale Ourworldindata.org fornisce questa classificazione per alcuni Stati, tra cui l’Italia, dalla quale abbiamo dedotto il tasso di segnalazione delle reazioni avverse per 100.000 dosi, sintetizzato in figura:

Tasso di incidenzaSe consideriamo anche i dati che provengono dalla Gran Bretagna, ne concludiamo come non ci siano sostanziali differenze in termini di pericolosità tra il vaccino caduto sotto i riflettori, il ChAdOx1 nCoV-19, e quelli di Pfizer e Moderna.
E allora perchè si parla dei problemi di AstraZeneca ma non di quelli relativi ai vaccini sperimentali ad mRNA?
La risposta non è semplice. Potrebbe semplicemente essere una questione mediatica viste le fasce di età coinvolte, o potrebbe esserci una relazione con questioni di natura economica e/o geopolitica.
Quella che è certa è invece la mancanza di trasparenza da parte dei nostri politici e responsabili della sanità, di cui riportiamo solo uno tra i molteplici esempi.

Intervistato dal tg2 (minuto 14:45), il direttore del Policlinico San Martino di Genova Salvatore Giuffrida commenta così il decesso della giovane insegnante ligure avvenuto nella giornata di Domenica 4 aprile, a seguito di quadro trombotico ed emorragico cerebrale :

” In Italia per una patologia simile ogni anno si verificano 600.000 casi con 200.000 morti, quindi metterlo in stretta relazione con il vaccino è direi del tutto impossibile”

Quello che il direttore si è scordato di aggiungere, sicuramente in buona fede, è che per le 200.000 morti per malattie del sistema circolatorio (che comprendono anche le trombosi) registrate nel 2018 dall’ISTAT, soltanto 8000 si sono verificate nella fascia d’età interessata dai recenti fatti di cronaca:

Mortalità per territorio di evento

Mentre i dietrofront su AstraZeneca proseguono in tutta Europa, così come l’ostinato silenzio su Pfizer e Moderna, media e politici si affannano a smentire correlazioni e pericolosità di questi farmaci ancora in fase di sperimentazione.
Quello che rimane a tre mesi dall’inizio delle vaccinazioni, alla faccia del consenso libero e informato, sono le 240.000 reazioni avverse segnalate e le 5.360 persone decedute.

Di Filippo Della Santa, ComeDonChisciotte.org

 

STORIA

Sacrificio per la Regia Marina: così si è immolato Teseo Tesei

Luglio 1941. Malta. Nel tentativo di mettere a segno un colpo mortale agli inglesi, perde la vita Teseo Tesei, il “filosofo dei maiali”

Così si è immolato Teseo Tesei: il "filosofo dei maiali"

“Occorre che tutto il mondo sappia che vi sono italiani che si recano a Malta nel modo più temerario; noi affonderemo qualche nave, oppure no… non ha molta importanza. Quel che importa è che si sia capaci di saltare in aria con il nostro apparecchio sotto l’occhio del nemico”. Queste parole di Teseo Tesei possono tranquillamente essere state le stesse pronunciate da un pilota kamikaze giapponese durante il conflitto nel Pacifico: del resto l’uomo aveva sempre dimostrato lo stesso animus pugnandi di un samurai.

Forse le parole del “papà” dei “maiali”, i mezzi d’assalto coi quali la nostra Marina Militare è passata alla storia durante il Secondo conflitto mondiale, vanno anche al di là dello spirito dei piloti suicidi: Tesei, qui, dimostra che l’eventuale fallimento della missione non ha alcuna importanza, mentre per i piloti nipponici morire per l’Imperatore senza aver colpito una nave nemica, sarebbe stato comunque un disonore. Quello che contava, per il maggiore del Genio Navale, era dimostrare al nemico lo spirito combattivo degli italiani, e dimostrarlo là dove si sentivano più sicuri: nella munitissima base navale di Malta, che in quel momento della guerra era diventata “la spina nel fianco” dei nostri convogli che rifornivano la Libia.

Siamo a luglio del 1941. La guerra per l’Italia è cominciata da più di un anno e in Libia è arrivata l’Afrikakorps da pochi mesi. Il generale Rommel, comandante del corpo di spedizione tedesco, era passato subito all’offensiva ed insieme alle truppe italiane aveva riguadagnato il terreno perso ma segnava il passo davanti alla piazzaforte di Tobruk, che cadde solamente quasi un anno dopo, il 21 giugno del 1942 dopo la battaglia di el-Gazala. Le linee marittime di rifornimento del fronte africano andavano protette dalle incursioni della flotta e dell’aviazione inglese, che potevano godere di un vantaggio tattico non indifferente: oltre ad avere l’iniziativa, potendo scegliere quando e come colpire i nostri convogli, gli inglesi avevano decrittato i codici tedeschi (e italiani) già da mesi (fattore cruciale per la tragedia di Capo Matapan), ed erano al corrente non solo di quando la nostra flotta prendeva il mare, ma anche dei suoi spostamenti e della sua consistenza. Da Malta, quindi, si muoveva il dispositivo aeronavale britannico per spezzare le nostre linee di rifornimento marittimo. Bisognava fare qualcosa, anche per il morale delle truppe italotedesche che vedevano l’isola resistere nonostante i bombardamenti della Regia Aeronautica coadiuvata dal X Fliegerkorps; bombardamenti peggiori anche di quelli su Londra messi in atto dalla Luftwaffe.

Supermarina, il comando della Regina Marina, decide di attaccare Malta il 26 luglio. Un’operazione che definire ardita è dire poco: la notte estiva del Mediterraneo è corta, il tragitto da fare è tanto, e bisogna oltrepassare difese tra le più munite che ci siano. Quella data viene scelta perché nel porto dell’isola sarebbe arrivato un convoglio, e quindi gli obiettivi sarebbero stati numerosi. Alla missione viene assegnato l’avviso scorta “Diana” (al comando del capitano di fregata Muro), due Mas, il 451 e il 452 comandati rispettivamente dal sottotenente di vascello Sciolette e dal tenente di vascello Parodi, un motoscafo con a bordo il capitano di corvetta Giobbe vicecomandante della X Flottiglia Mas. Ideatore dell’impresa il capitano di fregata Vittorio Moccagatta, anche lui a bordo del Mas 452. L’idea era di utilizzare forzare il porto di Malta con i barchini esplosivi – caricati sul “Diana” -, gli stessi che ebbero successo nella baia di Suda, a Creta, affondando l’incrociatore inglese York. Inizialmente non avrebbero dovuto essere utilizzati i Siluri a Lenta Corsa (Slc), i “maiali” di Tesei, ma il “papà” ottenne di partecipare alla missione coi due suoi “figli”.

Per facilitare il compito degli assaltatori, viene concordato di effettuare tre pesanti incursioni aeree notturne sull’isola: la prima all’1:45 su La Valletta, per costringere gli inglesi ad accendere le fotoelettriche e così facilitare l’avvicinamento al porto, la seconda, la più pesante, alle 2:30 e la terza , in coincidenza con l’attacco dei barchini, su Luqa alle 4:30.

Il “Diana” raggiunge, come da programma, il punto di messa in mare dei mezzi d’assalto – chiamato “punto C” – ma gli inglesi sanno del suo arrivo. Il radar di Mdina Rabat lo ha sugli schermi da mezz’ora. L’effetto sorpresa è ormai svanito. Gli inglesi hanno tutti i pezzi della batterie costiere puntati e attendono. Dopo aver scaricato il barchini l’avviso scorta si allontana, come previsto, e gli incursori si avvicinano, a lento moto, verso il porto.

Ad un certo punto due fotoelettriche si accendono puntando la luce verso il mare, ma da parte inglese non si spara nemmeno un colpo. Forse una tattica inglese per guastare la visione notturna degli incursori di Marina. La piccola flottiglia, composta da 8 barchini esplosivi e due maiali, si avvicina verso il punto convenuto per forzare il porto: il ponte di Sant’Elmo, scelto perché nell’imboccatura principale erano presenti ostruzioni che non potevano essere superate dai mezzi d’assalto.

Dal ponte pende una pesante rete di protezione, a sbarramento, che tocca il fondale che in quel punto è profondo 40 metri. È il momento di Tesei e di Costa. I “maiali” vengono messi in acqua, ma quello Costa resta appoppato e non si riesce a metterlo in assetto di navigazione. Viene abbandonato da Costa che si offre di fare da secondo a Tesei, ma questi rifiuta e procede da solo. Il “papà” dei maiali dice al suo collega “è troppo tardi, sono le 4:10, vado solo e faccio saltare la rete del ponte, deve saltare alle 4:30 precise, Salterà… te l’assicuro, se sarà tardi spoletterò al minuto”. Sono le ultime parole del maggiore Teseo Tesei. Cosa sia accaduto dopo non si sa, ma sappiamo che riesce a giungere allo sbarramento del ponte e a fissare la carica. Alle 4:25 viene udita un’esplosione, senza colonne d’acqua, probabilmente gli inglesi hanno sganciato una piccola carica di profondità.

Arrivano le 4:30. E passano. Nessun segnale. Alle 4:40 gli assaltatori vedono accendersi le fotoelettriche di una delle piste dei campi di aviazione: un aereo italiano aveva sorvolato La Valletta sganciando alcune bombe. Per il comandante Giobbe è il segnale, nonostante non sia sicuro che l’esplosione udita poco prima fosse quella della carica di Tesei.

“Frassetto in testa, poi Carabelli… vi lancerete. Se il passo è ancora chiuso, farete saltare l’ostruzione col barchino. Gli altri sei, con Bosio capofila, si infileranno sotto il ponte a qualche secondo di distanza. Ricordate la consegna: perché uno arrivi in porto, tutti, se necessario, dovete sacrificarvi per aprire il varco. In bocca al lupo!”. Questo l’ordine del capitano di corvetta ai suoi uomini.

Parte Frassetto che a cento metri dal ponte si sgancia dal barchino e accende una lampada per indicare la via agli altri. Il barchino non esplode. Tocca a Carabelli, ma gli inglesi, udito il rombo dei motori, sono pronti ad aprire il fuoco. Il barchino di Carabelli arriva sotto il ponte ed esplode contro l’arcata, portandosi via la vita dell’incursore.

La detonazione innesca le cariche del barchino di Frassetto e del Slc di Tesei. Ne scaturisce un’esplosione immane che fa crollare il ponte, ostruendo il passaggio definitivamente. La reazione inglese ormai è furente. Tutti i proiettori sono accesi e tutte le batterie aprono il fuoco. Bosio, il capofila, ordina di di invertire la rotta allargando a nord, ciascuno alla velocità che può. Ma quello che doveva essere un assalto di sorpresa si trasforma in una strage.

Gli inglesi colpiscono i barchini uno per uno. Intanto sale l’aurora ed entra in azione anche la Royal Air Force. Decollano i caccia che si gettano nella mischia mitragliando. Capriotti, di riserva col suo barchino, si finge ferito spingendo avanti verso il porto. Incontra per un caso il “maiale” di Costa che esplode senza raggiungere il bersaglio. Costa ed il suo gregario raggiungono la riva ed in seguito vengono fatti prigionieri dagli inglesi.

La mattanza però non è ancora terminata. Al largo, sui Mas, il CC Giobbe guarda sgomento quanto sta accadendo davanti ai suoi occhi. Decidono di ripiegare, inermi e impotenti, ma gli Hurricane inglesi sono sopra le loro teste. Il Mas 452 viene colpito per primo e si porta via il comandante Moccagatta, il capitano di corvetta Giobbe e altri 5 uomini dell’equipaggio insieme a Bruno Falcomatà, il medico della base che aveva voluto seguire ad ogni costo “i suoi ragazzi”. Gli otto superstiti del 452 riescono a raggiungere a nuoto il motoscafo e a ricongiungersi al “Diana”.

Il Mas 451 subisce la stessa sorte, ma almeno riesce, con le armi di bordo, ad abbattere un Hurricane: il comandante Sciolette e altri 9 uomini del suo equipaggio si gettano in mare e vengono raccolti poco dopo dagli inglesi usciti dal porto, inviolato, di La Valletta. La nostra caccia interviene con dieci caccia Macchi MC 200 “Saetta” ma si trovano impegnati da trenta Hurricane britannici: ne abbattono tre ma perdono due velivoli e ripiegano verso la loro base in Sicilia.

L’azione su Malta si conclude con una pioggia di Medaglie d’Oro al Valor Militare alla memoria. Perdono la vita in quindici, tra cui Tesei, l’ideatore dei Siluri a Lenta Corsa che avranno il loro più clamoroso successo pochi mesi dopo, quando il comandante Borghese progetterà l’assalto al porto di Alessandria d’Egitto, dove De la Penne, Bianchi, Marceglia, Schergat, Martellotta e Marino affonderanno due corazzate inglesi (la Hms Valiant e la Hms Queen Elizabeth) e una petroliera.

A Malta, i mezzi d’assalto non torneranno più, un po’ per l’esito infausto dell’azione (che aveva praticamente decimato la X Flottiglia Mas) un po’ per gli eventi bellici: la rottura del fronte da parte delle armate italotedesche e l’arretramento sino ad el-Alamein dei britannici, insieme all’esito della Battaglia di Mezzo Agosto (11-13/08/1942) avevano ridimensionato il ruolo di Malta. Gli inglesi, infatti, smettono di rifornire l’isola sino al 1943, quando le sorti della guerra ormai avevano cominciato a pendere dichiaratamente in loro favore.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cultura/malta-luglio-1941-cos-si-immolato-teseo-tesei-filosofo-dei-1939414.html

 

 

 

Sand: l’invenzione sionista del ‘popolo ebraico’, mai esistito

Fin dalla prima infanzia i bambini israeliani vengono a «sapere» che il popolo a cui appartengono esiste dal momento in cui gli fu data la Torah sul Sinai. Quei bambini sono convinti di essere discendenti diretti delle genti che, uscite dall’Egitto, si stanziarono, dopo averla conquistata, nella «terra di Israele», promessa, come tutti «sanno», da Dio per fondarvi lo splendido regno di Davide e Salomone, poi separatosi a formare quelli di Giuda e d’Israele. Crescendo quei bambini apprenderanno che questo popolo, dopo il glorioso periodo monarchico, ha conosciuto l’esilio per ben due volte: una con la distruzione del Primo Tempio nel sesto secolo a.C.; la seconda dopo quella del Secondo Tempio nel 70 d.C. Impareranno poi che il loro popolo, il più antico di tutti, ha errato in esilio per circa duemila anni, nel corso dei quali non si è mai lasciato integrare né assimilare. Che ha raggiunto lo Yemen, il Marocco, la Spagna, la Germania, la Polonia, angoli remoti della Russia riuscendo sempre a mantenere stretti legami di sangue con le comunità più lontane, preservando di conseguenza la propria unicità. In realtà è molto improbabile che le cose siano andate davvero così.

Anzi, Shlomo Sand, storico ebreo, docente all’Università di Tel Aviv, in un libro, L’invenzione del popolo ebraico, sostiene che si tratta, appunto, di una «invenzione». Questa storia non sta in piedi, afferma Sand: così come ad esempio non c’è continuità Il professor Shlomo Sand, dell'università di Tel Avivtra gli antichi elleni e i greci di oggi, non c’è una linea diretta che colleghi gli ebrei di duemila anni fa a quelli attuali. Per di più questo racconto non è andato formandosi spontaneamente; «Sono stati invece abili manipolatori del passato che dalla seconda metà del XIX secolo, strato dopo strato, hanno elevato questo cumulo di ricordi servendosi soprattutto di frammenti di memoria religiosa ebraica e cristiana, da cui la loro fervida immaginazione ha ricostruito un’ininterrotta genealogia del popolo ebraico». La Dichiarazione di Indipendenza di Israele afferma che il popolo ebraico proviene dalla Terra di Israele e che fu esiliato dalla sua patria. Ad ogni scolaro israeliano si insegna che ciò accadde durante il dominio romano, nell’anno 70 d.C. La nazione rimase fedele alla sua terra, alla quale iniziò a tornare dopo 2 millenni di esilio.

Tutto sbagliato, dice lo storico Shlomo Sand, in uno dei libri più affascinanti e stimolanti pubblicati in Israele da molto tempo a questa parte.  Non c’è mai stato un popolo ebraico, solo una religione ebraica, e l’esilio non è mai avvenuto – per cui non si è trattato di un ritorno. Sand rigetta la maggior parte dei racconti biblici riguardanti la formazione di una identità nazionale, incluso il racconto dell’esodo dall’Egitto e, in modo molto convincente, i racconti degli orrori della conquista da parte di Giosuè. È tutta invenzione e mito che è servita come scusa per la fondazione dello Stato di Israele, egli assicura. Secondo Sand, i romani, che di solito non esiliavano intere nazioni, permisero alla maggior parte degli ebrei di restare nel paese. Il numero Sand: l'invenione del popolo ebraicodegli esiliati ammontava al massimo a qualche decina di migliaia. Quando il paese fu conquistato dagli arabi, molti ebrei si convertirono all’Islam e si assimilarono con i conquistatori. Ne consegue che i progenitori degli arabi palestinesi erano ebrei…

Sand non ha inventato questa tesi; 30 anni prima della Dichiarazione di Indipendenza, essa fu sostenuta da David Ben-Gurion, Yitzhak Ben-Zvi ed altri. Se la maggioranza degli ebrei non fu esiliata, come è successo allora che tanti di loro si insediarono in quasi ogni paese della terra? Sand afferma che essi emigrarono di propria volontà o, se erano tra gli esiliati di Babilonia, rimasero colà per loro scelta. Nel Libro di Ester, per esempio, è scritto: “Molti appartenenti ai popoli del paese si fecero Giudei, perché il timore dei Giudei era piombato su di loro” (Ester 8, 17). Sand cita molti precedenti studi, alcuni dei quali scritti in Israele ma tenuti fuori dal dibattito pubblico dominante. Egli descrive anche, e a lungo, il regno ebraico di Himyar nella penisola arabica meridionale e gli ebrei berberi del Nord Africa. La comunità degli ebrei di Spagna derivava da arabi convertiti al giudaismo che giunsero con le forze che tolsero la Spagna ai cristiani, e da individui di origine europea che si erano convertiti anch’essi al giudaismo.

I primi ebrei di Ashkenaz (Germania) non provenivano dalla Terra di Israele e non giunsero in Europa orientale dalla Germania, ma erano ebrei che si erano convertiti nel regno dei Kazari nel Caucaso. Sand spiega l’origine della cultura Yiddish: non si tratta di un’importazione ebraica dalla Germania, ma del risultato dell’incontro tra i discendenti dei Kazari e i tedeschi che si muovevano verso oriente, alcuni dei quali in veste di mercanti. Scopriamo così che elementi di vari popoli e razze, dai capelli biondi o scuri, di pelle scura o gialla, divennero ebrei in gran numero. Secondo Sand, i sionisti per la necessità che hanno di inventarsi una etnicità comune e una continuità storica, hanno prodotto una lunga serie di invenzioni e finzioni, ricorrendo anche a tesi razziste. Alcune di queste furono elaborate espressamente dalle menti di coloro che promossero il movimento sionista, mentre altre furono presentate come i risultati di studi genetici svolti in Israele.

Il professor Sand insegna all’Università di Tel Aviv. Il suo libro, ‘When and How Was the Jewish People Invented’ (Quando e come fu inventato il popolo ebraico), pubblicato in ebraico dalla casa editrice Resling, vuole promuovere l’idea di un Israele come “Stato di tutti i suoi cittadini” – ebrei, arabi ed altri – in contrasto con l’attuale dichiarata identità di stato “ebraico e democratico”. Il racconto di avvenimenti personali, una prolungata discussione teoretica e abbondanti battute sarcastiche non rendono scorrevole il libro, ma i capitoli storici sono ben scritti e riportano numerosi fatti e idee perspicaci che molti israeliani resteranno sorpresi di leggere per la prima volta. «Volevo scrivere un libro che avesse solidità storica ma conclusioni politiche, Rabbini anti-sionistiperché sono uno storico, e in quante tale sono tenuto a cercare la verità, ma rimango comunque un cittadino israeliano, vittima di una politica identitaria statale del tutto catastrofica», dice Shlomo Sand.

Attenzione: è importante ricordare che il sionismo non è l’ebraismo. La fede ebraica (da rispettare al pari qualsiasi altra fede) e il sionismo sono due filosofie molto diverse. Confonderli è un terribile errore che può avere risultati disastrosi. Il movimento sionista ha creato lo Stato di Israele. Questo è il prodotto di un’idea che ha meno di cento anni. Il suo scopo fondamentale era ed è quello di cambiare l’essenza del popolo ebraico da entità religiosa a movimento politico. Dalla nascita del sionismo i capi spirituali del popolo ebraico si sono opposti strenuamente ad esso. Inoltre: la confusione seguita a trascinarsi sui giornali tramite pericolosi giochi semantici: lo Stato ebraico… i soldati ebrei… le milizie ebraiche. Non solo lo Stato d’Israele usurpa l’antico nome biblico di una storia, di una tradizione e di una fede che è anche patrimonio di cristiani e mussulmani, c’è di peggio: il sionismo ha finito per equiparare l’antisionismo all’antisemitismo, usando all’occorrenza la Shoah come randello sul tavolo della politica internazionale. Il sionismo non è l’ebraismo.

(”Una invenzione chiamata ‘il popolo ebraico’”, da “La Crepa nel Muro” del 22 gennaio 2020. Il post cita Shlomo Sand attraverso “Storiainrete” e “Tlaxcala“, mentre la distinzione tra ebraismo e sionismo è tratta da “Naturei Karta“, movimento ebraico anti-sionista).

FONTE:  https://www.libreidee.org/2020/01/sand-linvenzione-sionista-del-popolo-ebraico-mai-esistito/

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